Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: violaserena    22/12/2014    1 recensioni
La vita di quattro ragazzi sta per cambiare radicalmente. Improvvisamente verranno catapultati in un mondo diverso dal loro, un mondo che credevano esistesse solo nei libri o nei film. Un'oscura e terribile minaccia incombe in quel luogo. Riusciranno a sventarla prima che sia troppo tardi? Ma, soprattutto, riusciranno a tornare a casa?
Tratto dal capitolo 2: "...qualcosa di oscuro, nell’ombra, si sta muovendo. Molti uomini, elfi, nani… sono improvvisamente scomparsi. Le Terre dell’Est si stanno inaridendo, gli alberi appassiscono, la gente muore per mancanza di cibo. L’oscurità avanza velocemente e, temo, che presto arriverà anche qui".
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 14

 

Giulio, Alessandro, Coco, Edoardo il Temerario e Galdor avevano lasciato il palazzo reale già da qualche giorno e si stavano dirigendo nel regno degli gnomi dell’Arcobaleno.
Coco, infatti, aveva detto loro che chi avesse trovato la fine dell’arcobaleno avrebbe trovato una pentola piena di monete d’oro o, in alternativa, avrebbe potuto esprimere un desiderio.
Questo voleva dire che Giulio avrebbe potuto chiedere di riportare in vita Sonia e Federico e risvegliare Giovanni.
«Ci vuole ancora molto?» domandò il giovane.
«No, siamo quasi arrivati. Tuttavia, prima di proseguire, dovete farmi una promessa» disse lo gnomo.
«Si, certo! Tutto quello che vuoi» lo incalzò il pirata.
«Come sapete la fine dell’arcobaleno non dovrebbe essere mostrata, ma andrebbe trovata. Però, dal momento che Giulio ha salvato tutti noi, è meritevole di vederla. Nessuno di voi, qualora riconosca il luogo, dovrà farne menzione. Ho la vostra parola d’onore?».
«Hai la mia parola» annuì il principe. Lo stesso affermarono gli altri.
«Bene, ora vi devo bendare. Non dovete sapere quale strada percorreremo».
Uno dietro l’altro, privi della vista, proseguirono lentamente.
Dall’odore di aghi di pino Giulio dedusse di star camminando in un bosco.
Procedettero ancora per alcune ore, senza fare alcuna sosta.
«Siamo arrivati».
Ognuno di loro si tolse la benda. Si accorsero di trovarsi su di una rupe e di avere davanti a loro la fine dell’arcobaleno. Quest’ultimo si riversava al di là di un fitto numero di alberi.
«Allora, dov’è la pentola con le monete d’oro?» chiese con una strana luce negli occhi Edoardo il Temerario.
Alessandro aveva portato la mano alla spada, mentre Galdor era pronto ad incoccare l’arco.
Notando il gesto dei suoi compagni, il pirata sbuffò e poi, senza volerlo, spostò lo sguardo su Giulio.
Tristezza e speranza potevano essere letti sul volto provato del giovane.
«Eh va bene, lo ammetto! Non mi sarebbe dispiaciuto prendere per me la pentola, ma non lo farò. C’è qualcuno che, in questo momento, ne ha più bisogno di me» affermò Edoardo, alzando le mani in segno di resa.
«Ero sicuro che, in fondo, avessi un buon cuore» gli disse il figlio di Filippo.
Il pirata voltò la testa da un altro lato e borbottò qualcosa.
«Abbiamo trovato un bucaniere generoso!» continuò l’elfo.
«Potrei cambiare idea se non la smettete».
Coco, intanto, si era avvicinato all’arcobaleno. Toccò tutti i colori secondo una precisa sequenza e poi indietreggiò.
Un lampo di luce invase la rupe, abbagliando i presenti.
Quando tutto tornò alla normalità, una nera pentola si trovava davanti a loro.
Uno gnomo vestito di verde, molto più piccolo di Coco, sbucò fuori da essa.
«Benvenuti! Per essere giunti fin qui, riceverete un premio. Oro o un desiderio: qual è la vostra scelta?» domandò il piccolo esserino.
Galdor fece segno a Giulio di farsi avanti. «Desiderio».
«Bene, la scelta è stata fatta. Ora dimmi, che cosa desideri, mio giovane amico?».
Il ragazzo stava per parlare quando una strana nebbiolina nera ricoprì la rupe.
Tutto diventò buio e la visibilità si ridusse notevolmente.
I presenti estrassero le loro armi, tentando di individuare il possibile nemico che si celava nell’oscurità.
Giulio sentì, di nuovo, una fitta al petto e la mano in cui teneva il pugnale bruciargli.
«Enoren!» gridò il giovane.
Una lugubre risata rimbombò tutt’intorno.
«Ma com’è possibile? Non dovrebbe essere morto?» domandò stupito Galdor.
Un urlo agghiacciante raggelò il sangue dei presenti.
Man mano la nebbia si diradò, lasciando intravedere il corpo senza vita dello gnomo della pentola d’oro.
«No, non può essere…» esclamò esterrefatto Giulio.
La rabbia gli ribollì nelle vene. Avevano raggiunto la fine dell’arcobaleno e, ora, tutto era perduto.
Senza neanche accorgersene scattò in avanti colpendo con il pugnale la figura che si stava componendo nella nebbia.
«Questa è la mia vendetta» gli sussurrò il Sovrano delle Tenebre prima di scomparire per sempre.
La parte di Enoren che era racchiusa nell’arma di Caio il Grande si era manifestata in un momento totalmente inatteso e aveva distrutto la speranza di riportare in vita Sonia e Federico e di risvegliare Giovanni. Quella parte, ora, si era definitivamente estinta: il pugnale era stato privato dell’essenza malvagia del re di Lumbar.
Giulio si buttò a terra battendo i pugni.
Tutto era finito, finito in maniera diversa da come si aspettava.
Era partito con la convinzione di rivedere i suoi amici, tornava con la consapevolezza di non poterli più avere accanto.
Alessandro e gli altri erano sgomenti per quello che era accaduto ed erano arrabbiati con se stessi per non essere riusciti ad evitare una simile situazione.
Il ritorno ad Albadorata procedette senza allegria.
Giunti a palazzo riferirono al re quel che era accaduto e poi andarono nella stanza in cui si trovava Giovanni.
«So che quello che sto per dirti non colmerà il tuo dolore, ma voglio che tu non lo dimentichi. I tuoi amici, anche se non sono fisicamente qui presenti, saranno sempre con te. Fino a quando tu ti ricorderai di loro, essi non ti abbandoneranno. Preserva la loro memoria e continua a vivere per loro» gli disse il principe.
Il ragazzo gli sorrise. «Lo farò».
Dopo qualche giorno, Giulio fu condotto davanti ad una porta che l’avrebbe riportato nel suo mondo, sulla Terra.
«Abbi cura di te» affermò Coco.
«Certo. Statemi bene anche voi».
«Quando tornerai?» domandò Edoardo il Temerario.
«Non lo so. Prima devo andare dai genitori di Federico, Sonia e Giovanni e dare loro la brutta notizia. Appena avrò fatto ciò, tornerò. Gigia è ancora vivo e, finché ci sarà speranza, io sarò con lui».
«A presto» lo salutò Galdor.
«Oh Messer Giulio, quando tornerete vi farò sentire la mia opera! Sono sicuro che la apprezzerete» esclamò Zeffirello.
«Ne sono sicuro. Non c’è nessun musico migliore di te».
Giulio abbracciò tutti, strinse la mano al re, alla regina e a Messer Carlo.
«Ricorda» gli sussurrò Alessandro.
Il ragazzo gli fece un cenno di assenso con la testa, poi si voltò ed oltrepassò la porta, accompagnato dalla melodia prodotta dal liuto che Zeffirello aveva incominciato a suonare.
Percorse un lungo corridoio, molto simile a quello che aveva attraversato quando era arrivato nella Terra dell’Infinito. C’era però qualcosa di diverso: quattro quadri.
Giulio, vedendoli, sorrise: quei quadri rappresentavano lui ed i suoi tre amici.
Una luce, in fondo, segnava il confine tra i due mondi. La oltrepassò e si trovò nel luogo da cui era partito: Piazza Solferino, davanti alla fontana.
Ripensò a tutto quello che era accaduto, a com’era e a come era diventato.
Quell’avventura l’aveva cambiato, l’aveva reso più consapevole.
Improvvisamente, gli venne in mente una poesia di Giorgio Caproni che una sua professoressa aveva letto in classe l’ultimo giorno di scuola, quando lui faceva ancora il liceo.
Si intitolava “Congedo del viaggiatore cerimonioso”.

