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Autore: M4RT1    05/12/2014    1 recensioni
Finnick PoV | Finnick/Annie | 65th and 70th Hunger Games
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Finnick Odair ha giocato tre volte: alla sua Edizione, a quella di Annie, a quella della Memoria.
Questa storia parla delle prime due.
Del quattordicenne che vinse i sessantacinquesimi Hunger Games e del giovane Mentore che salvò Annie.
Di come si conobbero, di come divennero amici. Di come arrivarono a sposarsi.
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Dal capitolo XI:
Aveva sempre sperato – anche creduto, in fondo – che gli Hunger Games in realtà fossero una gran bufala, che i Tributi venissero feriti e, con la scusa di rimuovere i cadaveri, guariti da Capitol City e impiegati come Senzavoce, magari, ma vivi. In quel momento capì che si sbagliava. La ragazza era morta.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finnick Odair ha giocato tre volte

Chapter IX - Lets the Games begin

 

 
Finnick salì nel cilindro quando mancavano solo dieci secondi al lancio. La sua stilista lo aveva aiutato a indossare la divisa di quell’anno – stivali neri, pantaloni mimetici larghi, una tshirt nera e una giacca a vento, a quanto pareva i vestiti di quella mattina non erano affatto quelli che avrebbe portato con sè nell'Arena – e poi, con una strana gentilezza, gli aveva poggiato qualcosa tra le mani.

"Cos’è?" aveva domandato Finnick, rigirandosi il pezzetto di metallo tra le dita. Era freddo, liscio, con su inciso il numero quattro.

"Quando ti troverai in difficoltà, allora ricordati per cosa combatti " aveva spiegato la donna, sospingendolo verso il cilindro.

Non c’era stato tempo per gli addii – nemmeno per quello a Maia, che in quello stesso istante era in un tubo identico al suo. Mentre il vetro si richiudeva attorno a lui, Finnick ebbe solo un istante per pensare al localizzatore iniettato nel suo braccio, al tocco di Mags sulla sua guancia, al sorriso di Annie. Poi fu fuori.


L’Arena era diversa, quell’anno. Dagli sguardi attoniti degli altri Tributi, Finnick capì di non essere l’unico a pensarla in quel modo: una città in rovina, composta da edifici fatiscenti, si stendeva a perdita d’occhio, costellata di fontane secche e fosse polverose. I potenziali ripari erano anche nascondigli per assassini, le buche di difesa potevano essere trappole. La Cornucopia era al centro di quella che sembrava la piazza, circondata dai Tributi.
L’aria sembrava intrisa di polvere giallastra, le ringhiere dei balconi erano totalmente arrugginite. La catasta d’armi e vettovaglie riluceva alla luce del sole, impedendo ai ragazzi di mettere bene a fuoco cosa contenesse.

Quando Finnick constatò che non c’era nessun tridente, il conto alla rovescia era già partito da un pezzo. Gli altri si guardavano intorno in cerca di un luogo di fuga, di un’arma, di qualsiasi cosa. Maia era di fronte a Finnick e fissava intensamente un punto nel bel mezzo della catasta – un coltello, forse, o uno zaino di viveri.

Meno dieci.

Finnick sospirò pesantemente, lo sguardo puntato verso il lato da cui sarebbe fuggito: se non c’era un tridente, avrebbe fatto meglio a togliersi dal Bagno di Sangue e poi decidere come cavarsela.

Meno cinque.

Un pezzo di corda campeggiava a pochi passi da lui, abbandonato. Forse, se avesse corso abbastanza in fretta, ce l’avrebbe fatta a prenderlo e costruire una trappola per animali.

Meno due.

Gli altri Tributi si chinarono, pronti a partire.

Il gong risuonò nell’Arena, e fu il caos.

In un istante, ventiquattro adolescenti si lanciarono verso la pila a velocità diverse, combattendo tra loro e con il selciato polveroso. Qualcuno scivolò, una ragazzina venne colpita da un sasso e cadde rovinosamente a terra, calpestata dai piedi di uno dei Favoriti. Il sangue era ovunque, eppure i Tributi non sembravano diminuire, né tantomeno farsi meno minacciosi.

C’erano due o tre ragazze che combattevano al lato opposto della Cornucopia, tutte armate di lance e coltelli, contendendosi un oggetto che Finnick non riusciva a vedere. Lui, invece, era ancora fermo sul suo piedistallo, inebetito. Vedeva i cadaveri, il sangue, le armi già utilizzate e grondanti di rosso e si diceva che, se fosse sceso dal suo pezzo di ferro, probabilmente sarebbe morto.

