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Autore: Kalibrah    19/12/2014    2 recensioni
Non ero un oggetto, non più almeno. Prima o poi lo avrebbero capito tutti nella Lega, anche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ahri, Yasuo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Settantatre minuti. Quel match stava andando avanti da settantatre minuti, e tale era il tempo in cui ero stata lasciata ad aspettare in quella stanza, ad aspettare il Campione del match che avrei poi dovuto “intrattenere”. Il Tribunale era stato chiaro, dovevo rimanere li e pazientare fino alla fine della partita, per poi soddisfare ogni più strana fantasia del campione del giorno. Il giorno in cui avevo chiesto di far parte della League of Legends non era questo ciò che volevo, e se avessi saputo che le intenzioni del Tribunale erano queste sin dall’inizio, non le avrei mai accettate. Ma ora era troppo tardi, ero vincolata da un contratto che mi obbligava a prestare servizio nella Lega per un intero anno. Volevo combattere, assorbire le essenze vitali dei miei avversari senza farmene un peso sulla coscienza, volevo redimermi dalle azioni passate ma allo stesso tempo sentirmi viva. Volevo far parte di un gruppo, sentirmi accettata pienamente dagli umani come una di loro, ma il Tribunale non mi permetteva nemmeno di guardare il match da dietro le quinte. Non ero nemmeno a conoscenza di quali fossero i campioni in campo quel pomeriggio, tutto ciò che sapevo era che dovevo aspettare pazientemente quella che sembrava un’eternità. Attendere. Quella era la mia condanna, ero costretta ad attendere, a volte pochi minuti ed a volte ore, per poi essere trattata come una misera cortigiana da pochi soldi. 
 Cominciai a desiderare di essere un’umana sin dal primo momento in cui ne vidi uno. Nel mio clan gli umani erano temuti, si diceva fossero esseri spietati ed egoisti che uccidevano noi volpi per divertimento, per puro sadismo. Mia madre mi aveva sempre avvisata di fuggire se solo avessi sentito l’odore di uno. Ma io ricordavo bene il giorno in cui vidi un umano per la prima volta. Ero caduta in un piccolo fosso mentre cacciavo, e scivolando mi ero ferita una zampa. Avevo pianto ed atteso per quello che era sembrato un tempo interminabile, stanca, ferita ed affamata. Sapevo che mia madre sarebbe venuta a cercarmi prima o poi, ma ci sarebbero volute delle ore prima che mi avrebbe trovata. Mi maledissi per essermi spinta così lontana a cacciare, vicina al confine del territorio degli umani. Probabilmente il fosso in cui ero scivolata era anche opera di un umano a caccia. Attendere. L’attesa di un qualche avvenimento era sempre stata una mia condanna sin da quando ero una volpe. Rimasi intrappolata li per quelle che sembrarono ore interminabili, dandomi quasi per vinta. Finchè non apparve lui, una figura alta e scaltra, lo sentii parlare una lingua che non conoscevo, versi strani e mai sentiti prima. Rimasi impressionata dal suo sguardo, misterioso e al contempo dolce, ma ciò che mi colpì maggiormente di lui fu che parlava con il vento, vento che aveva ascoltato le mie preghiere di soccorso e lo aveva condotto fino a me. Mi aiutò con cura e gentilezza ad uscire da quella trappola che sarebbe stata altrimenti mortale per me e mi prestò cure di primo soccorso, medicandomi alla meglio la ferita. Il suo atteggiamento verso di me era totalmente opposto rispetto a quello che mi avevano sempre insegnato sugli umani, volevo saperne di più, volevo conoscere ogni cosa del loro mondo e delle loro usanze, volevo conoscere di più su quell’umano, che una volta accertatosi delle mie condizioni sparì così come era arrivato, misteriosamente, lasciandomi a memento una melodia strana e dal ricordo confuso dal tempo passato. Non ricordavo molto di lui, e forse non avrei saputo nemmeno riconoscerlo nel caso lo avessi incontrato nuovamente, ma poco importava ora che ero vincolata da un contratto pattuito con l’inganno… 
 La porta della stanza in cui ero rinchiusa si aprì, risvegliandomi dai miei pensieri e riportandomi alla triste realtà. 
 “Forza piccola volpe, il match è finito, ora tocca a te fare la tua parte, campionessa 
 Disse con sarcasmo una guardia, entrando nella stanza e ridendo nell’accompagnare  il campione del giorno. 
 Urgot. 
 La vista di quell’essere inumano mi fece rabbrividire, ed involontariamente presi ad agitare le mie code freneticamente, tentando di mantenere la calma, sperando che quella fosse solamente una presa in giro. 
 “State scherzando…” 
 Dissi con un filo di voce, osservando quell’abnorme creatura avvicinarsi lentamente e goffamente a me, respirando affannosamente e guardandomi con occhi vitrei e perversi. 
 “Forza Ahri, non è poi così male, non è educato ferire i sentimenti delle persone” 
 Ferire i sentimenti? Quella “Cosa” aveva dei sentimenti? Non credo fosse nemmeno in grado di riprodursi, con il corpo che si ritrovava… Mi scansai disgustata non appena Urgot allungò un braccio verso di me, tentando di afferrarmi, guardandomi con disappunto e disprezzo per il mio rifiuto. 
 “Sai che non ti è consentito rifiutare o lamentarti, fa poco la schizzinosa e sbrigati.”
 No, tutto ma non quello. Per mesi ero stata costretta a subire ed assecondare fantasie di ogni tipo di esseri umani e non, restando in silenzio e senza lamentele di alcun tipo, ma quello era veramente troppo. Mi allontanai da quel mostro con un balzo, avvicinandomi alla porta e fissando la guardia, che nel frattempo si era parata davanti all‘uscita, intenta a bloccarmi la strada. 
 “Albert, per favore, potresti farmi passare?” 
 La guardia mi osservò in difficoltà, sapeva già cosa lo aspettava. Lo guardai negli occhi ridacchiando, avvicinandomi a lui con fare sdolcinato. Nell’assorbire l’anima di quell’umano caduto in battaglia avevo ereditato anche i suoi poteri, e la mia natura da volpe amplificava le mie doti rendendomi capace di incantare ogni essere con un semplice sguardo o una risata. 
 “Ahri… Non… di nuovo…” 
 La guardia mi si avvicinò lentamente, ammaliata dal mio sguardo, lasciando libero il passaggio per qualche istante sufficiente a farmi scappare da quella prigione. Balzai fuori dalla porta ridacchiando, girandomi verso di loro e salutandoli con una mano. 
 “Divertitevi voi due, se avete bisogno di me mi troverete nella Landa degli Evocatori” 
 Con un colpo di coda chiusi la porta dietro di me, sentendo le grida di protesta di entrambi mentre correvo via da quella prigione, diretta al Tribunale piena di speranza ed aspettative, certa che sarei riuscita a convincerli a farmi scendere in campo. 


 Nota dell'autrice  
 L'odio che mi sale per il fatto che molte frasi non rendano se tradotte dall'Inglese all'Italiano... URGOT TO BE KIDDING ME
Si, lo so, devo scrivere, pubblico sempre robe e poi non le continuo, devo vergognarmi...  
 Mi sono sentita in dovere di dedicare un qualcosa al povero Urgot, che non è nemmeno inserito tra i personaggi delle possibili fanfic qui

 
  
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