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Autore: Apricot93    30/11/2014    2 recensioni
Dal Cap. 9:
«... E voglio una persona che non si aspetti sempre il peggio da me, Rae, perché non me lo merito».
Non voglio stare con te. Avrebbe potuto dirmi questo e non avrebbe fatto differenza.
Non posso neanche controbattere. Con cosa poi? Ha ragione su tutta la linea, io lo so che Finn merita tutto questo «e pensi che lei sia questa persona?».
Sorride, un sorriso amaro che gli deforma le labbra in una risatina canzonatoria «è l'unica parte del discorso che hai ascoltato?».
Dal Cap.10: (Finn's POV)
«Sei peggio di una bambina dell'asilo, Rae» e mi sei mancata per tutto il tempo in cui sei stata via «ma sei adorabile...» le avevo sussurrato all'orecchio avvicinandomi di un passo.
Le sue guance erano avvampate all'istante, immediate come l'allegria che aveva spazzato via il mio nervosismo.
Che mi fossi imbarazzato anch'io, però, non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archie, Chloe Harris, Finn Nelson, Kester, Rae Earl
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 4: Vita da Mostro

Sleaford - 12/13 Novembre


Non so che ore sono e quanto tempo è passato, sono seduta sull'erba umida e una pioggerellina sottile accarezza ogni parte del mio corpo impregnandomi di umidità. Tutto ciò che riesco a vedere e sentire sono gli occhi nocciola di Finn, e il suo sguardo misto a rabbia, frustrazione e delusione quando se ne è andato via. L'ultima cosa che ritenevo possibile è accaduta, per la prima volta da quando sono qui mi sento fuoriluogo, mi rendo conto che tutto ciò che mi circonda non è quello che dovrei vedere, sono impantanata in una bolla d'errore che mi sono costruita da sola e non so più come uscirne.
A riportarmi alla realtà è la cessazione della pioggia, le gocce non mi rigano più il viso e istintivamente alzo gli occhi al cielo. Quello che vedo è uno spicchio di mondo rosso ciliegia... un ombrello.
«Rae...» sospira appena alle mie spalle una voce che conosco bene, «entra dentro con me, ti ammalerai se resti qui».
Archie mi tende una mano per aiutarmi ad alzarmi da terra, sto morendo di freddo, non credo di aver mai avuto mani e cuore così ghiacciati. Vorrei avercela con Archie almeno un po', la mia situazione non dipende certo da lui però mi ha messo in una situazione a dir poco imbarazzante permettendo a Finn di venire al posto suo. Ma la realtà è che mi basta il suo sorriso per sentirmi di nuovo a casa, mi è mancato da morire. Afferro la sua mano poi senza dire una parola mi butto tra le sue braccia in una stretta che probabilmente lo stritolerà.
«Archie dovrei ucciderti lo sai, vero? Ma sono tanto tanto felice di vederti... Ho fatto veramente un casino stavolta» ammetto affondando il viso nel suo maglione blu.
«Non ti preoccupare metteremo le cose a posto. Adesso entriamo dentro però perché sei zuppa e hai fatto fare la doccia anche a me, se non verrà la polmonite a entrambi sarà un miracolo».
Riesce a farmi sorridere persino adesso, malvolentieri lo libero dal mio abbraccio e ci dirigiamo verso l'entrata della Clinica mano nella mano. Prima di varcare la soglia alzo lo sguardo verso l'indicazione sulla facciata... «non dovrei essere qui, non sarei mai dovuta venirci» .

Insieme ad Archie arrivo nella mia stanza, il tepore che troviamo all'interno mi scongela i pensieri e mi sento più idiota ogni minuto che passa, è come se la consapevolezza fosse arrivata tutta insieme. Mi rendo conto delle assurdità che ho detto a Finn poco fa, al suo posto adesso mi odierei, e questo pensiero non mi da tregua. Ripercorro tutto il delirante discorso che gli ho fatto... farsi una vita sua? Guardare avanti? Ma come diavolo hanno potuto uscirmi certe parole di bocca? Per un attimo prendo in considerazione persino l'ipotesi di sdoppiamento della personalità, si dev'essere andata così, dentro di me alberga una Rae idiota, sadica e masochista insieme, che spara cazzate e rovina la vita alla parte che resta.
