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Autore: Fabi96    30/11/2014    2 recensioni
La saga di divergent, vista dalla prospettiva di una coppia ancora più coinvolta nella guerra tra le fazioni, una ragazza e un ragazzo uniti nel loro sentimento, separati dai loro valori e dalle loro scelte.
Parlo di Eric, racconto della sua visione di questa rivoluzione, delle due battaglie e delle sue rinunce. Perché anche lui ha rinunciato a qualcosa.
Parlo di una ragazza che cercherà di riportare la pace nella città disastrata di Chicago, mentre Tris e Quattro saranno al di fuori della barriera.
Racconto quella parte di storia che la Roth ci ha mostrato attraverso le telecamere del dipartimento.
Parlo di un amore non compreso, dai suoi stessi protagonisti, di una società distrutta dalla guerra e una generazione perduta.
Io racconterò del fiore di loto, che quando inizia a germogliare è sommerso dall'acqua putrida e impura, ferito da insetti e infastidito dai pesci; infine rinasce, e rimane il lottatore più forte, in una natura ostile.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'ufficio dei capifazione si trovava nella zona più alta della fazione, sopra l'alloggio di Eric e di tutti gli altri esponenti degli intrepidi. 
Saranno state le otto si sera, e fuori era già buio.  A quest'ora quasi tutta la fazione era riunita o al pozzo o nella mensa. 
Aveva esattamente mezz'ora di tempo per concludere la sua missione. Stranamente gli uffici erano aperti dato che la porta antincendio era completamente spalancata.  
Di sicuro Jack (Elise sapeva che era il suo turno serale di controllo del settore) aveva fretta di arrivare per primo alle patatine fritte del venerdì sera. Sorrise, soddisfatta di essere stata facilitata davanti a una difficoltà che aveva previsto molto più complicata da superare. 
Gli uffici dei capifazione erano disposti ai lati di un corridoio poco illuminato, e molto lungo, che concludeva con una grande vetrata che dava sulla città, dove si poteva osservare la sede degli eruditi, l'unica con le luci esterne ancora accese. 
Ci saranno stati minimo 50 uffici. 
Doveva concentrarsi e non curiosare in giro. 
L'ufficio di Max. Era quello il suo obbiettivo. Sapeva dov'era, non era la prima volta che veniva condotta da lui. Dopotutto lei era la responsabile delle simulazioni e quindi dei tras-fazione. Se si voleva tenere sotto occhio lo sviluppo di divergenza nelle nuove generazioni, dovevano chiedere a lei. 
E Max si rivolgeva solo a lei. 
Corse verso la vetrata e girò a sinistra. Altre porte, altri uffici. Quello di Max era quello con la porta molto grande, illuminato dalle lampade appese alle pareti. Aveva esattamente 20 minuti. E scassinare la porta le sarebbe costato una grande perdita di tempo. Non c'erano rumori e nemmeno ombre. Che fossero veramente andati tutti a cena? 
Si abbassò all'altezza della toppa, e iniziò con il suo coltellino che teneva nell'anfibio, a forzare l'apertura.
Dopo 5 minuti la serratura produsse un sonoro CRaCK. 
E questo sarebbe il rumore di una serratura che si apre? 
Elise si alzò e provò ad abbassare la maniglia. Non era aperta. Aveva rotto il meccanismo? Si girò per controllare che non ci fosse nessuno, che il rumore non avesse attirato qualcuno. E in quel momento vide che le luci accese del corridoio non erano piu quelle due che si trovavano alle pareti vicino al ufficio di Max. Si erano illuminate tutte e in lontananza, solo in quel momento, si accorse di un suono: l'allarme! 
Che Max fosse stato cosi terrorizzato da quello che conteneva il suo ufficio da installare un allarme?? 
Corse a perdifiato verso il corridoio principale. 
Sentiva già i passi frettolosi degli intrepidi e le voci concitate provenire dal piano di sotto e dalla porta principale. Doveva velocemente togliersi dalla visuale di quelli che a momenti sarebbero entrati. 
Si lanciò nella prima porta aperta che trovò e la chiuse. Pose l'orecchio sulla soglia e cercò di calmare il respiro. Intanto sentiva gli uomini entrare nella zona e percorrere velocemente il corridoio. Ascoltava ogni porta che veniva aperta e poi sbattuta e le voci degli intrepidi che si rispondevano a vicenda con "libero" , " qui non c'è nessuno". 
" Deve esserci!" quella voce la riconobbe subito. Doveva allontanarsi velocemente. Si girò verso l'oscurità della camera, lasciandosi la porta alle spalle, cercando una finestra, una conduttora dell'aria, qualcosa che le servisse da via di fuga. Non vedeva nulla in quella penombra! Accese la luce con l'interruttore sulla destra della porta. 
Quando vide quello che conteneva quella stanza, il suo stomaco non resse lo spasmo di orrore che la assalì. Le pareti erano ricoperte di pile e pile di contenitori pieni di quel liquido ambrato. Ma la cosa che la disgustò erano i corpi di uomini distesi su sette barelle, coperti da teli di plastica neri, con il viso e le braccia scoperte. Erano pallidi e l'odore di quella stanza non lasciava nessun dubbio: erano morti.
Non ce la fece, e si piegò sulle ginocchia, vomitando quel poco che era riuscita a mangiare a colazione. 
I conati non gli permettevano di respirare, e stava tossendo per l'acido che le inondava la gola. Doveva smettere in fretta se non voleva essere scoperta. 
Si tirò su, mettendosi a posto i capelli e pulendosi il sudore della fronte e la bocca con la parte inferiore della maglia. Decise in fretta, non poteva soffermarsi sui corpi e sulla loro identità. 
