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Autore: Reddle    26/12/2014    1 recensioni
È per il mio bene, hanno detto i miei superiori. Eppure io mi sento solo in gabbia.[...] sono stata addestrata per essere sfuggente, non per starmene tranquilla a farmi sorvegliare giorno e notte.
Quindi, adesso basta.[...]
Prendo le forbici dall'isola della cucina e vado in bagno davanti allo specchio. Impietoso mi rimanda la mia immagine. Un viso pallido, due occhi azzurri che a tratti spuntano dalla frangia rosso fuoco[...]

Il passato che ritorna prepotente ad avvelenare la nuova realtà selezionata per lei.
Ancora una scelta da prendere, ancora una volta è compito suo.
Fidarsi del passato, combattere e accettare le macerie che inevitabilmente resteranno, o lasciare che sia qualcun altro a muovere i fili di una realtà artefatta, solo per saperlo al sicuro?
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO SEI
 
Vengo svegliata dalla luce che entra dalla finestra.
Non sono seduta sulle fredde mattonelle del bagno.
Deve avermi messa a letto Marcus.
Afferro qualcosa di pulito dall'armadio e vado in bagno.
La mia faccia assonnata mi guarda dallo specchio. Ho tutto il mascara colato, anche i miei capelli implorano pietà.
Purtroppo non è il momento adatto per una doccia.
Mi lavo faccia e denti, mi cambio e dopo aver litigato con la spazzola per qualche minuto, scendo al piano di sotto.
Stranamente non sento ne urla né risate.
Questo può voler dire solo due cose, o sono ancora tutti a letto, o sono già al piano di sotto a studiare un modo per tornarcene tutti a Milano.
Nel primo caso ho tutto il tempo che voglio per la colazione, nel secondo, se la mia assenza si prolungasse di dieci minuti non farebbe alcuna differenza.
I miei piedi mi portano in cucina. Sento odore di caffè. Qualcuno deve essere già sveglio.
Entro dando il buongiorno a chiunque stia facendo il caffè.
"Ehi, poco zucchero e molto cacao?"
"Chris sei il mio salvatore!" Gli stampo un bacio sulla guancia entrando in possesso della tazza fumante che mi porge.
"Gli altri?”
"Il topo di biblioteca è di sotto e da come profuma il suo alito, direi che non è neanche andato a letto, gli altri stanno ancora dormendo”.
Mugugno qualcosa che dovrebbe assomigliare a un "si ho capito" mentre addento una merendina.
"Ah, dimenticavo, credo che Aomine sia uscito”.
Il boccone mi va di traverso.
“Come credi?”
Mi passa un foglietto firmato da Aomine con qualche parola scarabocchiata sopra in cui avverte che “esco a fare un giro”.
Devo stare calma. Devo. Assolutamente. Mantenere. La. Calma.
Con ogni probabilità non potrei trovarlo senza rischiare di farmi arrestare, abbiamo commesso un furto e dubito che non ci stiano cercando.
Devo ragionare, ma mi agito comunque.
Il mio sguardo comincia a vagare per la cucina. M’incanto a guardare fuori dalla finestra finche non mi accorgo della vicinanza tra i tetti delle case dall’altra parte della strada. Con il nostro allenamento sarebbe facile saltare da uno all’altro.
Resterebbe comunque difficile capire in che direzione è andato e raggiungerlo.
Mi serve qualcosa di più veloce, con un motore magari. Sovrappensiero abbasso lo sguardo.
Nel vialetto è parcheggiato il furgoncino grigio che ha usato Marcus.
Un anonimo e impolverato furgoncino grigio. È perfetto e le chiavi sono state lasciate sul tavolo.
So che quello che mi passa per la testa è una pazzia, ma per una volta che la calma si fotta.
Mi alzo in piedi di scatto e la sedia su chi sono seduta si ribalta. Attraverso di corsa i corridoi e scendo gli scalini del seminterrato due a due.
Mi fermo a respirare giusto il tempo di valutare se scegliere un fucile da caccia o una pistola.  Scelgo una discreta calibro nove.
Mi volto per tornare al piano di sopra e sbatto contro il petto di Chris, che repentino mi toglie l’arma dalle mani.
“Perché tutto questo casino?” chiede Jimmy spuntando in cima alle scale seguito da Marcus.
“Vuole fare la pelle ad Aomine” risponde Chris mente io cerco di mandare giù la rabbia.
“È andato fuori” spiega seccato il bibliotecario “e visto che andare fuori a cercarlo è da idioti, perché non mi date una mano?”
Ha ragione. Mentre Jimmy torna al piano di sopra noi tre ci avviciniamo al tavolo sommerso da cartine stradali e geografiche.
Chris lascia la pistola su un angolo sgombro del tavolo e prende posto davanti al portatile di Rufus, tenendo comunque d’occhio l a mia mano destra a pochi centimetri dal calcio della pistola.
Il bibliotecario comincia a illustrarci le varie strade che ha individuato.
Nel giro di un’ora abbiamo una strategia quasi definita.
 
