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Autore: Shanya    26/12/2014    1 recensioni
Questa storia mi è venuta in mente ascoltando Hurricane. E no, non sarà qualcosa di perverso, forse poco.
Lei è Dylan, venticinquenne scappata da Toronto fino a Los Angeles con la sorella dopo l'uccisione dei suoi genitori.
Tra inganni, intrighi, problemi famigliari, omicidi, lei incontrerà colui che le sconvolgerà la vita.
L'ho scritta tutta d'un fiato e non vedevo l'ora di darvi un assaggio, spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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-Lasciatemi! Ora!-
Quattro mani provavano a trascinare Ambreth lungo il corridoio bianco e senza vita verso la sua piccola e insignificante stanza. Scalciava e urlava con tutte le forze, insulti e parolacce riecheggiavano per tutto l’edificio.
-Lo sai che non puoi uscire in cortile senza permesso dopo le sei di sera.- L’infermiere che le teneva un braccio le parlò con troppa calma, cercando di non stringerla troppo.
-Voglio uscire di qui! Lasciatemi!-
Un terzo dottore si avvicina, ma non per afferrarla.
-Ambreth, hai visite.-
-Fatemi uscire!- Ambreth lo ignorò, ma appena vide i platini capelli di sua sorella riuscì a sfuggire dalle prese e corse verso di lei e dovette resistere dall’abbracciarla, sapendo che sua sorella aveva una specie di allergia al contatto fisico.
-Dylan! Cosa ci fai qui? Che ne dici di uscire a parlare?- Era furba, sapeva che con un ospite sarebbe potuta uscire e in quel momento desiderava solo uscire ed osservare il paesaggio.
-Certo, andiamo.- Dylan non vedeva Ambreth sorridere così da un po’ di tempo, ma vedendo le facce contrariate dietro di lei capì che uscire era quello che provava a fare e che lei era un’ottima scusa per avere ciò che voleva.
Si sedettero su una panchina tra due grandi alberi, le foglie del tipico colore caldo dell’autunno cadevano ogni tanto, come una pioggia di petali.
I piccoli lampioni lungo i sentieri non facevano un granché di luce, ma era abbastanza per poter osservare il piccolo parco dell’edificio.
Ambreth osservava tranquilla i vari piccoli fiori che cospargevano il parco, sentendo una sensazioni di calma finalmente dentro di sé. Adorava uscire in quel piccolo parco, anche se rinchiuso da mura come tutto il resto, ma almeno lì riusciva a crearsi la sua piccola aurea di pace.
-Come vanno le cose qui, sorellina?-
Ambreth fece un segno veloce nell’aria, come per scacciare una cosa, tutto forse.
-Solite cose.- Mise le gambe sulla panchina e le incrociò, girandosi verso la sorella. -A te invece?-
Dylan sorrise, verso un punto impreciso. Aveva i ricordi della notte scorsa che le tornavano in mente a macchie, come se non ricordasse tutto quello che era successo. Aveva bevuto e ne era consapevole, ma era stata comunque una serata piacevole, in compagnia di una specie di sconosciuto che si rivelò un’ottima persona.
-Ieri ho deciso di uscire, sono andata in un locale e…- Ambreth batté le mani di colpo.
-Un ragazzo? Dyl, è fantastico! Com’era? Che avete fatto? Ti ha corteggiato? Gli spezzo tutte le dita e anche qualcos’altro se osa farti del male.-
Dylan rise, conosceva troppo bene sua sorella, i suoi sbalzi d’umore, gli attacchi di panico, ma anche la esagerata euforia in certi momenti. Le voleva un bene dell’anima. Avrebbe fatto di tutto per lei. Si giocava la vita per la sua salute.
-Calmati, Breth, abbiamo bevuto un po’ e mi ha riaccompagnata a casa, tutto qui. Era davvero gentile e disponibile, ma non esageratamente. E si, è carino, molto.- Dylan abbassò la testa, imbarazzata tutto d’un tratto, rossa in viso.
-Oddio, ti sei innamorata! Sono così felice! Voglio conoscerlo.- Ambreth saltò in piedi sulla panchina iniziando una specie di ballo.
-Ma che stai dicendo? Lo conosco appena! E vuoi scendere, per favore? Non vorrei succedesse qualcosa.- Dylan voleva sotterrarsi.
No che non era innamorata, affatto. Lo conosce da a malapena un giorno e non l’ha più sentito dopo la sera prima. Era circa infatuata, quello sì. Era interessata a lui. Ma non voleva dire che era innamorata. E poi non l’avrebbe più rivisto, anche se la cosa le dispiaceva un po’.
-Forse non te ne sei resa conto, conoscendolo appena. Ma ci scommetto, quando lo conoscerai meglio verrai da me e mi dirai “avevi ragione, sono innamorata”. Non vedo l’ora che accada.- Ambreth scese dalla panchina, in piedi davanti alla sorella e l’abbracciò.
-Breth, non ne sarei così sicura.-
La sorella minore si allontanò, guardando Dylan con la testa inclinata, le sopracciglia aggrottate.
