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Autore: Ryuketsu no Kurea    24/12/2014    1 recensioni
"L'ombra che mi segue è diventata solida e adornata di quegli occhi rossi. Mi ritrovo davanti a un vicolo cieco, è la fine, sono in gabbia. Il cuore batte all'impazzata e la paura mi ghiaccia il sangue nelle vene. Sento di nuovo quella voce nella mia testa, che, chissà come, riesce a superare l'assordante battito del mio cuore, pur senza gridare. È come se facesse parte di me, è come se parlasse direttamente alla mia anima. "Sei mia, non vedo l'ora di conoscerti, Clarissa"
Clarissa potrebbe essere una ragazza come le altre (pessimismo a parte), ma ovviamente la sua vita verrà messa sottosopra e si ritroverà catapultata negli anfratti più oscuri del nostro mondo, in una società guidata dall'odio e dall'avarizia con l'unica speranza di non essere risucchiata in quel vortice oscuro.
Genere: Dark, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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My goodbye
 
Catch me as I fall
Say you're here and
it's all over now
["Whisper" Evanescence]
 
Quando mi sveglio sono distesa su uno dei divanetti dell'ostello. Non so come faccio a saperlo, ma sono certa che i miei occhi non sono più gialli. Mi alzo su lentamente, il sole è ormai definitivamente sparito e il cielo è nero come la pece, deve essere notte fonda.
Del ragazzo biondo non c'è traccia, accanto a me c'è solo uno dei miei professori.
-Stai bene?-
Il suo sguardo non è più così tanto impaurito, più che altro mi guarda come se fossi un extraterrestre, sinceramente comincio a chiedermi se non sia vero.
-Si, grazie-
Gli rispondo, mentre mi stiracchio. Sento il parquet scricchiolare alle mie spalle. Mi alzo, più fulminea di quanto credevo d'essere. Percepisco i sensi affinarsi e uno strano calore agli occhi. Tutto diventa più nitido, come se la mia miopia, per quanto tenue, fosse scomparsa.
-Sai dovresti imparare a controllarti, non dovresti lasciar indorare i tuoi occhi al minimo rumore-
Quella voce, così irritante, che ormai mi è diventata familiare, la riconoscerei ovunque. La solita camicia bianca, il solito fisico da urlo, ma gli occhi, quelli non sono i soliti occhi, non sono più di quel rosso acceso, sono marroni con una sfumatura cremisi che gli dà un tocco di unicità, non sono più inumani, se la prima volta l'avessi visto così l'avrei scambiato per una persona qualunque e molto affascinante. Il suo ghigno onnipresente mi ricorda il soggetto dei miei pensieri e mi ricredo completamente sulla sua normalità. Cerco di rilassarmi un po', ma perdo ogni contegno quando vedo la persona vicina a lui.
-Mamma!-
La figura piccola e esile di mia madre sparisce quasi vicino a Gregor, ma è lei, è la mia mamma. L'unica che non mi guarda come se fossi un fenomeno da baraccone.
Corro verso di lei e cerco di assorbire quanto più calore dal suo abbraccio, quel dolce rifugio che mi fa dimenticare tutto, affondo la testa nella spalla di mia madre sentendo l'odore dell'ammorbidente dei suoi vestiti. Un'altro paio di braccia forti ci abbracciano entrambe.
-Babbo-
Sorrido ormai con gli occhi pieni di lacrime.
Dopo tutto ciò che è successo mi sento finalmente a casa, protetta. Tutte le domande che mi affollano la mente passano in secondo piano, ora c'è solo la tranquillità e la familiarità dell'abbraccio dei miei genitori.
Un colpo di tosse mi fa alzare la testa e ci sciogliamo dall'abbraccio, certo che il soggetto in questione è proprio uno scocciatore nato, proprio una prima donna che non può fare a meno di stare al centro dell'attenzione. La mano di mio padre è rimasta sulla mia spalla con fare protettivo.
-Ivashokov-
Sento la sua calda voce pronunciare quel nome, allora lo conosce!? Com'è possibile, allora sanno anche di quel discorso sul matrimonio. Matrimonio! Tutti i dubbi e le ansie riemergono, mi sento tradita perché nessuno mi ha mai detto nulla? Di chi posso fidarmi ormai? La mano di mio padre sulla spalla è diventata un peso più che un conforto e tutte le sensazioni di familiarità provate prima svaniscono nel nulla, passeggere scese da un treno di sola andata, che corre su una rotaia infinita.
La scena non è passata inosservata, tutti i clienti dell'ostello ci guardano perplessi, non capendo la nostra lingua.
-Sarebbe meglio ritornare il prima possibile in Italia, così potremo parlare con calma-
Dice Gregor, notando tutte le persone che ci stanno osservando, per niente infastidito dalla loro attenzione, come un angelo che permette a dei poveri mortali di osservarlo, un angelo si bellissimo e maledetto dalle proprie ali spezzate, che gli conferiscono un'altrettanta dannata bellezza.
-Si, concordo. Dopotutto è un discorso lungo, Sergei dov'è?-
Risponde mio padre, io mi sento come un idiota: tutti parlano e io non capisco nulla. Appena mio padre ha fatto quel nome il giovane biondo esce dall'ascensore con i miei bagagli già fatti.
-Eccomi-
I suoi occhi dorati percorrono tutta la stanza sorvolando intenzionalmente la figura di Gregor. Almeno un alleato ce l'ho.
-A te va bene partire, tesoro?-
A quanto pare mia madre è l'unica a cui interessi il mio parere. Annuisco e basta senza proferire parola non fidandomi della mia voce.
"Guarda guarda come siamo remissivi"
La voce suadente e ironica nella mia testa era una sensazione che speravo di non dover più provare, anche se quella lieve punta di stizza mi rende orgogliosa di me stessa, soprattutto con la lieve traccia del marchio della mia mano ancora presente sul suo volto.
Mi giro verso di lui e mi picchietto con un dito sulla guancia facendo il sorriso più dolce e falso di cui sono capace, vedo il suo volto oscurarsi risentito è i suoi occhi oscuri e turbolenti fissi nei miei. Un brivido di paura mi scende lungo la schiena e lui compiaciuto si avvia verso la porta dell'ostello.
 