Forse è perché siamo di nuovo tutti al piano di sotto e in completo silenzio che il rumore si sente così bene.
Sentiamo che la porta è stata aperta con la chiave.
I passi riecheggiano nel corridoio fino alle nostre orecchie.
La porta del seminterrato si apre e tutti si voltano.
La mia mano percorre in un attimo i centimetri che la separano dalla pistola.
Le mie dita si stringono attorno al freddo metallo di cui è rivestita e aspettano.
Nella frazione di secondo in cui Tobias appoggia il piede sinistro sul pavimento, sollevo la pistola prendendo la mira e abbasso il cane.
Subito dopo il mio indice preme il grilletto.
La pallottola passa a un centimetro dall’orecchio destro di Aomine andando a conficcarsi nel muro alle sue spalle.
“Ma sei fuori di testa? Potevi uccidermi!”
“Ti assicuro che se lo avessi voluto lo avrei fatto, ma in quel caso non mi avrebbero pagato e soprattutto la missione non prevede omicidi”.
Gli do le spalle e appoggio la pistola dopo aver estratto e svuotato il caricatore.
“Ti ricordo anche che giusto ieri sei stato complice di un furto, quindi sarebbe carino che tu non mostrassi la tua faccia in giro per la città, e tanto per chiarire le cose, fare di testa tua come questa mattina è disubbidire ai miei ordini”.
Mi volto di nuovo per guardarlo negli occhi,
“Fallo di nuovo e la prossima pallottola ti centrerà dritta in un occhio”.
Non so per quanto ma sono certa che per un po’ non darà problemi.
“Siccome adesso ci siamo tutti, direi che è ora di cominciare, i loro voli partono tra due ore, prendete il furgone e andate” comunica Rufus a Jimmy e Marcus.
Chris non aspetta che gli venga detto, si mette subito al telefono con il proprio avvocato per fornirci la copertura.
“Tu ti fai spiegare il piano da Rufus e poi aspetti in camera tua senza fare cazzate mentre io mi preparo” Aomine annuisce e si avvicina al tavolo del bibliotecario.
Io torno per l’ultima volta in camera mia.
Indosso nuovamente la parrucca castana.
Questa volta però scelgo io cosa mettere. Decido che i vestiti con cui sono arrivata siano più che adatti.
Metto i jeans e la canotta, infilo gli anfibi. Come ultima cosa infilo la mia pistola preferita e un paio di caricatori nella cintura e chiudo la porta alle mie spalle.
Percorrendo il corridoio busso alla porta di Aomine, mi risponde con un grugnito.
Scendo in soggiorno, dove Chris sta ancora discutendo al telefono, mi fa cenno di controllare la chiusura ermetica della valigetta.
La controllo un paio di volte e poi mi butto scomposta sul divano.
Mi giro a guardare il soffitto e aspetto.
Aspetto di sapere se abbiamo una copertura, aspetto di sapere se al nostro arrivo in aeroporto ci sarà un jet o una macchina della polizia.
Aspetto di sapere se tornerò a casa.
Smetto di guardare l'orologio ogni cinque minuti quando capisco che Chris ne avrà ancora per molto. Chiudo gli occhi un istante e scivolo mio malgrado nel sonno.
 
