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Autore: Ayr    13/12/2014    2 recensioni
Quando Matisse incontra Zefiro, un ragazzo affascinante ma misterioso, la sua vita tranquilla viene completamente sconvolta: il ragazzo infatti le rivela che lei è la principessa perduta, la legittima erede al trono di Heaven. Inizia così per lei un viaggio in compagnia di Zefiro, il cui silenzio pare nascondere un grande segreto, che la porterà dal tranquillo villaggio in cui vive alla caverna di Procne, una potentissima maga che aiuterà Matisse ad affrontare quello che le aspetta: non si tratta solo di sedere su un trono e di prendere sulle spalle tutte le responsabilità che esso comporta, Matisse infatti, dovrà prepararsi anche per una guerra perchè non è l'unica che ambisce a quel trono e c'è già chi trama nell'ombra per strapparglielo via.
Preparatevi ad accompagnare Matisse in questo viaggio tra maghi, battaglie, segreti, elfi e misteri. Siete pronti a partire?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La pianura era spazzata da un forte vento che sospingeva minacciose nuvole grigie che in un attimo detronizzarono l’azzurro del cielo. Corniolo sollevò lo sguardo preoccupato, quello che serve al nostro viaggio è sicuramente della pioggia sbuffò.
Viaggiavano ormai da cinque giorni, e davanti ai loro occhi continuava a sfilare lo stesso monotono paesaggio piatto, sferzato dal vento impietoso. All’orizzonte non si distingueva altro che una sfuocata striscia azzurrognola, ininterrotta.
Più volte Corniolo aveva dubitato di Barden, convinto che in realtà stesse allungando apposta il tragitto per poter passare quanto più tempo possibile con Matisse. Ronzava intorno alla ragazza come una mosca attorno al miele e le si appiccicava al fianco come una sanguisuga; casualmente sedeva sempre accanto a lei e casualmente i loro cavalli si ritrovavano affiancati.
E sempre “casualmente” Corniolo aveva beccato Barden, la prima notte, importunare la ragazza. Era stato svegliato dalle sue grida soffocate e aveva visto il ragazzo tenere saldamente Matisse per i polsi e reclamare un bacio da lei in maniera poco galante.
Corniolo si era schiarito la gola e Barden si era voltato, ritrovandosi l’ascia bipenne dell’altro ad un soffio dal suo pomo d’Adamo.
«Posso sapere cosa stai combinando?» aveva chiesto, premendo l’ascia contro la gola del ragazzo
«Volevo assicurarmi che Matisse stesse riposando bene» aveva risposto il ragazzo con tono baldanzoso ma voce tremante
«E potrei sapere, di grazia, da quando ci si assicura se una ragazza sta dormendo prendendola per i polsi?» aveva ribattuto lui, facendo ruotare l’ascia in modo che la luce della luna ne colpisse il filo, illuminandolo di argentea luce letale. Barden aveva deglutito e aveva lasciato immediatamente i polsi di Matisse. Corniolo, dal canto suo, aveva sospinto ancora di più l’arma contro la gola del ragazzo. Un leggero segno rosso aveva tinto la pelle, là dove la lama premeva.
«Se ti becco ancora a importunarla, giuro che ti trancio la testa e la getto nell’Hara, sono stato chiaro?» aveva sibilato. Barden aveva annuito spaventato ed era sgusciato via ad una velocità sorprendente.
Da allora, almeno la notte, non aveva più provato a rimettere piede nella stanza dove dormiva Matisse.  Se l’avesse fatto, Corniolo non ci avrebbe pensato due volte prima di fargli saltare la testa dal collo. Nel contempo, però, non poteva nemmeno permettersi di eliminare l’unica guida che avevano, e l’unico che trovasse sempre un posto dove dormire, approfittando dell’ospitalità e della conoscenza degli abitanti di Myr. Barden, infatti, conosceva più della metà dei contadini che abitavano la piana ed era solo grazie a lui che, la notte, riuscivano sempre ad avere un pasto caldo e un letto comodo. Anche Barden sapeva di essere indispensabile, e per questo, nonostante la minaccia di Corniolo,  non perdeva occasione durante tutto il resto del giorno di cavalcare accanto a Matisse e chiacchierare con lei. In realtà parlava solamente lui, ma il fatto che la ragazza lo ignorasse bellamente, non gli impediva di  avvicinarla e domandarle qualsiasi cosa o raccontarle una delle sue mirabolanti avventure.
