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Autore: Rosmary    16/12/2014    6 recensioni
{Prima classificata al contest “There’s Something About Draco…” indetto da MmeBovary ˜ DracoxDaphne}
Uno sguardo, una parola, uno sfiorarsi appena erano stati in grado di ammaliare Draco, d’istruirlo sull’infatuazione e le sue irrazionali leggi.
Stavate sorridendo assieme. Era piacevole sorridere con un’altra persona; in genere non sorridevi, ma ridevi malevolo di qualcuno e non t’aveva mai sfiorato l’idea che sorridere con un amico, un conoscente, di più potesse essere tanto appagante.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Serpeverde, Theodore Nott
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la oneshot è scritta senza alcuno scopo di lucro.





 
Veleni


 
Uno sguardo, una parola, uno sfiorarsi appena erano gesti consuetudinari, accessibili a tutti e da te dunque sottovalutati. Per lungo tempo, non eri stato in grado di comprendere quanta ricchezza potessero celare e di quante verità potessero essere depositari: il comune era ai tuoi occhi privo d’importanza, carico soltanto della sozza nomea d’essere alla portata di chiunque.
Un giorno, quand’eri lontano dai pomposi cerimoniali che ti strozzavano la gola, t’accorgesti che uno sguardo, una parola, uno sfiorarsi appena avevano saputo ammaliarti.
Lo sguardo era curioso eppur carico di sdegno, apparteneva a due iridi celesti, così chiare da convincerti che la luce del giorno le avrebbe rese trasparenti.
La parola era un banale no pronunciato senza alcuna intonazione particolare, emesso da labbra rosee, non carnose e non sottili, le avresti definite identiche a tante altre.
Lo sfiorarsi appena erano dei capelli che solleticavano casualmente la tua mano. Le ciocche somigliavano a sottili serpenti che coprivano la schiena: neri, lunghi, ondulati; ti chiedesti se fossero anche velenosi.
Quell’insieme di sensazioni proveniva da un’unica persona, che cercasti in ogni dove, bramando un solo istante in sua compagnia. Non desideravi esserle amico, confidente o di più, ti sarebbero bastati una manciata di minuti per altri sguardi, parole, sfiorarsi appena. Minuti per riviverla.
La ritrovasti nel luogo più banale: la vostra Sala Comune. Protagonista inconsapevole delle tue giornate, leggeva il tema che aveva appena terminato, ostentando un’espressione concentrata e critica. Notasti dettagli di lei che in cinque anni di scuola t’erano completamente sfuggiti: doveva essere miope, perché avvicinava sempre più il viso alla pergamena, e doveva ritenersi poco carina con gli occhiali da vista o forse dovevano darle fastidio, perché giacevano abbandonati sul tavolino tondo assieme ai libri. Era golosa, o sfogava noia e nervosismo mangiando, a giudicare dal sacchetto vacante di biscotti alla crema. E rosicchiava le unghie con i denti – o troppo golosa o troppo nervosa pensasti –, un’abitudine che disprezzavi apertamente, poiché impiastricciava le dita di saliva, rendendole sudice al tatto.
Con tua grande sorpresa, più t’avvicinavi a lei, più aumentavano le probabilità di parlarle e più percepivi il bisogno di umettare le labbra, d’improvviso troppo secche per consentirti di emettere suoni.
Fu quando le fosti accanto, impalato come un allocco e con le dita affondate nelle tasche, che s’accorse di te. Le sue sopracciglia scattarono svelte verso l’alto, il tema venne allontanato e un tacito invito a chiarire la tua presenza lì s’affacciò sul suo viso.
 
“Greengrass,” esordisti.
 
“Malfoy,” ribatté.
 
“Non ci siamo mai presentati.”
 
“È probabile, siamo così tanti qui.”
 
“Dovremmo rimediare, non trovi?”
 
“A dire il vero no.”
 
Nuovamente ti rifilò un no privo d’enfasi o di qualsiasi altra banalissima sensazione. Era un monosillabo cortese, educato, comune. Neanche un sorriso ti rivolse prima di ignorarti in favore del compito di Astronomia.
Stranamente, non provasti fastidio, ma rinnovata curiosità nei confronti di quella coetanea che etichettasti stramba, poiché molto era insensato in lei. Lei che non scherniva Grifondoro e Sanguesporco, che non chiedeva di entrare a far parte della Squadra d’Inquisizione, che professava quanto la McGranitt fosse un’ottima insegnante.
 