Fuori ad attenderci c'è una limousine nera lucida con i vetri oscurati. Sergei consegna i miei bagagli all'autista, mentre Gregor, con fare molto cavalleresco, mi apre la portiera e mi aiuta a salire. La sua mano stringe la mia, è calda, ma la pelle dura e piena di calli mi fa capire che è più abituata a stringere l'elsa di una spada piuttosto che la mano di una dama.
L'interno della limousine è pazzesco, è spaziosa e lussuosa, ma il rivestimento dei sedili è di una sfumatura di rosso e così morbido che da un incredibile senso di accoglienza.
Gregor sale dopo di me e dalla portiera sull'altro lato entrano i miei genitori e Sergei, mi ritrovo schiacciata tra due poli: da una parte Gregor e dall'altra Sergei, mentre i miei genitori sono seduti davanti. Mi sento osservata da entrambi, ma non so se stanno cercando di uccidersi a vicenda a occhiatacce o se stanno guardando me.
Mi sento come la terra di nessuno tra due fronti e la voglia di sbattere le loro teste una contro l'altra cresce a dismisura.
Do un'occhiata verso destra, due occhi gialli mi guardano di rimando, hanno un ché di birichino e di complicità, come quella tra due compagni di scherzi. Distolgo lo sguardo e lo giro verso sinistra, mi ritrovo a fissare il suo petto, errore, un errore madornale, lo scollo profondo della camicia lascia intravedere uno stralcio della candida pelle dove il sole non ha ancora lasciato il proprio segno. La differenza è veramente poca, quanto la distanza tra lui e me, deve essersi avvicinato mentre ero voltata. Risalgo con lo sguardo fino al suo volto, due occhi bramosi incontrano i miei è come se mi scavasse dentro, mettendo a nudo la mia anima leggendola come un libro aperto. Vedo la brama nei suoi occhi e vi riconosco la mia, è come se quegli occhi scavando dentro me portassero alla luce sentimenti e sensazioni passate, sepolte sotto una coltre di polvere ma mai dimenticate, come l'eco del fragore di una valanga nella gola di una montagna.
 
La limousine parte, il motore è così silenzioso che non mi sono nemmeno accorta che la vettura fosse accesa.
-Faremo tutto il viaggio in macchina?-
Chiede mia madre a Gregor, dopo avergli lanciato un'occhiata che avrebbe congelato un vulcano in eruzione.
-Si, per quanto viaggiare in limousine dia nell'occhio, è sempre meno tracciabile di comprare biglietti aerei-
Le rispose lui dopo aver allontanato il suo volto dal mio. Il pensiero del viaggio in limousine mi turba profondamente, insieme al fatto che è ormai certo che passerò la notte insonne, almeno queste sono le aspettative.
Non so dove guardare, dare una sbirciata fuori dai finestrini è impensabile circondata come sono, così come lo è guardare i miei genitori. Tempo poco mi ritrovo a guardare un punto indefinito della moquette per terra.
Il viaggio prosegue nel silenzio più assoluto. I due al mio fianco guardano fuori, ognuno dal proprio lato. Il dolce movimento della limousine mi culla e i miei occhi cominciano a chiudersi. Trovare un punto dove poggiare la testa sembra impossibile, soprattutto con le due spalle che mi trovo ai lati. Decisa a non essere trattata come la corda del tiro alla fune da quei due soggetti, ugualmente irritanti al momento, reclino la testa all'indietro, sperando di riuscire a riposare senza muovermi troppo.
L'ultimo pensiero che faccio prima di addormentarmi è chiedermi fa che parte tegno solitamente la testa quando dormo, se verso destra o verso sinistra.
Mentre scivolo nel sonno, sento la testa inclinarsi da un lato.
   
 
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