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Autore: whiteblankpage    27/12/2014    3 recensioni
Ad Olivia la distanza non era mai piaciuta anzi, in realtà la odiava proprio, come il parmigiano e i lombrichi, come lo sguardo di alcuni insegnanti universitari e come le foto di Harry che baciava le fans sulle guance.Ad Olivia non erano mai piaciuti neanche i ristoranti messicani e l'umorismo di Liam Payne, ma ad Harry non lo aveva mai detto.
.....
«Pronto?»
«Sono tornato.»
E a lei venne improvvisamente voglia di piangere.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4.




Find what you love and let it kill you.

 

Harry viveva in una condizione di perenne stanchezza che sembrava intenzionata a non mollarlo, a strangolarlo giorno dopo giorno.
Quando suonò al citofono del palazzo dove si trovava lo studio della dottoressa Frenney nel cielo splendeva un tiepido sole primaverile, il suo sguardo ansioso si rifletteva sul vetro del portoncino e da una finestra provenivano delle urla, una lite.
«Vieni pure Harry.»
Fece le tre rampe di scale ignorando l'ascensore, camminare lo aiutava a non pensare e non pensare lo aiutava a sopravvivere. Tenersi in movimento probabilmente era tutto ciò che rimaneva da fare ad Harry per non impazzire.
La dottoressa lo aspettava sulla porta del suo studio: una donna di trentasei anni dall'aria semplice, acqua e sapone, capelli lisci corvini lasciati sciolti sulle spalle esili, bassa statura, lentiggini su tutto il viso ed occhi scuri come pozzi sempre sorridenti.
«Buongiorno.» Harry era nervoso, aveva paura e si sentiva uno stupido. Avrebbe preferito di gran lunga andare a correre, sfogarsi, passeggiare senza una meta fino a perdersi nel cuore della sua City, qualsiasi cosa pur di evitare un'altra seduta. Si pentì di essere lì, si pentì di averla chiamata, si pentì persino di essere nato in quell'istante, mentre la dottoressa Frenney si richiudeva alle spalle la porta del suo ufficio ed Harry andava a sedersi sulla poltrona di pelle bianca divenuta ormai familiare.
«Allora Harry.» la dottoressa fece un respiro profondo e si sedette davanti ad Harry, che per sfuggire al suo sguardo iniziò ad osservare la libreria alle spalle della dottoressa, stipata di grandi ed apparentemente pesanti volumi. «Dimmi cosa hai sognato questa volta.»
Non c'era impazienza nella sua voce, ma lui non poté evitare di stringere le mani a pugno.
«Veramente...» abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i ricci. «Non è stato solo un sogno.»
«Perché non mi hai contattata prima Harry?»
«Paura.» sputò lui.
«Paura di chiedere aiuto?» lo incalzò.
Harry annuì e la guardò negli occhi chiedendosi cosa pensasse quella donna di lui. Era inevitabile, non poteva fare a meno di chiedersi come apparisse all'esterno, al proprio interlocutore o agli sconosciuti che incrociava quotidianamente per strada, ai commessi o alle fans, ai suoi amici o ai bambini. Si sentiva costantemente sotto giudizio, esaminato al microscopio, osservato come un topo da laboratorio. E la sua più grande paura era che tutti vedessero solo ed unicamente Harry Styles cantane degli One direction.
«Non...non è normale.» ammise prendendosi la testa tra le mani.
«Harry...»
«E' come se mi fossi scisso in due, capisce?» alzò la voce senza rendersene conto, caricandola di frustrazione. «Di giorno sono Harry e di notte...» si bloccò, come succedeva ogni volta che si trovava vicino al nocciolo della questione.
«E di notte?»
«Di notte sono di Olivia. Non sono Harry, sono...diverso. Sono felice, sono felice veramente cazzo. Poi la mattina mi sveglio e...» era così confuso e distrutto, come se uno spesso strato di nebbia gli impedisse di vedere dentro se stesso.
«Harry io credo che i tuoi sogni non siano causati da altro che da una profonda carenza di affetto reale. La fama è fittizia, quello dello spettacolo è un mondo che divora e tu sei il prodotto di ciò che sei costretto a sostenere quotidianamente. Olivia è la proiezione della tua mente di un ideale di vita che neghi a te stesso e che il tuo inconscio tende quindi a riproporti durante il sonno.»
«Perché proprio Olivia però?» perché non sognava modelle, cantanti formose o attrici sexy? Perché ogni notte la sua testa gli riproponeva l'immagine della commessa di un supermercato amica di sua sorella?
«Da come me ne hai parlato, Olivia sembra essere l'incarnazione di valori reali, forti e ben radicati. Una ragazza che lavora per pagarsi gli studi, intelligente, che non si lascia abbagliare da false promesse e mantiene i piedi per terra. Olivia è la realtà che tu inconsciamente desideri ardentemente vivere.»
Harry rimase in silenzio, e nella sua testa uno dei suoi sogni preferiti venne proiettato come la pellicola di un filmato a lui particolarmente caro.

