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Autore: Ayr    22/12/2014    2 recensioni
Quando Matisse incontra Zefiro, un ragazzo affascinante ma misterioso, la sua vita tranquilla viene completamente sconvolta: il ragazzo infatti le rivela che lei è la principessa perduta, la legittima erede al trono di Heaven. Inizia così per lei un viaggio in compagnia di Zefiro, il cui silenzio pare nascondere un grande segreto, che la porterà dal tranquillo villaggio in cui vive alla caverna di Procne, una potentissima maga che aiuterà Matisse ad affrontare quello che le aspetta: non si tratta solo di sedere su un trono e di prendere sulle spalle tutte le responsabilità che esso comporta, Matisse infatti, dovrà prepararsi anche per una guerra perchè non è l'unica che ambisce a quel trono e c'è già chi trama nell'ombra per strapparglielo via.
Preparatevi ad accompagnare Matisse in questo viaggio tra maghi, battaglie, segreti, elfi e misteri. Siete pronti a partire?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«M-mi avete chiamato, mio signore?» balbettò con voce flebile un valletto in livrea viola, entrando con passo incerto nella stanza.
Radamanto sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo e posò i suoi gelidi occhi verdi sul nuovo arrivato
«Ancora niente da Izar?» domandò
«Purtroppo sì, mio signore» rispose il valletto. Radamanto aggrottò le sopracciglia: era già da più di una settimana che non riceveva sue notizie ed Izar si era sempre dimostrato puntuale e diligente. Aveva accettato un piccolo ritardo, ma quel silenzio era diventato assordante e insostenibile. Doveva assolutamente essere successo qualcosa.
«Mostrami il medaglione» intimò. Il valletto estrasse con mani tremanti dalla giubba un disco di bronzo con incastonata una pietra nera, e la porse all’uomo che la studiò attentamente. Il suo cipiglio si fece più scuro e nei suoi occhi baluginò una scintilla di rabbia
«Da quanto tempo è così?» domandò con voce calma
«N-non lo so» rispose con un filo di voce il valletto, terrorizzato dallo sguardo di Radamanto, i suoi occhi bruciavano di rabbia. Scattò in piedi e gettò lontano il medaglione che andò ad infrangersi contro la parete, schegge di bronzo si sparsero sul pavimento e sulla pietra, opaca, ricoperta da una leggera patina argentea, segno che Izar era morto.
«Incompetente!» tuonò Radamanto. Un sonoro schiocco fendette l’aria, il valletto si ritrovò riverso a terra, una mano a tenere la guancia rossa e bruciante.
«Mi chiedo perché non ti abbia ancora mandato a marcire nelle stalle o nel porcile. Quello dovrebbe essere il tuo posto! Essere insulso!» esclamò
«Mi- mi dispiace» mormorò il valletto
«Taci, verme!» tuonò Radamanto. Aveva iniziato a misurare con lunghe falcate il perimetro della stanza, le mani intrecciate dietro la schiena e il viso distorto in una smorfia di rabbia e concentrazione.
Raggiunse i rimasugli di medaglione e diede un calcio alla pietra che scivolò sotto un mobile «Questo ormai è inutile» borbottava tra sé.
Ma Izar non era l’unico dei suoi sottoposti, ne avrebbe potuto richiamare uno ogni qualvolta ne avesse avuto il bisogno, e quel medaglione non era l’unico in suo possesso.
Ma anche se trovassi un altro Elfo, dove lo potrei mandare? Izmar non mi contattava da giorni. L’ultima volta aveva detto che si trovava presso la Foresta di Faggi, ma potrebbe essere andato ovunque in tutto questo tempo diceva tra sé, intervallando i suoi pensieri a maledizioni e improperi.
La cosa fondamentale, adesso, è ritrovarlo, e tenerlo d’occhio, dall’alto. Ci ho già provato, è vero, e non ha funzionato, è riuscito ad individuare le mie spie, ma non posso permettermi che mi sfugga, non di nuovo…Se solo quel valletto… e fendette l’aria con un pugno, infuriato.