Mi chiudo in bagno qualche minuto per togliere i vestiti bagnati dopo aver dato un maglione pulito ad Archie affinchè faccia altrettanto. Mi guardo allo specchio e rimango inorridita, «ma come ho fatto a ridurmi così?» dico alla bipolare nello specchio. Ecco spiegato l'arcano, sono una strega... beh... almeno all'apparenza ne ho tutto l'aspetto. I capelli vivono ormai di vita propria, le occhiaie toccano le guance, gli occhi sono arrossati dal vento e dal freddo, ed ho un colorito cadaverico inquietante. Mi pizzico le guance sperando di vedere un lampo di vita solcarle di nuovo, ma la situazione decisamente non migliora quindi mi convinco ad uscire così dopo aver semplicemente dato una parvenza di umanità ai miei capelli.
Archie è seduto comodamente sulla poltrona che ho accanto al letto, appena mi vede sorride, e addenta un muffin ai mirtilli con estremo entusiasmo mentre con l'altra mano tiene stretta una tazza di tè caldo. Mi siedo sul letto e decido di imitarlo, anche perché non c'è verso che riesca a scaldarmi.
«Allora cosa diavolo ci fai qui?» mi chiede un secondo dopo l'ultimo boccone di dolce.
Bella domanda, penso, un paio d'ore fa la risposta sarebbe stata semplice, ma ora... «che diavolo ci faccio qui?... Aspetta ma se tu sei qui dov'è Finn? Cosa starà facendo? Dovremmo preoccuparci?».
«Aspetta un attimo tu» mi frena Archie, «prima di tutto non hai risposto alla mia domanda. Per Finn non devi preoccuparti, voleva stare un po' da solo così l'ho accompagnato alla stazione degli autobus qui vicino e poi sono tornato a vedere come stavi. Aveva un diavolo per capello, quando l'ho visto non potevo crederci non hai idea quanto fosse felice all'idea di vederti dopo settimane, hai davvero esagerato con lui Rae. Non so cosa tu gli abbia detto ma non lo meritava, avresti dovuto lasciare tutta questa faccenda... di qualunque cosa si tratti, per un attimo, e permettergli di starti accanto e basta. Capisco che tu non sia nel momento migliore ma ti garantisco che non è facile nemmeno per lui. Quindi, adesso dimmi perchè sei qui, e poi spiegami perchè ho appena visto a pezzi il mio migliore amico».
«Non ti ha detto niente?».
«Macchè» risponde scuotendo la testa, «se non avessi preteso di accompagnarlo alla stazione ci sarebbe andato da solo a piedi sotto la pioggia. Lo conosci è un testone, era così risoluto che non mi è sembrato proprio il caso di fargli delle domande».
«Sono un'idiota Arch».
«Su questo, oggi, potrei anche essere d'accordo».
«Dai non scherzare sono seria. Ero così presa da me e dai miei problemi che il suo arrivo qui mi è sembrata un'invasione bella e buona. Gli ho detto, in sintesi, di dimenticarsi di me, di andare avanti ecco... oltre» ammetto. Sentire quelle parole ad alta voce fa risaltare ancora di più l'assurdità della situazione. Finn viene da me per assicurarsi che stia bene e io gli dico di guardare oltre. Ben fatto Rae. Gli occhi sgranati di Archie alla mia ammissione di colpevolezza sono un anticipo molto esplicativo della lavata di testa che mi aspetta.
«Rae ma cosa... come hai... adesso capisco la sua reazione», dice continuando a scuotere la testa in segno di dissenso... totale oserei dire. «Tu non sei stata con lui nell'ultimo mese, era un'anima in pena, l'idea di saperti qui senza poter far niente faceva impazzire noi, figurati lui. Ti sei negata persino al telefono, insomma che pretendevi, cosa avrebbe dovuto fare? Tu cosa avresti fatto al posto suo ci hai pensato?».
«Evidentemente no» rispondo abbassando gli occhi a terra.