“Somiglia a Nott,” riflettesti a voce alta, accorgendoti troppo tardi d’essere stato udito.
 
“Chi somiglia a Theodore?” domandò.
 
Theodore. L’aveva chiamato Theodore. Un prurito insopportabile s’impossessò delle tue mani, contagiando rapidamente i polsi e le braccia e la schiena soprattutto; ma non ti grattasti, eri pur sempre Draco Malfoy e Draco Malfoy non si ridicolizzava comportandosi come una bestia piena di pulci.
Così distratto dai nuovi tormenti fisici ed emotivi da non accorgerti dello sguardo incuriosito di Daphne. Osservava tutto di te, dai tuoi capelli chiarissimi e ben pettinati ai tuoi occhi grigi, ora bistrattati da sensazioni che non avevi mai conosciuto. Non potevi saperlo, che un sorriso aveva colorato per un istante il volto della strega, lusingata da quel tuo sostare accanto a lei, dalla tua evidente voglia di conoscerla.
 
“Hai perso la lingua, Malfoy? L’altra sera l’avevi piuttosto tagliente.”
 
Quelle parole ti sorpresero, non per il contenuto, bensì per l’intonazione. Finalmente t’aveva concesso più dell’insopportabile indifferenza. Aveva lasciato trasparire aspettativa, interesse, desiderio di uno sguardo, una parola, uno sfiorarsi appena.
Ghignasti come un serpente che affondava le zanne in un altro corpo e s’accorgeva ch’era freddo, viscido e letale come il proprio: aveva morso un altro serpente; il veleno si fondeva a veleno e l’un con l’altro si neutralizzavano.
Ricordavi perfettamente la sera cui alludeva, era la sera che aveva cambiato tutto. Incontrata durante una ronda, l’avevi bloccata tronfio, facendo sfoggio della spilla da Prefetto e di quella della Squadra d’Inquisizione. Le avevi detto che il coprifuoco era oramai trascorso da ben dieci minuti, che avresti potuto spedirla dalla Umbridge o da Piton e farle avere una punizione, ma che non l’avresti fatto perché apparteneva alla tua stessa Casa. A quel punto, le avevi intimato di ringraziarti – era il minimo che potesse fare t’eri detto –, ma lei alla tua richiesta aveva puntato le iridi celesti e altezzose su di te, aveva detto no ed era andata via a passo svelto, lasciando ondeggiare i capelli scuri che inevitabilmente sfiorarono la tua mano tesa verso di lei – tesa per esser stretta, ringraziata, e lei l’aveva ignorata.
 
“Non sei stata gentile con me, quella sera.”
 
“Neanche tu lo sei stato con me.”
 
“Può darsi.”
 
“Può darsi?”
 
Stavate sorridendo assieme. Era piacevole sorridere con un’altra persona; in genere non sorridevi, ma ridevi malevolo di qualcuno e non t’aveva mai sfiorato l’idea che sorridere con un amico, un conoscente, di più potesse essere tanto appagante.
Senza rifletterci, sedesti accanto a lei, che si scostò per farti spazio, guidata a sua volta dall’istinto.
 
“Conosci Nott?” chiedesti memore del prurito che, seppur lenito, ancora t’infastidiva. Daphne annuì e non aggiunse altro, divertita dalla tua impacciata indagine. “Anche io. Ma non mi ha mai parlato di te, e noi parliamo molto.”
 
“Non sono così interessante, Theodore parla solo di cose interessanti.”
 
“Theodore parla anche di molte cose stupide,” sputasti irritato.
 
“Mi stai dando della stupida?”
 
