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Autore: cin75    25/12/2014    7 recensioni
Vivere. Incontrarsi. Conoscersi. Innamorarsi. Perdersi per poi ritrovarsi. Questa è solo la storia di un amore!!
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Jensen passò un tempo imprecisato nel locale di Misha, in cui si sarebbe dovuto esibire quella sera.
L’amico l’aveva trovato già nel retro quando andò ad aprire e gli era venuto quasi un colpo quando lo vide uscire dal magazzino con una bottiglia in mano. Il giovane aveva il volto stravolto, deluso, ferito e di certo la bottiglia di whisky che aveva tra le mani non lo avrebbe aiutato. Lo convinse a smettere di bere e spiegargli che cosa fosse successo e quando Jensen finalmente sputò il rospo, Misha non fece molto.
Lo abbracciò e lasciò che Jensen piangesse il dolore, la rabbia, il tradimento e tutto quello che di amaro avesse dentro.

Quando capì che almeno una parte del temporale era passato, gli preparò un caffè molto forte. Jensen lo bevve e poi quasi sorridendo sembrò rendersi conto di quello che era successo.
“Da non crederci. Sette anni di vita insieme fottuti da una scopata!!!” e Misha lo guardò. Raramente Jensen era gratuitamente volgare e questo voleva significare solo lo stato d’animo dell’amico.
“Dov’è lui, adesso?!” gli chiese cercando di tenere sempre un tono basso e calmo per tenere Jensen calmo. Agitarlo, insistendo o spronandolo in qualche maniera non sarebbe servito a niente.
“Non lo so e non lo voglio sapere. Oramai non mi interessa più!!” confidò prima di bere ancora altro caffè, anche se sapeva che stava mentendo e lo sapeva anche Misha.
“Senti! Perché non te  vai da qualche parte. Per stasera troverò una scusa o magari mi inventerò una serata “Instrumental”!!?” suggerì Misha.
“No, grazie. Ma se sto qui e lavoro, evito di pensare a quello che troverò...o non troverò... quando tornerò a casa.” E non diede possibilità a Misha di replicare che si alzò e andò verso gli strumenti. 

Il locale cominciò a riempirsi come ogni volta che c’era Jensen. E anche quella sera fu così, tranne che per il cantante che era letteralmente a pezzi. Ma non si diede per vinto. Salì sul piccolo palco e iniziò con le sue canzoni che stranamente quella sera erano molto malinconiche, alcune rabbiose e altre tristi. Cantava quello che sentiva, come si sentiva e in qualche modo la gente lo capì, ma applaudì lo stesso, perché comunque sia le sue esibizioni furono molto toccanti.
Poi, ad un certo punto, quasi con terrore, Jensen, vide entrare Jared nel locale e Misha andargli incontro. Vide i due parlare animatamente anche se con discrezione e capì che Misha stava chiedendo a Jared di andare via e che il giovane non voleva. 

Così decise di intervenire lui. A modo suo.
“Questa canzone credevo di non doverla mai cantare, non per qualcuno che pensavo non mi avrebbe mai fatto aver voglia di cantarla!” fu la dedica abbastanza criptica che però parve avere il suo scopo. Cominciò a suonare, ma era talmente arrabbiato o forse distrutto da tutto quello che sentiva dentro che sbagliò anche un accordo e dovette ripetere un di paio battute musicali con una serie di giri armonici per riprendere il tono giusto.

I don't want to hear what you have to say  ( Non voglio sentire quello che hai da dire
I've heard it all before every single phrase ( Ho sentito tutto prima di ogni singola frase
Wipe away the tears drowning out my days (Asciuga le lacrime annegando nei mie giorni
Give me back the years that you took away (Ridammi gli anni che ti sei portato via

Believe me when I tell you that it's over (Credimi quando ti dico che è finita
There's just some things that time can't erase ( che ci sono poche cose che il tempo non può cancellare
I'm getting tired of looking back over my shoulder ( sono stanco di guardarmi indietro
So i'm walking away, I'm walking away ( Così andrò via.