«Non discuto la tua scelta di venire qui, anche se... vabè... però non sei sola al mondo. Ci sono persone che ti amano e ti vogliono bene lo sai no? Tu hai una responsabilità nei confronti di queste persone, compreso me, soprattutto perché, e penso di poterlo dire con certezza, ti abbiamo dimostrato mille volte che puoi contare sempre su di noi, che non sei sotto giudizio da nessuno. Che semplicemente ti vogliamo bene. Se volevi restartene per un po' lontano da tutto c'erano altri modi per farlo, ma hai scelto quello più sbagliato. Sparire senza dare il minimo segno di vita è una stronzata. E Finn ha avuto anche troppa pazienza, col senno di poi mi rendo conto che saremmo dovuti venire qui molto prima, quantomeno per cercare di scuoterti. Tua madre non sta meglio di noi ne sei consapevole si?».
Le parole oneste e sincere di Archie mi arrivano una dopo l'altra come punte di spillo. Ho una vita fuori da qui e l'avevo dimenticato, ho mandato a quel paese l'unica cosa che avrebbe potuto aiutarmi in questa situazione: l'affetto.
«Archie non so cosa dire. Credimi non volevo far soffrire nessuno, tanto meno Finn, se penso a come è andato via mi sento malissimo. Pensavo davvero che allontanarmi da tutto fosse la cosa giusta da fare. Non riesco a spiegarti cosa mi ha portato qui adesso, vorrei davvero, so di poterlo fare ma non me la sento. Quello che posso dirti è che per tutto il tempo che sono stata qui mi sono sentita persa... non mi sono sentita niente in un certo senso. Era come se non vedendo nessuno di voi potessi fare finta che non esisteste. È folle lo so ma un giorno ho deciso che non volevo essere più niente... che se non potevo essere quello che avrei voluto allora tanto valeva azzerare tutto. Ora come ora sono solo preoccupata per Finn, e per quanto possa sembrare assurdo vederlo e dirgli quelle cose mi ha come svegliata dal torpore».
Archie mi guarda serio serio negli occhi, poi mi prende il viso tra le mani, mi schiocca un bacio sulla guancia e sorride «questa è la mia Rae, allora in fondo in fondo non sei sparita alla fine».
«Sembra di no» rispondo sorridendo a mia volta. Non so quanto possa essere affidabile, ma giurerei che il peso sullo stomaco cominci ad allentare la presa.
«Non preoccuparti troppo per Finn. Adesso deve sbollire un po', magari tra un paio di giorni proverò a parlarci, in questo siete uguali, due testoni di prim'ordine, lui è solo meno loquace di te. Però davvero Rae, che ci fai qui? Perchè non torni a casa con me?».
Casa. Adesso che ho tolto la maschera dell'imperturbabilità devo dire che mi manca da togliermi il fiato, vorrei vedere la mia famiglia, Finn, tutti i miei amici, mi mancano tutti così tanto. Ma ho troppa paura, vedere cosa posso diventare mi ha terrorizzato, sapere di non poter avere il controllo delle mie emozioni mi spedisce in un buco nero senza uscita ancora adesso. Ho bisogno di Kester, ho un tremendo, immediato bisogno di Kester.
«Mi piacerebbe Archie ma così su due piedi non me la sento. Domani vedo una persona che sicuramente potrà aiutarmi, non dico a risolvere la situazione ma almeno a capire cosa posso fare. Però ti prometto che d'ora in poi farò tutto quello che posso per stare di nuovo bene e tornare a casa».
«Va bene Rae, ti voglio veramente tanto bene... sai che avevo paura che ti saresti incazzata da morire per oggi?» dice scoppiando a ridere contagiando anche me.
«Hai fatto bene ad avere paura, ma alla fine sono contenta che siate venuti... entrambi. Ma devi andare via adesso? Non mi hai raccontato niente di te... della tua nuova fiamma...».
«E tu cosa... Finn! Si anch'io ho tante cose da raccontarti, ma lo faremo quando sarai tornata a casa, lontano da questo posto e da questo atteggiamento. Adesso mi aspetta un viaggio bello lungo, domani ho anche lezione quindi devo proprio andare».