Matisse, dal canto suo, sperava vivamente che Barden venisse sbranato da qualche cane della piana, ma nel contempo era consapevole del fatto che fosse l’unico in grado di condurla fino a Neherin, dal momento che Zefiro se n’era andato.
Matisse pensava costantemente a lui e il fatto che il paesaggio o la compagnia non offrissero alcuna distrazione, non aveva fatto altro che aumentare in lei la pena e la nostalgia. Continuava a rivivere nella mente la scena del loro addio, a ripetere a fior di labbra quelle parole avventate che aveva pronunciato così a cuor leggero e continuava a chiedersi se fosse una follia essere innamorata di quel ragazzo. Dentro di lei ragione e sentimento si scontavano in una lotta estenuante che la spossava il giorno e la teneva sveglia di notte. In quei pochi giorni la ragazza era deperita parecchio, il suo viso si era fatto più incavato, il suo colorito più spento. Passava le notti sveglia a vegliare, in attesa di sentire uno scalpiccio di passi in avvicinamento e di sentire la sua voce sussurrare «Sono tornato» mentre le sue forti braccia l’avvolgevano in un abbraccio caldo e protettivo. Ma queste erano null’altro che fantasie, buone solo per estraniarsi dal mondo e non ascoltare i noiosissimi sproloqui di Barden.
In quel momento iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia. Matisse sollevò il cappuccio, imitata, ben presto, dagli altri della compagnia. La pioggia divenne in poco tempo un acquazzone. Le nuvole riversavano sulla piana secchiate di acqua gelata che si abbattevano crudelmente sui quattro poveri viaggiatori, che divennero ben presto zuppi e infreddoliti.
«Dobbiamo trovare un posto dove ripararci! È impensabile continuare a cavalcare sotto questo diluvio» urlò Corniolo, cercando di sovrastare l’ululato del vento, che si era alzato, fortissimo, schiaffeggiandoli con sferzate cosparse di appuntiti aghi di pioggia.
Barden alzò un braccio, segnalando di aver capito e fece un cenno. I quattro condussero i cavalli lungo un viottolo che li immise nella via principale, tramutatasi in un torrente di fango. La tempesta, intanto, flagellava la piana e il vento sospingeva indietro i quattro, che a fatica, cercavano di avanzare in quella muraglia di pioggia. Barden non vedeva che ad un palmo dal naso, tanto tutto era diventato improvvisamente scuro, inoltre le gocce di pioggia gli entravano negli occhi costringendolo a tenerli socchiusi.
Fu quasi per un caso fortuito, quindi, che si imbatté nella locanda della “Lanterna Rossa”. Al buio non si distingueva granché, ma pareva un edificio grande a tre piani; dalle finestre al primo piano filtrava una flebile luce aranciata. La lanterna che dava il nome alla locanda dondolava emettendo scricchiolii preoccupanti e la debole fiammella che baluginava all’interno sfidava la furia del cielo, che non era ancora riuscita a spegnerla.
I tre passarono sotto un arco di pietra che li immise in un cortiletto interno di terra, punteggiata qua e là da sparuti ciuffetti di pallida erba. Il vento era parzialmente smorzato dall’edificio, ma la pioggia continuava a cadere copiosa.
Nel cortile arrivò trafelato uno stalliere zuppo, che reggeva tra le mani una traballante lanterna, la cui flebile luce era messa a dura prova dalle raffiche di vento che si insinuavano subdole attraverso l’arco.
«Che tempo da cani!» esclamò, prendendo per le redini il cavallo di Barden e conducendolo fino alla stalla. Appena varcarono la soglia la pioggia e il vento cessarono e al loro posto subentrò il calore accogliente della stalla.
«Che tempo da cani» ripeté lo stalliere «Non esattamente un tempo adatto a viaggiare» ridacchiò tra sé, mentre i quattro cavalieri smontavano, grondanti acqua. Dalle falde del mantello ruscellavano rivoli di pioggia che andavano a bagnare il pavimento della stalla, cosparso di paglia.
«Fortuna che avete deciso di fermarvi qui» continuò, questa volta rivolto a loro.
«Sapresti dire se c’è posto per quattro viaggiatori affamati e infreddoliti?» domandò Barden togliendosi il cappuccio e scrollandosi via le gocce di pioggia rimaste impigliate tra i capelli.