Eri più che pronto a negare, ma lei aveva in viso un’espressione intrigante che ben ti chiarì la natura dell’insinuante interrogativo: ancora una volta, scherzava con te.
A tua volta desti alle labbra una parvenza sghemba, annuendo distrattamente e muovendole silenziose in un bugiardo ovviamente che lei colse svelta e vivace.
Rapito da quel gioco tutto nuovo, l’irritazione scemò e non t’importò più di capire come conoscesse Theodore, quale tipo di rapporto condividessero, perché lei avesse mostrato di stimarlo tanto – parla solo di cose interessanti.
Le ore trascorsero e nessuno di voi sembrò accorgersene, fu Vincent a bussare brusco alla tua spalla, ricordandoti che era quasi ora di cena e che non aveva intenzione alcuna di far tardi e perdere l’opportunità di riempirsi il piatto sino a veder traboccare il cibo. Vedesti Daphne storcere il naso a quella manifestazione d’ingordigia, preoccupandosi di riporre i suoi libri nella borsa, salutarti con un bacio sulla guancia e ignorare completamente il tuo amico.
 
“Non era la Greengrass quella?” domandò curioso Gregory, che vi aveva raggiunti tutto trafelato.
 
“Già, proprio la Greengrass,” confermasti con un ghigno vanesio. “Bella, vero?” proseguisti, voglioso di veder dipinto lo stupore e l’ammirazione sui visi dei due ragazzi.
 
“Se lo dici te,” disse Vincent, marciando spedito verso la Sala Grande. “Pansy è meglio.”
 
“No, meglio la Greengrass. Com’è che si chiama, Draco? Debbie? Darcey? De…”
 
Daphne, Gregory, si chiama Daphne. Come fai a essere così cretino da confonderlo con Debbie?”
 
“Datti una calmata. Quando mai l’abbiamo considerata a questa,” ribatté l’interessato, scambiando un’occhiata perplessa con Vincent, che scosse il capo in segno di mancata comprensione.
 
Tuo malgrado, ti ritrovasti ad annuire ragionevole all’appunto di Gregory: in fondo, prima di quel contatto non t’eri mai soffermato su di lei, non perché non fosse abbastanza graziosa, ma perché avevi già Pansy con te, era lei la ragazza delle tue giornate.
Pansy era in grado di comprendere la tua arroganza e i tuoi soprusi e di disseminarne altrettanti, aveva gli occhi luminosi quando ti guardava e amava trascorrere del tempo in tua compagnia. Pansy era tua amica, forse la tua unica amica, nonostante avessi in più occasioni intuito che fosse un tantino invaghita di te – una consapevolezza in grado di alimentare autostima e vanità in modo indicibile, capace di viziarti.
Daphne era qualcosa di diverso: t’elettrizzava, t’entusiasmava, t’allontanava dalla realtà averla accanto. Daphne ti piaceva ed era stato sufficiente un mero incontro affinché riuscisse a insinuarsi nei tuoi desideri – incredibile. Iniziavi a capire il motivo che portava i più a definire l’amore irrazionale e improvviso, iniziavi a capire sul serio.
 
“Ora voglio considerarla, e nessuno di voi deve fare altrettanto.”
 
“Ti piace?”
 
Guardasti Vincent come avresti guardato una formica tanto stupida da avvicinarsi alle tue scarpe. E avresti davvero voluto schiacciarlo per averti posto quella domanda indiscreta, ma ti limitasti ad esternargli il tuo sdegno e il tuo disappunto, costringendolo a chinare il capo e lasciar cadere qualsiasi altra curiosità su Daphne Greengrass.
 
*
 
La parete era gelida e la tua schiena era oramai ghiacciata nonostante il pesante maglione a coprirla. Le dita fremevano spaventate tra i serpenti neri – e se avessi sbagliato qualcosa? –, la salivazione t’aveva abbandonato pur umettando più e più volte le labbra, cercando di renderle meno ruvide.
Erano due settimane che la tua mente immaginava quel momento e in un nessuna fantasia eri tu quello incastrato tra un muro e un corpo, in nessuna eri tu a tremare.
Avevi Daphne a un soffio dal tuo viso, con le sue dita ad artigliarti le spalle per tenersi in equilibrio sulle punte, così da poter rendere vani i centimetri che vi separavano. Percepivi il suo corpo caldo contro il tuo, gli indumenti non sapevano affievolire l’elettrizzante sensazione che t’istruiva schiavo.
 
“Ti ho messo con le spalle al muro,” scherzò lei.
 
“Così sembra,” concedesti, “ma ci sei riuscita solo perché sono stato io a volerlo.”
 