-Ma ti sei vista, per caso? Sei una gnocca pazzesca! Quel ragazzo non ha scampo. Oh, non mi hai ancora detto come si chiama.-
Mentre Dylan era sul punto di aprire bocca, un dottore si avvicinò alle due sorelle.
-Signorina Dylan, devo chiederle di andare.-
Ambreth si ritrovò triste tutto d’un tratto. Non voleva che la sorella andasse via, era rimasta con lei troppo poco tempo. Voleva ancora parlare con lei, sapere di quel ragazzo, come stava lei e come se la cavava a casa. Voleva ancora il contatto famigliare che aveva con lei.
Dylan sorrise, cortese, ma vide subito un’ombra di tristezza comparire sul viso della sorellina.
-Breth, la prossima volta ti dirò tutto. E ricorda, non esistono addii.- Si avvicinò velocemente ad Ambreth e la abbracciò forte. Quanto si sentiva sola da quando lei era lì non sapeva nemmeno descriverlo. Le mancava.
 
 
 
Il corpo senza vita atterra con un tonfo attutito dai sacchi neri nel piccolo cassonetto.
-Pure il lavoro ancora più sporco mi tocca fare.- Borbotta Dylan togliendosi i guanti e infilandoli nella tasca della giacca del corpo. Ci penseranno loro al resto. S’incammina verso casa, stringendo tra le braccia la piccola valigia argentata. Una volta arrivata lascia la valigetta sul banco della cucina e si sfila la giacchetta di pelle, notando con orrore le macchie di sangue sparse su tutti e due gli oggetti.
Dopo una lunga seduta di intensa pulizia, lascia la giacca ad asciugare mentre ripone la valigetta sulla scrivania piena di scartoffie e disegni di sua sorella in camera.
Dylan si lascia andare sul divano, stanca e sudata. Non aveva sensi di colpa e ne era felice. Non si sentiva molto fiera del suo lavoro, no, ma quando era in servizio non era in lei, quindi le andava bene. E poi, era una cosa di famiglia, lei li avrebbe vendicati. Avrebbe vendicato i suoi genitori, fosse l’ultima cosa che farà.
Si spinge in avanti fino ai bordi del divano, chinata verso il tavolino davanti a lei. Poggia la bustina davanti a sé e i suoi occhi cadono sulla cornice ancora distesa. Pensò che lei era troppo piccola, non avrebbe dovuto essere lì, quella notte. Doveva starsene al sicuro. E ora era in un manicomio, la più piccola delle ragazze, impazzita per un trauma infantile. Prese il pezzo di plastica trasparente che usava in quelle occasioni e apre la bustina, lasciando cadere un po’ di polvere bianca creando una piccola striscia.
Si era promessa di usarla solo prima dei servizi, ma il bisogno aumentava sempre di più. Non aveva mai pensato che ne fosse diventata dipendente, ma da quando faceva quel lavoro non poteva più farne a meno.
Arrotola lentamente la banconota da un dollaro che era nella bustina e con un gesto veloce inspira tutta la polvere bianca col naso.
Si ricordava bene l’ultima sera in cui non si era fatta. La sera in cui aveva incontrato Aiden. Non sapeva perché, ma in sua presenza non aveva bisogno di nulla. Forse perché sapeva che era come lei. O forse l’alcol aveva preso il posto della droga, quella sera. Aveva la strana sensazione che poteva fidarsi lui, senza un vero motivo.
Il fatto che avesse mentito sul suo nome la faceva sentire leggermente male, ma non poteva rischiare l’ignoto con una persona che non conosce.
La sua mente inizia già ad annebbiarsi, si lascia andare indietro poggiando la testo sullo schienale, osservando il soffitto e respirando lentamente.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Lentamente, senza pensieri.
Il suono assordante del campanello la fa bruscamente tornare alla realtà per quel che riesce.
Barcollando riesce a nascondere il sacchettino sul fondo del cassetto del comodino, di fianco il letto matrimoniale.
Quando apre la porta, non ha abbastanza volontà da imporsi di trattenere un’espressione stupita. Pensava che dopo quella sera non lo avrebbe più visto.
-Buona sera, Mary.- Dylan dovette appoggiarsi allo stipite della porta per non cadere. La giacca di jeans lo fasciava perfettamente mentre i pantaloni da ginnastica gli stavano larghi dandogli un aspetto trasandato.
-Co… cosa ci fai qui?- Dylan riuscì a sussurrare guardandolo in quegli occhi così strani che l’attraevano come una calamita.
Era attratta da lui, decisamente. Quel pensiero la toccava dalla prima volta che lo vide, ma non lo aveva ascoltato fino a quel momento, dove la sua mente era libera.
-Passavo di qui e ho pensato di salutarti. Vedo che stai… molto bene.-
Dylan rise, senza motivo. Dentro di lei voleva che lui non la vedesse in quelle condizioni, ma ormai era troppo tardi. Al contrario, di scatto si avvicinò e afferrò il bavero della giacca di Aiden e se lo tirò a sé.
-Sto decisamente bene.- Lui deglutì, preso alla sprovvista da quel gesto, anche se forse avrebbe dovuto aspettarselo.
