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Autore: RoseRiver    29/12/2014    15 recensioni
“Vold è mort, con le ossa tutte rotte”, intonava il buon, vecchio, Pix: e Lord Voldemort, è davvero morto stecchito.
Tuttavia, nella prima notte del loro settimo anno ad Hogwarts, Draco Malfoy ed Hermione Granger si troveranno a dover fare i conti con i loro nuovi e sconcertanti problemi.
Come reagiresti tu, babbano, se in una notte di tempesta, un piccolo elfo burbero ti si parasse davanti? Cosa faresti, se, miracolosamente e sfortunatamente, quell'incontro ti portasse all'unica via di fuga possible? Cosa faresti, se quella via di fuga si rivelasse una vera e propria fregatura? Cosa faresti se quel maledettissimo elfo ti avesse spedito indietro nel tempo, in una Hogwarts dominata dai Malandrini, in compagnia del tuo acerrimo nemico?"
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, I Malandrini | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, James/Lily, Lucius/Narcissa
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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TUTTA COLPA DI DRACO MALFOY.
 
 

Cari lettori, questa è la mia prima fanfiction su Harry Potter, la mia prima storia su Hemione e Draco, la mia prima volta alle prese con il capolavoro di “Zia Jo”. E, proprio perché è la prima volta che maneggio una storia del genere, con personaggi dal carattere così passionale e dettagliato, voglio fare le cose per bene. Avrei voluto stendere una prima bozza, mangiucchiarmi le unghia aspettando di trovare il coraggio di pubblicarla, ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto perché voglio seguire l'istinto e voglio che cresca ogni giorno assieme a me. L'idea per questa storia mi è giunta in sogno e non scherzo, quando lo dico: mi sono addormentata leggendo una splendida Dramione e... beh, ecco quello che ne è uscito fuori. Spero che nessuno trovi il mio lavoro troppo scontato, banale o privo di qualsivoglia caratteristica fondamentale: sono personaggi complessi (proprio per questo mi piacciono) e voglio render loro giustizia.

Quindi... incrocio le dita e spero sia di vostro gradimento!

 

 

Hermione si mangiucchiava un labbro, pensierosa.

Avrebbe tanto voluto essere spensierata, per una volta. Ma Hermione Granger non lo era mai: era coraggiosa, amichevole, priva di pregiudizi ed era sempre, costantemente, preoccupata per qualcosa.

I sette anni in compagnia del famigerato Harry Potter l'avevano rovinata e avevano, allo stesso tempo, innalzato i suoi ideali di amicizia a livelli astronomici. Perché lei li aveva, quegli amici per cui si era disposti a morire: Hermione Granger, alias miss-mi-preoccupo-sempre, aveva degli amici veri e insostituibili.

Prese un respiro profondo, guardando l'orizzonte, che andava scurendosi.

Oh, per la barba di Merlino! Non poteva farlo, non ancora, non ce la faceva... era stanca.

Vedere Hogwarts all'orizzonte, consapevole del fatto che, dopo la seconda guerra magica, fosse davvero un posto sicuro, la deprimeva. Perché Hogwarts, per quanto fosse stata la culla di tanti sogni, speranze e amicizie, le stava davvero stretta.

In soli tre mesi, era cambiato tutto. Lei, Hermione Granger, non era più la stessa ragazzina alla ricerca degli horcrux.

Lanciò uno sguardo al suo migliore amico in assoluto Harry Potter, mano nella mano con la sua migliore amica in assoluto, Ginny Wesley e si sentì triste. Guardò di sottecchi Ron e un'immensa ondata di rammarico le attraversò il petto, da parte a parte. Dopo la morte di Fred, Ronald non era più stato lo stesso: aveva deciso fin da subito, quando era stata data loro l'opportunità, di tornare ad Hogwarts per finire gli studi. Forse, incrociando le dita, avrebbero vissuto il primo anno tranquillo nella scuola di magia e stregoneria per eccellenza.

Ron aveva passato un'estate infelice e molto cupa, nonostante la morte di Voledemort: assieme a George, non si faceva quasi mai vedere e di rado rispondeva alle sue lettere. Sembrava, agli occhi di Hermione, triste a causa della fine della guerra: se Lord Voldemort fosse stato ancora vivo, lui avrebbe avuto modo di vendicarsi. Al momento, Ronald Weasley aveva solo molta rabbia, un fratello in meno e tanta voglia di prendere a pugni qualcuno.

