Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: RandomWriter    25/12/2014    7 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
RUOLI PRINCIPALI DELLA PALLACANESTRO
 
Playmaker: Normalmente si tratta del giocatore con il miglior trattamento di palla. Essenzialmente ha il compito di guidare l'attacco della squadra, portando avanti il pallone e controllandolo, assicurandosi di far partire l'attacco e lo schema al momento giusto; è quello che ha la maggior visione di gioco all'interno della squadra.
 
Guardia tiratrice: Si tratta solitamente del miglior tiratore della squadra, che sia però anche in grado di penetrare verso il canestro quando serve.
 
Ala piccola: L'ala piccola, o "tre", è quasi una guardia aggiunta, con un'ottima capacità sia di penetrazione sia di tiro. La differenza è ancora più marcata quando la squadra gioca in difesa attuando la zona: se è una fronte pari (due giocatori in punta e tre vicino al canestro) l'ala piccola funge da lungo aggiunto, vista la sua particolare conformazione fisica (alto ma longilineo e rapido).

Ala grande: L'ala grande, gioca invece solitamente vicino al canestro per aiutare il centro nella conquista dei rimbalzi. .
 
Centro: Il centro o pivot ("perno" della squadra) è uno dei ruoli standard della pallacanestro. Il centro è generalmente il giocatore più alto della squadra e preferibilmente il più massiccio dal punto di vista muscolare. Solitamente, ad un centro si richiede di saper sfruttare la sua grande massa soprattutto nei pressi del canestro. All'interno dell'area dei tre secondi deve saper segnare, difendere, 'stoppare' i tiri degli avversari, cioè spazzare via con le mani il pallone mentre vola verso il canestro, "tagliare fuori" il pari ruolo avversario (facendolo restare dietro la propria schiena) e catturare rimbalzi. Un centro deve possedere prevalentemente un buon movimento spalle a canestro e nel pitturato, ma un valore aggiunto può essere un buon tiro dalla media distanza.
 
(tratto da Wikipedia – Ruoli della pallacanestro)
 
 



CAPITOLO 43: FANTASMI DEL PASSATO
 
I cestisti avanzavano lentamente e in silenzio, calpestando quasi con timore il suolo cementificato. A pochi metri di distanza sorgeva la loro meta: il palazzetto sportivo. Era strutturato su più livelli e la costruzione sembrava di recente edificazione.
Nessuno fiatava, nemmeno Trevor e Benjamin, due degli elementi più chiassosi. Il primo, appena sceso dal pullman, si era quasi isolato in un mutismo serrato, in cui l’unica comunicazione era mediata dallo smartphone che teneva in mano. Dal sorriso dolce che accompagnava i suoi messaggi, si capiva che dall’altra parte la sua Brigitte lo stava sostenendo.
Benjamin alternava cicli di contrazione e distensione delle dita, come in un disperato tentativo di recuperare un controllo motorio completo. Era evidentemente teso, più di quanto si potesse vedere dall’esterno.
Clinton apriva e chiudeva nervosamente il borsone, ogni volta alla ricerca di un oggetto diverso. Era assalito dal dubbio di aver dimenticato qualcosa: una volta era il ricambio, un’altra le scarpe, l’altra il bagnoschiuma. Era il più sbadato della squadra e proprio a causa delle sue continue dimenticanze, in parecchie occasioni si era trovato sprovvisto di indumenti vari. La sera prima però aveva controllato ripetutamente il contenuto della borsa, riempiendola e svuotandola tre volte, ripetendo a voce alta la lista di cose che gli servivano. Non c’erano dubbi che quella volta non avesse dimenticato nulla, ma la tensione gli impediva di assumere un comportamento meno nevrotico.
Fortunatamente per lui, il resto della squadra era talmente assorto da non accorgersi dei suoi irritanti gesti. Nessuno sembrava badare ai compagni. Nessuno tranne Dajan.
Il capitano fissava con leggera preoccupazione la tensione che serpeggiava tra i suoi amici. Sentiva gravare su di sé la responsabilità come leader e non riusciva a scrollarsela di dosso; pensò istintivamente a Castiel e alla sua capacità di alleggerire l’atmosfera nei momenti come quello. Era proprio per questo suo talento, unito all’abilità come giocatore, che due anni prima l’avevano nominato capitano.
In quel momento Dajan non si sentiva all’altezza del suo predecessore, non riusciva a rompere quel silenzio con qualche frase d’incoraggiamento o di sprono. Lui per primo era un fascio di nervi.
“ehi capitano, non te la starai facendo sotto?”
Dajan si voltò, accorgendosi che Kim gli si era avvicinata. La ragazza lo guardava con un sorriso beffardo, ma i suoi occhi tradivano tutta la tenerezza che suscitava in lei. Il suo banale tentativo di ridestarlo da quella prigione di paure sembrò funzionare poiché il capitano rispose con uno dei suoi sorrisi più luminosi:
“non abbiamo mai avuto un evento più importante di questo” replicò infine, aggirando la provocazione.
“e non senti l’adrenalina correrti in circolo?” si entusiasmò Kim; i suoi occhi cominciarono a brillare dall’eccitazione: le sembrava di essere tornata sulla sua amata pista di atletica, in attesa del via. Misurarsi con i propri limiti, affrontare persone che come lei si erano impegnate duramente, puntare alla vittoria erano stimoli a cui la sportiva non sarebbe mai riuscita a rinunciare. Amava lo sport, nella sua connotazione più profonda e affascinante.
La trepidazione della ragazza la resero cieca all’ammirazione e alla gratitudine con cui aveva cominciato a osservarla il capitano. Dajan infatti sentì i muscoli delle spalle che si scioglievano, il corpo farsi più leggero e un’irrefrenabile voglia di scendere in campo.
A quell’impulso però se ne accompagnava un altro ben più difficile da trattenere: sentire Kim accanto a sé, con quell’energia che solo lei riusciva a trasmettergli, lo portava a desiderare ardentemente di stringere la ragazza tra le braccia.
Più passavano i giorni insieme e più il cestista sapeva che non avrebbe potuto continuare a far finta di nulla. Se solo avesse avuto un segnale da parte della velocista che quell’interesse era ricambiato, avrebbe azzardato il primo passo.
Rimaneva lì, a osservarla con la coda dell’occhio mentre aveva ripreso a camminare in silenzio, accanto a lui.
ETCIU’!
Tutti sobbalzarono, colti alla sprovvista dal sonoro starnuto che era partito dall’elemento più minuto della squadra; i ragazzi si voltarono verso Erin, guardandola con curiosità, come se solo in quel momento si fossero ricordati della sua presenza in squadra.
Gli occhioni vispi della ragazza passarono in rassegna i silenziosi compagni ed infine la sua bocca commentò:
“salute Erin!”
Quell’auto risposta strappò risate più o meno divertite tra i ragazzi; quel semplice diversivo bastò a lenire la loro ansia e soprattutto, ruppe il gelo che si era creato tra di loro:
“starnutisci come un uomo” la derise Trevor “fai degli starnuti più potenti di quelli di Steve!”
“starnutire con forza fa bene, sennò si rischia un ictus al cervello” si difese il ragazzo più alto della squadra.
“e questa cagata dove l’hai letta?” intervenne Wes, un ragazzo con i capelli a spazzola.
“comunque non puoi controllare quanto forte starnutisci” obiettò Erin.
Mentre la conversazione prendeva piede su un argomento futile, Boris si rivolse all’unico adulto che si era preso l’incarico di accompagnare la squadra del liceo:
“lo sai Faraize, cominciavo quasi a preoccuparmi. Fin a due secondi fa non li riconoscevo neanche più”
Il professore di ginnastica annuì, quasi sconsolato: per uno come lui, la scena dei cestisti in silenzio era la rappresentazione utopica degli studenti con cui si misurava tutti i giorni. Attorniato dal chiasso di quegli undici ragazzi, Faraize già sentiva la nostalgia del mutismo di pochi istanti prima.
“così chiusi in sé stessi e preoccupati… pensavo che quelli veri li avessero rapiti gli alieni!”
Circondati dal brusio e dal parlottio dei ragazzi, i due adulti varcarono la struttura. Si trovarono nel mezzo di uno spiazzo molto ampio e luminoso. Boris individuò sulla destra la segreteria e così ordinò a Faraize di restare con i ragazzi mentre lui avrebbe ultimato le ultime formalità per la partecipazione dei ragazzi.
Erin si guardò attorno sorridendo entusiasta. Quanto avrebbe voluto che sua sorella fosse al posto suo, del resto il basket era lo sport di Sophia. Quella mattina l’aveva chiamata per darle tutto il suo sostegno e incoraggiamento, visto che la distanza le impediva di raggiungerla. Anche tutti i suoi amici le avevano mandato messaggi, alcuni come Rosalya ed Iris erano state talmente insistenti da intasarle la casella degli sms.
Eppure Erin avrebbe scambiato mille di quei messaggi per riceverne uno da una persona in particolare. Le bastava anche un “in bocca al lupo” e avrebbe cominciato la partita con uno spirito più combattivo. Voleva solo che lui le dimostrasse che non si era dimenticato della squadra. Che non si era dimenticato di lei.
“ehi, mi ha scritto Castiel!” urlò Wes, facendo voltare verso di lui tutta la squadra.
Erin sgranò gli occhi e socchiuse la bocca per lo stupore.
“mi sa che ha scritto a tutti” sorrise Dajan fissando il proprio cellulare. Uno ad uno i ragazzi estrassero i rispettivi smartphone e si deliziarono della raffinata oratoria di Castiel che si era espresso con un “In bocca al lupo raga, fategli un culo così!”
Anche Erin tirò controllò sul proprio telefono e accese la connessione dati. Ma il suo messaggio non era uguale a quello del resto della squadra:
 