"Ti sembra il momento di dormire?" mi rimprovera Rufus dopo avermi svegliato.
"Christian ha risolto, il vostro jet atterrerà tra quattro ore esatte, il pilota resterà nella cabina, dategli le coordinate e non lasciatelo da solo"
"Ho capito, quindi anche Chris è libero di salire su un aereo?"
"Sì, lo porterete con voi all'aeroporto e lo lascerete lì con la falsa valigetta, io lo aspetterò sull' aereo, prenderemo un volo diretto per Milano" annuisco e mi alzo.
Lui scende a raccogliere le sue cose.
Gli chiamo un taxi, nel giro di mezz'ora arriva e lo porta in aeroporto.
Torno a guardare l'ora troppo spesso e il tempo sembra non passare più.
Non sono mai stata cosi impaziente e agitata durante una missione. Questa consapevolezza non fa altro che aumentare la mia agitazione.
Mi sembra di essere lì ad aspettare da anni quando finalmente comunicano a Chris che il jet è atterrato.
Saliamo su una macchina nera con i finestrini oscurati, lascio che sia Tobias a guidare e prendo posto sul sedile del passeggero con la valigetta sigillata in braccio.
Un corridoio di auto della polizia ci fa strada fino alla pista. La scala è già sistemata e il portellone è aperto.
Aomine ferma la macchina con il fianco destro vicinissimo al bordo della scala e abbassa il finestrino dietro.
Sento dei passi avvicinarsi dal lato sinistro del veicolo. Apro lo sportello e senza fermarmi a controllare che non ci sia nessuno corro piegata in aventi su per la scaletta.
In cima mi appiattisco contro la parete, mi sporgo appena e vedo Aomine uscire anche lui dal lato destro e poi salire le scale. Appena è dentro, chiudiamo il portellone ed entriamo nella cabina di pilotaggio.
"Salve, sarebbe cosi gentile da portarci qui? " gli chiedo con il tono più dolce possibile mentre gli porgo il foglietto con le coordinate
"E magari spegniamo anche tutti i dispositivi che permettono di localizzare l'aereo eh?" Cerco di sorridergli.
"Non posso, mi é stato detto di portarvi in un luogo ben preciso "
Estraggo la pistola e gliela punto addosso prima che Aomine tenti di prenderlo a pugni.
"Forse non hai capito in che situazione sei, non ho tempo per negoziare con te e se non fai volare questo coso immediatamente e verso il punto scritto su quel foglietto, credo che la tua vita finisca qua "
Deglutisce e fa partire i motori, è diventato di colpo pallido e guardingo.
Faccio cenno ad Aomine di occupare il posto del copilota e di non perdere mai d'occhio il pilota.
Esco dalla cabina e prendo posto su uno dei comodi sedili del jet della famiglia De Villiers. Prendo il telefono satellitare dalla tasca e compongo prima il numero di Jimmy e poi quello di Marcus.
Nell'attesa non mi rimane altro che contemplare il pianeta sotto di noi.            
La minaccia di una pistola puntata addosso deve aver fatto capire al pilota che prima ci scaricava meglio era perché Il cielo comincia appena a  scurirsi quando atterriamo all’aeroporto di Dhamar.
Scendiamo e nessuno prova a fermarci quando invece che entrare dentro l’edificio centrale cominciamo a correre verso il deserto.
A qualche centinaio di metri dalla recinzione ci aspetta un fuoristrada nero con Jimmy alla guida.
Ci lascia appena il tempo di chiudere le portiere. Preme sull’acceleratore e inverte il senso di marcia.
In pochi minuti ci immettiamo sulla strada principale diretti ad una piccola città sulla costa nord occidentale dello Yemen.
Non incontriamo molte altre vetture e in un quarto d’ora arriviamo al primo centro abitato.
“Togliti la parrucca” mi ordina Jimmy. Apro la bocca per protestare contro il tono perentorio che ha usato, ma subito dopo mi accorgo dei mezzi delle forze dell’ordine che bloccano la strada.
Non credo che siano per noi, ma è meglio non rischiare. Tolgo a Jimmy il cappellino da baseball
“Mettilo e fingi di dormire” ordino a Tobias passandoglielo.
Inaspettatamente non replica ed obbedisce.
Le guardie ci fermano senza fare domande, confrontano soltanto le nostre facce con quelle in una cartellina.
Una si sporge un po’ di più verso di noi per cercare di vedere sotto il cappello di Aomine lasciandomi intravvedere uno dei volti stampati sul foglio di carta.
È la faccia di Aomine.
Jimmy sposta la mano sul cambio sfiorandomi il braccio. Non serve aprire bocca, mi sta chiedendo se sono d’accordo. Continuo a fissare la strada vuota di fronte a noi ed annuisco appena.
Jimmy schiaccia la frizione, mette la prima e parte.
Il soldato non fa in tempo a spostarsi e viene colpito allo stomaco dallo specchietto destro.
Cade su un fianco tenendo il nostro specchietto come souvenir.
Non so cosa ci abbiano fatto rubare, ma mi sembra ovvio che è qualcosa di veramente grosso.
Per il resto del viaggio non incontriamo altri posti di blocco e in un paio d’ore arriviamo a destinazione.
Abbandoniamo la macchina in un vicolo vicino al porto.
Percorriamo il pezzo di strada che ci separa dal pontile con calma e cercando di non dare troppo nell'occhio.
La gente però ci addita e bisbiglia alle nostre spalle.
Non capisco cosa dicono, ma sembrano tutto tranne che amichevoli.
Istintivamente accelero il passo.
Uno degli uomini fermo all'inizio del pontile tiene la mano su qualcosa legato alla cintura.
L'orologio della Macchina segnava le otto di sera. Nonostante la poca luce vedo chiaramente che quella legata alla sua cintura è una pistola.
Jimmy ha detto che la nostra imbarcazione è la seconda a sinistra. Mancano giusto una manciata di metri. 
L'uomo sul pontile, come altri alle nostre spalle, prepara la pistola tenendola stretta in pugno, ma ancora puntata verso il basso.
E allora corro.
Corro come se fossi in gara per l'oro olimpico nei 50 metri piani. Corro senza voltarmi a controllare che Aomine e Jimmy mi seguano.
Senza fermarmi salto dalla banchina sul ponte della barca.
Atterro in malo modo,  ma mi rialzo in un attimo e continuo a correre con la borsa con dentro la valigetta che mi rimbalza su un fianco.
Trovo la cabina di comando e metto in moto.
Alle mie spalle arrivano Jimmy e Aomine incitandomi a partire.
Non me lo faccio ripetere due volte. Spingo i motori al massimo e punto verso il mar Rosso.
L’odore di carburante diventa in poco tempo difficile da sopportare anche dentro la cabina
Aomine scende a controllare il motore.
“Sono i barili di carburante in più, deve esserci almeno un falla” ansima dopo essere risalito di corsa
“Ci avranno sparato mentre partivamo” riflette Jimmy
“Non possiamo fermarci” ribatto io
“Che facciamo allora?” è la domanda inespressa che aleggia tra di noi.
I lampeggianti delle barche di una qualche forza dell’ordine che illuminano l’orizzonte dietro di noi rispondono per me.
La puzza si intensifica mentre le forze dell’ordine sono sempre più vicine.
Qualcosa non va come previsto e all’improvviso uno dei barili esplode seguito in breve tempo dagli altri.
Senza che io apra bocca Aomine scende in cabina a recuperare il borsone con il canotto di salvataggio.
Passo la tracolla con la valigetta a Jimmy, viro verso sinistra spingendo i motori oltre il limite.
Dobbiamo avanzare il più possibile anche se la barca potrebbe affondare da un momento all’altro.
Siamo ancora troppo lontani dal punto in cui ci aspetta Marcus.
Siamo fregati.
 