Hermione strinse la presa degli incisivi sul suo labbro inferiore: dopo il loro primo ed unico bacio, Ron non aveva più affrontato l'argomento e lei aveva capito che aveva bisogno di tempo. E lei, di tempo, gliene aveva dato eccome: tre dannatissimi mesi. Tre mesi e non uno straccio di accenno a quel maledetto bacio.

Tre. Mesi.

Tre mesi passati con Harry e Ginny, in una bellissima estate babbana. Tre mesi in cui loro erano andati avanti, ma Ron no. A tutti mancavano Fred, Lupin e Tonks, ma dovevano andare avanti. Era una questione di principio: se perdevano anche solo un altro secondo della loro vita a pensare al male che aveva provocato Voldemort, allora avrebbero semplicemente smesso di vivere. Che senso aveva rimuginare sul passato, su ciò che poteva essere e non era, di fatto, stato? Hermione aveva imparato cosa volesse dire portare nel cuore tante piccole ferite soffocanti e aveva anche scoperto come gestirle: vivere anche per loro, quelli a cui aveva dovuto dire addio.

Sorrise, ripensando al piccolo Ted e a come Harry se ne fosse preso cura, quasi come un fratellone maggiore.

Ah, Harry Potter. Cosa poteva dire di lui, di loro, in quei tre mesi? Come li avevano potuti trascorrere, se non all'insegna dell'avventura?

Erano rimasti affianco alla famiglia Weasley per un mese, dopo la fine della guerra e, quando si erano sentiti decisamente di troppo, avevano sloggiato. E Harry le aveva posto una domanda che non avrebbe mai e poi mai dimenticato: “E... e ora che si fa?”. Ovviamente erano scoppiati a ridere, incapaci di contenere quell'inspiegabile senso di liberazione che provavano. Perché, checché dicesse la Gazzetta del Profeta, ora loro due erano persone normali. Così, in una umida mattinata nella casa di Grimmuld Place, Hermione aveva dato voce ai suoi pensieri: “Harry, voglio trovare i miei genitori”. E lui, senza mai dire nulla, l'aveva seguita: in un certo senso, Hermione credeva che si stesse sdebitando con lei per essergli stato affianco.

Harry Potter aveva reso quel viaggio disperato una vera e propria vacanza: era convinto che avrebbero trovato i suoi genitori e aveva fatto in modo che ogni giorno passato nella loro tenda, fosse speciale e leggero.

Si erano addirittura comprati dei cellulari babbani, con cui scattare delle foto! E, inutile dire che Il Prescelto aveva scovato anche i suoi genitori e l'aveva aiutata con gli incantesimi di memoria.

Ah, Harry Potter era davvero il suo migliore amico in assoluto.

Gli occhi verdi di lui incontrarono quelli di Hermione e i due, quasi involontariamente, sorrisero.

– Pronta per il settimo anno, Hermy? – la stuzzicò, mentre Ginny ridacchiava.

– Credo... non riesco ad immaginare Hogwarts senza mostri, pericoli e misteri da risolvere. Non so come affrontare un anno... normale. E questo è assolutamente assurdo – constatò, grattandosi la testa.

Harry scrollò le spalle. – Lo dici a me? Voldemort quasi mi manca... – poi, notando lo sguardo assassino di Ron, si affrettò a ritrattare. – Nel senso, prima sapevo, a grandi linee, cosa aspettarmi: pericoli, pericoli, morti e uccidere il gran cattivone. Ora non so nemmeno quali materie seguire... – si strinse nelle spalle, arrossendo appena: Harry Potter non sapeva affrontare una vita tranquilla.

– Guarda il lato positivo: niente più mal di testa, saluti in extremis e complicati indovinelli da risolvere. Solo una manciata di ragazzini che non sanno neppure che lavoro vogliono fare! È assurdo, sapevamo come uccidere Lord Voldemort, ma non ho ancora deciso nulla per il mio futuro! – Hermione era partita in quarta, e difficilmente l'avrebbero fermata.

– Io ho deciso che aiuterò George con il negozio – la bloccò Ron, buttando lì la notizia, come se niente fosse.

Sarebbe diventato socio di George, prendendo il posto di Fred? Oh, Ron, perché non ne aveva mai fatto cenno? Erano amici da sette anni e non aveva nemmeno pensato di parlarne con loro. Beh, a dire il vero, Ron aveva smesso di parlare con loro e basta.