Intravedesti un luccichio nuovo nelle iridi chiare, come se un’emozione sconosciuta le avesse sorprese e conquistate. “Quindi, ti piace essermi così vicino?”
 
Daphne era disarmante: schietta o sfacciata? Probabilmente non avresti mai risolto l’arcano, ma qualsiasi cosa fosse, a te piaceva. Le sorridesti sghembo e, acquisendo maggiore sicurezza, guidasti le tue dita dai lunghi capelli ai fianchi, affondando lì i polpastrelli, voglioso di bucarle le inutili vesti e sfiorarle la pelle. Godesti nel vederla finalmente preda di tuoi gesti e t’apparve ancora più bella e ammaliante con gli occhi socchiusi – occhi che ancora si sforzavano d’essere guardinghi – e le mani tremule e le labbra strette per impedirsi di deglutire.
Nei giorni appena trascorsi l’avevi cercata, trovata, vissuta. T’eri dimenticato dei tuoi amici, avevi ignorato il mutismo iroso di Theodore e a lei sola t’eri dedicato. Daphne aveva mostrato di gradire le tue incursioni nelle sue giornate, sorridendoti sempre più spesso, scherzando con te, cercando le tue mani, il tuo volto – uno sguardo, una parola, uno sfiorarsi appena non vi bastavano più. Avevi potuto conoscerla quando il cielo mattutino rendeva trasparenti i suoi occhi e tanto di lei avevi scoperto: era miope, ma gli occhiali le davano prurito al naso – che buffo t’eri ritrovato a pensare –, era ansiosa, costantemente convinta di non aver studiato abbastanza o d’aver espresso male un concetto e allora eccola mangiucchiarsi le unghie o ripiegare su dolcetti alla crema – detestava il cioccolato – e aveva la Umbridge in antipatia per aver ridotto Hogwarts a una prigione – a lei andava benissimo la pacatezza di Silente.
T’eri spesso chiesto quanti altri mondi celasse in sé, quanto di lei ti fosse ancora sconosciuto. Te lo domandavi anche ora che eravate soli in un semibuio corridoio della scuola.
 
“Stiamo violando il coprifuoco, lo sai?” chiedesti mentre poggiavi la fronte sulla sua.
 
“Vuoi punirci? Sei tu di ronda qui,” ribatté assecondandoti.
 
“Non lo so, dovrei.”
 
“Non c’è nulla che possa farti cambiare idea?”
 
Può darsi.”
 
Può darsi?
 
Sfuggì a entrambi un timido sorriso al ricordo di quel primo scambio di battute, ora replicato per puro vezzo o forse per sottolineare che qualcosa era cambiato da allora.
Vi concedeste istanti di fragoroso silenzio per scrutarvi ancora, avvicinarvi, rabbrividire l’uno contro l’altra. Ignoravi che lei stesse maledicendo la propria iniziativa, che desiderasse ardentemente non averti mai spinto contro la parete per gioco, minacciandoti ridacchiante con la bacchetta di eseguire i suoi ordini, perché ora avrebbe gradito potersi abbandonare alla parete e trarne sostegno. Ora che la tua vicinanza riusciva a negarle l’equilibrio.
La punta del suo naso sfiorò accidentalmente la tua e quel contatto vi piacque, emozionò te e anche lei, che vedesti arrossire per la prima volta. Non ti stupì il trovarla ancor più attraente con quel color porpora sulle gote bianche, ogni cosa diveniva perfetta su Daphne e la tua baldanza vacillava dinanzi a lei.
Le baciasti quel naso sbadato e ambedue le guance e il mento, senza mai allontanare le labbra dalla sua pelle. Le sue dita erano sempre più strette sulle tue spalle, sempre più vogliose di stabilità. Non avevi mai baciato una ragazza, non sul serio. La tua esperienza era tutta in un bacio dato a Pansy l’anno prima, un contatto a fior di labbra che non aveva saputo coinvolgerti.
 
“Non vuoi baciarmi, Draco?”
 