Il calore sta diventando insopportabile e il fuoco tinge l’aria di arancio minacciando inesorabile la riuscita del piano.
A quest’ora Chris, completamente assolto dal reato di furto, e Rufus saranno già atterrati a Milano.
Il motore inizia a perdere potenza. Jimmy corre giù dalla scaletta verso prua con la valigetta, io blocco il timone e scendo in cabina. Aomine non ne è ancora uscito.
Qui dentro è ancora più caldo che fuori a causa del fumo che non trova vie di uscita.
Non vedo quasi nulla, ma trovo Aomine riverso sulla sacca vicino al divanetto, fatica a respirare.
Mi carico sulla spalla sinistra il borsone. Pregandolo di aiutarmi faccio alzare Aomine, facendolo  appoggiare alla mia spalla destra usciamo dalla cabina e raggiungiamo Jimmy.
Jimmy mi aiuta a farlo sedere per terra, ci scambiamo le borse.
Lui apre la borsa del canotto gettandolo in acqua, pochi istanti e comincia a gonfiarsi.
Mi metto la borsa con la valigetta a tracolla, faccio passare il braccio sinistro sotto la spalla di Aomine e Jimmy fa lo stesso.
Scavalchiamo il parapetto e saltiamo.
L’acqua a contatto con la nostra pelle accaldata ci fa rabbrividire.
Poche bracciate e raggiungiamo il canotto.
Salgo per prima e aiuto Jimmy a far salire Aomine, è molto pallido, ma adesso respira più facilmente.
Pochi minuti dopo la nostra barca affonda.
“Quanto ci manca secondo te?”
“Perché Marcus possa vederci?  Almeno un centinaio di chilometri, la corrente ci avvicinerà, ma prima che possa vederci potrebbe volerci anche mezza giornata” confermo quello che anche lui temeva, glielo posso leggere in faccia. Vorrei poter fare qualcosa, ma ora come ora possiamo solo aspettare. Ancora.
 
Dopo quelle che mi sembrano dieci ore, un lampo verde illumina l’orizzonte.
Il pensiero che non possa essere lui non mi attraversa la mente neanche un secondo. Prendo il bengala rosso dentro la valigetta e lo accendo.
Pochi minuti e il rombo di un motoscafo ci raggiunge, Marcus ci ha trovati, mi ha salvato ancora una volta.
 
Una volta raggiunta la riva ci consegna i biglietti aerei e saliamo. Per quanto ne sa il mondo i sequestratori di Christian De Villiers sono annegati insieme alla barca e alla refurtiva. I motori si accendono e l’aereo decolla.
Unico scalo Milano.
   
 
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