«Alla Lanterna Rossa c’è sempre posto» rispose una voce baritonale «Soprattutto se si tratta di quattro viaggiatori sorpresi dal maltempo»
Sulla soglia della stalla apparve un uomo basso e tarchiato con una lussureggiante barba rossa, indossava una casacca e dei semplici pantaloni marroni, coperti da un grembiule bianco.
«E soprattutto se uno di loro è i figlio di Seron!» aggiunse, ammiccando verso Barden
«Ginepro!» esclamò Barden «Verrei ad abbracciarti ma sono completamente zuppo» rispose il ragazzo. Seron era uno dei migliori fornitori di Ginepro e Ginepro era uno dei migliori clienti di Sermon che Barden aveva accompagnato più volte; i due, quindi, si conoscevano piuttosto bene.
«Ma ci sarà qualcuno che Barden non conosce in questa dannatissima piana?» borbottò Corniolo cercando di liberare il piede, rimasto impigliato nella staffa.
«Fortuna che Steve ha un occhio di falco, o non ci saremmo nemmeno accorti di voi e sareste stati costretti a strare sotto questo acquazzone» stava intanto dicendo Ginepro «Ma vediamo di andare in un posto meno umido…Mi devi aggiornare su un sacco di cose ragazzo, è da questa primavera che non ti vedo» continuò, prendendo in ostaggio Barden.
«Steve, occupati dei loro cavalli» furono le sue ultime parole prima di sparire al di là della porta della locanda, trascinando il ragazzo per un braccio.
Ginepro, che aveva tutta l’aria di essere il proprietario della locanda, li condusse attraverso un porticato riparato dalla pioggia che immetteva nella sala principale della locanda. Era uno stanzone gigantesco dai muri di pietra e il pavimento in legno, disseminato di panche e tavoli, dal lato opposto alla porta si aprivano nella parete due camini che davano luce e calore alla stanza. Altra luce era assicurata da lampadari in ferro che pendevano dalla travi del soffitto.
«Benvenuti» disse l’uomo, facendo loro largo in mezzo alla folla del locale, che strabordava di gente. Il mercato estivo di Solwin richiamava da sempre genti da tutti il regno e anche da regni vicini, non sorprendeva quindi di poter vedere riuniti nella stessa stanza uomini, elfi e nani. Ginepro stesso, pareva appartenere a questi ultimi.
Matisse faceva vagare lo sguardo lungo tutto il locale, mangiando con gli occhi tutta quella varietà di razze, vesti e accenti. Era abituata a vedere una variegata e colorata compresenza di razze diverse, ma si trattava di solito di qualche elfo proveniente dal mare del sud o di qualche intrepido nano dell’ovest. Non le era mai capitato di vedere così tanti elfi tutti diversi l’uno dall’altro o così tanti nani; anche gli stessi Uomini parevano tutti provenire da luoghi esotici e sconosciuti.
La ragazza era rimasta rapita ad ascoltare le parole che si scambiavano due elfi provenienti dalle foreste dell’est nella loro lingua musicale e affascinante, quando Corniolo le diede un colpetto sul gomito per farla tornare alla realtà.
«Potrai assistere alle meravigliose discussioni tra elfi tra poco, prima vediamo di trovare una stanza e di metterci addosso qualcosa di asciutto» le disse.
Ginepro condusse i quattro a due camere del primo piano, erano arredate in modo spartano ma calde e accoglienti.
«Sono le uniche stanze doppie libere che mi sono rimaste» si scusò «Ma con il mercato alle porte e questo tempaccio…»
«Andranno benissimo» lo interruppe Corniolo, desideroso solamente di potersi liberare degli abiti bagnati, che gli si erano appiccicato addosso, impacciandolo nei movimenti e facendolo rabbrividire per il freddo.
«Se avete bisogno di qualcosa…» continuò Ginepro, ma Corniolo aveva già spinto Matisse nella prima stanza e stava per chiudere la porta.
«Ho capito» borbottò il nano rivolto alla porta chiusa.
 
«È stato un uomo saggio colui che ha inventato la birra» disse Corniolo, abbandonandosi soddisfatto contro lo schienale della sedia e appoggiando il boccale vuoto sul tavolo «Un altro giro» gridò poi rivolto ad un cameriere che gli passava accanto, questi prese il boccale e sparì.