Aveva il raffreddore ed era raggomitolato sul divano, avvolto dal piumone. La testa sembrava in procinto di scoppiargli ad ogni starnuto ed la gola gli andava a fuoco. Harry odiava il raffreddore, odiava la febbre, odiava il naso che colava continuamente e le vie respiratorie ostruite, odiava la minestra ed il freddo che sembrava entrargli nelle ossa non appena muoveva un passo fuori dal caldo bozzolo del piumone. Olivia era uscita, avevano litigato, avevano urlato tanto per un qualcosa che non riusciva proprio a ricordare, e non la vedeva da ormai un paio d'ore quando rincasò. Harry la osservò dal divano mentre si toglieva il cappotto ed entrava nel piccolo salotto, lo guardava e scuotendo la testa con finto rimprovero negli occhi diceva: «Sei proprio un bambino.»
Lui le sorrise, non era più arrabbiata e nella mano sinistra stringeva un sacchetto su cui spiccava il logo di Burger king. Gli aveva portato persino la cena, anche se avevano litigato.

La mattina dopo quel sogno, il sogno migliore della sua vita, Harry si era svegliato con l'animo pesante come un macigno, con una sensazione orribile dentro di soffocamento, ansia, panico, si era svegliato nauseato da se stesso e dalla vita che conduceva perché tutto ciò che lo circondava riluceva della luce fittizia e fuggevole della fama. Ed Harry, stupidamente, come un bambino, avrebbe desiderato solo qualcuno che gli portasse la cena quando stava male, che gli urlasse contro e minacciasse ogni giorno di andarsene, senza mai trovare la forza di farlo davvero. Amore. Ecco ciò che desiderava con una forza lacerante, quell'amore che spingeva le persone a stare insieme anni, e anni, e anni, senza mai stancarsi l'uno del sorriso dell'altro. Aveva una tale fame d'amore, camminava ogni giorno con un vuoto dentro che sembrava poterlo inghiottire da un momento all'altro, e con lui inghiottire il cielo, la terra sotto i suoi passi che non sembravano mai portare da nessuna parte e tutti quei sogni...quei maledetti sogni che, se da una parte erano l'unica razione d'amore che gli era permessa, dall'altra sembravano la sua condanna ad una vita vuota.
Solo con se stesso, solo con i suoi sogni, solo con l'Olivia che abitava la sua testa, solo con la dottoressa Frenney e quel tono pacato prodotto di anni ed anni di esercizio della professione.
«Cosa posso fare?» chiese alla fine, sfinito, frustrato e stanco, con le lacrime agli occhi ed il cuore nello stomaco.
La dottoressa lo guardò con dolcezza.
«Smettila di vivere nei tuoi sogni Harry. Non ne hai bisogno, non sono la vita reale.»
Harry le rivolse uno sguardo smarrito, prima di confessare con un sussurro: «Sono l'unica cosa che mi tiene ancora in piedi.»
Ci erano voluti tre mesi di terapia, due sedute a settimana da un'ora l'una, ma era riuscito a confessare a se stesso e alla dottoressa Frenney il suo più grande segreto, la causa del dolore che lo affliggeva e che lo tormentava e, allo stesso tempo, la sua più grande paura. Perché Harry temeva profondamente che se i sogni fossero svaniti e l'immagine del viso sorridente di Olivia fosse sbiadita non gli sarebbe rimasto nulla a cui aggrapparsi.
«Devi solo trovare nella realtà qualcosa da cui trarre forza Harry.»