Ci abbracciamo ancora e respiro a pieni polmoni il profumo di casa, mi sento un po' più tranquilla adesso che ho uno scopo. Prego tutto il possibile affinchè Finn non metta in pratica quanto gli ho detto, perchè ho una voglia immensa di essere ancora e ancora la destinataria dei suoi sorrisi e dei suoi abbracci.
Nel prendere la giacca che aveva poggiato sulla scrivania Archie fa cadere la lettera di Finn, guarda il foglio per un momento e sorride, «Finn?» chiede.
Faccio cenno di si con la testa «me l'ha data prima di andare via».
«Pensavo che alla fine non l'avesse più scritta, ha provato a mettere pensieri su carta durante tutto il viaggio, non hai idea di come mi ha ridotto la macchina, ho i sedili posteriori pieni di coriandoli... Non preoccuparti per lui» aggiunge come se potesse leggermi nel pensiero, «tu pensa a tornare, il resto verrà da sé... con l'aggiunta di qualche aiutino magari» dice strizzandomi l'occhio.
Un attimo dopo indossa la giacca ed esce dalla stanza, è come se si portasse via un raggio di sole. Lo seguo con lo sguardo dalla finestra poi mi decido a raccogliere la lettera dal pavimento. La apro con mani tremolanti e fisso ancora incredula una riga scritta. Siamo stati insieme, abbiamo fatto l'amore, eppure ogni volta che tocco con mano quello che Finn prova per me ancora non ci credo, mi pare impossibile. Sul foglio bianco c'è l'intento che aveva messo nel viaggio di oggi:

Ti amo Rae, torna presto, ti aspetto. Finn.

Sorrido istintivamente per poi rabbuiarmi un attimo dopo al ricordo di ciò che gli ho detto, vorrei prendermi a schiaffi. Giuro che se riuscirò a tornare a casa sistemerò tutto, non posso e non voglio rinunciare a questo.

* * * * * * *



Il giorno dopo sono un fascio di nervi. Quando Agnes entra nella mia stanza alle 7.30 sono già sveglia da un pezzo... ammesso che abbia mai chiuso occhio.
I fatti di ieri continuano a ronzarmi nella mente, e l'idea di incontrare Kester non facilita le cose. Non ho la più pallida idea di cosa gli dirò, o se sarà ben disposto nei miei confronti. Non so nemmeno se c'è un modo per risolvere il problema in effetti. Ecco quest'ultimo pensiero non ci voleva, se possibile mi sento ancora più tesa di qualche attimo fa.
Per fortuna la presenza di Agnes mi tranquillizza un po', è incredibile come questa ragazza sia apparentemente sempre così serena, immagino che viva anche lei i suoi piccoli e grandi drammi ogni tanto, ma se è così è molto brava a non darlo a vedere. Si avvicina al letto vedendomi già seduta e sveglissima. Stamattina ha i capelli acconciati in una treccia strepitosa degna del miglior salone di bellezza, eppure l'ho vista io stessa una volta farsela da sola, è incredibilmente brava anche in questo. Non è una bellezza classica Agnes, i tratti del viso sono spigolosi e il naso aquilino stonerebbe sul viso di chiunque, ma nel complesso ha un'eleganza e una semplicità innate che la rendono bellissima ai miei occhi. Se penso allo stato vegetativo della mia testa mi vergogno da morire.
«Allora sei pronta per la seduta con il Dottor Kester? Mi era sembrato di capire che la temessi un po'».
«Infatti è così, non ho dormito stanotte... per vari motivi, ma Kester è uno di quelli. È una persona speciale e un medico in gamba, ma ultimamente non gli ho dato molti motivi per simpatizzare per me» accenno pensierosa.
«Oh ma senti senti, sciocchina, stai tranquilla andrà benissimo, e poi le persone come lui sono abituate ad avere a che fare con persone lunatiche» dice mollandomi un buffetto sulla guancia, «tu devi solo metterci la voglia di uscire fuori dalla situazione in cui sei ora. Sai che ti trovo meglio stamattina? Sei nervosa e agitatissima, è un buon segno».