«Dicono che la birra della piana sia la migliore del regno» interloquì Barden facendo roteare il contenuto del suo boccale, pieno ancora a metà
«E dicono il vero!» esclamò Corniolo portandosi alle labbra il boccale appena riportato dal cameriere, colmo fino all’orlo di quella bevanda dorata e schiumosa «Anche se non è lontanamente paragonabile al sidro, comunque, è lì lì per eguagliarlo»
Barden sorrise e prese un sorso dal suo boccale. Avevano appena finito di cenare e la tempesta non aveva minimamente accennato a diminuire, anzi, da quando erano entrati nella locanda si era intensificata, costringendoli a rimanere lì tutto il giorno. Non che li fosse dispiaciuto: Matisse aveva avuto modo di fare conoscenza con la metà degli elfi e dei nani della locanda; Morten, invece, aveva riempito di domande l’altra metà; Corniolo aveva avuto la possibilità di assaggiare la birra migliore del regno e in quanto a Barden…il suo sguardo si posò su Matisse che stava chiacchierando amabilmente con due elfi del sud e un sorriso increspò le sue labbra.
In quel momento la ragazza si interruppe bruscamente, le pareva di aver visto qualcosa: uno svolazzo di stoffa nera e una testa corvina sparire dietro un angolo, ma forse era stata solo una sua impressione.
Era da quando Zefiro se n’era andato che le pareva di vederlo ovunque, sicura che non l’avesse davvero abbandonata, ma la stesse seguendo e vegliando da lontano.
Sei solo una sciocca si disse tornando ad ascoltare il racconto dell’elfo. Stava narrando dell’origine della barriera. Matisse conosceva a memoria la storia, era la prima cosa che Ortensia le aveva insegnato, trovava però davvero affascinante la versione dell’elfo, molto più epica e romanzata:
«La piana era disseminata di cadaveri, sangue e fango scorrevano in rivoli, impregnando i mantelli dei guerrieri caduti, il viso esangue rivolto al cielo in un ultimo disperato grido d’addio.
Verbena vedeva tutti i suoi uomini cadere, uno dopo l’altro, folgorati dagli incantesimi dei maghi o avvolti nelle spire di fuoco che erano capaci di evocare. Tutto sembrava perduto, Verbena non sarebbe mai riuscita a debellare quella piaga dal suo regno, eppure i maghi dovevano essere cacciati, fino a quel momento avevano solo seminato paura e morte.
Ormai senza più alcuna speranza volse lo sguardo verso il cielo, il sole stava sorgendo, tingendo di rosa e ocra le nubi, le stelle si stavano spegnendo una ad una. Tra poco ci sarebbe stata la sua riscossa. Si diceva, infatti, che quei maghi, alla luce del sole, essendo figli delle tenebre, perdessero gran parte dei loro poteri e della loro potenza, diventando vulnerabili e inermi.
Verbena approfittò della situazione e fece strage di maghi: la spada roteava nell’aria in una danza mortale e colpita dai raggi del sole spandeva gocce di luce che si tramutavano in lacrime di sangue. Figure avvolte in tuniche nere cominciarono a cadere, come corvi abbattuti da un cacciatore e ben presto ai cadaveri dei guerrieri si assommarono anche quelli dei maghi morenti.
Quanti riuscirono a sopravvivere, ben pochi a dir la verità, vennero cacciati, costretti a fuggire al di là delle montagne e segregati nelle misteriose e desolate terre del nord.
Verbena, però, temeva un loro possibile ritorno ed operò l’ultimo e più grandioso incantesimo: asperse la terra coperta di ghiaccio delle montagne del Morongard con il suo sangue e grazie ad esso eresse la barriera che ora protegge questo regno.
Da allora, ogni singola regina possiede nel suo sangue la capacità di poter mantenere in vita la barriera, poiché discendente di quella che per prima donò il proprio sangue per la salvezza e la protezione del regno»
Matisse a quelle ultime parole rabbrividì, quindi la sicurezza e la difesa del popolo sarebbero dipese da lei e dalla sua stessa vita, una prospettiva davvero allettante.
In realtà non tutti i Maghi erano stati cacciati e costretti all’esilio, Ortensia ne era un esempio: coloro che non usavano direttamente i loro poteri, come Veggenti e Guaritori, avevano avuto il privilegio di rimanere, pur con la clausola di un enorme restrizione dei loro poteri e delle loro azioni.
