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Autore: ragazzacolbicchieredacqua    09/12/2014    0 recensioni
Un Clan di Elfi del Connemara, in Irlanda, è stato esiliato dalle proprie terre. Riescono comunque a rimanere uniti dopo la maledizione, tutti tranne uno: Jared. E Dorothy non riesce a darsi pace per questo.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era passata una settimana, da quando io e Jared eravamo andati nel bosco e lui aveva ricevuto una visione dalle fate, o perlomeno questo era quello che io, Will e Cynthia pensavamo fosse accaduto.

Io non avevo visto nulla e così potevamo solo ipotizzare.

Sette gioni senza vederlo e con l'attesa nel cuore. Mi sembrava di essere ripiombata a quando lo aspettavo senza sapere se fosse ancora vivo...

Non potevo andare avanti così, ad aspettare e basta, stavolta potevo fare qualcosa e l'avrei fatta. Cosa avrebbe concluso a starsene tutto il giorno a casa o in giro? No, Jared aveva bisogno di risposte e solo io potevo dargliele.

Dopo le lezioni non andai a casa, mi diressi verso la segreteria del campus per chiedere delle informazioni riguardo l'alloggio di Jared, purtoppo non sapevo in quale abitasse.

La segretaria non fece tante storie e dopo circa una mezz'oretta riuscii a farmi dire che il suo appartamento era il 73, due casette più in là di quello mio e di Cynthia.

Mentre mi incamminavo, ricominciò a piovere e alzando gli occhi al cielo non riuscii a trattenere un gemito di insofferenza. Certi giorni tutta quella pioggia diventava insopportabile.

Quando arrivai al portone del piccolo palazzo dove si trovava il 73, ero già bagnata come un pulcino, anche se il tragitto dalla segreteria non durava che pochi minuti.

Provai a citofonare ma nessuno venne a rispondere, in più il portiere non c'era e così rimasi sotto la tettoia d'ingresso cercando di sbirciare dalle vetrate laterali del portone.

«Dovresti imparare a portare nello zaino un ombrello, Dorothy» sentii dire da qualcuno alla mia sinistra.

Mi girai di scatto, con gli occhi sbarrati e le mani in alto, nemmeno fossi stata una ladra e avessi visto un fantasma pure!

«Jared!» esclamai con un tono di voce stridulo e quasi colpevole.

«Cosa ci fai qui? Non credevo di averti detto dove abitavo, sempre se cercavi me» disse, con un tono di voce stanco e quasi scocciato.

Arrossii di colpo e corrugai la fronte per protesta.

«No, non me lo avevi detto, ho infatti chiesto in segreteria dove abiti. Ti devo parlare» gli risposi risentita, anche se in effetti avevo violato la sua privacy.

«Mi dispiace Dorothy, ma non credo di averne nessuna voglia né ora né mai più»

«No Jared, ti prego. Devi starmi a sentire, ti devo dire delle cose che non sai e che ne vanno della tua vita» lo stavo quasi implorando, ma non poteva non ascoltarmi, doveva sapere.

«La mia vita? La mia vita?!» si alzò di scatto, guardandomi con uno sguardo infuocato e la rabbia nel petto. «Allora a maggior ragione non voglio saperle, quel che so basta e avanza. Vattene Dorothy e non cercarmi più» e dicendo così si diresse verso il portone, oltrepassandomi.

Non poteva finire così, no. Doveva sapere e in un certo modo dovevo sapere anch'io. Cosa aveva saputo? Perché mi trattava così?

«No, Jared. Non ti perderò di nuovo, è chiaro?!» gli urlai alle spalle, presa da un'improvvisa crisi di pianto.

Cercava ancora di aprire il portone, quando si bloccò di colpo e lentamente si voltò verso di me.

«Cosa.. Cosa vuol dire 'di nuovo'?» mi chiese, con gli occhi pieni di dolore e il volto rigato dalla pioggia.

Prima di rispondergli, lo osservai attentamente e lasciai che i ricordi della nostra vita pecedente abbattessero i muri che la mia mente aveva creato per non soffrire.

Caddi in ginocchio e guardandolo ancora piansi sempre più forte, ma lui non si muoveva. Mi fissava e il dolore saliva sempre di più sul suo volto, ma nessun muscolo del suo corpo sembrava volersi azionare.

In un attimo di lucidità, capii che era quello il momento migliore per raccontargli qualcosa. Lasciai che la mia razionalità prendesse il sopravvento, mi alzai e mi calmai in pochi istanti.

«Vuol dire che devi starmi a sentire. Smettila di respingermi, sta zitto e dammi solo ascolto» dissi in un tono freddo e autoritario. Poteva anche offendersi, ma se non potevo arrivare alle sue orecchie con le buone, quello era solo l'inizio delle cattive.

Jared parve riscuotersi, aprì il portone e si mise da parte per farmi entrare nella hall.

«Primo piano a sinistra» disse, mentre gli passavo davanti.

 

L'appartamento di Jared era un monolocale perciò viveva solo. Non aveva cambiato quasi nulla degli interni originali, solamente nella sua camera aveva applicato un poster del Connemara, ora diviso in due da uno strappo diagonale. Conoscendolo, attribuii subito quel taglio ad un suo improvviso scatto d'ira, molto probabilmente lo stesso giorno del messaggio delle fate.