Forse non si sarebbero accorti che era ancora lì e, dopo un po’, avrebbero ritirato giù i cilindri, permettendogli di tornare a casa. Solo quando Maia gli sfrecciò davanti, sanguinante e con i capelli arruffati, si risvegliò e balzò giù, afferrando la corda che aveva intravisto prima.

 
Finnick non capì come avessero fatto a ferirlo, né chi fosse stato. Sapeva solo che un momento prima era chino a prendere la corda e, quello dopo, era disteso tra la polvere, un dolore bruciante al fianco destro. Cercò di alzarsi, ma non ci riuscì. Il sangue sgorgava dalla ferita, tingendogli di rosso la divisa scura.

La battaglia si era spostata lontano, dall’altro lato della Cornucopia, e i Tributi che non volevano prendervi parte erano già fuggiti via. Provando a ignorare il dolore, Finnick si issò sulle gambe e si trascinò in avanti, cercando un riparo. Stringendo la sua cordicella, individuò un muro di mattoni poco distante e vi si trascinò per poi provare a sedersi, reggendosi il fianco con le dita scivolose. Si alzò un lembo della giacca, scoprendo la tshirt attaccata alla ferita. Con un coraggio che non credeva di avere, staccò la stoffa dal sangue e, ignorando la sensazione di appiccicoso, guardò il taglio: non era lungo, ma sembrava profondo. In un momento la nausea gli attanagliò lo stomaco: era ferito, sarebbe morto. Non aveva idea di come controllare se avesse bisogno di punti - e comunque non avrebbe avuto nessuna possibilità di provvedere a metterseli - e aveva paura, una paura folle. Eppure si costrinse a osservare il taglio netto: al corso di pronto soccorso del Distretto aveva imparato che, in caso di sanguinamento, la ferita andava fasciata con qualcosa di stretto, così staccò una striscia di stoffa e se la annodò attorno alla vita, tenendola insieme con la corda. Poi attese.

La stoffa si inzuppò subito, scurendosi a causa del sangue, ma Finnick aveva troppo freddo per strappare altri pezzi di giacca. Attorno a lui, il silenzio.

Aspettò che qualcuno tornasse a ucciderlo, ma non arrivò nessuno; sentì passi affrettati di un paio di alleati e lo sferragliare di una catena – probabilmente un pozzo.

Poi, quando si fu calmato abbastanza e il Bagno di Sangue fu ufficialmente terminato, arrivò il primo conteggio. I cannoni spararono sette volte, non troppe né poche, ma per conoscere il volto delle vittime avrebbe dovuto aspettare quella sera. Sperò che Maia fosse ancora viva, per un momento. Poi ricordò che erano nemici e strinse i pugni, cercando di ignorare il bruciore.

Dette un’altra occhiata alla ferita e si rese conto che aveva smesso di sanguinare, anche se era ancora aperta. Sperò fosse un buon segno e si rimise in piedi.

"Forza, Finn" mormorò a se stesso. "Trova un riparo."

Immaginò che la telecamera lo stesse inquadrando proprio in quel momento, mentre arrancava dietro quel muro cercando di non percorrere le strade con più eventuali nascondigli già occupati. Passò accanto alla Cornucopia e la rivide, ma questa volta era vuota. E lui aveva solo un pezzo di corda. Notò uno zainetto incastrato alla base del grande contenitore e pensò di prenderlo, ma poi decise di controllare che non fosse una trappola e perse del tempo a lanciare sassi per evitare che gli esplodesse in mano.

Quindi lo arraffò come se fosse l’unica speranza di sopravvivere.

Era uno zaino di tela dall’aria resistente. Aprendolo, il ragazzo vi trovò una confezione di frutta secca, quattro strisce di carne e una scatola di pillole per la febbre. Sperava si sarebbero rivelate inutili, ma era comunque una fortuna averle. Si mise lo zaino in spalla e camminò per qualche ora, diretto a un edificio lontano e, almeno all’apparenza, abbandonato.

 
***

 
Nonostante chiunque – soprattutto tra i Vincitori – sappia di dover assistere a scene tremende, durante gli Hunger Games, questa supera tutte le mie aspettative. Ed erano alte, avendo assistito a cinque edizioni con ancora le immagini della mia impresse negli occhi.