«Un'altra storia mastro Neren, ve ne prego» pigolò uno degli auditori. L’elfo sorrise dolcemente, ma non si schiarì la gola per iniziare un’altra storia.
«Questa per stasera è l’ultima, signori miei, la notte è ormai scesa, il viaggio è stato lungo, se avrete pazienza, forse, domani, ne ascolterete un’altra» e con un rapido inchino si congedò dal suo pubblico.
Matisse lo vide scivolare via e di nuovo vide uno svolazzo di stoffa nera e uno scintillio cobalto, baluginare da dietro la porta oltre la quale era appena sparito Neren. Scosse la testa devo essere davvero molto stanca, ho le allucinazioni si disse, alzandosi dalla sedia che fino a quel momento aveva occupato.
Sarà meglio andare a letto pensò, cercando Corniolo con lo sguardo: lo vide seduto scompostamente al tavolo dove l’aveva lasciato una o due ore fa, la birra nel suo boccale sobbalzava, rischiando di riversarsi sui pantaloni scossa dalla risata gorgogliante che era appena scaturita dalle labbra dell’ometto, provocata forse da una battuta di Barden che sedeva accanto a lui, sorridendo divertito.
«Io vado a dormire» avvisò Matisse, avvicinandosi ai due
«Dammi un secondo e ti accompagno» borbottò Corniolo alzandosi a fatica dalla sedia, si inciampò in una delle gambe e incespicò, rischiando di spargere tutta la birra sul pavimento
«Non c’è problema tranquillo» disse la ragazza, aiutandolo a ristabilire l’equilibrio «Ma quanta birra hai bevuto?» domandò divertita, mentre l’ometto incespicò nuovamente
«Non abbastanza» borbottò questi, ridacchiando.
Matisse scosse la testa, divertita.
«Buonanotte Barden» disse, trascinando via Corniolo, malfermo sulle gambe
«Buonanotte Matisse» rispose il ragazzo, alzando il boccale nella sua direzione mentre un sorriso malizioso si disegnava sulle sue labbra.
 
«Non mi piacciono le intenzioni di quel ragazzo» mormorò Zefiro tra sé e sé, osservando Barden che beveva tranquillamente dal suo boccale. Era da quando l’aveva visto la prima volta alla fattoria che non gli andava a genio e continuava a non fidarsi di lui, stava troppo appiccicato a Matisse, aveva delle mire, questo era ovvio.
Non sarai geloso? lo stuzzicò una vocina nella sua testa.
Geloso? Semmai preoccupato quel ragazzo è abituato ad ottenere tutto quello che vuole. Con le buone o con le cattive.
Il suo sguardo si spostò su Matisse, che barcollava mentre aiutava Corniolo a salire le scale.
Era stato molto difficile riuscire a seguirla di nascosto e ancora di più sgattaiolare nella locanda senza farsi vedere. Il maltempo aveva sorpreso anche lui e l’unico modo per non morire assiderato o annegato era stato entrare in quella locanda. Fortunatamente era gremita di persone e non sarebbe stato semplice individuarlo in mezzo a tutta quella gente, nel contempo, però, temeva che Matisse, l’avesse scorto.
«Quel ragazzo ha in mente qualcosa» disse tra sé, tornando a fissare lo sguardo su Barden, stravaccato sulla sedia a sorseggiare il suo boccale di birra. Apparentemente pareva un normalissimo ragazzo che si godeva una buona bevanda, ma nei suoi occhi brillava un luccichio malizioso e sulle sue labbra continuava ad aleggiare quel sorriso ambiguo che aveva rivolto a Matisse, augurandole la buonanotte e che non prometteva nulla di buono.
Zefiro fece girare lo sguardo lungo la stanza fino a quando non vide un ragazzino segalino dai capelli color sabbia.
«Mi dispiace Morten, ma per una notte, toccherà a te fare le mie veci» sussurrò e con uno svolazzo di stoffa nera sparì inghiottito dal buio.
 
 


 
***

Mi rendo conto di non aver aggiornato da mesi, mi dispiace tantissimo, chiedo venia ma tra scuola, studio e mancanza di idee o tempo, ho avuto modo solo ora di buttar giù qualcosa.
Spero che mi perdonerete e che questo sudato nuovo capitolo sia di vostro gradimento
Che intenzioni avrà Barden? Sicuramente non buone, ma è tutto quello che vi posso dire ;)
Alla prossima (si spera prima di tre mesi)
Ayr
   
 
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