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Autore: Irizar Elwell    04/12/2014    1 recensioni
Christine, per gli amici Chris, una normalissima ragazza di 17 anni, si trasferisce a Dallas da sua sorella maggiore Sam, incinta di 6 mesi lasciando la sua adorata Shelbyville, il suo storico ragazzo Ben e la sua migliore amica di sempre Megan. Arrivata a Dallas incontrerà non poche difficoltà per farsi spazio fra i pregiudizi dei ragazzi della nuova città, dove incontrerà anche dei nuovi amici. Tutto sembra procede più o meno in modo abbastanza normale, ma la conoscenza di uno strano ragazzo dai profondi occhi grigi e i misteriosi fenomeni che ruotano attorno a lui sconvolgeranno del tutto la sua esistenza
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
Capitoli:
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Fuoco e fiamme attorno a me. Non riesco a respirare. Sento la pelle bruciare. Dove sono? Il mio respiro agonizzante si espande come un eco, rimbombando nelle orecchie con fare assordante. Il fuoco mi avvolge e quel tiepido calore che si espande dalla punta dei miei piedi, così confortante diventa via via sempre più insopportabile. Brucio. Un senso di occlusione mi pervade. Ansia. Paura. Solitudine. Dove sono? Due occhi grigi appaiono dal nulla di fronte a me. Mi fissano, immobili. Freddi, distanti. C'è un velo di disprezzo in quello sguardo che mi spoglia di ogni mia sicurezza.

Pian piano da quei occhi un volto prende forma. Lo riconosco. Con difficoltà appare sempre più simile a quel ragazzo di cui una volta sono stata profondamente innamorata. Un nome si fa spazio nella mia mente cancellando tutto il resto. Nigel. Non appena formulo il suo nome nella mia mente i suoi occhi si sbarrano in un'espressione inquietante. L'odore della carne bruciare invade i miei sensi, non sento dolore, ma inizio ad urlare mentre catene incandescenti si stringono in una morsa attorno al mio corpo sgretolandolo. Urlo. Ho paura. Quei occhi continuano a guardarmi passivi. Quasi che ciò che mi succede sia del tutto indifferente. Qualcuno in lontananza pronuncia il mio nome continuamente.

Riprendo a respirare e mi accorgo di essere nella mia stanza. Nel mio letto. Sospiro passando una mano sulla fronte pregna di sudore, accorgendomi lentamente che tutto ciò non era altro che un incubo. Un terribile incubo. L'ennesimo e medesimo incubo che ormai mi accompagna da giorni. Una luminescenza verdastra mi gira attorno. È Meredith, è lei che mi chiamava. Mi guarda interrogativa e preoccupata, distinguo a malapena il contorno del suo viso avvolto dalla luce che lei stessa emana. Mi metto seduta appoggiando la schiena sullo schienale del letto. Sospiro nuovamente.

“tutto ok?”

chiede la sua vocina infantile.

Annuisco riprendendo a respirare regolarmente.

“ancora quell'incubo?”

annuisco nuovamente.

“dovresti parlarne con qualcuno sai, non ti fa bene tenerti tutto dentro e magari potrebbe aiutare Louis ed Evelyn”

il mio sguardo si riduce a due fessure mentre guardo lo spirito di Meredith.

“è solo un incubo. Non voglio parlarne con nessuno e non lo farai nemmeno tu!”

accentuo la frase indicandola.

Devo solo superare questo periodo. Non è nulla e non voglio far preoccupare i miei amici. Li ho coinvolti fin troppo in questa pericolosa situazione.

Mi preparo per andare a scuola. Mi stanno tutti addosso.

Sam ha notato che qualcosa non va ed è sempre intorno. Fortunatamente il buon senso le evita di chiedere qualcosa e di dire la sua, ma la sua presenza è sempre costante.

Paul mi aspetta sul vialetto. Indossa un borsalino nero con un completo gessato. Una parte di me pensa che sia bizzarro il suo modo di vestire per andare a scuola, ma in realtà do poco peso a questa considerazione. Mi saluta con un cenno del capo senza proferir parola e io annuisco ricambiando il saluto.

Ci incamminiamo come ogni mattina, in silenzio. Arrivati da Mike aspetto che si occupi lui del nostro solito caffè attendendolo fuori dal Cafè.

Torna poco dopo con le ordinazioni porgendomi il bicchiere in cartone e sempre in silenzio proseguiamo per strada.

Arrivati al cancello che segna l'ingresso del liceo incontriamo Mandy che saluta Paul con un abbraccio, che evita di dare a me.