Un sussurro quello di Daphne, solo un sussurro – schietta o sfacciata?
Vincendo paure, insicurezze, ansie, decidesti che le avresti mostrato il tuo monosillabo, il tuo . Dapprima ti limitasti a sfiorarle la bocca e percepisti Daphne irrigidirsi tra le tue braccia. Incrociaste gli sguardi, v’accorgeste d’averli carichi di maliziosa curiosità e questo riuscì a spronarti a proseguire, ad esigere di più. Lambisti le sue labbra nel tentativo di conoscerle, studiarle, capirle. Ben presto, le mani di Daphne abbandonarono le spalle, adagiandosi sul tuo petto, artigliando la stoffa del maglione, mentre lei si sbilanciava in avanti, contro di te, come se desiderasse annegarti dentro. Ti ritrovasti ad abbracciarla, a stringerla e baciarla con crescente passione e ardimento.
In quell’istante, stretto a lei, tutto ti sembrava essere meraviglioso. Non t’eri mai sentito così appagato, così giusto e ti convincesti che Daphne fosse venuta al mondo per te, che v’eravate ignorati per cinque anni affinché poteste scoprirvi quando avreste saputo riconoscere e padroneggiare delle sensazioni tanto forti.
Allontanasti le labbra dalle sue solo per respirare – non avresti mai dovuto farlo. Guidata dall’inconscio traditore, Daphne distolse lo sguardo da te e lo volse verso il corridoio che credevate vacante, una sola occhiata fu sufficiente a dipingerle nuovamente il viso di bianco e farla indietreggiare barcollando.
 
“Theodore…”
 
“Nott?” le facesti eco, puntando gli occhi sulla figura che aveva trascinato la giovane lontano da te.
 
Theodore Nott se ne stava impalato e silenzioso, con quell’aria ingannevolmente sciocca in volto e la piccola bocca sigillata da un evidente disgusto. Aveva i pugni serrati, le nocche pallide e tutti i muscoli tesi.
Ti tornò alla mente la prima volta che avevi parlato davvero con Daphne e tutti gli episodi strani che avevi volutamente ignorato – ma no, non poteva essere.
 
“Addirittura Malfoy, devo farti un plauso. Ha pesato di più che fosse uno dei pochi col sangue pulito e l’aspetto passabile o che fosse mio amico?”
 
Una domanda diretta e brusca, tipica di Nott, che non era mai stato votato al temporeggiare. Lui andava dritto al sodo, sempre. Ma qual era il sodo? Qualcosa ti sfuggiva, ti sfuggiva nonostante l’avessi proprio lì, dinanzi a te.
 
“Cosa sta dicendo, Daphne?” domandasti.
 
Lei non ti guardò: aveva occhi solo per l’altro. La osservasti agghiacciato mentre sistemava il maglioncino della divisa, i lunghi serpenti neri e velenosi, ricomponendo il proprio aspetto. Mosse alcuni passi verso Theodore, ignorandoti come aveva fatto sino a due settimane prima. Sul suo volto né determinazione, né imbarazzo, né nulla, sembrava anzi essere l’ostaggio di un miscuglio male assortito di sensazioni, l’una pronta a contraddire l’altra e l’altra a contraddire l’una in un circolo senza fine. Avesti l’assurda sensazione che si sarebbe sdoppiata, se avesse potuto: una lei a te e una lei a Theodore.
 
“Entrambi,” esordì verso Nott, cancellando tutti i tuoi ragionamenti. “Ora lo capisci? Ora che mi hai vista con un altro, lo capisci? Non sono un’amica per te, non lo sono mai stata, me lo stai dimostrando ora, ora che scoppi di rabbia e gelosia.”
 
Un altro. Eri tu l’altro, non Theodore che s’era presentato nel momento meno opportuno, squarciando la vostra tela di perfetta sintonia. Tu. Montò la collera in te e il prurito alle mani e anche il capogiro, tutto venne a scuoterti, a ringhiarti contro, a rimproverarti l’ingenuità con cui t’eri donato a quella traditrice che ora dispensava i suoi menzogneri sorrisi a un ragazzo diverso da te.
Con occhi sbarrati dall’ira – per te stesso, per lei – guardasti il tuo vecchio amico indirizzarti un’occhiata di biasimo, come se avessi dovuto sapere che la Greengrass gli apparteneva, e poi tendere la mano a lei, che l’accettò con una titubanza che giudicasti ipocrita.
Senza degnarti di qualsivoglia attenzione, la tua Daphne andò via a testa bassa con Theodore Nott.
 