Si avvicinò ai contenitori del siero e ne buttò uno per terra dal suo appoggio mandandolo in frantumi. In questo modo aveva eliminato almeno 50 litri di quella misteriosa sostanza. Il contenitore era grande quanto un frigorifero e il vetro che si trovava sul pavimento unito al liquidume rendevano i suoi movimenti instabili. Era calato un silenzio pauroso sul piano. Fece velocemente. Buttò per terra anche il secondo contenitore, e poi quello successivo, e cosi altri tre. Ne rimanevano solo due, ma ormai il danno era fatto, non solo per il piano che gli eruditi stavano progettando, ma anche il suo nascondiglio era stato scoperto. 
La porta si aprì rivelando un Eric stupito, quanto infuriato. Veramente infuriato. 
La guardò, squadrandola dalla testa ai piedi e poi... Le saltò addosso. 
Le si avventò letteralmente addosso, con i pugni all' altezza della faccia. 
Liz lo schivò con la sua velocitá felina, ma ciò le costò una caduta rovinosa dovuta al pavimento scivoloso. Cadde sui vetri rotti dei contenitori e un dolore lancinante la  trapassò da parte a parte nel braccio destro. 
Eric non si era mosso dallo spazio in cui era finito dopo essere stato schivato. E non si mosse nemmeno quando la vide riversa a terra a premere la parte superiore del braccio, il sangue che iniziava a  riversarsi sul pavimento unendosi al colore ambrato.
Doveva alzarsi. L'Elise che conosceva, che aveva allenato e che aveva ammirato si sarebbe alzata. Ma non dava segno di reazione, gli occhi chiuse dal dolore, il corpo in posizione fetale, spasmi che la facevano tremare , forse a causa dei vetri sparsi per il corpo. 
Si girò e notò le barelle. Le spostò una a una contro il muro. Erano stati esclusi utilizzati come cavie per il nuovo siero. Di certo, si puo affermare che gli eruditi abbiano migliorato il nuovo liquido, o almeno si spera, altrimenti il giorno dopo si sarebbero ritrovati un esercito di morti.
 Le si avvicinò. 
Stava ansimando, dal male o forse dalla fatica, e il suo viso era percorso da una smorfia di dolore e disgusto, verso di chi? Verso lui? Non poteva fissarla e vedere come lo stava giudicando. Non voleva guardare la realtà che lei vedeva in lui, le sue mani macchiate di sangue, lo sporco che era dentro di lui, una macchina di morte. 
Con lo sguardo seguì quello della ragazza che si fermò ai piedi della sagoma che si ergeva sull'entrata della stanza. 
Max guardava la scena con uno sguardo freddo, le labbra erano sottili e tirate, le mani unite sul davanti, il cappotto nero di pelle che gli sfiorava i polpacci. Si mosse verso Elise e le si avvicinò. Quando i suoi piedi furono vicini alla ragazza, con molta lentezza, appoggiò il piede sul braccio ferito di Elise, proprio sopra al pezzo di vetro che sporgeva dalla lesione, non sentendo nessun verso di protesta o di dolore.
"Mia cara Elise, che dolce sorpresa trovarti qua. E dimmi. Chi stavi cercando, o meglio, cosa?" 
Elise non rispose, mosse solo la testa per girarla verso Max e guardarlo negli occhi.
"Niente?" Insistè lui.
La ragazza non fece una piega.
"Eric vuoi aggiungere qualcosa?"
Eric lo fissò negli occhi e si accorse di essere in trappola. Non poteva opporsi, non poteva salvarla. E non parlò.
"Perfetto, te lo faremo dire a modo nostro. Elise?"
Non mosse il suo sguardo da quello del capofazione.
"Sii coraggiosa" e premette con il piede sul pezzo di vetro, lacerando ancora di piu la ferita e la pelle della ragazza. Si sentì un lamento strozzato dalle sue labbra serrate. 
Max, indispettito da ciò, alzo il piede, e con forza, pestò il braccio provocando, finalmente, la reazione di lei. 
Un urlo forte, straziante, ruppe il silenzio che aveva riempito l'area, le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso che per metà era sporco di vetri e sangue e liquido ambrato. Non poteva sopportare ancora a lungo. 
Reagì. Il braccio sano corse ad afferrare la caviglia che spingeva ancora sulla ferita, piantandogli le unghie nella carne e costringendolo ad allontanarsi. Con uno scatto di forza, forse l'ultimo barlume di speranza che le era rimasto, si alzò con una spinta di reni, non potendo utilizzare le braccia, e si buttò su Max, puntando alla pistola che aveva legata al fianco. La trovò e la afferrò, ne inserì il cane, e fece fuoco, ormai senza piu percezione del dolore e incosciente a cosa mirava.
Max capitolò a terra, imprecando in modo poco garbato a proposito della sua virtù.
Si buttò a capofitto verso l'entrata senza trovare resistenza da parte di Eric. 
Nel corridoio vide l'uscita bloccata da alcuni intrepidi intenti a caricare e scaricare le armi, perdendo tempo. 
Appena la videro, iniziarono a correrle dietro. Erano troppo lenti, e ormai lei aveva deciso come sfuggire alla sua cattura. 
Si girò verso la fine del corridoio e si slanciò verso la finestra, sfondando la vetrata e volando nel vuoto, nel buio della notte, con una consapevolezza nel cuore: Eric non l'aveva fermata, non l'aveva afferrata, e adesso che si trovava a fluttuare nella notte in cerca di tempo prima di raggiungere il suolo, si trovò a pensare che dopotutto, la luce della fazione degli eruditi aveva un suo fascino. Nulla avrebbe potuto sostituire la bellezza della luce che lascia il passo all'oscurità dei bassi fondi delle strade di Chicago.
  
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