Due sogni e tre giorni dopo, Harry stava tornando a casa dallo studio di registrazione. Pioveva, faceva un freddo cane e la voce di John Mayer riempiva l'auto con Free Fallin', una delle sue canzoni preferite, quando un gatto gli tagliò la strada correndo come un pazzo e lo fece sbandare. Perse il controllo del volante e l'auto slittò sulla strada bagnata fermandosi contro un palo della luce. La cintura lo tenne saldamente stretto al sedile, ma il danno alla macchina era fatto. Cercò di rimetterla in moto, girò la chiave una, due volte, ma questa non ne volle sapere di ripartire. Imprecò, tirò un pugno al clacson che suonando spaventò due donne strette sotto un ombrello rosso e si guardò intorno. Alla sua destra, come una gigantesca beffa di un destino maledettamente bastardo, sadico e calcolatore, vide il supermercato in cui lavorava Olivia. La vera Olivia, quella che doveva aver visto sì e no cinque volte ma che sembrava essersi tatuata nel suo inconscio, nel suo 'es' per dirla in termini Freudiani.
La macchina non ripartiva, la pioggia continuava a tempestare il parabrezza ed il cielo era una lastra di nubi scure e morbide, e quel cazzo di supermercato era lì, a duecento metri, e sembrava prendersi gioco di lui.
Devi solo trovare nella realtà qualcosa da cui trarre forza Harry.
Fu così che accadde.
Dicono che il primo passo è ammettere di avere un problema. Harry lo aveva ammesso, lo aveva sputato spinto dalla frustrazione, ma lo aveva comunque fatto. Ora non gli rimaneva che fare qualcosa per risolverlo.
Non ci pensò due volte, si conosceva abbastanza bene da sapere che se si fosse fermato a riflettere avrebbe semplicemente chiamato il carro attrezzi per l'auto ed un taxi per tornarsene a casa. Scese dall'auto, si chiuse dietro lo sportello senza curarsene particolarmente, ed iniziò a correre sotto la pioggia scrosciante. Quei duecento metri gli sembrarono chilometri, finì in una pozzanghera e sentì l'acqua inondargli gli stivali, ma continuò a correre. Era troppo importante. Era uno di quei momenti in cui tutto ciò che si deve fare è correre. Correre verso qualcosa, correre verso qualcuno, correre per non rimanere indietro.
Quando entrò nel supermercato era completamente fradicio, dalla testa ai piedi. Lanciò un'occhiata verso le casse, ma Olivia non c'era. Eppure non si diede per vinto, lei era lì, doveva esserci. Altrimenti quel gatto non gli avrebbe mai tagliato la strada, l'auto non avrebbe mai preso quel palo e lui non avrebbe mai notato il supermercato. Percorse la corsia della pasta e dei prodotti in scatola, ma non la vide, si diresse a passo svelto verso il banco dei salumi e non la trovò, ma quando svoltò per entrare nel reparto frutta e verdura sorrise. Olivia stava riordinando le casse delle mele. I lunghi capelli castani erano legati in una treccia, indossava dei jeans, la camicia blu dei dipendenti e degli scarponi scuri. Il suo cuore iniziò a battere talmente tanto forte che dovette fare un respiro profondo prima di avvicinarsi, sicuro che altrimenti avrebbe corso il rischio di essere scoperto: quel cuore batteva troppo forte per non essere sentito.
Lei si voltò e se lo trovò davanti, un completo disastro, fradicio e stupido.
Si sorrisero, si riconobbero.
E mentre lei pensava che il fratello di Gemma aveva proprio un bel sorriso, Harry già sentiva il buco farsi più piccolo.











Spazio autrice:

Eeeeepilogo gente. Fa un po' schifo come finale, ne sono perfettamente consapevole, ma spero che la storia sia comunque piaciuta a qualcuno. 
Lentamente mi sto staccando da efp, ho dei progetti "seri" a cui voglio lavorare, libri che vorrei scrivere e cercare di far pubblicare, e non ho molto tempo per il sito, ma non lo abbandonerò mai completamente. 
E....niente, ditemi come vi sono sembrati questi quattro capitoli di storia, se vi ho deluse o vi è piaciuta!
Un bacio a tutte, alla prossima storia!
se mi cercate - https://www.facebook.com/profile.php?id=100008508791099



 

  
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