Harry fu il primo a proferire parola. – Mi sembra splendido, tu adori i Tiri Vispi Weasley, no? Sicuramente Fred avrebbe apprezzato – anche alle orecchie degli altri il suo tono di voce parve un po' forzato? Anche agli alti sembrava che Harry Potter non riuscisse più a parlare con il suo migliore amico? Era come guardare e vedere sempre lo stesso Ron, quello che amavano e conoscevano, senza però sapere come gestirlo, perché anche lui era cambiato profondamente.

– No, non è vero – borbottò Ginny, facendo irrigidire Harry sul posto. La rossa, per tutta risposta, intrecciò una mano con quella del ragazzo, come per rassicurarlo. – Fred ti avrebbe minacciato di morte, se solo avessi ficcato il tuo lungo e lentigginoso naso nei suoi affari! – sorrise, al ricordo del fratello. Poi tossì, per schiarirsi la voce. – Ronnino di mammina, perché non torni a giocare con le bambole, invece che infastidire il mio genio smisurato? – imitò, alzandosi in piedi ed esibendosi in una perfetta riproduzione dei modi di Fred.

Hermione avrebbe tanto voluto piangere, perché sapeva che non avrebbe mai più sentito “i gemelli” completare l'uno le frasi dell'altro e non avrebbe mai più rischiato un occhio nero, frugando tra i loro scatoloni. Invece, a sorpresa, scoppiò a ridere, seguita da Harry, Ginny e anche Ron, dopo averli guardati con aria sbigottita, iniziò a ridacchiare a gran voce.

Risero fino ad avere il mal di pancia e non riuscire più a respirare: fu come urlare al vento che erano tornati a casa e, in un modo o nell'altro, avrebbero affrontato anche quella nuova ed eccitante realtà che li aspettava.

 

***

 

Malfoy guardava l'orizzonte con aria annoiata.

Non era la prima volta che si chiedeva come sarebbe stata Hogwarts, dopo l'ennesimo disastro avvenuto in casa Malfoy.

Gli ultimi due anni erano stati un inferno: prima sua padre in cella, poi il ritorno al potere di Voldemort, il marchio nero, i terribili mesi sotto la dittatura dei Carrow... a volte, se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire le urla dei ragazzini del primo anno, sottoposti alla maledizione Cruciatus. Poteva udire distintamente le sue corde vocali articolare quei pochi suoni.

“Crucio”.

Sentì un nodo in gola, al solo pensiero di ripetere quella parola. Non ce la faceva, non era per lui tutto quel dolore.

Draco non era cattivo, non nel vero senso del termine. Non avrebbe finto di essere sempre stato succube del padre e, quindi, indirettamente, di Voldemort, perché non sarebbe stato vero: Draco era stato cresciuto con delle regole e dei principi più o meno giusti e aveva condotto la sua esistenza secondo quello che sapeva. Si è ciò che si conosce, giusto? Beh, lui era un dannatissimo pezzo di merda, senza alcuna prospettiva.

Aveva chiesto alla Preside di inserirlo nella lista per i ragazzi del settimo anno, non perché era fondamentalmente masochista, ma perché voleva avere un bel ricordo di sé.

Avrebbe voluto combattere, per una volta, dalla parte che voleva lui e smetterla di pensare cosa ne avrebbe ricavato la sua famiglia: lui non aveva più una madre o un padre, ma solo due figure in ombra, mandate a marcire ad Azkaban.

La sua non era mai stata una normale famiglia, ma lo sfregiato era cresciuto anche peggio, no? Perché, allora, Malfoy era un maledetto stronzo e Potteruccio no?

Aveva passato tutta l'estate alla ricerca di una risposta, provando a capire cosa, durante la sua crescita, fosse andato dannatamente storto. Perché Draco, mentre riparava l'armadio svanitore o guardava Hermione Grenger mentre veniva brutalmente torturata, sapeva che era sbagliato, eppure non aveva fatto nulla.

Era la specialità di Draco Malfoy, dopotutto: lui non faceva mai nulla, nel dubbio. Non aveva mai preso una posizione definitiva. Non era mai “bene” o “male”, lui apparteneva ad una categoria a parte, quella dei codardi.