I forgive and I forget ( Perdono e dimentico
For the last time, for the last time ( per l’ultima volta
And I'll take what I can get (Mi prenderò quello che potrò
For the last time, for the last time ( per l’ultima volta

I don't want to know what you're doing here ( Non voglio sapere cosa ci fai qui
It's nothing you can do I'm not afraid of fear (Non c’è niente che puoi fare e io non ho paura della paura
I've seen it all before, bruises on my bones ( Ho già visto tutto, ci sono i lividi sulle mie ossa                                                                 The hero in this war is not gonna make it wrong (L’eroe di questa guerra non ha intenzione di sbagliare

Believe me when I tell you that it's over ( Credimi quando ti dico che è finita
I'm never coming back this way again (Non tornerò mai più indietro
I'm getting wiser, I'm getting older (Sto diventando saggio, vecchio
So i'm walking away, I'm walking away ( Sto andando via



Jensen cantò la canzone con rabbia, ma con una forza particolare che era la forza che ha, chi sa di dover ricominciare ancora, nonostante non volesse farlo. Cantò piangendo sulle ultime parole e sebbene riuscì a finire anche l’ultima frase, il ringraziamento che concesse al suo pubblico divenne quasi un singulto nervoso quando incrociò le lacrime di Jared prima che il giovane ormai sconfitto, abbandonasse il locale.

****
Il riavvicinamento.....

Da quella sera passarono circa tre anni.
Jared andò via la sera stessa per Chicago e Jensen continuò a lavorare con Misha, anzi l’amico gli propose di entrare addirittura in società. Infondo se il locale andava alla grande era anche grazie alle sue performance canore.
Una mattina, mentre Jensen sistemava alcune cose nel locale una voce squillante gli arrivò alle spalle.
“Sei sempre un bel vedere. Anche di spalle!!”
Jensen si girò di scatto verso quell’apprezzamento improvviso. “Megan!!??”, la sorella di Jared. Che ci faceva lì?
“Che cosa diavolo ci fai da queste parti, dolcezza!!?” le chiese sorridendole di cuore e abbracciandola sinceramente. “Mio Dio!! Ti sei fatta ancora più bella!!” le disse ancora guardandola dai piedi ai capelli e abbracciandola ancora. Megan ricambiava con gioia.
Gli era mancato Jensen e quando si era vista arrivare a casa sua, Jared che gli aveva confidato tutto, prima di consolarlo e provare a capirlo e giustificarlo, gliene cantò di tutti i colori. Solo le lacrime di quel suo fratellone, riuscirono a farla calmare.
“Sono qui per degli aggiornamenti di lavoro e dato che oggi, gli incontri saranno di pomeriggio, ho deciso di passare a vedere come te la cavavi! Ti vedo un po’ troppo magro per i miei gusti. Stai bene?!” notò, anche se il fisico di Jensen poteva ancora fare invidia a molti.
“Bene…io…io sto bene…” balbettò e poi cercò di riprendersi. “Meg…piccola…non dirmi che sei in qualche albergo strano. Sai che puoi sempre chiamarmi, che puoi contare su di me ..anche se…” ma non finì, perché Megan gli mise una mano sul volto come a voler significare che aveva capito.
“Lo so, Jensen. Lo so. Ma non sono qui da sola!” ammise senza mai smettere di guardarlo e rise quando vide lo sguardo perplesso e incuriosito dell’ex cognato.
“Oh!! E chi è il tipo a cui devo spezzare le gambe se non si comporta bene con te!!?” scherzò.

Megan rise a quella gelosia. “Non è come pensi. Io sono con….”, stava per dirlo, ma qualcuno alle spalle di Jensen finì per lei.
“Ciao, Jensen!”
Bang!!! 

La voce di Jared rimbombò nella testa di Jensen quasi fino a fargli male. Però, se era male quello che sentiva, perché il suo cuore aveva preso a battere all’impazzata, milioni di immagini di loro due gli passavano davanti a gli occhi come flash. E perché c’era anche della felicità nell’aver sentito quella voce ?
Jensen si girò. Guardò il ragazzo che aveva davanti. 

Maledizione!!, perché sei ancora maledettamente così!!