Sorseggio il caffè silenziosamente tenendo stretti al petto diversi libri per le lezioni e seguo con disinteresse i miei amici in biblioteca, dove con mia grande sorpresa ci attendono Louis, Evelyn, Jake e Ted, riuniti intorno al tavolo.

“buongiorno”

dice con voce gentile Louis alzandosi dal suo posto a sedere per cederlo a me, facendomi cenno di accomodarmi.

“a cosa dobbiamo questa visita?”

chiede il mio vicino di casa sedendosi accanto a Mandy e Evelyn che guarda tutti con fare annoiato.

“abbiamo delle novità!”

esclama il cacciatore di demoni appoggiando una mano sullo schienale della mia sedia, sfiorandomi appena la spalla.

“il tuo ragazzo sembra stia organizzando qualcosa”

incomincia a spiegare sua sorella alzandosi in piedi.

Non è il mio ragazzo.

“abbiamo rilevato ultimamente un grande afflusso di forze demoniache. Non abbiamo una pista certa, ma qualcosa si sta muovendo e non abbiamo tempo da perdere”

continua Louis spostandosi dietro le mie spalle.

“non avete ancora capito cosa ha fatto cambiare Nigel? Non può esser cambiato all'improvviso così”

chiede Mandy un po' in imbarazzo.

“ehi, spirito!”

richiama Evelyn riferendosi a Meredith che fa la sua apparizione dal nulla iniziando a gironzolare attorno a tutti i presenti.

“ho un nome io!”

dice irritata avvicinandosi ad una irritata e annoiata Evelyn che la guarda altezzosa.
“sì, certo. Cerca di scoprire di più su questa storia. Puoi seguirlo senza farti notare?”

Meredith annuisce posandosi poi sulla spalla di Mandy.

“scusate il ritardo!”

dice Marta a gran voce entrando in biblioteca.

“ho avuto delle cose da fare, novità?”

chiede poggiando la sua borsa sul tavolo con aria seriosa.

La guardiamo tutti per qualche secondo, poi prende parola Louis.

“Per il momento nulla di significativo, ma state attenti e cercate di non dare nell'occhio. Prudenza... tutti quanti! Il mezzo demone cercherà di colpire chiunque di voi per puro divertimento e non si risparmierà, ci aggiorniamo oggi pomeriggio”

conclude congedando tutti.

Prendo i libri posati in precedenza sul tavolo e mi alzo. Non mi piacciono queste “riunioni”, non mi piace che vengano coinvolti terzi e non mi piace tutta questa storia. Altro che vita tranquilla a Dallas.

“Chris, posso parlarti?”

mi chiede Louis facendomi cenno di seguirlo e senza rispondergli mi avvicino.

“come va il braccio?”

chiede con fare preoccupato.

Lo alzo mostrando che ormai è guarito.

“tutto ok? Sembri stanca ultimamente”

Annuisco e faccio per andar via. Lui mi blocca mettendosi davanti a me e scrutandomi.

“ascolta, capisco che non è un buon periodo e che probabilmente la situazione non ti piace, ma devi aiutarci. Probabilmente tu hai conosciuto Nigel meglio di chiunque altro prima, devi dirci quello che sai, devi dirci quali sono le sue abitudini, come si comporta, cosa è accaduto esattamente.”

alzo gli occhi per guardarlo. Non so quali risposte spera che io possa darli, ma si sbaglia. Non posso essere utile in nessun caso. Tutto quello che è stato con Nigel era sono un mucchio di bugie. Io non so chi sia e prima finirà questa storia, meglio sarà per tutti e anche per me.

“Chris...”

“cosa? Cosa c'è? Vi ho detto tutto quello che sapevo, che altro devo dirti?”

chiedo scocciata. Non voglio parlare con nessuno. Non voglio più dare giustificazioni di qualunque genere.

“devi stare attenta, ok? Lui cercherà di fare del male a chiunque ti sia vicino per ferirti, ma trae soddisfazione maggiore nel far male a te, perché si diverte nel vederti soffrire e poi... non puoi tenerti tutto dentro. So che non parli con i tuoi amici, dovresti farlo. Dovresti confidarti con qualcuno”

non rispondo. Mi limito a guardarlo. Ma cosa vogliono tutti da me?

“so dei tuoi incubi...”

sussurra avvicinandosi.

Meredith non sa tenere la bocca chiusa.

“sono solo incubi. E comunque non è un tuo problema.”

vado via.

Non so nemmeno io come comportarmi, tutta questa storia è assurda. Demoni, streghe, spiriti. Non ci capisco più nulla e non capisco come lui sia diventato così. Il pensiero che possa essere io la causa di tutto questo mi sconvolge. Non riesco a farmene una ragione. Dove ho sbagliato? Cosa ho fatto di male per arrivare a questo punto?