“ehi Cip, vedi non farmi fare brutta figura! Che almeno tutti gli allenamenti che abbiamo fatto siano serviti a qualcosa… scherzo, pensa solo a divertirti”
Erin sorrise ma non comunicò al resto della squadra il contenuto personalizzato del suo messaggio, custodendolo gelosamente tutto per sé.
Boris nel frattempo ritornò dal gruppo e annunciò:
“bene ragazzi, seguitemi che vi mostro dove sono gli spogliatoi” poi rivolgendosi alle sue ragazze, le guidò “voi due invece andate fino in fondo al corridoio, poi a destra. Dritte poi a sinistra. La seconda porta è quella del vostro spogliatoio.
Kim guardò Boris storcendo leggermente il naso: si era persa dopo il primo corridoio. Erin invece annuì convinta e trascinò con sé la compagna di squadra. Con le parole di Castiel che le riecheggiavano in mente, non vedeva l’ora di portarsi sul campo da basket.
Alla fine del percorso rettilineo usando Erin come navigatore, le due svoltarono a destra ed infine a sinistra.
“ecco, dovrebbe essere questa” disse la guida, indicando la prima porta.
Kim non esitò e portò allora la mano sulla maniglia, aprendo la porta con veemenza.
Dieci giovani corpi maschili, metà dei quali mezzi nudi, si voltarono di scatto verso le due. Kim fece appena in tempo a intravedere la visione posteriore di un sedere che veniva nascosto da un paio di boxer neri. Le due avvamparono in preda alla vergogna, sbattendo violentemente la porta, mentre una voce dall’interno le schernì:
"no dai ragazze, non fate le timide: potete cambiarvi qui con noi”
Immancabilmente seguì un coro di risate goliardiche, mentre Kim, allontanandosi paonazza, sbottò:
"idiota"
Erin non capì se quell’insulto fosse rivolto al ragazzo oppure a lei che le aveva suggerito la porta sbagliata. Nel dubbio, preferì difendersi:
"non l'ho fatto a posta" mormorò ancora in preda all’imbarazzo.
"la prossima la apri tu" le ordinò Kim, indicando la seconda porta. L’amica allora la superò e questa volta, adottò ogni misura possibile che le impedisse di ripetere la recente brutta figura. Controllò l’eventuale presenza di indicazioni, ma sfortunatamente all’esterno c’era solo una scritta SPOGLIATOIO.
In quel corridoio non c’erano altre porte, così fece l’unica cosa sensata che poteva fare: bussare.
Dall’altra parte udirono delle voci femminili che valsero come conferma: avevano trovato la stanza giusta.
Appena Erin e Kim varcarono la soglia, cadde il silenzio. Notarono la presenza di sole due ragazze; una era seduta sulla panca e si era già cambiata: aveva un’aria molto androgina, con i capelli corti sulla sommità del capo e rasati sopra la nuca. Si stava levando un voluminoso orecchino di legno, che ripose con cura in una scatolina. I suoi occhi erano talmente chiari da sembrare glaciali e le labbra sottili erano affilate come coltelli. In quella figura, la più evidente dimostrazione del suo sesso di appartenenza, era il seno generoso che riempiva la divisa blu della Berrytown High School. Erin e Kim scoprirono così che avrebbero condiviso lo spogliatoio con le loro prossime avversarie.
La seconda ragazza si stava allacciando le scarpe; non prestò particolare attenzione alle due arrivate e finì di sistemarsi l’alta coda di cavallo che contribuiva ad allungarle i lineamenti ovali del viso.
La cestista dallo sguardo glaciale, aveva attirato l’attenzione di Erin, non tanto per la sua eccentricità, quanto per la particolare sensazione che evocava in lei: una sensazione di familiarità.
"non era necessario bussare" quasi le rimproverò la ragazza con i capelli corti, osservando la divisa rossa delle due avversarie. Quel tono sgarbato e acido indispose Kim mentre Erin cercò di dimostrarsi più diplomatica e socievole:
"è che abbiamo sbagliato porta venendo qui" ridacchiò portandosi una mano dietro la nuca.
Appena la ragazza con i capelli corti aveva sentito la voce di Erin e l’aveva vista muoversi, cambiò espressione, spalancando la bocca per lo stupore.
"aspetta... tu sei Sophia Travis?"
Erin sobbalzò. Aveva di fronte una persona che conosceva sua sorella, ma non fu tanto questo a colpirla; ciò che davvero realizzò, da quella semplice domanda, era perché quella ragazza le fosse vagamente familiare. L’ultima volta che si erano viste risaliva a molti anni prima, quando lei era ancora un’impacciata ginnasta. Era davvero passato troppo tempo affinché potesse ricollegare quei tratti puerili che le avevano dato il tormento con i lineamenti più squadrati della ragazza che quel giorno incontrò nello spogliatoio:
"Ebony" mormorò Erin, spiazzata.
Quella ragazza, da bambina, praticava anch’ella ginnastica artistica e non cessava di darle il tormento, facendo sì che l'allenamento le risultasse un inferno; Ebony si metteva a capo delle altre piccole ginnaste, invidiose del talento della piccola Erin, per deriderla per la sua timidezza e, nel migliore dei casi, emarginarla. Il carattere debole della bambina si era lasciato piegare da quelle cattiverie, al punto da giungere ad una decisione sofferta: Erin aveva abbandonato la ginnastica e cominciato a dedicarsi alla danza, dimenticandosi di Ebony che tuttavia, dopo pochi mesi, si era trasferita in un’altra città. La stessa contro cui avrebbero giocato quel giorno.
Erano passati anni ma quest’ultima ancora non aveva riconosciuto nella ragazza mora dai capelli lunghi, la bimba a cui aveva rovinato i pomeriggi di ginnastica.
Del resto, Sophia aveva sempre giocato a basket per cui era scontato che il nome della gemella fosse il primo che aveva attraversato la sua mente; convinta di avere quindi di fronte un'avversaria temibile, con tanti anni di pallacanestro alle spalle, Ebony fissava Erin con aria intimidatoria e minacciosa. Ci mise pochi secondi però a realizzare chi avesse realmente di fronte: non era la fortissima Sophia quella che aveva davanti ma la persona più patetica e fragile che avesse mai incontrato in vita sua.
"Erin?" ripeté incredula. Il suo stupore durò poco e venne sostituito da un sorriso canzonatorio. Si avvicinò alla mora, come a volerla guardare meglio per accertarsi della sua identità. Piegò il busto in avanti, azzerando la differenza di altezza con la ragazza e, senza cambiare espressione, commentò: "mi sorprende vederti qui"
"potrei dire lo stesso di te" replicò secca la ragazza, appoggiando il borsone sulla panca. Non voleva guardarla in faccia perché non riusciva a sopportare quell’atteggiamento borioso e di superiorità con cui la squadrava. Abbandonare ogni carineria e diplomazia era a quel punto inventabile e Kim, per la prima volta, vide un’altra faccia della sua compagna, diventata un blocco di marmo quanto a emotività e gentilezza.
"e da quanto giochi a basket?" s’incuriosì Ebony, appoggiando una mano sull’appendi abiti sopra la testa della ragazza.
"da un po'" rispose vaga quest’ultima, cominciando a tirar fuori l’occorrente e a prepararsi.
Ebony continuava a sorridere, sempre più soddisfatta e trionfante: ai suoi occhi, Erin Travis non era cambiata affatto: non riusciva a sostenere il suo sguardo, era remissiva, codarda, insicura. Umiliarla era talmente facile che era un peccato non punzecchiarla.   
"immagino che resterai tutto il tempo in panchina. Del resto era una tua abitudine" la schernì. Non aveva dimenticato i saggi di danza, uno in particolare, in cui Erin si era rifiutata di esibirsi finché non era intervenuta la sorella a spronarla.
Kim nel frattempo seguiva quello scambio di battute, ignara delle dinamiche antecedenti, che riguardavano il passato delle due ragazze. Non sapeva cosa fosse accaduto tra di loro ma vedere Erin così passiva e apatica, la mandava letteralmente in bestia:
"senti bella, vedi di darci un taglio. Siamo qui per giocare"
La seconda avversaria, quasi non volesse sentirsi da meno, manifestò la sua presenza con una minaccia rivolta alla cestista:
"vedi di abbassare la cresta tu"
"sta calma Sam" la sedò Ebony, che sembrava l’unica che riusciva a divertirsi in quella situazione; rivolse poi il suo sguardo verso la sua vecchia conoscenza. L’angolo della bocca allungato verso l’alto, che permetteva di intravedere il canino destro, era un’espressione che Erin aveva sempre odiato e che presagiva l’ennesima cattiveria "se i nostri avversari non hanno saputo trovare niente di meglio di Erin Travis, batterli sarà uno scherzo"
Sam sorrise maliziosa mentre Kim inspirò profondamente, montando su tutte le furie; la sua compagna di squadra poteva pure starsene zitta a farsi insultare, ma lei di certo non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da quella spilungona:
"UMILIARVI SARÀ UN PIACERE" sibilò a denti stretti, serrando i pugni. Quella minaccia le uscì però con un volume più alto di quanto avesse desiderato, tanto che da fuori seguirono dei commenti eccitati da parte della componente avversaria maschile:
"uuhuh, rissa tra ragazze!”
Erin posò una mano sul braccio di Kim e le sussurrò:
"lasciala perdere. Vuole solo provocare"
Ebony sorrise e replicò:
"Non sei cambiata affatto Travis. Sempre la solita cagasotto” commentò, facendo segno a Sam di seguirla fuori dallo spogliatoio. Prima di aprire la porta, la salutò con l’ultima meschina osservazione:
“mi dispiace solo che la squadra non ti schiererà in campo: saresti più inutile della R di Marlboro"
Chiudendosi, la porta soffocò le risate cattive delle due avversarie, lasciando Erin e Kim nel silenzio più completo: la seconda guardava l’amica, indecisa su cosa dirle. Fosse stato per lei, avrebbe preso a pugni quella Ebony, scaraventandola al suolo. Erin invece appariva disinteressata allo scambio di battute che si era tenuto in quella stanza e non spiccava parola.
"perché ce l'ha con te?" indagò infine Kim, irritata dalla calma della mora. Quest’ultima si sistemò la divisa sopra al top sportivo e si assicurò che la coda di cavallo avesse una presa salda sui suoi lunghi capelli.
"sette anni fa eravamo nella stessa associazione sportiva di ginnastica artistica” spiegò, controllando la propria immagine allo specchio “e lei si divertiva a tormentarmi. Tutto qui” concluse, continuando a fissare il proprio riflesso.
Le sue parole uscivano piatte, senza alcuna incrinatura o insicurezza.
"non vorrai dargliela vinta spero?" la spronò Kim, quasi con rabbia, battendo la punta della scarpa destra contro il pavimento. Erin chiuse la zip del suo borsone e, senza abbandonare quell’espressione imperscrutabile, disse semplicemente:
“andiamo”
 
Mentre percorrevano i corridoi, le due ragazze non fiatavano. Kim non riusciva a capire cosa passasse nella testa della sua compagna di squadra e quest’ultima sembrava diventata l’ombra di sé stessa. L’ex velocista non sapeva se Erin fosse dannatamente concentrata o terribilmente sconsolata. Niente sembrava turbarla o destarla da quell’apatia.
Improvvisamente, le due ragazze avvertirono una musica di sottofondo. Il volume diventava sempre più alto e le ragazze si accorsero della figura che giungeva dalla loro destra: camminando tenendo le mani in tasca e un cappuccio calato in testa, avanzava una ragazza. I fili bianchi delle cuffiette spuntavano ai lati della testa e si congiungevano fino ad una delle tasche.
Dalle note che si diffondevano, Erin riconobbe The Fighter, una canzone dei Gym Class Heroes. Le gambe della sconosciuta sembravano quasi molleggiare al ritmo che pervadeva il suo corpo, amalgamandosi alla melodia, intercalata dal rap.
Passando accanto alle due cestiste, la ragazza lanciò loro un’occhiata fugace, per poi proseguire nella sua direzione. Da sotto il cappuccio si intravedevano dei capelli chiari e tagliati secondo uno stile molto alternativo che solo ad un viso regolare e dai tratti decisi e simmetrici poteva donare. La ragazza emanava una sorta di aurea di sicurezza che colpì profondamente le due ragazze, tanto che smisero di camminare, guardandola allontanarsi.
“ma chi era quella?” chiese Erin, voltandosi verso Kim.
“e che cacchio ne so io?” sbottò l’altra. C’era qualcosa di particolare in quella ragazza, ma nessuna delle due sapeva spiegarsi di cosa si trattasse.
 