E questo fu quello che entrambi pensarono quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo dopo tanto tempo.
Jared aveva i capelli un po’ più lunghi dell’ultima volta. Anche lui era dimagrito, ma i suoi occhi erano ancora brillanti di mille sfumature ambrate e dorate. I suoi occhi. Nonostante tutto. Nonostante il modo in cui era finita tra loro, gli occhi di Jared riuscivano a ipnotizzarlo ogni volta.
“Ciao, Jared!” rispose al saluto e azzardò anche a porgergli la mano. O forse lo fece per poterlo toccare e sentire quello che avrebbe provato. Se lo avesse provato ancora. E fu così. Per entrambi. E anche se non volevano ammetterlo, entrambi, sentirono una feroce scarica elettrica attraversarli non appena le loro mani si incrociarono.
Questa volta fu Jared a fissarlo discretamente.
Gli era mancato. Dio!!, se gli era mancato Jensen.
E se si era maledetto ogni giorno per lo sbaglio assurdo che lo aveva costretto a lasciarlo. Megan, quando vide che i due continuavano a fissarsi e a osservarsi ammutoliti, li lasciò da soli. Forse da soli, qualche parola avrebbe trovato il coraggio di uscire!!
“Ti trovo bene!” fece Jared.
“Anche tu….stai bene. Hai accompagnato Megan?!”
“Sì.  Avevo delle ferie arretrate  e ne ho approfittato!” ammise e Jensen, senza sapere come o perché, se ne uscì con una domanda assurda.
“Per venirmi a salutare ?!” e non appena la pronunciò, se ne pentì. Che cosa avrebbe fatto se Jared gli avesse detto di no. Che era solo un caso che fosse lì.
“Sì.” fu invece la risposta immediata del giovane. “Volevo rivederti! Mi sei mancato!” ammise senza timore.  In un primo momento Jensen si sentì spiazzato da quella sincerità, poi, però, si ritrovò a sorridergli. Si ritrovarono a sorridersi entrambi. E quella eccitante elettricità che c’era tra loro anche quando stavano insieme, sembrò cominciare a sfrigolare di nuovo.

E mentre tra i due sembrava calare una sorta di tregua, una vocina squittente ma dolcissima fece il suo ingresso nel locale. Un bimbo da un foltissimo caschetto biondo trotterellò fino alle gambe di Jared, aggrappandosi a lui non appena lo vide.
“Daddy!!!” esclamò come se avesse trovato il tesoro.
Jensen restò a bocca aperta e completamente ammutolito, mentre vedeva Jared abbassarsi un po’ e prendere in braccio il bambino che gli mise le braccia paffute intorno al collo, mentre il ragazzo gli dava un bacio sulla fronte.
“Tu….sei…..lui è tuo….” questo fu tutto quello che riusciva a dire Jensen, mentre spostava gli occhi da Jared al bambino e poi di nuovo su Jared. Non poteva essere!!
“Si, Jensen. Sono padre e lui è mio figlio, Jordan !” disse guardando il bambino che non smetteva mai di sorridergli.

Jensen era sconvolto. Non sapeva che dire o solo che fare. Fu Jared ad interrompere il flusso dei suoi pensieri, ma quello che gli disse lo mandò ancora di più nel panico. 
“Jordan ha circa tre anni!” confessò e a quel punto Jensen capì il perché di quel chiarimento.
“Oh mio Dio!!... lui….quella sera…tu e …..” ma le parole non riuscivano a venire fuori come lui voleva. 
Era troppo! Decisamente troppo. 
Non solo Jared lo aveva tradito e con una ragazza. Ma da quel tradimento ne era nato anche un bambino. Cioè, non che il piccolo ne avesse colpa, ma era come un faro sempre acceso su quello che era successo tra loro. 
Come aveva potuto solo pensare di poter rimettere le cose a posto con Jared, ora che aveva saputo anche del bambino??!!
“Mi….mi dispiace…io …io devo andare. Ho da fare…devo…io devo….” cominciò a balbettare mentre prendeva confusamente le sue cose dal bancone del locale e velocemente cercava di andare via. 
“Jensen…aspetta…non…” provò a fermarlo Jared.
“E’ stato un piacere rivederti…ma …insomma…non è ….non è il caso….” e scappò via e per poco non travolse Misha che era appena entrato nel locale.
“Jensen!!????” lo chiamò Jared sperando di fermarlo e così fece anche Misha, ma lui non diede retta a nessuno dei due e continuò la sua corsa.
“Dove sta andando ?!” chiese Jared a Misha che non era proprio convinto di rispondere. “Misha, dove sta andando??!” fece rincarando con il tono della voce e passando il bambino nelle braccia di Megan che era accorsa quando aveva visto letteralmente fuggire via Jensen.
“Di certo starà andando a casa!” ammise. Sapeva che in quei momenti particolari, Jensen si rifugiava a casa sua e si immergeva nella sua musica. E quando vide Jared che stava per uscire, lo richiamò.
“Jared ??!! Liberty Road, al 205.” rivelò.
“E che diavolo c’è al 205 di Liberty Road?!” chiese Jared ricordando che era una zona lontana da quella che era casa loro.
“Casa sua.” confessò Misha.
“Come …ha venduto casa nostra?!” chiese spaesato il giovane.
“Davvero credi che avrebbe continuato a vivere nella vostra casa?!” gli suggerì e in effetti era così. Jensen non era durato tre mesi in quella casa dopo che si erano lasciati. Troppi ricordi. Troppo dolore. Troppa rabbia. L’aveva quasi svenduta pur di liberarsene e ricominciare da un'altra parte.
“Grazie, Misha!!” fece il giovane mentre usciva dal locale.
“Jared non fare più stronzate!!” gli gridò dietro l’amico e poi rivolse un enorme sorriso al bimbo che lo guardava. Misha lo vide un po’ perplesso, era comunque uno sconosciuto per il piccolo, e allora passò all’attacco.
“Che ne dici, amico! Ce lo facciamo un bel gelato ?!” domandò con una voce dolce e accattivante. Il piccolo Jordan guardò la zia che gli sorrideva e poi, come se fosse stato attratto dagli occhi blu di Misha, gli si lanciò tra le braccia. “Buonoooo dilato!!!” esclamò a parole sue.
“E gelato sia!!” lo accontentò il nuovo amico. “E speriamo che vada bene anche a quei due testoni!!”, ma questo lo disse ammiccando verso Megan che non potè che essere d’accordo.