Si voltò verso il valletto, ancora steso a terra, il quale trasalì nel vedere lo sguardo algido e risoluto dell’altro, illuminato da una luce sinistra.
«Cosa ci fai ancora qui?» esclamò, accorgendosi solo ora della presenza del valletto «Non ti sembra di aver già fatto abbastanza danni?» domandò
Il valletto si rimise in piedi, tremando come una foglia, e abbozzato un rapido inchino si affrettò verso la porta.
«Sparisci!» urlò, rifilandogli un calcio nel fondoschiena, prima di richiudere la porta.
Radamanto si avvicinò alla finestra, il sole morente stava svanendo dietro le montagne e le ultime propaggini trafiggevano le nuvole, tingendole di rosso sangue. l’uomo emise un fischio basso che si propagò nell’aria fresca della sera. Subito un uccello nero planò sul davanzale della finestra: si trattava di un corvo dalle penne lucenti e i vigili occhi neri, simili a tizzoni ardenti. Radamanto accarezzò l’uccello sulla testa, questo gracchiò, arruffando le piume. L’uomo sorrise «Ho un compito per te, mio caro» disse con voce suadente continuando ad accarezzare le piume del corvo, e si chinò cominciando a bisbigliare come se gli stesse sussurrando all’orecchio. Il corvo gracchiò di nuovo, una sola volta, prima di dispiegare le ali e di prendere il volo.
Radamanto lo seguì con lo sguardo fino a quando non divenne un puntino nero quasi indistinguibile nella luce rosso-aranciata degli ultimi raggi del sole.
 
 
Matisse spalancò gli occhi terrorizzata, una mano soffocò prontamente il grido che stava risalendo la gola. La luce della luna che filtrava dalla finestra illuminava il profilo di Barden che svettava davanti a lei e la teneva inchiodata al letto con il peso del suo corpo. Le teneva saldamente le braccia sopra la testa, impedendole qualsiasi tentativo di ribellione.
Matisse si chiese come fosse entrato il ragazzo ma soprattutto cosa volesse e quali intenzioni avesse; ma quando questo insinuò la sua gamba destra tra le sue cosce e le aprì brutalmente le gambe, capì. Provò a divincolarsi ma ogni tentativo era vano: Barden era il doppio di lei e pari alla sua stazza era la sua forza; inoltre la mano premuta sulla sua bocca le impediva di gridare e chiamare aiuto.
«Fai la brava bambina» sussurrò piano Barden al suo orecchio, il suo alito sapeva di alcol eppure non pareva ubriaco. I suoi occhi non parevano spiritati, il suo era uno sguardo sveglio, lucido anche se i suoi occhi brillavano sinistramente di lussuriosa bramosia.
«Barden ti prego» mugugnò Matisse, ma le sue parole uscirono in strozzati pigolii tremanti. La ragazza si domandò perché Corniolo non intervenisse, russava profondamente accanto a lei e pareva ignaro di tutto. Solo allora si ricordò che era ubriaco fradicio e che niente sarebbe riuscito a destarlo da quel sonno profondo indotto da Barden, che l’aveva invitato ad assaggiare la birra della piana. La gustosa bevanda, poi,  aveva provveduto al  resto.
La mano sulla bocca di Matisse si allentò, ma venne subitamente sostituita dalle labbra di Barden, premute con forza contro le sue. Matisse provò a sottrarsi a quel bacio, ma la lingua di Barden riuscì comunque a spingersi prepotentemente nella bocca della ragazza. La sua mano intanto, scivolava lasciva lungo il suo corpo, sfiorandola appena. Le alzò la camicia da notte, scoprendole le gambe. La sua lingua vagava indisturbata nella bocca della ragazza. Calde lacrime iniziarono a solcare le guance di Matisse, mentre quell’infida mano le accarezzava l’interno della coscia.
«Ti ho sempre desiderato» sussurrò Barden mordendole il labbro inferiore «E stanotte finalmente sarai mia. Suvvia non piangere, ti piacerà» aggiunse, togliendole una lacrima con un guizzo rapido della lingua. Matisse ormai versava copiose lacrime e pregava che Corniolo si svegliasse, ma era consapevole che la sua fosse solo una vana speranza.