Arrivate sul campo, Boris le rimproverò, accanendosi su Kim:
“KIM! Non metterti ad attaccar briga con gli avversari!” la redarguì arrabbiato.
“e come fai a saperlo scusa?” si difese l’altra, mentre Trevor e Steve ridacchiavano.
“ho sentito il discorso tra le due giocatrici dell’altra squadra”
“e che ne sai scusa che sono stata io a cominciare?” borbottò l’altra, incrociando le braccia al petto.
“ti sto dicendo di non rispondere alle provocazioni, signorina! Rimani concentrata come sta facendo Erin”
La ragazza guardò di sbieco la compagna, scettica sul fatto che fosse davvero focalizzata sulla partita.
“il talent scout l’hai visto?” chiese Dajan, rivolgendosi a Boris.
“un talent scout?” si incuriosì Kim.
Il capitano annuì leggermente eccitato, mentre il coach spiegò:
“in un evento così importante, con le migliori squadre di basket scolastiche, è il minimo che ci sia qualche talent scout. Avevo sentito dire che ci sarebbe stato un certo Grown, ma non lo vedo in mezzo a tutta questa gente”.
Quell’osservazione costrinse Erin e Kim a considerare l’ambiente che le circondava: erano in una palestra dai soffitti altissimi e con una platea enorme. Delle luci forti illuminavano a giorno il campo, mentre un tabellone segnapunti elettronico indicava il nome della loro scuola, l’Atlantic High School, accanto a quello della Berrytown HS.
Il pubblico non aveva ancora riempito gli spalti, poiché mancava ancora mezz’ora all’inizio della partita.
La squadra avversaria aveva già iniziato il riscaldamento, ma non sembrava impegnarsi particolarmente. Un gruppetto di maschi infatti, lanciava occhiate fugaci a Kim ed Erin, accompagnate da commenti poco galanti. Cercando di non farsi distrarre ed innervosire da quegli atteggiamenti, le due ragazze seguirono la loro squadra nell’esecuzione degli esercizi.
Uno degli avversari però fece volare il pallone dall’altra metà del campo, andando a recuperarlo a pochi passi dalla cestista avversaria più alta.
“è un peccato che abbiate trovato lo spogliatoio giusto” commentò malizioso, raccogliendo la palla e rivelando a Kim il suo numero di maglia e cognome: era un certo Barry e aveva disegnato sulla schiena un 6.
La mora gli lanciò un’occhiata gelida e replicò acida:
“di certo non c’era niente di interessante da vedere lì dentro”
Il cestista ridacchiò, stuzzicato da quella battuta:
“invece nel vostro, di roba interessante da vedere ce n’era eccome”
Presa in contropiede, Kim avvampò, incapace di replicare. Il ragazzo stava per aggiungere altro quando una pallonata sullo stomaco gli impedì di proseguire.
Fissò con odio la sfera che gli era costata quella figuraccia davanti alla ragazza e cercò subito di individuare chi fosse il colpevole; vide avvicinarsi quello che gli era stato indicato con il capitano dell’Atlantic High School, che raccolse il pallone:
“dovresti stare più attento a dove tiri!” si arrabbiò il ragazzo “non ce l’hai il controllo palla, capitano?”
“e chi ti dice che non abbia centrato il bersaglio?” replicò canzonatorio Dajan. Aveva un sorriso tirato, che strideva con le due fessure intimidatorie al posto degli occhi.
“bene bene” commentò Boris compiaciuto dalla panchina, osservando la scena a pochi metri da lui.
“a cosa ti riferisci?” chiese Faraize, lisciandosi i pantaloni. Seduto accanto a quel muscoloso omone si sentiva alquanto a disagio, oltre che particolarmente ridicolo.
“siamo passati dall’apatia totale alla carica più completa. Quel ragazzo che è andato a importunare Kim ci ha fatto un bel favore”
Faraize osservò Barry che si allontanava, riunendosi alla sua squadra, mentre Kim e Dajan proseguivano il riscaldamento. Conosceva il capitano da cinque anni ed era senz’altro uno dei suoi studenti migliori: qualsiasi attività proponesse quell’impacciato insegnate di educazione fisica, Dajan Brooks era uno di quelli che s’impegnava di più e soprattutto, uno dei pochi che gli dava retta. Non l’aveva mai visto perdere il controllo o arrabbiarsi, riusciva sempre a dominare la situazione e talvolta, persino i suoi compagni di classe, quando la situazione sfuggiva al controllo del professore. Evento assolutamente non sporadico. Faraize era molto affezionato a quel ragazzo, sua unica consolazione.
Kim Phoenix invece era di tutt’altra pasta: sempre disinteressata a ciò che lui aveva da dirle, con le braccia incrociate al petto in segno di ostilità e chiusura. Fino a qualche mese prima, durante l’ora di ginnastica, non di rado si isolava dal resto della classe con la scusa che gli sport di squadra non facevano per lei e preferiva andare a correre all’aperto, anche quando il termometro sfiorava lo zero. Negli ultimi mesi però, quella ragazza era cambiata notevolmente: inizialmente Faraize aveva attribuito il merito all’unica variabile introdotta quell’anno, Erin Travis, ma non poteva non considerare che il cambiamento vero e proprio della velocista era venuto a coincidere con il suo passaggio alla squadra di basket.
“hai una bella squadra” commentò infine il professore, con un sorriso flebile.
“ne sono molto fiero” ammise il coach con  orgoglio, poi aggiunse “quando ho saputo della partenza di Castiel, ci sono davvero rimasto male. È uno dei miei giocatori migliori, lo avevo allentato per formare un duo pazzesco con Dajan invece quel tonto si è andato a imboscare in Germania” sospirò con una nota di amarezza “del resto me l’ha sempre detto che il suo vero amore è la musica”
“la musica?” ripetè sconvolto Faraize, non riuscendo ad associare la seconda delle sette arti ad uno dei suoi studenti più indisciplinati e cinici.
Boris sorrise sornione e ridacchiò:
“eh eh, lo so, non si direbbe per uno come lui, ma quando passi tre ore al giorno in mezzo ai ragazzi, impari a conoscerli” e strizzando l’occhio al collega, concluse sibillino “non hai idea di quante cose interessanti si possano osservare dalla panchina"
Faraize corrucciò le labbra, desideroso di capire cosa intendesse Boris, ma l’omone si alzò, gesticolando verso Wes e dandogli delle indicazioni tecniche.
Ancora pochi minuti e la partita sarebbe iniziata.
 
Si versò il caffè con tale velocità che il liquido bollente quasi rimbalzò sulla superficie lattea e sgocciolò sulla superficie del tavolo. Con un’imprecazione masticata, Sophia asciugò la macchia e si sedette ad assaporare la sua colazione.
Erano due settimane che si svegliava di pessimo umore e non riusciva a capirne la causa. Non aveva voglia di uscire tanto che, diversamente dal solito, era Space a dover insistere con lei. Complice anche le giornate uggiose e tristi, Sophia aveva perso il suo entusiasmo.
Finita la colazione, si recò nella sua camera e passò in rassegna dei fogli di appunti che più volte aveva impugnato: c’erano scarabocchi di varia origine, dati appuntati in modo disordinato e persino dei volantini vecchi. Era arrivata ad un punto morto e finché non fosse riuscita a risolvere quel mistero, non poteva tornarsene a casa.  
“ti troverò” sussurrò, accarezzando un foglio ingiallito dal tempo. Doveva riuscirci.
Del resto, l’aveva promesso.
 