«Davvero?».
«Eccome! Ogni reazione è meglio di nessuna reazione. Ti confesso che vederti sempre con lo sguardo vuoto persa a fissare il muro mi ha stretto il cuore per tutte queste settimane. Una ragazza così giovane, non capivo perchè non ne volessi sapere di stare bene. Spero che ti sia arrivata finalmente quella scossetta di cui avevi bisogno per avere di nuovo voglia di sorridere alla vita».
«Chiamala scossetta...» pronuncio sibillina.
«Come?» domanda Agnes che adesso ha preso a torturarmi sadicamente i capelli.
«Niente, ero sovrappensiero».
«Senti un po' tu ma da quanto tempo è che non ti pettini come Dio comanda?».
«Pettin... come dici? Che vuol dire?» le rispondo scoppiando in una sonora risata.
«Oh finalmente, mi sembra un miracolo sentirti ridere Rae. Lo vedi che volendo si può sempre trovare un motivo per farlo?».
«Lo so. L'ho sempre saputo in effetti... Diciamo che l'avevo dimenticato».
Smette finalmente di "pettinarmi" i capelli e si dirige verso la porta per fare il solito giro delle stanze, «fatti una bella doccia, sistemati, è assultamente necessario, ripeto, NECESSARIO, quei capelli, e vestiti. La tua visita arriva alle 9.30. Quindi fai tutto con calma ma non tergiversare troppo».
«Agli ordini! E Agnes... grazie di tutto, proprio di tutto, non sono stata molto partecipe nelle nostre conversazioni, però so che sei sempre stata qui per me e... beh è stato importante».
«Oh tesoro» risponde commossa, torna verso di me e mi abbraccia forte, «non starai qui ancora per molto vero? Non sai quanto sono felice per te, amo il mio lavoro ma a volte è difficile stare accanto a persone che si sono perse senza poter fare niente di concreto per aiutarle. È stato sempre un piacere averti intorno. E adesso fammi andare o il giro delle stanze lo finirò l'anno prossimo».
Ok la mia vita è ufficialmente diventata un continuo déjà vu. Le parole di Agnes mi suonano così familiari, quando lo imparerò che ogni volta che vado fuori di testa in questo modo non sono l'unica a patirne le conseguenze? Non mi reputo una persona egoista, ma è vero che in questa situazione ho sempre e solo pensato a me stessa. E anche quando ho tirato in ballo mia madre, Finn e tutti gli altri dicendo che sarebbero stati meglio senza di me, beh anche allora ero sempre io a sentirmi fuoriluogo in ogni dove.

Un'ora e mezzo di doccia, capelli, e pensieri erotici su Finn dopo, sono pronta. Dio Santo ma perchè certe idee proprio adesso? «Rae contieniti! Te lo ordino!» mi ammonisco allo specchio. Ma è inutile, perchè aver rivisto Finn ha scatenato in me una voglia insaziabili di baci, carezze e... mi devo calmare, inspira, espira, inspira, espira, quelle spalle... inspira, espira.
Alle 9 sono pronta seduta sul letto, controllo le lancette ipnotizzandomi nei secondi che scorrono quando Agnes irrompe nella stanza.
«Rae, oh sei già pronta, bene bene, Kester è già qui. Perciò se vuoi scendere subito... coraggio».
«Ora? Cioè proprio adesso? Beh ok, non mi sento prontissima ma va bene. Nello studio del Dottor Milton?».
«Sì».
«Arrivo» dico in preda a un attacco di cuore.
Agnes esce dalla stanza per darmi qualche minuto di privacy, poi mi decido a staccarmi dal letto e mi avvio per il corridoio.

Il primo colpo di nocche sulla porta dello studio è talmente debole da essere impercettibile. Continuo a respirare ritmicamente sperando di calmarmi ma non serve a niente, il problema non è Kester, il problema sono io che parlo con Kester. Mi faccio coraggio e stavolta busso con più convinzione «avanti», sento provenire da dentro con la sua inconfondibile voce.
Entro lentamente, e quando siamo faccia a faccia ammutolisco.