*
 
“Non vieni a Hogsmeade?”
 
“Ho già detto di no a Tiger e Goyle.”
 
“Non l’hai detto a me, però.”
 
“Fuori di qui, Nott, levati di torno.”
 
Le ultime parole erano state pronunciate con voce categorica, t’eri persino sollevato dal letto e messo in piedi per donare loro maggiore forza.
Quella domenica, come le due precedenti, ti trovava vestito di tutto punto, con aria imbronciata e nessuna voglia di lasciare la stanza del dormitorio. Da quella notte, non avevi più rivolto la parola né a Daphne, né a Theodore, nonostante la prima ti guardasse continuamente con l’aria di chi aveva molto da dire e il secondo ti avesse più volte fermato in Sala, nei corridoi, ovunque con la voglia di spiegarti.
Ma a te non importavano scuse, chiarimenti, niente; tu non concedevi perdono a nessuno, chi sceglieva di tradirti doveva subire anche le conseguenze, senza sconto alcuno. T’eri sentito così umiliato, così stupido in quel corridoio, ch’avevi giurato a te stesso che mai più saresti stato un burattino, mai più ti saresti lasciato usare e abbandonare come uno sciocco. Mai più. Avevi commesso un errore e, t’eri detto, avresti dovuto trarne una magistrale lezione per non esser più preda dei voleri altrui.
 
“Sei ancora qui?” sbottasti verso la sgradita figura di Theodore.
 
“Ti ricordo che è anche la mia stanza,” ribatté pacato.
 
“Ottimo. Allora fa’ quel che devi senza importunare me.”
 
“Lei mi ha lasciato, mi ha lasciato per te.”
 
Ancora una volta Theodore non smentì il proprio modo d’essere: secco, diretto, crudo. Tu che lo conoscevi potesti cogliere la collera di cui era impregnata ogni singola lettera pronunciata. E avresti volentieri inveito contro te stesso in quel momento, perché sollevasti gli occhi grigi su di lui e ti apristi in un’espressione soddisfatta, sorpresa, felice. Tutte sensazioni effimere, presto e malamente scacciate dalla diffidenza, che svelta ripulì le macchie d’ingenuità e t’obbligò a domandarti quale gioco stesse conducendo quel ragazzo che conoscevi sin da bambino, che avevi imparato a stimare, a considerare un tuo pari, un amico.
Lo lasciasti parlare senza smettere di scrutarne volto e movenze, voglioso di intercettare qualsiasi cedimento o indizio che potesse svelarti le sue reali intenzioni. Ti raccontò della sua amicizia con Daphne nata al vostro terzo anno, quando l’aveva aiutata a sbarazzarsi di una sgradevole pianta regalatale da una pomposa prozia; da allora, ti disse, avevano preso l’abitudine di trascorrere molto tempo insieme, curandosi di celare al mondo ficcanaso quel qualcosa di bello che condividevano. Erano poi cresciuti e l’amicizia era evoluta in attrazione reciproca e l’attrazione in innamoramento.
 
“E poi?” chiedesti vinto dal bisogno di sapere.
 
“Poi ho avuto paura. Mi sembrava tutto troppo importante, abbiamo solo quindici anni, e l’ho lasciata, le ho detto che avevamo sbagliato, che non eravamo niente più che amici.”
 
“Perché non mi hai parlato di lei?”
 
“Non mi avresti ascoltato.”
 
Annuisti, consapevole che la ragione, almeno in quello, patteggiasse per lui. Non eri quel tipo di amico che accoglieva le pene d’amore, i drammi e le confidenze più intime. A te non importavano certe questioni: che ognuno le tenesse per sé, che non costringesse gli altri a subire i propri lamenti.
 
“Ora è lei a dirmi che siamo solo amici. È stata disponibile con te per farmela pagare, è vero, ma credo che di te si sia invaghita sul serio.”
 
“Lo credi o lo sai?”
 
“Lo so, me l’ha detto.”
 
“E perché sei tanto magnanimo da dirmelo?”
 
Ghignò divertito, mostrandoti i palmi delle mani. “Mi arrendo, Draco.”
 
“Rispondi.”
 