Ci accomodammo in cucina, lui rimase in piedi ma io scelsi di sedermi sulla poltrona marrone vicino la finestra.

«Allora, cosa devi dirmi?» mi chiese tagliente.

«Non mi offri nemmeno una tazza di tè prima?» gli chiesi io di rimando. Ero impaziente di raccontargli tutto, ma non era certo un argomento tanto semplice da sbatterglielo in faccia.

Alla mia richiesta, il suo sguardo divenne esasperato, ma sbuffò solamente e si avvicinò alla mensola sopra i fornelli.

«Ho solo tè bianco, ti va bene?»

«Assolutamente» risposi sorridendo. Era sempre stato il mio tè preferito, mentre lui lo odiava. Possibile che fosse una sorta di ricordo incosciente?

«A te piace?» gli chiesi. Prima di parlare di cose serie e di fronte le quali probabilmente avrebbe chiamato volentieri un qualche ospedale per farmi internare, volevo appurare questa mia teoria. Forse sotto sotto ricordava anche più di quel che credeva.

«No affatto»

«Allora come mai hai solo quello?» cavargli le risposte dalla bocca era un'impresa.

«E' una stupidaggine, lascia stare» rispose, dandomi ancora le spalle e fissando il bollitore sul fuoco.

 

Appena il tè fu pronto, me lo portò e si sedette davanti a me, al di là del tavolino.

«Ora che hai il tè, puoi sputare il rospo?»

«Ok, ma calmati prima.»

«Sono calmassimo!» a quelle parole lo guardai di traverso, «Va bene, mi calmo» si corresse e spostò lo sguardo sulle sue mani intrecciate l'una all'altra.

Osservai per un attimo, quasi infinito, la tazza fumante. Bevvi un lungo sorso e alzai lo sguardo su di lui. Mi stava osservando, in attesa di una mia spiegazione che tardava ad arrivare.

Avevo bisogno di tanto coraggio, un tè non bastava, ma non potevo temporeggiare oltre.

«Allora, Jared» esordii, incatenando il mio sguardo al suo.

«Quando ci siamo conosciuti, mi hai detto che non ricordi il tuo passato. Quel giorno non te l'ho detto, ma io conosco il tuo passato perché in realtà ci conosciamo da quando eravamo due bambini. Siamo nati entrambi nella regione del Connemara, nel regno degli Elfi dell'Ovest »

«Dorothy, cosa diavolo stai dicendo?!»

«Lasciami parlare, ti prego! Lo so che può sembrare assurdo, ma non siamo umani, siamo elfi»

«E cosa ti fa pensare che io ti creda?»

«Hai anche tu, esattamente come me, le orecchie tipiche degli elfi, perfino in qualsiasi libro umano potrai trovare questa caratteristica» testimonianze antiche di incontri tra umani ed elfi, le nostre leggende ne sono piene. «Quando l'altra volta siamo andati al bosco qui vicino tu hai avuto una visione, non è così forse?» come poteva davvero credere che qualsiasi umano avrebbe potuto riceve visioni fatate, così dal nulla?

«Sì... Cioè no... Ok, sì, ho avuto una cosa simile...»

«Davvero ti sembrano cose normali?» gli chiesi, senza nascondere l'incredulità che provavo.

«Ora che ci rifletto non sono cose normali, ma come avrei potuto immaginare di non essere umano?! Chi si aspettava che fossi una razza fantastica?!»

«Hai ragione, ma questo solo perché non ricordi il tuo passato! Hai vissuto quasi tutta la tua vita da elfo, sei cresciuto come tale e sei diventato adulto nella comunità elfica, avevi i tuoi impegni sociali e politici. Non avevi mai avuto contatto con nessun umano, figurati se ti ci saresti confuso!» a quella prospettiva mi scappò una lieve risata.

«Ma Dorothy, tu come fai a sapere tutte queste cose?»

«Te l'ho detto, ci conosciamo da quando eravamo due bambini»

«Puoi... Puoi dirmi allora tutto ciò che sai su di me?» mi chiese, con un tono quasi timido.

«Ma certo, Jared! Sono qui proprio per questo» pensavo avrei dovuto faticare di più, mi stava andando bene, dopo tutto. «Allora, cosa vuoi sapere?»

«Innanzitutto, Jared è il mio vero nome?» sorrisi a quella domanda apparentemente banale.

«Sì, ma è solo una parte. Il tuo nome completo è Jared Finbar Breandàn III»

«Ho perfino un numero?!»

«Sì, ecco... Nella tua famiglia era molto importante la discendenza maschile» stava arrivando la domanda dolente, prima del previsto.

«Come mai?» eccola arrivata.

«Jared, ecco.. Tu eri il principe del nostro regno, il re Breandàn II era tuo padre. Tua madre, invece, era la regina Roisin Nuala Riona.»

Alla mia rivelazione Jared rimase immobile, non rispose né sbattè le palpebre, pietrificato.

«Jared?» provai a chiamarlo. Sembrava in totale shock.