Sentì il ragazzo intromettere i suoi fianchi tra le sue gambe e mentre la sua bocca tornava a tormentare quella di lei, la mano di Barden l’accarezzò un’ultima volta per poi dedicarsi ai pantaloni.
Al colmo della disperazione urlò il nome di Zefiro nella bocca di Barden, nella speranza che venisse a salvarla. Mai come allora aveva desiderato che il ragazzo non se ne fosse andato, abbandonandola nelle grinfie di Barden e lasciando che quelle labbra la profanassero e quelle mani la violassero.
Quasi con sorpresa sentì la stretta di Barden allentarsi e il suo peso aumentare, soffocandola. Tra i capelli del ragazzo intuì la sagoma di un giovane magro, dal viso munto, cosparso di  lentiggini che brillavano alla luce della luna
«Giuro che l’ho colpito con l’impugnatura» balbettò Morten, solo allora Matisse si accorse che il ragazzo stringeva un pugnale tra le mani.
«Grazie» balbettò la ragazza, con voce strozzata, Barden premeva sulla sua gabbia toracica.
«Oh scusami!» esclamò il ragazzo liberandola dal fardello «Ma non sono un salvatore molto esperto»
Matisse sorrise e subito arrossì, rendendosi conto della posizione sconveniente in cui si trovava. Chiuse immediatamente le gambe e si tirò a sedere.
«Stai bene?» si informò Morten, la ragazza annuì. Era ancora parecchio scossa e sconvolta, oltre che confusa, e continuava a chiedersi come il ragazzo sapesse quello che stava succedendo. Questa domanda continuava a ronzarle nella testa, ma Morten non le diede il tempo di farla perché si stava già avviando verso la porta, trascinandosi dietro il corpo esamine di Barden.
«Buonanotte» le disse «Almeno per stanotte non dovresti più avere problemi, l’ho messo a nanna per un po’» ridacchiò
Matisse sorrise, leggermente a disagio
«Buonanotte» sussurrò anche lei, infine, con un filo di voce «E grazie ancora»
Matisse richiuse a chiave la porta e per sicurezza la bloccò con una sedia. Sdraiata sul letto, incapace di riprendere sonno, continuava a rivivere la scena vissuta poco fa.
Per un attimo, quando aveva intravisto una figura davanti a lei, aveva subito pensato a Zefiro, ritornato per salvarla, e aveva provato una punta di amarezza e delusione quando aveva scoperto che in realtà si trattava di Morten.
Morten emise un verso strozzato di fatica e lasciò cadere il corpo di Barden sul letto sfatto.
«Grazie» sussurrò il ragazzo
«Di nulla» rispose una figura nera, davanti a lui
«Sei proprio sicuro di non voler tornare?» domandò Morten
«Lei è più al sicuro così» replicò la figura
«Ma io non ci sarò sempre» fece notare il ragazzo «E non sono abile come te»
«Questa notte te la sei cavata benissimo» fece notare l’altra
«Ma solo perché mi hai dato una mano tu» rispose il ragazzo
«Per il momento preferisco che sia tu a proteggerla in prima persona. Quando sarà il momento ritornerò» disse la figura
«A proposito! Prima che mi dimentichi!» esclamò improvvisamente Morten, porgendole il pugnale
«Grazie» sussurrò questa rinfoderandolo. Per un attimo la luce argentea della luna colpì la lama, specchiandosi negli occhi della figura e illuminandone le iridi turchesi.
«Questa notte comunque non te la sei cavato male, potresti anche provare ad entrare nella guardia reale» aggiunse ammiccando prima di rivolgergli un cenno di saluto e uscire dalla stanza. Morten sospirò e gettò uno sguardo al fratello, scompostamente riverso sul letto, domandandosi cosa sarebbe successo se la misteriosa figura dagli occhi di zaffiro non lo avesse avvisato in tempo.