L’amore ritrovato...

Ci volle circa mezzora perché Jared raggiungesse il nuovo indirizzo di casa di Jensen. Quando parcheggiò, non ci pensò due volte a bussare alla porta e quando vide che Jensen non apriva, cominciò a chiamarlo.
“Jensen, aprimi….lo so che sei qui….andiamo, apri la porta!!! Se credi che me ne vada dopo il modo in cui ci siamo squadrati qualche minuto fa…te lo scordi, amico!!” diceva o alla porta o alla finestra appena vicina ad essa. 
Jensen da dentro la casa, lo sentiva. Sentiva Jared chiedergli di aprire, ma la paura di quello che poteva ricominciare e poi finire di nuovo, gli impediva di aprigli.
“Jensen, non me ne vado. Questa volta non me ne andrò senza avere la possibilità di parlare. Non farò due volte lo stesso errore!! “
Niente!!
“Cazzo!!! Jensen , apri la porta o giuro che la butto giù!!!” si ritrovò a gridare. Poi, quando si accorse che stava attirando l’attenzione del vicinato, decise di darsi una calmata. Se avessero chiamato la polizia, lo avrebbero portato via e non avrebbe risolto nulla.  Così si avvicinò alla porta, appoggiò una mano sul legno liscio e lo chiamò ancora.
“Jensen, per favore! Aprimi. So che mi stai ascoltando e so che sei dietro la porta!” e lo era. Jensen, fronte appoggiata alla porta, lo stava ascoltando. 
“Non ho mai smesso di amarti, Jensen. Non ho mai smesso di pensare a te. Ma ho sbagliato. Sono stato uno stronzo ad ubriacarmi quella sera e a fare quello che ho fatto. Lo so. E io per primo ancora non me lo perdono. Ma non posso cambiare il passato, non posso cambiare quello che è successo. Ho un figlio che me lo ricorda ogni singolo giorno della mia vita. Un figlio che non posso incolpare per un mio errore, ma che mi dà la forza di andare avanti, quando a volte andare avanti senza di te, è quasi impossibile!” gli confidò con la voce colma di emozione. Emozione per quello che provava ancora per lui, per suo figlio, per quell’amore che non aveva mai smesso di sentire dentro di sé.