Erin aveva il cuore in gola. Ora che mancavano pochi secondi, la tensione la stava logorando.
Anche se era in panchina, sentiva un’ansia pazzesca. Guardava la sua squadra, allineata davanti a quella avversaria con la divisa blu.
La strategia di Boris prevedeva l’esordio con i migliori rappresentanti della componente offensiva del Dolce Amoris. Dajan teneva il mento alto e sembrava si stesse caricando per prepararsi al salto iniziale. Kim era accanto a lui e fronteggiava Ebony, che non la smetteva di sorridere spavalda. Tra le due uniche ragazze in campo era lampante una sorta di tensione elettrica.
Trevor non aveva la sua solita aria spensierata, ma era talmente concentrato che a stento Erin riusciva a riconoscerlo. Dagli spalti c’era Brigitte che lo guardava con ammirazione. Steve, che svettava sui due metri di altezza, sovrastava tutti, avversari compresi, mentre Wes sembrava troppo distratto dalla folla femminile sopra di lui.
“se non la smette di guardare le ragazze, giuro che dopo la partita lo castro” sibilò Boris, che cominciava ad accusare lo stress.
Dopo una frettolosa stretta di mano, i giocatori cominciarono a distribuirsi sul campo, mentre Dajan e Barry si posizionarono all’interno del cerchio centrale. L’arbitro si avvicinò, mentre le due squadre tenevano lo sguardo fisso su quell’oggetto sferico in equilibrio sulle mani dell’uomo. Da quel momento in poi, non avrebbero posato gli occhi su nient’altro.
L’arbitro, dopo essersi assicurato di essere esattamente a metà campo per non favorire l’uno o l’altro giocatore, lanciò la palla in aria, facendosi immediatamente da parte.
Dajan spiccò un salto, con una tempistica migliore di Barry riuscendo a soffiargli la palla.
Dalla folla si sprigionarono delle urla di ammirazione ed eccitazione.
La partita era iniziata.
Il capitano della Atlantic direzionò la sfera verso Kim che intercettò perfettamente il tiro. La ragazza cominciò a palleggiare, scambiandosi un cenno d’intesa con Trevor che cominciò a correre verso il canestro avversario. Le si parò davanti un giocatore nemico che cercò di rubarle la palla così la ragazza temporeggiò, maneggiandola con agilità tra le gambe finché riuscì a beccare un’apertura e passarla a Trevor. Il ragazzo però trovò un ostacolo: un certo Florrick lo marcava stretto, impedendogli di avanzare ulteriormente; si accorse della presenza di Wes alle sue spalle che era pronto a ricevere la palla. Distratto da quest’ultimo, Florrick si spostò, convinto di anticipare le intenzioni di Trevor. Il cestista però, con un sorriso vittorioso, lo dribblò e con una schiacciata portentosa, riuscì a mandare la palla a canestro.
Dalla folla esplosero urla e applausi esagitati, accompagnati dalla reazione della panchina della Atlantic School. Erin aveva dimenticato tutto il nervosismo dei secondi che avevano preceduto l’inizio della partita: le facevano quasi male i muscoli, tanta era l’adrenalina in circolo, ma era una sofferenza dannatamente piacevole.
Trevor dal canto suo, continuava a pavoneggiarsi per la sua splendida azione, così Dajan pensò di farlo tornare con i piedi per terra:
“abbassa la cresta Trev, rimani concentrato invece di fare l’esibizionista”
Il ragazzo, che stava gesticolando a Brigitte che quel canestro era per lei, corrugò la fronte, assumendo un’espressione infantile e offesa:
“dici così solo perché non hai una ragazza a cui dedicare i canestri visto che Kim è sul campo”
Dajan lo ignorò, tornando a prestare attenzione al gioco: gli avversari avevano guadagnato la metà campo e correvano verso il canestro della sua squadra. Steve fronteggiò Barry che si stava rivelando un ottimo playmaker, con la sua visione completa del gioco. Il numero 6 tenne la palla bassa, sfruttando il punto debole del ragazzo più alto della Atlantic: palleggiò tenendo la sfera molto bassa e riuscì a superarlo facilmente. Passò la palla al numero 8, Frey ma la traiettoria venne intercettata da Kim che deviò il colpo verso Wes. Il ragazzo partì in contropiede ma si trovò subito di fronte la guardia tiratrice avversaria, Florrick. Quest’ultimo riuscì a penetrare il palleggio, cercando i suoi compagni. Individuò Barry, in posizione fuori dall’area dei tre punti e riuscì a passargli la palla. Prima che Trevor tentasse di sottrargliela, il capitano avversario riuscì a fare un tiro:ne uscì una tripla perfetta, che mandò il punteggio a vantaggio della sua squadra. Erano 3 a 2 a favore della Berrytown High School, ed erano passati appena centoventi secondi di gioco.
Erin era allibita: il gioco era di tutt’altro livello a quello a cui era stata abituata durante gli allenamenti; cominciò così a capire il perché delle insistenze di Castiel, Dajan e Boris nel sottoporla a cicli estenuanti di esercizi. Ingoiò un grumo di saliva che le sembrò depositarsi in fondo allo stomaco con il peso di un macigno.
“tieniti pronta Erin” le disse Boris, senza staccare gli occhi dal pitturato.
La ragazza allungò il collo in avanti e dilatò gli occhi fuori dalle orbite:
“p-perché?” balbettò, temendo la risposta.
“perché tra poco ti farò entrare” le rivelò l’allenatore. Gli angoli della bocca del mister erano curvati verso il basso e le folte sopracciglia aggrottate per il nervosismo.
“m-ma Boris, sei matto? Perché farmi giocare? Quelli mi mangiano!” protestò terrorizzata. Fino a quel momento, non aveva capito in che guaio si era cacciata partecipando ad un torneo di quella portata. Lei, che giocava a basket da pochi mesi, si sarebbe misurata con dei veri e propri mostri.
“oh, non essere sempre così catastrofica” minimizzò l’uomo, mentre alla paura di Erin si sommava la perplessità di Faraize.
“ma Boris” mediò “credo che Travis abbia ragione”
“non l’ho allenata tutto questo tempo per lasciarla in panchina!” si arrabbiò l’uomo, mentre anche il resto dei ragazzi rimasti in panchina lo guardavano confusi.
Con la testa bassa e le gambe che le tremavano, Erin si avvicinò al tavolo dove ad attenderla c’era la sedia per le sostituzioni. Si accomodò, sperando di entrare il più tardi possibile. La sua squadra stava perdendo qualche colpo e le maglie blu erano passati in vantaggio.
Quando la squadra sul campo realizzò lo scambio che sarebbe stato effettuato impallidì.
“Erin?” borbottò perplesso Trevor.
Era inutile chiedersi chi, tra i cinque giocatori in campo sarebbe stato sostituito così, appena la palla uscì dal perimetro di gioco, l’arbitro autorizzò la sostituzione.
Kim sfrecciò furibonda verso il tavolo, lanciando un’occhiata fulminatrice a Boris. Mentre Erin, rigida come un palo, faceva un ingresso robotico verso il campo, la velocista si fiondò contro il suo allenatore:
“perché diavolo mi hai sostituita Bors? Sono passati solo cinque minuti!”
Il mister si accigliò, replicando seccamente:
“devo far finta di non vedere che ti fa male la caviglia?"
La ragazza ammutolì, poi abbassò lo sguardo, frustrata; Boris nel frattempo proseguiva:
"se la sforzi troppo, potresti restare fuori dal campo per una settimana e non posso permettermi di correre il rischio di fare la seconda partita solo con Erin"
Il regolamento del torneo parlava chiaro: ad ogni partita doveva essere schierata almeno una ragazza. Tutti si erano chiesti il senso di quella particolare imposizione e la spiegazione era arrivata dalla risonanza mediatica che aveva riscosso l’evento: parecchie università potevano contare su squadre di basket molto forti e il torneo Interhigh rappresentava l’occasione per scovare potenziali studenti e validi giocatori. Erin intanto, era sul campo. Le gambe non la smettevano di tremarle: assistere al gioco dalla panchina era un’emozione completamente diversa.
“non potevano darti un numero migliore” la schernì Ebony, osservando il 12 sulla schiena dell’avversaria “è l’ultimo numero della serie”
Erin la ignorò, perché distratta da ciò che accadeva nella panchina della Berrytown: l’allenatore infatti, a seguito della sostituzione effettuata dal collega, impose a Ebony di rientrare e schierò al suo posto Samantha Jones.
"sottovalutano Erin" commentò Boris, seguendo con lo sguardo l’arrivo di Sam sul pitturato.
"cosa te lo fa credere?” chiese Faraize, seduto accanto ad un’imbronciata Kim. Gli spettatori guardarono Ebony allontanarsi protestando ma a nulla servirono le sue lamentele: come un predatore che, appena avvistata la preda, si vede costretto a lasciarla ad un altro animale.
“quella Jones è meno forte di quella che è uscita. Ho raccolto del materiale su questa squadra, come del resto per le altre che eventualmente affronteremo, e ti assicuro che non è una minaccia seria. Evidentemente l’uscita di scena di Kim l’hanno interpretata come una mia strategia per risparmiarle un po' di affaticamento ed essere pronta per i successivi quarti. Quindi, per evitare a sua volta di stancare Ebony che dovrebbe poi tenerle testa, hanno schierato quella ragazza”
“quindi Erin ce la può fare tranquillamente?” sovvenne Kim, accantonando il malumore.
“se la smettesse di tremare come una foglia, magari anche sì” sospirò Boris, lanciando delle occhiate preoccupate alla sua giocatrice più mingherlina.
La mora infatti aveva un’espressione terrificata, come se potesse essere sbranata da un momento all’altro.
“ERIN! MUOVI QUEL CULO E NON STARTENE IMPALATA!” le urlò contro Kim, facendo sobbalzare tutti e la diretta interessata per prima.
“m-ma” sussurrò Erin con voce tremante e con un’espressione che ricordava terribilmente un chibi manga. La velocista invece emanava energia da tutti i pori: fremeva dalla voglia di tornare in campo e avrebbe donato un rene pur di essere al posto della compagna. Per lei era inconcepibile quella paura che la paralizzava.
“KIM! NON SEI D’AIUTO!” la richiamò Trevor dal campo.
“NEANCHE TU STANDOTENE ZITTO A GUARDARLA!”
Nel frattempo la panchina avversaria assisteva basita a quello scambio di battute: di certo i giocatori della Atlantic avevano tra le loro file dei soggetti alquanto particolari.
“datevi una calmata voi due” li riprese Dajan, zittendo i due amici e avvicinandosi ad Erin, la esortò:
“pensa solo a divertirti”
Gli occhi della mora cominciarono a brillare e ricordò il messaggio che quella mattina le era arrivato dalla lontana Germania. Non poteva farsi frenare dalla paura. Castiel si era ricordato di lei, si era impegnato per prepararla a quell’evento.
Non poteva fare brutte figure. Annuì quindi con convinzione, riprendendosi giusto due secondi prima della rimessa in gioco.
Prevedibilmente, Jones doveva marcarla ma non si trovò di fronte la ragazza apatica e remissiva che aveva conosciuto in spogliatoio e che era entrata in gioco come se dovesse andare al patibolo: Erin la guardava dritto negli occhi, senza lasciarsi intimorire.
Jones ricevette la palla da Barry e si apprestò a superare l’avversaria.
Quest’ultima sbilanciò il busto verso destra, lasciandole libero il passaggio alla sua sinistra; Sam sorrise soddisfatta: era troppo facile. Fece per sfruttare quell’apertura ma il pallone le venne portato via: allungando il braccio sinistro, Erin aveva agganciato la palla e gliel’aveva soffiata da sotto il naso.
“era una finta” digrignò Jones, trattenendo l’umiliazione. La mora nel frattempo aveva già ceduto il pallone a Dajan che palleggiava dando indicazioni a Trevor e Steve.
In quanto ala grande, il primo riuscì a intercettare il passaggio del capitano e cercò di trovare un modo per arrivare al pivot. Quest’ultimo, Steve, si era posizionato nei pressi del canestro avversario, pronto a ricevere la palla. Attorniato dagli avversari, Trevor preferì mirare a canestro ma il tiro rimbalzò sul ferro: Steve allora spiccò un salto, assieme al centro avversario. Entrambi riuscirono a toccare la sfera volante ma fu grazie alla presa più prepotente del pivot della Atlantic che la palla scivolò all’interno della rete conica.
“EVVVAI COSI’!!” esultarono dalla panchina i compagni.
Steve diede una pacca sulla spalla ad Erin, complimentandosi per la palla rubata, mentre lei sorrideva imbarazzata. Anche Boris le sollevò un pollice alzato, in segno di approvazione.
Florrick aveva ripreso a palleggiare, guardando nervosamente il tabellone: mancavano ancora due minuti alla fine del primo quarto e, nonostante il punteggio a loro favore, sapeva che l’entrata in campo di Sam li aveva penalizzati. Gli avversari non avrebbero impiegato molto tempo a portarsi in vantaggio.
Proprio come aveva previsto il pivot, il gioco della Berrytown subì un arresto: Jones perdeva continuamente il pallone, non riusciva a passarlo a nessuno e non era assolutamente in grado di concludere un’azione. Per contro invece la ragazza della squadra avversaria sembrava rilassata e tranquilla. Non aveva mai segnato un canestro, si limitava a passare la sfera e a correre da una parte all’altra del campo, pronta a intercettare passaggi fondamentali. Florrick non aveva chiaro qualche fosse il suo ruolo, sapeva solo che, forse per la modesta statura della ragazza, spesso si dimenticava di lei o non riusciva a individuarla subito sul campo.
Diversamente da Phoenix infatti, che aveva un gioco molto tecnico e persino affascinante, che riusciva a calamitare l’attenzione di giocatori e spettatori, la giocatrice numero 12 maglia rossa, sembrava più un fantasma che fluttuava sul campo.
 