«Ciao Rae, sono molto felice di vederti» dice tentando di rompere il ghiaccio. Ma invano, volendo proseguire la metafora ho assunto momentaneamente le sembianze di un iceberg, ma mi sento anche un po' il Titanic. Colerò a picco? Cancello questa seconda metafora infelice dalla testa.
«Buongiorno, anch'io sono felice di vederla», mi decido a dire senza troppa convinzione.
«Non si direbbe».
Maledetto "so tutto io", «no, in effetti fino a ieri non ero entusiasta, ma oggi lo sono. Davvero sono sincerissima. Sono successe delle cose e... si insomma adesso vederla mi mette...».
«Serenità?».
«Diciamo così, sì».
Ci sediamo uno di fronte all'altra come al solito, Kester è sempre la stessa persona che mi ricordavo, non sono nemmeno arrabbiata con lui, ma che mi è preso? Ormai non riesco ad arrabbiarmi con nessuno? Proprio con nessuno no purtroppo, con Finn ci riesco ancora alla grande.
«Allora Rae. Domanda da un milione di sterline, cosa ti ha portato qui?» mi chiede a bruciapelo.
Fatica nera. Se si potesse quantificare in peso direi che pronunciare una sillaba mi costa una tonnellata, mi sento praticamente una schiava, ma opto per la sincerità «senta io non so se riesco a fare questa cosa».
«Perchè? Rae devi darmi un punto di partenza, un appiglio. Eravamo in una situazione totalmente diversa un mese fa. Avevamo ridotto le sedute singole a una volta ogni due settimane. Andavi bene al College, a casa con la sorellina appena arrivata era tutto a posto, eri innamorata. Cos'è successo che ti ha portata a credere che stare qui fosse la scelta giusta da prendere?».
Abbasso la testa e inizio a controllare la moquette. Non posso farlo. Pensavo di potere ma non posso, mi ostino con la strategia del silenzio aspettando di avere qualcosa di sensato da dire, qualcosa che non mi pesi una tonnellata.
«Rae perchè sei così ostile nei miei confronti?».
Finalmente una domanda a cui so rispondere, smetto di fissare la moquette «perchè lei mi ha mentito».
«Davvero?» domanda Kester sorpreso.
«Davvero».
«E quando?».
«Sempre, in pratica».
«Fammi capire».
«Non c'è molto da capire. Il fatto che io sia qui non le basta? Ha detto che stavo meglio, che un giorno sarei perfettamente guarita, che avrei fatto una vita assolutamente normale, che sarei stata me stessa... tutte balle».
«Non trovo niente di sbagliato in queste dichiarazioni. Stavi meglio Rae, molto meglio. Non userei il termine guarita più per una questione di prudenza che altro, perchè la mente umana è un universo ancora inesplorato. Ma non c'era niente che non andasse in te o nei tuoi comportamenti, nei confronti degli altri e in quelli di te stessa. E avresti potuto continuare ad avere la vita che una ragazza della tua età ha normalmente. Non sarebbe stato tutto perfetto ovviamente, ma questa è una regola che vale per tutti».
«Per me no» rispondo secca.
«Perchè ne sei così sicura?».
«Perchè ho visto l'effetto che le medicine che prendo da mesi, che LEI mi ha dato, hanno su di me. O meglio, l'effetto che ha su di me non prenderle».
Kester mi osserva per qualche istante intensamente, probabilmente comincia a capire qualcosa. Dal canto mio adesso mi sento meno rigida, credo di potergli raccontare cos'è successo, e così senza aspettare altre domande riprendo la parola.
«Un mese fa ero al college, con Finn, da qualche settimana le cose andavano alla grande, mi sentivo felice per la prima volta in vita mia. Non c'era niente di speciale, o magari lo era tutto, a questo punto forse posso pensare che fosse così, ma mi sentivo serana, in pace col mondo e con me stessa. Tra i corridoi ormai la gente aveva smesso di parlarmi alle spalle, o di fare le solite battutine quando passavo mano nella mano con lui. E anch'io avevo cominciato ad accettarmi, ad accettare e farmi una ragione del fatto che uno come Finn potesse davvero volere una come me. Una ragazza sicuramente meno bella di lui, meno popolare, meno tante cose». Mi fermo un attimo e ripensando a quei giorni una prima lacrima senza volerlo scivola sulla guancia, darei qualsiasi cosa per poter tornare indietro.