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi
per l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio)’ confidare.

(Scusate. E una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare.)

Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto se io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento.

Giulio sorrise. Come le quattro stagioni erano unite, benché ognuna fosse presente in un periodo diverso, così lo erano lui ed i suoi amici. Ora, però, questo era il suo momento, la sua stagione. Tuttavia era sicuro che, presto, sarebbe arrivata anche la stagione degli altri.
«Sono tornato» disse incamminandosi verso casa.
 

 

Angolo Autrice.
Ehilà!
Siamo giunti alla fine di questa storia.
Io non amo particolarmente il “lieto fine”, per cui ho deciso di far finire il racconto in questo modo: lasciando com’era tutto dopo la guerra contro il Sovrano delle Tenebre.
Purtroppo, non sempre le cose vanno come ci aspettiamo.
Per questa storia, io credo che questo sia il finale migliore. Giulio torna, solo, a casa con una nuova consapevolezza: non sempre i propri desideri si realizzano.
Ho deciso di inserire la poesia di Caproni perché penso che descriva molto bene la separazione dai propri amici.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia! :)
Un grazie speciale va a alessandroago_94 che ha sempre lasciato una recensione e mi ha supportata! :)
Detto questo, spero che questo racconto vi sia piaciuto.
Saluti.
Violaserena.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: violaserena