Dopo un tempo che parve infinito, si ridestò e deglutì, ma negli occhi padroneggiava ancora il terrore.

«Stai... Stai scherzando, vero?» e ci risiamo.

«No Jared, non scherzo. Tutto ciò che uscirà dalla mia bocca sarà la verità. Non ti mentirei mai, credimi» gli risposi, con un tono tra il supplichevole e l'insofferente.

«Sì, ma... Io un principe?! Il futuro re?!»

«Sì, anche se in realtà non eri il primo nella linea di successione al trono»

«Oh. Perchè?»

«Hai una sorella maggiore, la principessa Regina Mairead Fenella. Lei avrebbe ereditato il regno, ma aveva in mente di abdicare in tuo favore»

«Una sorella? Wow. E pensare che io mi reputavo orfano.»

«E anche umano!» aggiunsi ridendo.

«E già» riuscì a ridere anche lui, finalmente sembrava rilassarsi un po'. «Ma perché voleva abdicare?»

«Si era innamorata di un umano e lui la ricambiava. Vostro padre aveva concesso loro di vivere nel regno elfico, ma non avrebbe mai accettato un umano sul trono» al ricordo della principessa abbassai lo sguardo, sulla tazza di tè ormai vuota. Quanto aveva sofferto la principesa Regina, la decisione del re era solo una delle cose che aveva dovuto affrontare. E alla fine comunque, tutto le era stato portato via, i suoi sacrifici non erano serviti a nulla...

Jared non rispose nulla, così alzai gli occhi e vidi che stava riflettendo su qualcosa.

«Non hai più domande da farmi?» gli chiesi.

«Oh Dorothy, in realtà ne avrei una tonnellata. Sono così tante che non so quale scegliere prima. Ecco, forse la più importante. Se siamo elfi, se io ero l'erede al trono, perché siamo qui? Perché viviamo tra gli umani?»

«Hai fatto la domanda giusta. Devi sapere che il re era il fratello maggiore di tre figli: Breandàn II, Wayne Seamus e Ryann Kain. Tra i primi due fratelli però non correva buon sangue. Alla morte di Breandàn I, salì al trono tuo padre e Wayne Seamus non riuscì a capacitarsene, decise così di lasciare il regno, ma prima di andarsene si dice gli abbia inflitto una maledizione»

«La maledizione di Wayne Seamus ero io, non è così? Ho ucciso io mio padre» mi interruppe.

«Jared, ma cosa dici?»

«Dorothy, avevi detto che mi avestri detto la verità. Se sono un assassino devi dirmelo, ora»

«No Jared, non lo sei! E' questa la verità. E ora devi spiegarmi perché ti è venuta in mente un pensiero del genere. Anche se non l'avevo ancora detto, è vero che tuo padre è morto, è anche vero che è stato ucciso, ma non per mano tua» Jared e suo padre non andavano molto d'accordo, ma non era di una certo una buona scusa per toglierlo di mezzo, che assurdità.

«L'ho visto nel bosco. Ecco perché non volevo parlarti e cercavo di allontanarti» ammise.

«Ora si spiega tutto. Dimmi esattamente cosa hai visto e sentito» ogni dettaglio sarebbe stato importante.

«C'ero io, che uccidevo un uomo. Aveva una corona in testa, perciò deduco fosse il re e quindi mio padre. Dopo l'omicidio scappavo, ma ero stato preso dalle guardie e un altro uomo mi doveva giustiziare. Invece di farmi uccidere per l'omicidio del re, mi esiliava qui nel mondo degli umani, cancellandomi la memoria»

«Mi puoi descrivere l'uomo che ti graziava?» quel farabutto.

«Alto, massiccio. Capelli scuri, corti ma non troppo, gli ricadevano in parte sul viso. Occhi scuri e piccoli, una cicatrice su quello sinistro» non avrebbe potuto fare una descrizione più dettagliata.

«Jared, quello era Wayne. Io, Will e Cynthia avevamo supposto che avessi ricevuto un messaggio corrotto da parte sua. Purtroppo le fate sono dalla sua parte e per loro è semplice recapitare messaggi, soprattutto menzogne.

«Secoli dopo l'incoronazione del re, Wayne fece ritorno e chiese di incontrare suo fratello. Il re era un uomo duro ma conosceva la compassione, purtroppo sbagliò a fidarsi e Wayne lo uccise. Le guardie riuscirono a prenderlo, ma durante la sua assenza imparò arti magiche ancora più potenti di quelle con cui maledisse il re. Riuscì così a sottomettere tutto il regno, noi venimmo esiliati. La regina Roisin e la principessa Regina, invece, furono fatte prigioniere.»

«Dorothy, c'è un modo per tornare, vero? C'è un modo per salvarle, dimmi di sì, ti supplico» disse, con voce spezzata, gli occhi lucidi e le mani tra i capelli.

Non sapeva di avere una famiglia, e ora che l'aveva scoperta, la stava perdendo. Di nuovo.

C'era una sola cosa da fare.

«Alzati Jared. E' il momento di andare da Cynthia e Will, loro ci aiuteranno».

 

  
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