-Posso entrare?- Soffiò sulle labbra di Dylan e lei non poté non leccarsi le sue, assaporando quel fresco gusto di menta e cannella.
Dylan non lo mollò, anzi, camminò all’indietro trascinandoselo con se dentro il piccolo appartamento e lui si chiuse la porta alle spalle con un gesto veloce della mano.
La voleva, da quando entrò in quel piccolo privé. Sapeva che non era una ragazza con cui scherzare su quelle cose. Sapeva che era fragile, piena di segreti. E sapeva che doveva aspettare. Ma lei sembrava fregarsene di tutto in quel momento.
Dylan sorrise e Shannon pensò che aveva davvero un bel sorriso. Dolce, timido, ma sotto nascondeva un lato malizioso e intrigante.
Lui non si aspettava decisamente che la serata avrebbe preso quella piega. Voleva davvero passare solo per un saluto, magari per parlare un po’, conoscersi meglio. Ma come stavano le cose in quel momento non gli dispiacevano affatto.
-Perché non resti qui stanotte?- Shannon si finse scioccato. Sapeva anche cosa aveva fatto prima che lui suonasse al suo campanello. Sapeva che ne faceva uso.
Dylan si sentiva fuori di se. Non si era mai comportata con un ragazzo in quel modo. Ma a quanto pare era a suo agio, e non si sarebbe fermata lì.
-Non credo sia il caso, Mary.- Dylan si staccò di colpo, un’espressione indecifrabile in viso.
-Perché? Sono così brutta? Così tanto che non mi vuoi? Non sono attraente? Perché nessuno mi vuole? Ho sempre provato a farmi accettare, ma nulla! Nessuno mi vuole! Nessuno! Che ho fatto di male, eh, Aiden? Tu, nemmeno sapendo tutto quello che mi porto dietro dici già di non volermi. Sono davvero orribile, allora. Ma che poi, cosa ne parlo a te? Sei solamente uno sconosciuto e io ti ho pure invitato a stare qui una notte. Forse è meglio che tu vada.-
Era fuori di sé, completamente. Aiden non avrebbe dovuto essere lì, davanti a lei, vederla così, non avrebbe dovuto. Dylan scoppiò a piangere. Lui non la voleva e glielo aveva detto chiaro e tondo. Si sentiva così stupida. Si diresse verso la cucina e da un mobile estrasse una bottiglia di vodka.
Shannon non aveva proferito parola. Era sconcertato. Non aveva idea che avesse reagito così. È colpa della droga, pensò. Ed era sicuro di aver ragione. Appena vide la ragazza stappare la bottiglia corse verso di lei e gliela strappò dalle mani. Non poteva lasciare che bevesse pure.
-Ridammela! Che stai facendo?- Shannon ripose la bottiglia nel punto più alto, dove Dylan non l’avrebbe mai raggiunto.
-Non avrai intenzione di bere vero? Probabilmente, a giudicare da come sei messa, domani nemmeno ti ricorderai che sta succedendo ora. Non ti lascerò bere in queste condizioni.-
Dylan lo guardò attentamente, con le lacrime agli occhi.
-Che ne sai tu di quello che ho fatto?-
Shannon le si avvicinò con cautela, non sapendo che avrebbe potuto fare. Le portò una mano sui capelli, scostandoli indietro, oltre la sua fronte.
-Si vede, Mary. Non riesci a nasconderlo. Non a me.-
Le lacrime ripresero a scorrere lungo le guance della ragazza. Si sentiva scoperta, violata, senza difese.
-Perché con te mi sento così inutile, indifesa, eh, Aiden? Mi sento senza veli. Che mi stai facendo? Perché ti sto dicendo così tante cose su di me senza nemmeno sapere chi sei tu? Cosa mi porta a fidarmi di te?-
Dylan affondò il viso sul petto di Aiden, stringendo tra le sue piccole mani la camicia nera che indossava sotto la giacca di jeans.
Shannon rimase di sasso. Non avrebbe mai pensato che gli si sarebbe fiondata tra le sue braccia così, senza un vero motivo. La vedeva confusa, come se non aveva risposte a tutte le sue stesse domande.
Lui avrebbe voluto dargliele, almeno quelle a cui poteva dare un risposta. Anche se sembrava lei stessa in conflitto dentro di sé.
La strinse al suo corpo, provando a darle conforto, per quel che poteva. Non poteva darle risposte affrettate, non la conosceva ancora davvero.
-Mary?- Lei strinse ancora di più le dita intorno al tessuto, trattenendo a stento i singhiozzi che riempivano l’appartamento vuoto.
-Cosa?-
-Rimango qui sta notte, con te.- Portò una mano sulla sua testa bionda, infilando le calde dita tra i capelli, portando dei brividi lungo la schiena della ragazza.
-Faccio così pietà, vero?- Farfuglia contro il suo petto mentre Aiden le accarezza lentamente la testa.
-No… Affatto.- Aveva paura a lasciarla sola, una volta uscito. La vedeva debole in quel momento e voleva tenerla sotto controllo.
   
 
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