Il primo quarto si concluse con un pareggio che portò il tabellone segnapunti a indicare per due volte il numero 22.
Boris accolse i giocatori mostrandosi entusiasta dei loro primi dieci minuti.
“sono più tosti di quello che immaginavo” si lamentò Trevor, asciugandosi il sudore con la maglietta e mostrando degli addominali scolpiti.
“meglio così no? C’è più da divertirsi” sorrise Dajan.
“questa è una frase da Castiel” osservò Clinton, allungandogli una borraccia.
“su, su, restiamo concentrati ragazzi!” li richiamò Boris, battendo le mani “la difesa va bene, è l’attacco che dovrebbe essere più efficace: Dajan, non restare fossilizzato sul ruolo del playmaker, fa uscire il centro che è in te; sfrutta le tue capacità di elevazione e fa qualche canestro, mentre da te Wes” disse, spostandosi sul suo giocatore più distratto “voglio almeno sette triple al prossimo quarto”
“sette?” ripetè la guardia, esterrefatta “ma se riesco a farne in media appena quattro a quarto”
“non mi interessa. Mancane anche solo una e ti faccio giocare in mutande”
“beh, va tutto a beneficio delle mie ammiratrici femminili” si pavoneggiò il moro, passandosi una mano tra i capelli.
Irritato per lo scorso successo della sua minaccia, Boris cambiò strategia:
“e se ti dicessi che c’è una persona che, se fai il bravo, potrei presentarti?”
Gli occhi di Wes cominciarono a brillare per l’eccitazione. Aveva sentito girare voci su una presunta nipote australiana di Boris, bionda e dalla pelle baciata dal sole. Esattamente il suo tipo di ragazza.
“questa persona ha detto che verrà al torneo, solo se arriveremo in finale” gli spiegò il mister, intuendo i pensieri del ragazzo. Erano due mesi che lo martellava con la richiesta di conoscere questa fantomatica nipote e l’uomo aveva finalmente trovato un modo per usare a suo vantaggio quella parentela. A quel punto Wes sembrò avere una missione da compiere a costo della vita: dopo aver unito le mani a quelle dei compagni, fu il primo a tornare sul campo e mettersi in posizione. Aveva il fuoco negli occhi.
Faraize, sconvolto da quel cambio di atteggiamento, guardò l’uomo seduto accanto a lui, mentre anche il resto della squadra prendeva posto sul pitturato:
“si può sapere chi è questa persona che Scottdale vuole tanto conoscere?”
Boris sogghignò, assumendo l’aria d una vecchia volpe:
“si è convinto che io abbia una bella nipote da presentargli”
“perché, non è così?”
Il coach scrollò le spalle e, borbottando divertito tra sé e sé:
“forse con una gonna e un fiocco in testa, magari Dake può passare per una donna”
 
Una volta all’interno del perimetro di gioco, Erin cercò Jones ma non la vide. In compenso stava avanzando, con il passo felpato di una pantera, la ragazza che era uscita insieme a Kim.
“dovrai vedertela con me ora, Travis” le annunciò con tono di strafottenza Ebony.
La mora si limitò a mettersi in posizione.
“parli sempre tu?” sospirò, irritata.
Ebony ghignò e si concentrò sul gioco. La palla era in mano della sua squadra e così la ragazza partì all’attacco del canestro avversario. Sorpresa per quella manovra, Erin la seguì. Non era stato quello il ruolo dell’avversaria durante il primo quarto: Ebony infatti si era limitata a restare in difesa, marcando Kim, mentre in quel momento sembrava svolgere un ruolo più offensivo.
Intercettò la palla, accogliendola tra le braccia, e senza curarsi minimamente della presenza di Erin, la scartò. Vittoriosa, sfrecciò verso il canestro, trovandosi davanti Steve. Tenne la palla bassa e, con un passaggio rapido, portò la sfera nelle mani di Barry che realizzò una splendida tripla.
Dajan recuperò la palla mentre Ebony sogghignava:
“non ti si vede neanche sul campo Erin. Sei invisibile” e si allontanò ridendo.
Erin la fissò, ricordandosi di quando era bambina.
Fino ad un attimo prima, era convinta di essere cresciuta, di avere abbastanza autostima da mettere al suo posto una come l’avversaria e che i suoi commenti perfidi non la ferissero. E invece, le facevano ancora male, riuscivano ancora a farla sentire vulnerabile; in sette anni non era cambiato nulla, dentro di sé era rimasta la stessa bambina insicura e debole.
“senti Bors, ce la faccio. Lascia che sia io a vedermela con quella lì” si propose Kim “Erin sembra avere qualcosa in sospeso con quella lì che continua a punzecchiarla”
“perché dovrei farti entrare scusa? Hai un tendine infiammato e non intendo sostituirti. Devi avere più fiducia in Erin: questa è la sua partita” commentò Boris. La cestista lo osservò con curiosità e vide quello sguardo, quasi paterno, che si posava sulla sua giocatrice più fragile.
Tuttavia, diversamente da quanto sosteneva il mister, nel secondo quarto, la difesa di Erin non era più efficace quanto nel primo. Ebony riusciva a sfrecciarle accanto senza che l’altra opponesse alcuna resistenza. Da quando era entrata in campo quella vecchia conoscenza, Erin si era spenta: la ragazza che era riuscita a mettere in ginocchio Samantha Jones era sparita.
“lo dicevo io a Sam che non potevi essere così forte. Hai avuto solo fortuna a rubarle qualche palla Travis. Mettiti da parte che mi sei d’intralcio” e la superò senza difficoltà.
Trevor guardò Erin preoccupato: così non andava. Il punteggio era tornato a loro sfavore: 32-24.
Quel Frey stava puntando al canestro e non aveva il tempo per pensare alla ragazza. In qualche modo l’amica avrebbe dovuto reagire, nel frattempo loro dovevano cercare di portare avanti il gioco.
“Erin!” la chiamò Dajan frustrato, dopo l’ennesimo passaggio intercettato da Ebony, dopo che Erin aveva tentato di passare la palla. Il suo era stato un errore tattico talmente stupido, che persino la pazienza del suo capitano stava cominciando ad esaurirsi. La mora lo guardò smarrita, mentre l’avversaria ridacchiava:
“sei sempre stata insignificante, ma adesso stai rasentando il ridicolo Travis” la schernì con disprezzo “senti un po’ Casper, sarà meglio che cominci a farti notare, altrimenti saresti davvero la persona più inutile sul campo” e dopo aver pronunciato quelle parole, la ragazza superò Erin che non tentò minimamente di bloccarla.
Era rimasta lì. Immobile.
Venne fischiata la fine del secondo quarto e le due squadre rientrarono negli spogliatoi.
 
Boris si avvicinò minaccioso alla sua giocatrice:
“Erin! Ti sei arresa?”
Le urlò contro, chinandosi verso la mora che era seduta sulla panchina dello spogliatoio dei ragazzi. La squadra la fissava in silenzio, lasciando a Boris il compito di darle una scrollata. La ragazza però non osservava nessuno, sentendosi colpevole.
“guarda i tuoi compagni!” le ordinò il mister “ci stanno mettendo l’anima in questa partita e tu invece che fai? Ti fai sovrastare da una che non ha la metà delle tue qualità!”
Quella frase non sortì l’effetto che Boris sperava: Erin infatti scattò in piedi, furente:
“la smetti con questa storia Bors? Non ho quel talento che tu dici! Riconoscilo: Ebony è più forte di me e io non ci posso fare nulla! Smettila di volermi mettere in testa queste patetiche assurdità! Schiera in campo Kim e che sia finita! È l’unica speranza per vincere, perché io sono solo inutile!”
Terminato il suo sfogo, la ragazza si diresse verso la porta dello spogliatoio:
“dove pensi di andare?” la redarguì Boris, tra il silenzio attonito della squadra.
“dove mi pare, tanto non avete bisogno di me” sentenziò la ragazza, sentendo le lacrime montarle in gola. Sbattè la porta e corse via, prima che gli altri si accorgessero di quanto fosse sconvolta. Sentì alle sue spalle che anche l’allenatore era uscito e il suo vocione si propagò per il corridoio:
“ERIN! TORNA SUBITO QUI!”
 