Jensen, invece, dall’altro lato della porta, piangeva. Le lacrime non ne avevano voluto sapere di rimanere fuori da quella storia. Aveva pianto quando aveva trovato Jared a letto con quella ragazza, aveva pianto quando gli aveva dedicato quella canzone che aveva sancito la loro rottura definitiva. E piangeva ora, perché, come Jared, sapeva di amarlo ancora. Che non aveva mai smesso e come Jared, sapeva che il bambino era un ricordo perpetuo di un errore passato. Ma Jared aveva anche ragione. Quel bambino era innocente, non aveva colpa di niente. Se volevano cercare di capire se potevano ricominciare, Jordan, non era la scusa per non provarci. 
Mise la mano sulla maniglia e prendendo un profondo respiro, aprì.
Fu un attimo e i loro occhi, lucidi di lacrime per quello che il giovane aveva detto e il maggiore ascoltato, si legarono di nuovo. Di nuovo trovarono quel posto solo loro dove scoprire le loro anime.
Jared non si mosse, allungò solo una mano verso Jensen.
“Ti amo. Ti prego, lasciami entrare!” fu la richiesta disperata.

Jensen non riuscì a rispondergli ma allungò la mano verso quella di lui e gentilmente lo tirò in casa. Quando la porta si fu chiusa alle loro spalle, Jared sentì quasi come istintivo abbracciarsi a Jensen, che benché, all’inizio fosse ancora timoroso, non riuscì a non contraccambiare. Gli portò le braccia al collo e lo strinse a sé. Forte. Quasi disperatamente. Sembrava, volesse, con quell’abbraccio, riavere tutti quelli che non avevano più avuto. Poi, come un esplosione, la passione divampò. 
Un bacio, e poi un altro e poi ancora e poi ancora  e ancora un altro, fin quando le labbra quasi cominciarono a fare male. Le mani frenetiche accarezzavano i volti, i capelli, le schiene contratte dal volersi stare vicini. Le braccia non lasciavano mai andare il corpo che stringevano per la paura di perdersi di nuovo.  L’urgenza di appartenersi si fece pressante, dolorosa, a tratti smaniosa. La voglia di sentire di nuovo quella completezza non solo fisica che per anni era stata il fulcro di quel loro stare insieme, si palesò di nuovo prepotente nei loro gesti. 

Fecero l’amore!

Lo fecero con una passione che sembrò esaltarsi ancora di più quando la dolcezza dei loro movimenti prese il sopravvento sulla frenesia di quel loro ritrovarsi. Jensen lasciò che Jared lo facesse suo. Si legò al suo amore per cancellare il dolore della separazione, la sofferenza di un errore. Si donarono l’uno all’altro per ristabilire ciò che non era mai svanito, ma solo evitato. L’amore!
Si strinsero forte fino quasi a gemere, quando l’estasi sopraggiunse. Si strinsero ancora perché niente doveva più dividerli. Nemmeno il piacere che provavano stando insieme.

Nel letto, ancora uno di fronte all’altro, con gli sguardi felici di quell’amore ritrovato, finalmente riscattato, fu Jensen a spezzare il silenzio dei loro respiri.
“Parlami di lei, della madre di Jordan!” chiese senza mostrare rancore o alcun tipo di risentimento.
“Non siamo mai stati una coppia , se è quello che intendi!” rispose il giovane.
“Voglio solo capire, Jared. Credo di averne il diritto!” disse mentre gli accarezzava il viso leggermente turbato.
“Hai ragione, scusami. Si chiamava Chelsey e lei è…morta!”
“Che cosa ??”
“Ha avuto delle complicazioni cardiache durante il parto e non ce l’ha fatta!”
“Mio Dio!!...mi ….mi dispiace…credimi!”
“Si, Jensen, ti credo. Lo so che sei sincero!” lo rassicurò. “Lei riuscì a contattarmi in qualche modo quando scoprì che era incinta e rimase allibita quando gli rivelai che ero gay e di tutto il casino che era stata quella sera. Mi disse che era sola e che non voleva niente se non qualcuno con cui affrontare almeno la gravidanza a causa della sua situazione clinica. Ero sconvolto anche io da quella paternità così inaspettata, ma non riuscii a dirle di no. Avevo fatto già lo stronzo con te. Lei e il bambino che aspettava sembravano essere una sorta di riscatto e non una sentenza.”
“Ti sei preso cura di lei!” gli disse riconoscendo nel gesto del compagno, il buon cuore di cui si era innamorato. 
“Sì, ma non servì a tenerla vita. Ebbe un infarto durante il travaglio. Jordan è vivo per miracolo!!” finì di raccontare. “Dovette stare per qualche settimana in ospedale per i controlli del caso. I dottori volevano assicurarsi che non avesse la stessa patologia della madre.”
“E lui….”
“No. No, fortunatamente lui sta bene. È sano come un pesce!!” disse sorridendo e poi sembrò ritornare triste.
“Che c’è?!” gli chiese Jensen,  prendendogli la mano.
“In ospedale mi chiesero che cosa volessi fare con il bambino. Un assistente sociale mi disse che dato la mia….situazione personale…avrei potuto scegliere un'altra strada. Più facile, a suo dire!!” ricordò con sarcasmo.
“Ma come….” 
“Mi disse che il mondo in cui viviamo è altamente cinico e che forse una vita, in una famiglia più stabile, sarebbe stato meglio per il piccolo.”
“Ma che figlio di…” sembrò davvero infuriarsi. Dove stava scritto che un genitore è da considerarsi tale solo se rispetta tutti i canoni previsti dalla comunità? Da quello che gli avevano insegnato i suoi, essere genitori, significava esclusivamente amare sopra ogni cosa il proprio figlio. Renderlo capace di affrontare il mondo e renderlo consapevole che qualsiasi cosa fosse successa, avrebbe avuto qualcuno da cui tornare. E Jared di certo rappresentava quei valori.
“Mi aveva quasi convinto. Ma il giorno che dovevo firmare la rinuncia alla patria potestà, mi passò accanto un infermiera. Aveva una culla da portare nella nursery e dentro c’era Jordan. Non sapeva di quello che stavo per fare e si fermò vicino a me. Guardai il bambino che agitava le manine e istintivamente gli avvicinai un dito e lui vi si aggrappò forte, quasi non volesse lasciarmi andare.” confidò emozionandosi a quel ricordo. “Non ci riuscii, Jensen. Non riuscii più a lasciarlo andare e lo portai con me. Era mio figlio. È mio figlio. Capii che avevo perso tutto, avevo perso te. Non volevo perdere anche lui.” Finì il suo racconto asciugandosi una lacrima leggera che gli aveva illuminato gli occhi chiari.