Assorta dai miei pensieri cammino per l'andito della scuola. Che ci faccio io qui? Che senso ha la mia esistenza? Non ho più uno scopo. È come se si fosse abbattuto un vortice nero sulla mia vita, risucchiando tutto quello che c'era di positivo, tutto quello che aveva un senso, non riesco a trovare una logica in tutto ciò. Vorrei urlare e distruggere tutto attorno a me. Vorrei smettere di pensare e lasciare andare tutto, ma più ci provo e più mi sento imprigionata. Questa vita è una prigione. Tutto per una stupida cotta. Sono stata davvero stupida.


È pomeriggio, Meredith mi ha informata della riunione che faranno i ragazzi per pianificare qualcosa. La ignoro. Non voglio parlarle. È asfissiante.

“Chris, devi andare! Dobbiamo andare!”

esclama girandomi attorno.

Mi chiudo in bagno rassicurandomi di girare la chiave nella toppa. Voglio stare da sola per almeno 5 secondi, senza gente intorno che mi dice cosa devo fare.

Poggio le mani sul bordo del lavabo. La ceramica è così fredda. Sospiro e mi guardo allo specchio. Osservo il mio riflesso e quel che vedo non mi piace. Apro l'armadietto accanto agli asciugamani estraendo un paio di forbici. Accarezzo i capelli, poi con la punta delle dita la lama affilata delle cesoie, per un solo istante vorrei conficcarle nel petto e porre fine a tutto. Assaporo il momento per un istante chiudendo gli occhi. Inspiro lentamente portandole al petto, accasciandomi per terra. Sarebbe tutto più semplice. Sarebbe tutto così facile. Una via d'uscita a portata di mano.

Lascio le forbici accanto a me e prendo la testa fra le mani stringendo fra le dita i capelli. Che devo fare? Non so più quale sia la cosa giusta. Non so più chi sono.

Respiro lentamente, quasi non volessi disturbare il silenzio attorno a me. Prendo la prima ciocca di capelli e con un taglio netto la separo dalla chioma. Ne taglio un'altra e ancora una di seguito. Lascio scivolare dalle dita i ciuffi senza vita che pian piano si sparpagliano attorno a me circondandomi, fin quando un tappeto di capelli nera vi avvolge. Guardo le forbici chiuse in mano. Non so cosa mi spinge a farlo, ma istintivamente lascio che una lama sprofondi nella mia carne lasciando affiorare un rosso vivo dal mio polso. Non è un taglio profondo, ma c'è del sangue. Lo sfioro con le dita, sentendo i margini della ferita bruciare e ciò mi fa sentire viva. Strofino i polpastrelli macchiati fra loro e poi li osservo attentamente. Mi perdo in quel colore, sono come ipnotizzata, rapita da mille pensieri. Sono lontana dalla realtà, chiudo gli occhi e vivo quell'attimo di pace.


Perdo la cognizione del tempo, quando mi desto dal torpore insano in cui mi sono cullata, la sera è già arrivata. Ho male da per tutto, i muscoli indolenziti e la ferita brucia. Il sangue sulle dita si è rappreso. Mi alzo e mi guardo allo specchio. I capelli dal taglio informe, un leggero pallore che abbraccia la mia pelle. Guardo i miei piedi, circondati dal manto nero delle ciocche di capelli e gelidi. Sento bussare alla porta. È Sam che mi comunica che la cena è pronta qualora avessi voglia di parteciparvi. Non rispondo e dopo aver dato un ultimo sguardo al mio riflesso con calma elimino le tracce del pio passaggio. Copro la ferita con una fasciatura e lavo via il sangue dalle dita. Torno in camera in silenzio dopo aver raccolto i capelli mettendoli in un sacchetto di plastica e poi mi metto a letto.

Meredith non sembra esserci. Spengo la luce e provo a dormire.


Nessun incubo è venuti a farmi visita la notte scorsa e al mio risveglio un quasi impercettibile fastidio al polso mi ricorda cosa ho fatto.

Sono quasi sollevata nel non vedere Meredith. È solo l'alba, fuori piove. Decido di prendere del tempo per me. Sam e George dormono assieme a Michelle e senza fare rumore prendo le chiavi della macchina di mia sorella parcheggiata nel vialetto.

Metto una felpa e un paio di jeans, chiudo la porta d'ingresso alle mie spalle ed entro in auto.

Non ho una meta precisa, guido e basta, fino a raggiungere il cartello che segna il confine della città. Continuo il mio viaggio verso sud, in direzione di Galveston. Non so cosa troverò per òa via, ma il senso di oppressione pian piano si fa meno pressante.

   
 
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