 
Il mattino dopo sia Corniolo che Barden si svegliarono con un tremendo mal di testa. Ma se il primo era palesemente di cattivo umore, il secondo, apparentemente dimentico della notte precedente, era tornato il solito spaccone narcisista e quella mattina, a colazione, aveva scherzato con Matisse come se niente fosse successo.
La tempesta era passata, la piana era sovrastata da un cielo di un pallido azzurro, sporcato qua e là da qualche blando ciuffo di nuvola che ancora sgocciolava. Il sole, però, splendeva timidamente, facendo prospettare un giorno in prevalenza sereno. Per questo, avevano deciso di ripartire.
«Non toccherò mai più un boccale di birra per il resto dei miei giorni» borbottò Corniolo cercando di montare sul suo pony
Barden sorrise, salendo con grazia ed agilità sulla groppa del suo. Matisse lo imitò e, alzato lo sguardo, incontrò quello di Morten: si erano tacitamente accordati per non rivelare nulla di quanto accaduto quella notte, soprattutto a Corniolo. Chissà cosa avrebbe combinato venendo a sapere che Barden aveva attentato all’incolumità della sua protetta!
Matisse sorrise mestamente al ragazzo per poi abbassare lo sguardo. Rabbrividì nell’aria fresca del primo mattino e si strinse nel mantello. La pioggia aveva lasciato l’aria pulita ma fredda e penetrante. In quel momento sentì un richiamo, voltandosi incrociò lo sguardo color del mare di un Elfo del sud
«Mastro Neren!» esclamò la ragazza, felice di rivederlo. L’acquazzone e il caldo della locanda le avevano permesso di conoscerlo e di stringere con lui un rapporto di amicizia
«State partendo?» domandò questi
«No, stiamo testando le selle» borbottò Corniolo ma l’Elfo parve non averlo sentito
«State andando a Solwin? Se è così, posso unirmi a voi?» continuò, infatti
«No» rispose l’ometto mentre quasi contemporaneamente Matisse rispondeva «Sì»
«Perfetto!» replicò Neren sorridendo raggiante «Lasciate che prenda il mio cavallo» aggiunse e sparì nella stalla. Dietro di lui veniva un altro Elfo: era anch’egli alto e filiforme, e aveva i lunghi capelli corvini, ma a differenza di Neren aveva i tratti più duri e scolpiti. Neren l’aveva presentato come un suo grande amico, Alcor, ma a differenza sua, che era gioviale e socievole, Alcor era più taciturno. Corniolo socchiuse gli occhi e lo seguì con lo sguardo fino a quando anche lui non entrò nella stanza.
Neren ne uscì poco dopo, conducendo per le briglie un elegante cavallo dal mantello nero e lucido
«Lui è Nube, Alerne nella nostra lingua» lo presentò, montando sulla sua groppa con un unico fluido gesto aggraziato
«Esibizionista» borbottò Barden. Come Corniolo, non provava molta simpatia per l’elfo, aveva un qualcosa che non lo convinceva appieno, e forse era l’unica cosa su cui si trovavano d’accordo lui e l’ometto. Quello e la bontà della birra della piana. Lo sguardo del ragazzo venne catturato da un luccichio proveniente dal petto dell’elfo: si trattava di un piccolo ciondolo a forma di goccia, color del sangue, che l’elfo portava al collo e che si intravedeva attraverso la stoffa blu scuro dei suoi abiti, probabilmente un rubino.
Anche Alcor portava un ciondolo simile e il ragazzo se ne chiese il motivo.
«Siamo pronti?» domandò Neren allegramente e prima di ottenere una risposta, spronò il cavallo verso l’arco di pietra
«Grazie di tutto Ginepro» disse Barden al nano, che era uscito per salutarli
«Grazie a te per essere passato» replicò questi «E non lasciar correre troppo tempo per la tua prossima visita» aggiunse, dandogli una pacca sul polpaccio, il punto più alto che riusciva a raggiungere
«Certo che no!» rispose il ragazzo con un sorriso sornione «Devo prendere almeno un altro boccale della tua birra squisita prima di tornare a casa»
«Come se tutta quella che hai ficcato nello zaino non ti bastasse» mormorò Corniolo dando un colpo di talloni al suo pony, che obbediente si accodò al cavallo di Matisse.