La ragazza svoltò diversi angoli della struttura, cessando la sua corsa solo quando fu sicura che nessuno della sua squadra potesse trovarla.
Non era solo per Ebony. Ebony era solo uno dei tanti motivi che sottolineavano quanto lei fosse inadatta a trovarsi lì. Appena aveva cambiato avversario, era crollata e non era riuscita a rendersi competitiva sul campo. Si appoggiò al davanzale di una finestra e guardò all’esterno.
Se solo ci fosse stato Castiel, lui e i suoi commenti beffardi che riuscivano a farla reagire. Ne aveva proprio bisogno in quel momento. Provò ad immaginare cosa le avrebbe detto in quella circostanza e lo immaginò arrivare trafelato dal corridoio urlandole contro, con la finezza che lo contraddistingueva:
“Cip, smettila di frignare e porta quel sedere flaccido sul campo, altrimenti ti porto io a forza!”
Esalò un sospiro triste e tirò fuori il cellulare, che aveva recuperato appena rientrata in spogliatoio.
Nella galleria cercò quell’immagine che solo guardarla la metteva di buon umore: aveva fatto la foto della fotografia del rosso che era custodita nel cassetto della sua camera.
Erano passati giorni interi da quando l’aveva sentito l’ultima volta, eccezion fatta per qualche sporadico messaggio che serviva a testimoniare che non era passato a miglior vita.
“quando torni idiota di un Castiel?” borbottò tra sé e sé, fissando lo schermo del cellulare.
“è il tuo ragazzo?” chiese una vocina alle sue spalle.
Erin sobbalzò, perdendo la presa sul dispositivo, mentre la figura dietro di lei si chinava a raccoglierlo.
“non volevo spaventarti” si scusò quella che si rivelò essere una ragazza. La stessa persona che lei e Kim aveva incrociato nei corridoi qualche ora prima. Aveva le cuffie abbandonate sul collo e masticava rumorosamente una chewing gum che odorava di fragola.
Erin recuperò dalle mani della sconosciuta il cellulare, ringraziandola; quest’ultima sorrise e scrutò l’abbigliamento della ragazza:
“sei della Atlantic? Non è quella scuola con quel soprannome un po’ assurdo?”
“dì pure idiota” ammise Erin “vorrei tanto sapere chi diavolo l’ha battezzato Dolce Amoris”
La ragazza alzò leggermente le spalle e, inclinando la testa di lato, indagò:
“come mai sei qui? Non dovresti essere sul campo?”
Erin ricordò il motivo per cui non era a correre sul pitturato, motivo che aveva per un attimo dimenticato grazie al diversivo rappresentato dalla sconosciuta.
“non servo alla squadra, quindi mi sono chiamata fuori” sbuffò, appoggiando i gomiti sul davanzale.
“te l’ha detto la squadra?” chiese dubbiosa la bionda, arrotolando le cuffie e mettendosi in tasca il lettore mp3.
“no, ma solo perché sono troppo premurosi per farlo. Lo si vede lontano un miglio che sono solo un peso”
“finché stai qui a lamentarti, di certo non servi proprio a niente” commentò placida l’altra.
Erin le restituì uno sguardo incuriosito. Di certo non voleva compatirla, ma nemmeno la consolazione sembrava contemplata tra gli obiettivi che si era posta quella ragazza.
“in campo ti assicuro che non faccio alcuna differenza: è come se fossi invisibile” la avvertì la mora.
“e chi l’ha detto che questo è uno svantaggio?”
Un solco leggero attraversò la fronte di Erin, che fissava con interesse la sconosciuta:
“ho visto come hai giocato la fine del primo quarto. Il fatto di passare inosservata è il tuo punto di forza” le spiegò la ragazza, avvicinandosi anch’ella alla finestra.
 
“[…] in un certo senso ti ho creato un ruolo tutto tuo Erin, su misura per te, sfruttando la tua statura e la tua agilità. Avrai un ruolo per lo più difensivo, hai dei riflessi molto buoni quindi riesci a rubare la palla con grande velocità. In campo ti muovi con una scioltezza che passa quasi inosservata, complice anche il fatto che sembri un folletto se paragonata ai giganti che ti giocano attorno. I tuoi compagni sono abituati alla tua presenza e a tenerti d’occhio, ma sono convinto che per i tuoi avversari sarà molto più difficile: il fatto che tu sparisca durante la partita, sarà uno degli assi nella manica della nostra squadra”
 
Solo in quel momento, appollaiata sulla finestra, accanto a quella ragazza sconosciuta ma dall’aria socievole, Erin capì a fondo le parole che Boris aveva pronunciato due settimane prima. Lei stessa, fino a quel momento, non si era accorta di cosa era riuscita a fare nel primo quarto; la presenza di Ebony l’aveva distratta ma non aveva motivo per temerla. Aveva tutte le capacità per sovrastarla e farla tacere una volta per tutte.
“e poi il primo premio è troppo allettante per non provarci, non ti pare?” aggiunse la bionda, staccandosi dal marmo bianco.
“primo premio?” domandò Erin, non cogliendo il senso di quell’affermazione.
“ma come? Non te l’hanno detto? La squadra che vince il torneo partirà per un viaggio di una settimana a”
“BERLINO!” completò Erin urlando.
“allora lo sapevi” ridacchiò la ragazza.
Come aveva potuto non pensarci prima. Eppure la preside l’aveva comunicato chiaramente alla squadra. Tra tutte le città al mondo, l’organizzazione sportiva aveva scelto quella in cui più di ogni altra Erin avrebbe voluto trovarsi. Avrebbe cominciato a credere nel destino se ciò fosse servito ad aumentare le chances di raggiungere quella certa persona.
No, ora che si era ricordata di quel premio così prezioso, assolutamente non poteva lasciarsi sfuggire una simile opportunità. Se quello che le serviva per tornare sul campo era una motivazione valida, ne aveva trovata una che le era vitale.
“che ore sono?” chiese trepidante, sbirciando l’orologio della ragazza.
Quest’ultima intuì i pensieri della mora e rispose:
“se ti sbrighi, riesci ad arrivare prima dell’inizio dell'ultimo quarto”
 
Kim cercò di raggiungere Ebony dopo che questa, con una finta, era riuscita a smarcarsi. Aveva giocato tutto il terzo quarto dando il meglio di sé, ma, come aveva previsto Boris, la caviglia era sempre più dolorante. La squadra si era arenata ad un punteggio di 54 a 33 a loro sfavore e ogni volta che la mora osservava il tabellone segna punti, sentiva montarle dentro una rabbia pazzesca: la sua condizione fisica le impediva di dare il meglio di sé, e al contempo, era furente per la codardia che Erin aveva dimostrato. Non pretendeva che fosse una giocatrice impeccabile, ma non poteva perdonarle di averli abbandonati. Quella non era la ragazza che aveva conosciuto e a cui si era affezionata.
La palla era passata a Drake, la miglior guardia tiratrice avversaria che, con una meccanica di tiro impeccabile, aveva centrato il canestro.
57 a 29 ed erano già passati due minuti dall’inizio dell’ultimo quarto.
“ti fa tanto male?” le chiese una voce alle sue spalle. La cestista si voltò di scatto, intercettando lo sguardo preoccupato di Dajan:
“pensa a segnare capitano” borbottò, in preda all’imbarazzo. Nel frattempo, dopo la rimessa dal fondo da parte di Trevor, la palla era stata intercettata dagli avversari, in particolare dal capitano Barry.
“BLOCCA QUELLA CAZZO DI PALLA STEVE!” urlava Wes dalla panchina. Il coach era stato costretto a sostituirlo con Clinton, ala piccola, per tentare un cambio di strategia che però non stava sortendo i risultati sperati. Steve spiccò il salto troppo tardi e l’elevazione pazzesca dell’avversario gli consentì di aggiungere altri due punti, raggiungendo un lodevole 50.
Ebony ghignò divertita, rivolgendosi a Kim:
“certo che tra te e la tua amica non so chi sia la più impedita”
La cestista strinse i pugni e si avvicinò minacciosa all’avversaria, afferrandole il bavero della divisa:
“senti un po’ cretina, se cerchi qualcuno con cui attaccar brighe, hai trovato la persona giusta!”.
Un sorriso strafottente aveva tirato verso l’alto l’estremità destra della bocca di Ebony:
“voglio proprio vedere se ne hai il coraggio” la istigò.
Nel frattempo nell’area sotto canestro, dopo la rimessa in campo, c’era stata un’azione poco pulita e Dajan e Barry si trovavano a discutere con l’arbitro sul possesso palla.
Kim teneva i pugni stretti, affondando le unghie nel palmo, al punto da sentire dolore; la provocazione della ragazza però l’aveva spinta oltre il suo limite di sopportazione: la afferrò per il bavero della divisa e sollevò il gomito, inchiodandola con gli occhi iniettati di sangue. Ebony non solo non era affatto intimidita, ma sembrava sperare in un atto di violenza. Prima che Kim commettesse qualche sciocchezza, la mora avvertì una morsa bloccarle ogni movimento:
“KIM! A CUCCIA!” le impartì Trevor, tenendo d’occhio l’arbitro. L’uomo era ancora impegnato con i due capitani e non sembrava essersi accorto della zuffa tra le due ragazze.
“non sono un cane” ringhiò la mora, recuperando abbastanza lucidità da lasciare la presa sull’avversaria.
 
Il respiro era corto e le usciva a fatica: correva più velocemente che poteva tra i corridoi, con la suola delle scarpe che strideva contro il pavimento liscio.
Non si sarebbe mai perdonata se non fosse riuscita ad arrivare in tempo.
Si era comportata da immatura ma poteva rimediare. Quella era la sua occasione per dimostrare agli altri, ma soprattutto a se stessa, quanto potesse essere determinata e forte; ma non era solo per quello che le sue gambe non la smettevano di spingerla sempre più avanti. Alla lista si era aggiunta una motivazione che era svettata in cima alle sue priorità e continuava a ripeterla a sé stessa, come una promessa infrangibile:
“verrò a Berlino… aspettami Castiel”
 
Ebony, insoddisfatta per la conclusione che aveva preso la discussione con Kim, insistette:
“lo sapevo che non ne avevi le palle”
Trevor si trovò così a trattenere l’amica per le spalle, mentre quest’ultima si divincolava:
“lasciami! Se proprio dobbiamo perdere, che almeno se ne torni a casa con la faccia tumefatta, questa stronza!”
L’amico serrò la presa e insistette:
“smettila di fare l’idiota Kim, o ti squalificano”
 