Annie è sparita sull’Hovercraft quasi due ore fa, salutandomi con uno sguardo spaesato e un cenno della testa, cercando in tutti i modi di non sembrare spaventata. Michael, accanto a lei, mi ha stretto formalmente la mano e mi ha congedato come se ci dovessimo rivedere a breve.

E a noi Mentori non è rimasto altro da fare che tornare indietro, al Centro d'Addestramento, dove trascorreremo la maggior parte del tempo durante i Giochi.

"I Tributi sono nei cilindri" sento dire da uno degli Strateghi che sta passando davanti alla postazione di noi Mentori. Come anche gli organizzatori degli Hunger Games, siamo in una stanza bianca con un grande schermo al centro. A differenza loro, però, questo ci mostra le stesse immagini che i cittadini di Panem vedranno alla televisione. Davanti a ogni postazione, poi, uno schermo più piccolo mostra i Tributi del Distretto di ognuno dei Mentori, nel mio caso Annie e Michael.

Seguiamo l’ascesa dei ragazzi dal punto di vista della bambina del Tre, una certa Sarah. Ha i pugni stretti e gli occhi sbarrati, pronti a cogliere ogni segnale di pericolo e ogni oggetto utile della Cornucopia. La telecamera stringe sui suoi occhi scuri, sui capelli raccolti in una pratica coda di cavallo, sul ciondolo che ha come portafortuna. Poi, nel momento in cui i Tributi emergono definitivamente sull’Arena, l’inquadratura cambia e riprende tutti dall’alto, mostrando a Tributi e spettatori la nuova Arena.

All’apparenza è molto simile a quasi tutte le precedenti, piena d’alberi inutili e ricoperta di terra e fango. Poi, durante la panoramica, noi telespettatori possiamo scorgere un fiume di grande portata che scorre, impetuoso, fino a una diga dall’aria instabile. Mi chiedo se la faranno crollare, prima o poi.

Il conto alla rovescia è quasi giunto al termine quando, con una dissolvenza, la telecamera riprende uno alla volta i visi dei giovani che stanno per morire.

Qualcuno sembra determinato, altri spaventati a morte. Annie, la decima ad essere inquadrata, è pensierosa, come quando se ne stava sulla spiaggia a fare collane di conchiglie. Sta pensando alla tattica che Mags ha messo a punto ieri sera e che, alla fine, non richiedeva grande preparazione: la fuga. Sappiamo che Annie è debole, che non sopravvivrebbe al Bagno di Sangue, e fortunatamente lo sa anche lei. Non tenterà nulla, nessun colpo di testa. Fuggirà e basta.

Quando mancano dieci secondi all’inizio, lo stomaco mi si contrae come se su quella pedana ci fossi io. I Tributi tendono i muscoli, pronti a scattare. Il gong suona e tutti corrono. Nella confusione, perdo di vista Annie e spero solo che stia scappando il più lontano possibile. Anche sugli schermi miei e di Mags, che inquadrano solo i nostri Tributi, la terra alzata dai piedi in corsa ci impedisce di scorgere i volti di Michael e Annie.

"Credi sia scappata?" domando alla mia vecchia Mentore. Lei non mi risponde, troppo impegnata a fissare lo schermo alla sua postazione. Sospiro, lanciando un’occhiata in giro: gli altri sono impegnati a controllare i propri Tributi, senza curarsi di cosa succede attorno a loro. C’è Chaff, il tipo dell’Undici, che ride sommessamente nel vedere una ragazzina farsi ammazzare dal suo Tributo maschio; c’è Enobaria, la sanguinaria Mentore del Due, che esorta la sua ragazza attraverso lo schermo – guardandola bene, mi rendo conto che ha i denti stranamente appuntiti; ci aveva già detto che se li sarebbe fatti limare per ricordare a tutti come avesse vinto, ma credevo scherzasse –; c’è Haymitch, ovviamente ubriaco, che forse è l’unico a comportarsi come me e guardarsi intorno al posto di fare il suo lavoro. Mentre cerco Brutus, l’altro Mentore del Due, per controllare se anche lui si sia fatto limare qualcosa, un rumore proveniente da Mags mi fa tornare con i piedi per terra.

"Che succede?" sussurro, ma un’occhiata allo schermo generale mi da la risposta. In questo momento, su tutte le televisioni di Panem, è in onda Michael che aggredisce Annie.



 
  
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