«Allora ci vediamo, Barden e fa buon viaggio» lo salutò Ginepro
«Grazie di tutto» rispose il ragazzo, chiudendo la fila e sparendo sotto l’arco di pietra.
 
Matisse avanzava allegramente affiancata da Neren, i due non avevano smesso di chiacchierare e la ragazza ascoltava rapita le incredibile storie che l’elfo raccontava. Corniolo, dietro di loro li guardava di sottecchi, quell’elfo non lo convinceva affatto e ancor meno il suo compare. Questi avanzava a capo chino, il viso celato dal cappuccio e per tutto il viaggio non aveva detto una parola.
Il sole splendeva alto nel cielo, e i suoi raggi avevano scacciato anche l’ultima nuvola grigia, ma l’umore dell’ometto era nero.
Barden non era da meno, stringeva con una tale forza le redini del suo cavallo da avere le nocche bianche e gettava sguardi carichi d’odio all’elfo. Se solo avesse potuto l’avrebbe incenerito con uno solo di quegli sguardi.
Il gruppo si fermò a mangiare e Corniolo ne approfittò per avvicinarsi a Matisse
«Quell’elfo non mi piace per niente» sussurrò, gettando un’occhiata malevola a Neren che stava prendendo le vivande.
«Da quando siamo partiti chiunque provi anche solo a guardarmi per te è un poco di buono» sbuffò la ragazza
«Sono solo preoccupato per la tua incolumità. È mio preciso dovere proteggerti, ed è quello che sto facendo» replicò l’ometto
«Ma non c’è bisogno che guardi male e scandagli ogni singola persona che mi rivolge la parola!» esclamò la ragazza
«Lo faccio solo per il tuo bene» rispose Corniolo «Ho giurato alla regina che ti avrei protetto e difeso, e mi ritengo un uomo di parola»
«Com’è mia madre?» chiese di punto in bianco Matisse. Quella domanda spiazzò Corniolo. Sapeva che prima o poi gliel’avrebbe fatta, ma non si aspettava di dover rispondere in quel momento ad una domanda simile
«Tu l’hai conosciuta bene?» incalzò la ragazza. Molto probabilmente le parole di Corniolo sarebbero state l’unico mezzo attraverso le quali avrebbe conosciuto quella donna che l’aveva messa la mondo. Corniolo sorrise mestamente
«Ero il capitano della sua guardia personale» iniziò a raccontare «E in tutto il tempo in cui l’ho servita non ho mai incontrato una persona più gentile e dolce. Ma è anche autoritaria e determinata e a volte testarda, una regina giusta e irremovibile per quanto riguarda le sue decisioni, ma non per questo crudele. Le somigli molto: hai i suoi stessi occhi verdi» sospirò l’ometto diventando improvvisamente triste
«Sei preoccupato per lei?» domandò la ragazza cautamente
«Molto» ripose Corniolo «È da sedici anni che non la vedo e la notizia della sua malattia mia ha sorpreso e addolorato. Temo per lei, soprattutto per il fatto che con la sua scomparsa il trono diventerà vacante fino alla tua ascesa…E un trono vuoto fa gola a molti» soggiunse, ma Matisse non capì l’allusione dell’uomo. Corniolo abbassò lo sguardo, per evitare che la ragazza scorgesse le lacrime che avevano riempito i suoi occhi, e addentò un tozzo di pane. Non voleva rispondere ad altre domande, non in quel momento.
 
 

 
 
***

Eccomi qui con un nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto, nonostante sia un po' veloce e zeppo di cose.
Giusto per farmi del male ho introdotto due nuovi personaggi: Mastro Neren e Alcor, all'apparenza sembrano due normali e pacifici elfi, ma cosa nascondono?
Non vi resta che scoprirlo al prossimo capitolo ;)
Ayr
   
 
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