“Se vuoi saperlo, spero che vada malissimo tra voi due, così male da farla tornare da me prima di subito con la coda tra le gambe. Ma non riesco a vederla sola e silenziosa in un angolo, sono stato suo amico per troppo tempo per poterlo sopportare. Quindi, se vuole te, che si prenda te, tanto...”
 
“Quanto altruismo per un Serpeverde,” l’interrompesti malevolo.
 
“Non fraintendermi. La conosco e non credo possa durare tra voi, lei si stancherà, rivorrà me. Ma deve starci, con te, per accorgersi che sta sbagliando tutto.”
 
Ancora una volta annuisti, per nulla scioccato dalla confessione di Theodore – dopotutto, eravate fatti alla stessa maniera, comprendevi il suo egoismo.
Lo invitasti ad andar via, e solo quando lui acconsentì ti lasciasti vincere da una risata vera ed elettrizzata – lei voleva te. Di nuovo tramanti le tue mani e le tue labbra secche, di nuovo preda del fascino che Daphne sola sapeva esercitare su di te.
Infilasti il giaccone, la sciarpa e i guanti e uscisti dalla tua camera, lasciandoti alle spalle la solitudine e l’amarezza. Elegante sfilasti sino alla Sala Comune dove sapevi che avresti trovato la giovane che quest’oggi t’avrebbe accompagnato al piccolo villaggio magico a prendere un tè da Rosmerta.
T’avvicinasti a lei con un gran sorriso, ignorando i borbottii delle ragazze con cui s’era intrattenuta sino a quel momento.
 
“Speravo fossi ancora qui. Cosa ne dici di me, te e Hogsmeade?”
 
Sorrise radiosa, dimentica di coloro che le erano intorno, e s’alzò ancor prima di risponderti, cingendo la pregiata mantellina verde smeraldo e allacciandola al collo. “Dico che è una splendida idea.”
 
Le tue labbra s’incurvarono verso l’alto mentre le porgevi la mano e lei rapida l’accettava. S’avvicinò a te e ti posò lusingata un bacio sulla guancia, come a voler dimostrare a chiunque vi stesse osservando il grado di confidenza che intercorreva tra voi. Ma a te non bastava, e le sfiorasti le labbra con le tue, godendo di quegli occhi sorpresi ma contenti e delle dita sempre più strette nelle tue. 
Fu lasciando la Sala Comune che il tuo sguardo cercò e trovò la strega dalle iridi trasparenti e i capelli come serpenti: era con la schiena poggiata al muro e ti fissava con malcelate delusione e rabbia. Non le rivolgesti alcun cenno, limitandoti a stringere Pansy a te.
Se solo le avessi parlato, l’avresti scoperta mortificata e preda del suo stesso tranello. T’avrebbe confessato che da ripicca eri divenuto protagonista delle sue fantasie, ch’eri riuscito ad ammaliarla al punto da convincerla che volesse te al suo fianco, non Theodore – ma era stata così cieca da non capirlo al momento giusto. Avrebbe mormorato scusa sulle tue labbra, chiedendoti di concedervi una nuova e pulita possibilità.
Se solo le avessi parlato… Ma eri ferito e una bestia ferita era in grado solo di ferire a sua volta.
 
*
 
Un serpente che mordeva un serpente assisteva allo scempio di veleni che osavano neutralizzarsi a vicenda, ma un serpente che trascorreva del tempo assieme al fratello morso s’accorgeva che i veleni, presto o tardi, tornavano in possesso di tutte le proprie letali qualità, ed era allora che si davano battaglia, certi che uno dei due rettili dovesse necessariamente perire.
 
Voi due, quel giorno, periste entrambi.






 
La storia partecipa al contest “There’s Something About Draco…”.
Note: l'amicizia tra Draco e Theodore ha radici nella dichiarazione della Rowling riguardo al rapporto tra i due, che si ritengono tra loro pari. Nello strutturare la storia ho trovato plausibile che Daphne e Draco avessero una conoscenza superficiale sia perché nei libri non si accenna mai a Daphne in riferimento a Draco, sia perché a Hogwarts sono così tanti studenti che è abbastanza improbabile si frequentino tutti (la stessa Hermione cita sempre e solo due compagne di dormitorio, nonostante in ogni stanza ci siano cinque letti).
   
 
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