Ma mi asciugo gli occhi e proseguo, «e insomma per una volta mi sentivo accettata, capita, amata. Poi quel giorno a fine lezione sono andata in bagno, non sa quante volte ho rimpianto quell'azione così inutile e stupida, volevo sciacquarmi le mani perchè avevo usato a lezione una schifosissima penna difettosa che mi aveva riempita d'inchiostro. Ero lì con le mani sotto il getto dell'acqua fredda e d'un tratto entra Stacey. Le ho già parlato di lei, è quella ragazza stile Barbie che mi ha reso la vita un inferno e ha provato a portarmi via Finn in tutti i modi».
«Certo me la ricordo bene. Ma ricordo anche che quella storia sembrava superata».
«Lo era. Lo era davvero, Finn aveva scelto me ed io ero sicurissima di questo. Comunque eravamo lì, si stava lavando le mani anche lei e continuava a osservarmi ogni tanto. Poi all'improvviso ho sentito un rumore metallico, Stacey si è chinata a raccogliere qualcosa per terra, l'ha studiato per bene e poi me l'ha ridato. Era il flacone delle pillole che prendo di solito la mattina. In genere non me le porto dietro, ma vanno prese a stomaco pieno, mi ero alzata tardi e non avevo fatto colazione maledetta me. Così sono uscita, ho portato la confezione con me e le ho prese dopo aver fatto colazione con Finn a una macchinetta del College». Ripensando a quei momenti istintivamente serro i pugni, tutto questo disastro è frutto di una marea di inutili coincidenze, della mia distrazione, perchè da persona felice in quel periodo avevo sempre la testa fra le nuvole.
«Vai avanti, cosa ti ha detto Stacey?».
«Che erano le pillole per i malati di mente. Che sua zia le aveva prese per un periodo e aveva dato di matto per averle saltate una volta. Disse che se Finn mi avesse vista per quella che sono realmente non mi avrebbe più voluta con sé. Che sono un bluff, e che lo era anche tutta la mia vita con lui».
«E tu cosa le hai risposto?».
«Che non era vero! Ho mentito. Le ho detto che mi servivano solo ogni tanto, o quasi per niente, che le tenevo con me per sicurezza nei momenti di stress. Ma lei non ha mollato la presa. Ha detto che sarei stata uno scherzo della natura per sempre, che gli altri avrebbero visto il prodotto di un farmaco e nient'altro. Io ero arrabbiata, arrabbiatissima, avrei voluto ficcarle la testa nel lavandino e lavarle con l'inchiostro quei maledettissimi capelli biondi. Però sono rimasta tranquilla. Mi sono limitata a dirle che avrebbe potuto pensare di me qualunque cosa avesse voluto. E poi mi sono congedata dicendole di proposito l'unica cosa che sapevo l'avrebbe ferita, e cioè che Finn mi stava aspettando. Quindi sono uscita e me ne sono andata via con lui. La partita l'avevo vinta io nonostante tutto considerando la sua espressione».
«Ma non è finita lì, giusto?».
«No. Non è finita lì. Ero in macchina con Finn e le parole di quella strega continuavano a ronzarmi nelle orecchie. Mi chiedevo se potesse avere ragione. Se senza le medicine sarei davvero potuta impazzire. Io so, lo so bene, che questo tipo di terapie non si interrompono da un giorno all'altro, che bisogna avere pazienza e aspettare il momento giusto. Ma dovevo capire, volevo vedere con i miei occhi cosa sarebbe successo se non le avessi più prese. Mi sentivo forte e sicura di me perchè LEI mi aveva detto che stavo bene. E così ho fatto quanto di più idiota potessi fare».
«Hai smesso di prenderle».