Jensen, lo guardò. Amò di nuovo quella sua dolcezza. Amò ancora quel suo modo di amare e confidarsi. Amò ancora , di nuovo, Jared. E forse, confidò a se stesso,  non aveva mai smesso di amarlo.
“Posso perdonarti l’avermi tradito e l’averlo fatto in quel modo. Posso perdonarti l’avermi fatto soffrire come un miserabile, ma credimi, Jared,  non avrei mai potuto perdonarti se avessi abbandonato tuo figlio.” gli confidò tirandosi e mettendosi a sedere. Jared lo seguì. “Hai idea di che cosa siano i figli per quelli come noi?, di cosa passano le migliaia di coppie gay per avere la gioia di una paternità o di una maternità?, di tutte le stronzate burocratiche e bigotte che devono affrontare ?, e tu?...tu volevi rinunciarci??!!” gli fece presente, mettendogli una mano sulla spalla.
“Jordan sarà un figlio amato, è già un figlio amato e se noi glielo faremo capire nel modo più semplice e sincero possibile, crescerà felice e soddisfatto come chiunque altro!” promise, ma si sentì leggermente in imbarazzo quando Jared lo scrutò sorpreso da quelle sue parole. 

Il giovane lo fissò, incredulo di quello che aveva sentito. Forse si era sbagliato, forse Jensen preso dal discorso aveva detto qualcosa che non voleva?? Doveva saperlo, non poteva fare finta di non aver sentito!!
“… “Noi”…tu hai detto.. “noi” ??” chiese quasi con timore.
Jensen deglutì. Era passato tempo da quella maledetta sera. La sua mente aveva avuto modo di elaborare tutto, il suo cuore aveva avuto modo di guarire, la sua anima aveva avuto modo di capire che fin quando Jared era lontano non poteva sentirsi completa. E ora Jared era lì, di nuovo, con lui. 
Non poteva essere altro che un “noi” quello che dovevano essere.
“Si, Jared. Ho detto “noi”, se tu vuoi!” ammise mentre gli lasciava una carezza leggera lungo le braccia strette intorno ai suoi fianchi.
“Io…io non posso crederci…non speravo di…”
“Ti amo, Jared. Ora so che non ho mai smesso, nonostante tutto. E se tu vuoi ricominciare, io sono pronto. Pronto a ripartire da zero.  Con te e con Jordan.”
“Ti amo, ti amo….ti amo!!” fu la risposta a quella nuova promessa o proposta o qualsiasi cosa era, ma che comunque sembrava un sogno che si stava avverando. Si abbracciarono, felici di quella ritrovata serenità. Di quella inattesa e insperata prospettiva di vita insieme, come una famiglia.