Erin arrivò in palestra, portandosi davanti alla panchina. L’ultimo quarto era già iniziato.
“sono qui” ansimò, portandosi una mano all’altezza della milza e cercando di recuperare fiato.
Sentiva addosso gli occhi dell’intera squadra ma era solo su una persona che era concentrata la sua attenzione. Boris annuì in silenzio, ancora troppo deluso dal suo comportamento. Aveva un’espressione imperscrutabile ma Erin era determinata a proseguire:
“mi dispiace per prima” mormorò mortificata. L’uomo si alzò dalla panchina proprio mentre gli avversari segnarono l’ennesimo punto.
“l’unico modo per farti perdonare è farci vincere questa partita. Pensi di poterlo fare?” quasi la sfidò l’uomo, chinandosi a guardarla negli occhi.
Erin non abbassò lo sguardo e ricambiò la compostezza con cui lui la stava fissando:
“sì!” esclamò convinta.
Le labbra di Boris si incurvarono leggermente verso l’alto e, con un cenno del capo, ordinò alla giocatrice di andarsi a sedere sulla sedia per il cambio.
Erano quegli gli occhi che voleva vedere in campo, era quella la giocatrice che si aspettava.
L’arbitro aveva appena stabilito che la palla toccasse a Barry e approfittò di quell’interruzione per eseguire lo switch.
“Kim, lascia posto ad Erin” le disse Trevor, indicando la compagna seduta accanto al tavolo segnapunti. L’amica spostò il suo interesse sul bordo campo e sorrise con orgoglio:
“era ora” borbottò tra sé e sé, raggiungendo la collega.
“scusa per il ritardo” minimizzò Erin.
In tutta risposta, Kim le battè una mano sulla spalla:
“l’importante è che ora sei qui”
La sostituzione venne ufficializzata ed Erin entrò in campo. Questa volta le sue gambe non tremavano e il mento era dritto e puntato verso il canestro avversario.
“oh-oh” esordì Ebony, elettrizzata da quella new entry “ma così ci rendete le cose troppo facili”
Erin però la ignorò. Aveva trovato un obiettivo talmente importante che non avrebbe permesso a nessuno, tanto meno ad una persona insignificante come Ebony, di ostacolarla nel suo raggiungimento.
“hai intenzione di fare l’invisibile anche in questo ultimo quarto, Casper?” la canzonò.
Barry effettuò la rimessa in campo, direzionando la palla verso Drake. Il ragazzo era pronto a riceverla ma, a pochi centimetri dalle sue mani, la sfera sparì. Una mano sottile era riuscita a soffiargliela da sotto il naso e, quando il ragazzo si era accorto che era stata la nuova giocatrice a rubargli la palla, questa l’aveva già passata a Dajan. Il playmaker aveva palleggiato fino alla linea del tiro libero e aveva cercato Steve, pronto ad accogliere la palla. Il capitano aveva allora inscenato un passaggio verso il compagno, cambiando all’ultimo la traiettoria di lancio. Quella finta aveva distratto la difesa, che si era concentrata su Steve, lasciando la linea di tiro perfettamente sgombra per il capitano.
“FORZA!” urlarono dalla panchina della Atlantic, esultando per il loro primo canestro del quarto tempo.
Florrick, nel frattempo, aveva recuperato la palla ed era partito alla conquista del canestro. Si trovò di fronte Trevor a sbarrargli la strada, costringendolo a temporeggiare con il palleggio. Doveva decidersi in fretta sul dove direzionare la sfera ma la sua indecisione venne sfruttata da Erin: con la furtività di un topolino, la ragazza gli arrivò da dietro e colpì la palla, facendogliela scivolare via dalle dita. Clinton la recuperò da terra e prima che Frey perfezionasse la marcatura su di lui, la fece tornare verso il canestro avversario. Lì la palla trovò Steve pronto ad accoglierla e, dopo aver avanzato di qualche passo portandosi vicino al canestro, con una bellissima schiacciata, la palla centrò la circonferenza metallica.
La panchina del Dolce Amoris si sollevò eccitata, mentre Faraize palesava la sua perplessità:
“ma non sarebbe stata meglio una tripla? Almeno avremo guadagnato un punto in più”
“sì” convenne Boris che, da quando Erin aveva rubato la prima palla non la smetteva di sorridere “però una schiacciata del genere serve a caricare tutta la squadra: è la dimostrazione che l’inerzia della partita è cambiata e vedrai che non tornerà mai più in mano agli avversari”
“li stracceremo” pensò Dajan tra sé e sé, sorridendo per l’eccitazione.
Ebony effettuò la rimessa in gioco, cercando Barry. Individuò subito Erin, così pensò di descrivere una parabola altissima, in modo che la ragazza non riuscisse ad intercettare la palla. Tuttavia, proprio a causa dell’arco descritto, il tiro non risultò molto preciso e il capitano stesso faticò a prevedere il punto esatto in cui la palla sarebbe caduta. Erin invece sfruttò l’ottimo calcolo della traiettoria di cui era dotata e si mosse un secondo prima dell’avversario, accogliendo la sfera tra le mani. Ebony sgranò gli occhi per la rabbia, mentre la mora passava la palla a Trevor che a sua volta, con una mezza rotazione, la deviò verso Steve. Questa volta il pivot si esibì in una tripla, proprio come sperava Faraize. Barry, allarmato da quell’azione, tentò di stopparlo, ma nella foga, urtò il proprio corpo con il busto del ragazzo, disturbando il tiro. L’arbitro fischiò il fallo ma, nonostante quell’interferenza, la palla riuscì a centrare il bersaglio. Il pivot recuperò quindi la palla e si preparò ad eseguire il tiro libero che gli spettava di diritto.
Prevedibilmente, la sfera, per la terza volta nell’arco di pochi secondi, finì a canestro.
Il punteggio era ora a 54 a 42.
In meno di tre minuti, la Atlantic High School aveva segnato nove punti e non aveva permesso agli avversari di incrementare di una sola cifra quel distacco.
L’inerzia della partita era ora tutta nelle loro mani.
Proprio con questa consapevolezza, pur essendo in vantaggio, la squadra della Berrytown cominciava ad accusare la pressione: dall’entrata in campo della giocatrice numero 12, le sorti dello scontro erano state ribaltate e quella vittoria che erano convinti di avere a portata di mano, non era più così scontata: gli avversari erano più agguerriti, motivati e non sbagliavano un colpo.
Una volta che la sfera ritoccò terra, Drake la recuperò, ma si trovò di fronte Steve a sbarrargli la strada. Il centro rosso sorrise: aveva uno sguardo completamente diverso da quello di poco prima, quando si era lasciato sfuggire palle preziose.
Il numero 4 maglia blu provò a distrarlo con una serie di palleggi, passando con dimestichezza la palla da una parte all’altra, indeciso sul da farsi:
“attento Drake!” gli urlò Barry. Fu troppo tardi quando il ragazzo si accorse che non c’era più la sfera a passare da un palmo all’altro delle sue mani. Si voltò e vide Erin lanciare la palla all’unico giocatore smarcato: Clinton. Il ragazzo era all’esterno dell’aria dei tre punti. Tentò una tripla, anche se non erano la sua specialità. La palla infatti si curvò verso l’alto, ma non sembrava destinata a entrare a canestro. Dajan allora, in prossimità del ferro spiccò un salto, contemporaneamente a Florrick, che puntava alla stoppata. Il capitano della Atlantic però poteva contare su un’elevazione migliore e intercettò la palla: ne derivò un alley-oop spettacolare, che fece alzare l’intera panchina dei compagni e scatenare il visibilio degli spettatori.
Fino a quel momento nessuna delle due squadre si era esibita in simili prodezze e quella mossa iniettò un tale entusiasmo tra la folla che il loro chiasso divenne assordante.
Il capitano poteva godersi solo marginalmente quell’acclamazione e si concesse come unica distrazione quella di cercare lo sguardo di Kim: la cestista sorrideva orgogliosa, senza staccargli gli occhi di dosso.
Barry, sempre più frustrato, recuperò la palla, ma si trovò davanti Trevor e Clinton. Mentre palleggiava, cercò con lo sguardo i compagni rimasti liberi. Individuò l’unica a non essere marcata, così tentò un passaggio verso Ebony. La cestista controllò velocemente l’area attorno a sé, assicurandosi che non ci fosse alcuna interferenza con la ricezione del tiro.
“non permetterò ad un fantasmino del cazzo di vincere” pensava tra sé e sé, mentre aggiustava la propria posizione sulla base della direzione intrapresa dalla palla in volo.
Allungò le braccia verso l’alto, ma prima che la sfera sfiorasse le sue dita, vide una mano piccola scacciare via la palla: si voltò furente, incrociando l’espressione neutra di Erin. La sfera nel frattempo era volata in mano a Trevor e insieme ai compagni, si stavano impegnando in un serrato gioco sotto canestro.
Ebony era sul punto di esplodere: non riusciva a giustificare la metamorfosi della sua avversaria; non solo era diventata il pilastro della squadra, ma era diventata pure impermeabile a tutte le sue offese:
“non montarti la testa” ruggì, correndo a dare man forte ai compagni. La mora però si dimostrò molto più scattante, e raggiunse prima di lei il canestro della Berrytown HS, lasciandola di stucco. Erin infatti riuscì a portarsi di lato a Florrick che, allarmato dalla presenza della ragazza, si dimenticò di Trevor a pochi centimetri da lui e in quell’occasione, toccò al ragazzo il ruolo di ruba palle.
L’ala grande della Atlantic calcolò la distanza dal canestro e lanciò per una tripla. Florrick si era già portato sotto canestro per stoppare la palla e riuscì a deviarne il colpo. La sfera volò quindi verso Drake che partì in contropiede ma Dajan gli serrò ogni via di fuga. Bloccando il palleggio, Drake cercò Barry ma finse di passare la palla ad Ebony. Fu proprio verso quest’ultima che si sporse allora il capitano, ingannato dalla finta. Lasciò così un’apertura a Drake che, soddisfatto della buona riuscita del finto passaggio, puntò al suo capitano. Barry era pronto a ricevere la palla e continuare la corsa a canestro quando Erin si frappose tra i due, proprio un mezzo secondo dopo che il pallone aveva abbandonato le mani dell’ala piccola avversaria. La ragazza accolse la palla tra le mani e la palleggiò velocissima verso Dajan, che nel frattempo era partito all’insegna del canestro.
La sfera sfrecciò nelle mani del capitano, grazie ad un tiro pulito e preciso da parte della ragazza; riusciva a individuare, con una velocità incredibile, i punti migliori in cui tracciare le traiettorie di lancio. Il capitano della Atlantic HS si portò sulla linea del tiro libero, ma trovò Florrick a sbarrargli la strada: quel giocatore non gli dava tregua.
Saltarono in sincrono e l’avversario allungò un braccio verso l’alto, nel tentativo di intercettare la palla: Dajan allora, sorridendo sornione, si incurvò all’indietro, e sempre mentre era in volo, riuscì a passare dietro la propria schiena, la palla a Steve; il pivot, che era  stato lasciato libero da marcature, ci mise meno di due secondi a percepire il passaggio e segnare una tripla.
Frey, rimasto in disparte per tutta la partita, venne destato dai rimproveri del suo coach e ricette il passaggio della rimessa di fondo campo. Era rimasto senza parole per il gioco serrato a cui l’avevano costretto gli avversari ma soprattutto, la loro giocatrice; aveva un’agilità pazzesca, favorita dal suo fisico minuto e sgattaiolava via con la scioltezza di un’anguilla.
Il cestista, troppo occupato a fare considerazioni su Erin, non si accorse che proprio l’oggetto dei suoi pensieri, in combinazione con Dajan, gli avevano teso una trappola: il capitano lo marcò stretto e nel tentativo di girarsi, la ragazza gli strappò la palla arrivando da destra.
Passarla a Steve fu un attimo e Barry gli fece da scudo alzando le braccia. Il centro allora optò per Clinton dietro di lui che, prima che Florrick si mettesse in mezzo, cercò Trevor. Lo trovò pronto ad accogliere il tiro e mandare la palla a canestro con una violenta schiacciata: a un minuto dalla fine della partita, il liceo Dolce Amoris aveva pareggiato.
“VAI COSI’ AMORE!” urlava Brigitte dagli spalti.
In sessanta secondi si sarebbero decise le sorti della competizione.
Fino alla selezione delle quattro migliori squadre, quel torneo veniva giocato per eliminazione diretta: chi perdeva era fuori ed Erin lo sapeva meglio di chiunque altro. Se fossero stati sconfitti, il sogno della Germania sarebbe naufragato.
La ragazza scrutò rapidamente i numeri rossi segnati sul tabellone elettronico: i secondi scorrevano inesorabili.
“CHE CAZZO VI PRENDE?” urlava il coach della Berrytown HH “DATEVI UNA SVEGLIATA!”
Il pubblico quasi scalpitava: appassionati di basket, familiari, amici, studenti delle rispettive scuole… chiunque fosse presente al palazzetto quel giorno non avrebbe mai dimenticato la frenesia e l’elettricità che dominava l’aria.
“CONTINUATE COSI’ RAGAZZI! SONO SOLO DELLE MEZZE PIPPE!” esortava invece Boris i suoi.
Colpiti nell’orgoglio, i giocatori a maglia blu cominciarono ad incanalare tutto ciò che rimaneva delle loro energie nello spirito competitivo. Barry afferrò la palla e partì come una scheggia, diretto verso il canestro avversario; il gioco della Atlantic aveva praticamente impedito alla sua squadra di avvicinarsi alla loro area di tiro.
Clinton provò a bloccarlo, ma il capitano blu lo aggirò facilmente; si erano lasciati soverchiare come formiche, umiliandoli con uno schema offensivo improvvisato ma efficace. Era arrivato il momento di far tornare l’inerzia della partita nelle loro mani. All’umiliazione di aver lasciato segnare ben 17 punti di fila, non poteva aggiungersi quella di perdere la partita.
“Florrick!” chiamò il compagno, che era già pronto nell’area dei tre punti.
Ancora cinquantatré secondi.
Il cestista prese la sfera al volo ma Dajan gli era già alle calcagna: temendo di essere stoppato, il ragazzo tentò il tiro, ma lo scarso tempo di preparazione della meccanica di lancio inficiò sulla sua precisione. La palla volò in aria.
Quarantanove secondi.
Florrick e Barry si posizionarono sotto canestro, pronti a prendere il rimbalzo e lo stesso fecero Dajan e Steve, con l’obiettivo opposto. I quattro ragazzi si trovarono a fronteggiarsi attorno al ferro e sulla sfera si posarono, con una presa più o meno salda, quattro mani diverse, due spingevano in una direzione, due in quella contraria.
Quaranta secondi.
La palla mancò il ferro, cadendo a terra assieme ai quattro. Frey recuperò la palla, mentre Erin e Clinton serrarono la difesa: l’avversario diede loro le spalle, continuando a palleggiare, mentre i due attuarono una sorta di scudo umano.
Trentacinque secondi alla sirena.
Frey individuò con la coda dell’occhio la presenza di Barry ed effettuò un lancio basso. Erin sfruttò allora la sua altezza che le rese più agevole l’intercettazione della traiettoria, mentre Barry rimproverava il compagno per l’errore madornale che aveva commesso.
Alla ragazza si parò di fronte la giocatrice che in quegli ultimi istanti di gioco era rimasta in disparte.
Ebony la fissava agguerrita, determinata a soffiarle la palla.
Il punteggio era stabile in pareggio ma non i secondi che si erano portati a ventitré.
Erin guardò a destra, portando l’avversaria a direzionare lo sguardo nella medesima direzione. In quel punto però, gli occhi di Ebony si accorsero troppo tardi che non c’era nessun giocatore a cui passare la palla. La mora infatti eseguì un furbissimo no look: passò la palla a Dajan che era alla sua sinistra, avvertendolo:
“DAJAN! TUA!”
Era la prima volta che la ragazza faceva sentire la sua voce da quando era entrata in campo.
Ebony rimase senza fiato, disorientata dalla sua concentrazione e sicurezza.
Il numero cinque nel frattempo, analizzando rapidamente la situazione, individuò Trevor.
Meno di quindici secondi.
Passò la palla all’amico, senza calcolare la presenza di Ebony dietro di lui: decisa a far vincere la sua squadra, la cestista disturbò il passaggio e prese il possesso palla; non fece in tempo a farla rimbalzare due volte contro il pitturato che sentì mancare il palleggio della palla contro le mani.
Erin gliel’aveva soffiata e, approfittando del campo lasciato libero sul canestro avversario, si stava dirigendo come una scheggia verso di esso.
“IDIOTI! AVETE LASCIATO SCOPERTO IL CANESTRO!” urlava il coach, guardando terrorizzato quella che sembrava una pulce impazzita se confrontata ai giganti che la circondavano.
Meno di dieci secondi.
Poiché era la più vicina alla metà campo, Ebony fu la prima a raggiungere Erin e sorrise soddisfatta nel constatare che i compagni dell’avversaria non sarebbero riusciti a raggiungerla in tempo: la mora non aveva nessuno a cui passare la palla, nessuno che potesse mandare la sfera a canestro.
Sei secondi.
“è finita Casper” sibilò, parandosi davanti a lei e pronta a rubarle il pallone.
Erin, senza smettere di palleggiare, abbassò il busto e sorrise con aria di sfida.
Non c’era la minima rassegnazione nei suoi occhi. Sentendo arrivare dietro di sé Drake, la ragazza effettuò una mezza giravolta, con l’eleganza che solo una ex ballerina come lei poteva avere, quella stessa che da bambina Ebony le invidiava tanto. Disorientata dalla posizione di Erin, l’avversaria puntò nella direzione sbagliata, sbilanciandosi al punto da cadere a terra. La cestista nel frattempo, anziché voltarsi verso i compagni in avvicinamento, interruppe il palleggio e, prima che Drake potesse raggiungerla, lanciò la palla a canestro.
La sfera volò in alto, descrivendo una parabola perfetta.
Tutti rimasero a bocca aperta, persino i suoi compagni, mentre Boris sorrideva orgoglioso: aveva impiegato intere giornate a perfezionare i tiri della ragazza e ormai non nutriva più alcun dubbio su quale destino fosse riservato a quella palla.
La sirena nel frattempo suonò, proprio mentre il pallone, dopo aver centrato pienamente la circonferenza del ferro, ondeggiò attraverso la rete: un buzzer beater non poteva che essere la miglior conclusione di una partita così avvincente, specie se eseguito dalla giocatrice mingherlina e alta come un fungo che era riuscita a ribaltare le sorti dell’incontro.
Dalla panchina della Atlantic scattarono tutti in piedi, correndo verso quell’esserino minuscolo che sostava appena fuori dall’area dei tre punti. Ancora a terra e troppo sconvolta per alzarsi, c’era Ebony: fissava esterrefatta, dal basso verso l’alto, l’avversaria che la sovrastava; aveva gli occhi sbarrati e la bocca spalancata dallo sbigottimento. Aveva provato in tutti i modi a demolirla, l’aveva derisa per il suo essere inesistente durante il gioco, ma ironia della sorte, quella sua capacità di passare inosservata era stata vitale per la vittoria della sua squadra. Il fantasmino di cui si era fatta beffe, era riuscito a spaventarla oltre ogni previsione.
Chinando ilo sguardo verso di lei e con un sorriso beffardo, che senza accorgersene finì per imitare quello di Castiel, Erin commentò semplicemente:
“che c’è Ebony? Hai visto un fantasma?”
Non potè aggiungere altro perché nel frattempo si sentì braccare da sotto e in un attimo, si trovò a due metri la terra, seduta sulle spalle di Steve e Trevor.
Tutta la squadra era accorsa sul campo e festeggiare, urlando ogni possibile complimento o frase e anche il pubblico sembrava per lo più gioire per quell’epilogo.
“SEI STATA FENOMENALE ERIN!” si complimentò Wes, scompigliandole i capelli, mentre i suoi piedi tornavano a toccare terra. Il ragazzo non fu l’unico che si sbilanciò in quella manifestazione di affetto e poco dopo, una serie di mani agguantarono la sommità del capo della povera vittima, per spupazzarla un po’.
Quando Boris si fece largo tra i suoi ragazzi per complimentarsi, si trovò di fronte un barboncino con la divisa da basket della Atlantic HS:
“cerca di tornare un po’ presentabile Erin” ridacchiò, mentre anche il resto dei giocatori si godeva i meritati complimenti dai compagni “perdi tutto il tuo fascino così”
La ragazza ignorò quel commento che in altre circostanze l’avrebbe irritata: sentiva il cuore esploderle dall’orgoglio e dalla gioia. Sapere di essere stata preziosa per la sua squadra, proprio lei che si era sempre considerata l’anello debole, rilasciava in lei un carico di adrenalina che avrebbe impiegato giorni per smaltire.
Ma non era solo quello.
Quando le due squadre si allinearono per la stretta finale, decretando la vittoria della Atlantic HS, Erin sapeva di essersi avvicinata un po’ di più a quella città che, negli ultimi due mesi, aveva acquisito un’importanza fondamentale per lei.
“non muoverti da lì Castiel” annunciò mentalmente a quell’interlocutore che non poteva sentirla “sto arrivando”.
 