«Ho smesso di prenderle. La mattina dopo ho fatto colazione e chiuso il flacone di pillole nel cassetto. Poi sono uscita. Mi sentivo bene, stavo benissimo, senza nessun senso di spossatezza o sonnolenza che invece ho sempre avuto prendendole. Ho seguito le mie lezioni al massimo della concentrazione, sono stata con Finn, e andava tutto alla grande, mi sentivo libera. Mi dicevo che quella strega non aveva capito niente di me, che sarei stata me stessa con o senza farmaci». A questo punto non riesco a proseguire, gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Kester si avvicina a me, mi porge un fazzolettino e mi accarezza la testa, «dopo qualche ora hai smesso di sentirti bene non è così? Hai avuto delle allucinazioni?».
«Terribili» rispondo singhiozzando, «io lo so che è anche una questione fisiologica, che dipende dall'interruzione improvvisa dei farmaci, ma non potevo aspettarmi una cosa del genere! All'improvviso non ero più io. Vedevo cose che non esistevano e avevo un'immagine distorta di me. Prima magrissima, poi vecchia, poi senza capelli. E poi ho cominciato a vedere lei».
«Rae calmati, respira lentamente e calmati. Adesso stai bene, sei qui con me e non può succederti niente di male. Dimmi cos'altro hai visto che ti ha spaventata così tanto».
«Tix! Ho visto Tix! Ero in macchina con Finn, stavamo tornando a casa, io ero già preoccupatissima, volevo solo rientrare a casa e mettermi a letto, mi sono girata un momento per guardare Finn e invece c'era lei! Era così vera, Kester sembrava davvero lei! Mi parlava, diceva che presto ci saremmo ritrovate, che non avrei più dovuto lottare contro la vera me stessa. Ho avuto paura, ero terrorizzata, ho cercato di scacciarla ma ho colpito lui. Siamo andati fuori strada, per fortuna la macchina si è fermata in uno spiazzo dove non c'era nessuno, ma abbiamo urtato un albero e Finn ha battuto violentemente la testa. Per un momento ho perso i sensi e quando ho aperto gli occhi lui era lì, con il viso sul volante e la guancia coperta di sangue».
«Rae...».
«Non sapevo cosa fare, e continuavo ad avere queste voci nella testa che mi dicevano è colpa tua, è colpa tua, guarda cos'hai combinato, guarda che cosa si nasconde dentro di te. Poi grazie a Dio Finn si è svegliato, era dolorante ma pulite le guance aveva solo un taglio sullo zigomo. Ovviamente mi ha rassicurata, ci ha scherzato su, ma ormai io ero entrata nel buco nero del panico in cui mi sono trovata tutte queste settimane. Ho paura Kester, ho tanta paura, ho cercato di essere razionale, di dirmi che è stata solo una reazione fisica, ma se non potessi mai essere me stessa? Se avessi bisogno per sempre di una pillolina per non impazzire? Come faccio a vivere così? Come? E se facessi inavvertitamente del male a qualcuno che amo?» ormai le lacrime scorrono come un fiume in piena.
Kester mi abbraccia forte e mi ripete all'orecchio come un mantra «ne usciremo Rae, ti aiuterò a trovare il modo per uscirne te lo prometto. Calmati adesso, dammi il tempo di organizzarmi e la prossima settimana ti riporto a casa».
Vorrei tanto poterci credere, ma la paura ormai fa parte di me e non mi da tregua da quel giorno, il giorno zero della mia nuova vita da mostro. Non dico più una parola, piango tutte le mie lacrime sulla giacca di Kester, l'unico in grado, forse, di riportarmi da me.

State gioendo per il rinnovo della serie??? Io ormai non ci speravo più, quando hanno dato la conferma ho festeggiato senza ritegno, avremo una terza stagione di Rae, Finn & Compagny, sono felicissima *_*
In quanto al capitolo, ecco svelato l'arcano, mi scuso per il ritardo della pubblicazione ma ho avuto l'influenza, che unita alle solite cose da fare mi ha portato via un sacco di tempo. Per il prossimo prometto un'attesa più contenuta. Fatemi sapere che ne pensate, al solito i commenti sono cosa stra-gradita.
Ah dimenticavo, il prossimo capitolo sarà un POV di Finn.
Alla prossima :)
   
 
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