La sera, Jensen parlò con Misha e Vicky che entusiasti di come si era risolta la cosa fra i due ragazzi, li abbracciarono raggianti, anche perché oramai Misha sembrava aver trovato un nuovo complice nell’abbinare i gusti più strani. Oltre a West anche Jordan sembrava felice di mettere insieme i sapori più assurdi nelle cose da mangiare. 
Jensen si allontanò dal loro tavolo per fare il suo numero, ma stranamente un suo amico che ogni tanto suonava con lui, gli rubò il posto lasciandolo stranito.
“Christian…ma che…”
“Tranquillo amico!! E’ solo per questa canzone. A quanto pare c’è una dedica per te stasera!!” gli sorrise ammiccante. Jensen guardò verso Jared. Lo vide che gli veniva incontro e che Christian gli passava il microfono.  
“Io non so cantare, non bene come te…” disse avvicinandosi a Jensen. “…così ho chiesto ad un vecchio amico di farlo per me.” fu il prologo di quello che stava per succedere. “Un sera mi dedicasti una canzone e fu l’inizio di tutto. Un’ altra canzone, purtroppo , mise fine a quello che c’era tra noi. O almeno così pensavamo. Oggi, siamo di nuovo insieme e spero davvero con tutto il mio cuore, che questa volta, questa canzone faccia in modo che sia per sempre.” Non disse altro, ma si sporse piano verso Jensen e lo baciò, mentre Christian iniziò a suonare.

Broken glass on the floor by my bed ( Vetri rotti ai piedi del mio letto                                                                                
 Lying next to books I've never even read ( accanto a libri che non ho letto                                                                      
 Wide awake, all the mess that I made (Ben sveglio, vedo tutto il casino che ho fatto
Everything I've taken you're the one who paid (Di tutte le cose che ho preso tu sei l’unico che ha pagato                            
Forget what I have done… ( dimentica quello che fatto                                                                                                     
Just let me do (Lasciami fare                                                                                                                                                  
Everything I can 'Cause everything I do is for you… ( perchè tutto quello che faccio, lo faccio per te
You're the lighthouse when I'm lost at sea (Tu sei il faro quando mi perdo in mare                                                                                                           
You're my band-aid when I bleed ( Tu sei il mio cerotto  quando sanguino                                                                                        
Am I hypnotizing you, like you're hypnotizing me… ( Io sono legato a te come tu a me


E come continuava a cantare la canzone, i due, ancora legati in un dolcissimo abbraccio, sancivano stretti, uno tra le braccia dell’altro, il loro amore, mentre tutti, intorno a loro, applaudivano tra la felicità e la commozione per quell’amore ritrovato. 


                                                                                                                                                                                          “…Io ora ho il tuo amore,                                                                                                                                                                                           che prende anche il mio                                                                                                                                                                      e riempie gli spazi vuoti tra me e te…”                                                                                                             (Changes, di J. Savoretti)


N.d.A. : Ok! Questa storia è stata ispirata da due motivi:
1. Il nostro Jensen nelle ultime  con, ci sta regalando dei momenti musicali davvero bellissimi ( chi di noi non si è incantata durante la sua performance di “Wild Mountain Thyme” al Torcon 2014!!?).
2. Dopo aver ascoltato una canzone suonata dal vivo, con sola chitarra, da un cantante che non conoscevo fino a qualche tempo fa: Jack Savoretti. Non ho potuto fare a meno di amarlo e amare le sue canzoni.

La canzone che principalmente mi ha ispirata è quella che Jensen canta a Jared quando lo lascia. Questo il video: 
https://www.youtube.com/watch?v=5QaB5RXE6_Q
Vi prego...fate come ho fatto io: chiudete gli occhi, fate partire il video e immaginate Jensen sul palco che canta e Jared in un angolo che ascolta e capirete da dove è nato tutto. 
Fatemi sapere!!
Canzoni citate: Breaking the rules / Between the minds / Wonder / For the last time/ Broken glass. 
Naturalmente tutte di J. Savoretti.  

Spero tanto che questa storia vi sia piaciuta e se è così, consideratelo un mio piccolo regalo di natale!!
Cin
   
 
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