 
 
 NOTE DELL’AUTRICE:
 
Allora, dunque… scusate ma sono un po’ su di giri che non riesco a fare bene il punto della situazione. Molte di voi lo sanno quanto ci tenessi a questo capitolo, per cui spero che vi sia arrivata la trepidazione che provavo io quando ne immaginavo le scene.
Devo fare una serie di precisazioni a partire da quella più importante: buona parte del capitolo (tranne le ultime pagine) sono passate sotto la revisione di quella che ormai l’avete capito, è il mio guru del basket **: quindi Manu, grazie, grazie, grazie ^^.
Poi la seconda è che, alcune scene e forse anche un po’ lo stile delle azioni, ricalca un manga che lessi mesi fa per entrare nell’ottica di questo sport (di cui mi sto innamorando perdutamente… Manu, presentami un cestista!): Kuroko no Basuke. Io che generalmente prediligo gli shoujo, mi sono innamorata di questo manga e lo consiglio vivamente a chi apprezza generi tipo Naruto (Nuvola, qui mi rivolgo direttamente a te ;)).
Poi poi… a parte una piccola parentesi su Sophia (che pur essendo corta è di importanza vitale, poiché legata al mistero dietro IHS), il capitolo è stato tutto concentrato sulla partita. Spero che questo non vi abbia annoiato, ma visto che si è trattato di una delle partite più importanti del torneo, volevo focalizzarmi su di essa… mentre prevedo che il prossimo capitolo lascerà un po’ di spazio anche gli altri personaggi.
Invece, per quanto riguarda il bellissimo disegno del ragazzo che spiega alcuni aspetti del basket, ci sono due cose di fondamentale importanza:
  • È opera di Kiritsubo83 (quando arriverai a leggere qui cara Kiri, sappi che amo quel disegno^^)
  • È Trevor XD
Bene, non ho altro da aggiungere ^^. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, soprattutto, che stiate trascorrendo un periodo sereno :).
Buon Natale quindi e ci si vedrà l’anno prossimo :D!
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: RandomWriter