Si era schierato dalla parte della Umbridge, quando gli aveva fatto comodo; si era fatto marchiare da Voldemort, quando suo padre aveva bisogno di riscattare il nome di famiglia; aveva fatto entrare i Mangiamorte a Hogwarts, quando sapeva che sarebbe stato ucciso, se non lo avesse fatto; aveva provato ad uccidere Silente, perché era tutto ciò che lui avrebbe dovuto essere – leale, coraggioso e intelligente – e che Voldemort voleva che distruggesse e, infine, aveva sperato di essere un buon Mangiamorte, solo allo scopo di salvarsi la pelle.

Alcuni avrebbero detto che da un Serpeverde, non ci si sarebbe potuto aspettare nulla di meno, ma Piton? Durante la battaglia finale, Draco aveva ascoltato rapito il discorso dello Sfregiato: Piton aveva lavorato per Silente, mettendo a rischio la propria vita. Per quanto fosse, come lui, un bastardo, Severus Piton era un bastardo che aveva preso una netta posizione. Draco Malfoy, agiva solo secondo il proprio interesse.

Non che volesse diventare chissà quale stinco di santo: si accontentava solo di capire cosa ci fosse di così anormale in lui. Perché nulla lo toccava? Perché nulla lo smuoveva? Cosa rendeva Potter così sicuro di sé, un eroe? Cosa rendeva Silente così sicuro della sua bontà d'animo? Malfoy non era buono, né tantomeno un eroe, era solo un codardo, della peggior specie: era una di quelle persone che fingono di essere coraggiose.

Draco Malfoy era privo di sostanza.

Dunque eccolo lì, in viaggio verso Hogwarts, sperando di sistemare o quanto meno scoprire, cosa ci fosse di sbagliato in lui. Perché, per quanto si sforzasse, davvero non riusciva ad afferrare la risposta.

 

***

 

Hermione non sapeva spiegarsi bene come, ma quell'edificio, pieno di guglie e gargoyle, riusciva sempre a toglierle il fiato.

Quella volta, tuttavia, le mancò il fiato per ben altri motivi: era, prima di tutto, abituata a viaggiare con la sola borsetta di perline, dunque aveva dimenticato cosa volesse dire trascinare il baule fino alla carrozza; in secondo luogo, non percepiva il solito entusiasmo che provava nel vedere la sua amata scuola.

Si guardò attorno, notando l'allegria generale: alunni che si riabbracciavano, ragazzi del primo anno che lanciavano gridolini isterici, studenti del settimo che sembravano impazienti di rimettere piede nel castello.

Il suo gruppetto si era ritrovato: Harry, Ron, Hermione, Ginny, Luna e Neville. Tutti felicemente vivi e insieme. Fantastico, davvero.

Insomma, Hermione era felice di rivedere i suoi amici ma...

“Ma?” sbottò il suo subconscio, tirando le fila dei suoi pensieri sconnessi.

Ma non appartengo più a questo posto, si disse Hermione. Era quello, il nocciolo della situazione: non si sentiva più a casa da nessuna parte! Hogwarts le ricordava tutta la sofferenza che aveva dovuto patire, tutti i problemi che aveva dovuto affrontare, e la sua “casa babbana” le ricordava costantemente cosa aveva fatto ai suoi genitori, come li aveva privati della loro vita. Dunque no, non saltava di gioia all'idea di tornare ad Hogwarts perché, se avesse incontrato anche un solo pericolo mortale o le fosse capitato tra le mani l'ennesimo disastro mondiale, Hermione Granger sarebbe crollata.

Lanciò uno sguardo ad Harry, Ron, Ginny, Luna e Neville: quante volte aveva rischiato di perderli? Quante volte si erano detti addio? Dei ragazzi di diciassette anni non dovrebbero aver vissuto in quel modo. Harry non avrebbe dovuto vivere in quel modo.

Ma quell'anno sarebbe stato diverso, per forza: si sarebbe impegnata al massimo perché tutti loro avessero un maledettissimo lieto fine, un qualcosa che andasse oltre l'uccisione di Voldemort. Hermione li guardava e vedeva delle persone distrutte, che avevano ancora voglia di ridere, divertirsi e abbracciare la vita. E anche lei provava le stesse cose, solo... avrebbe voluto ricominciare lontano da quel posto, lontano dalla scuola che aveva tanto amato: ritornandoci, rischiava di comprometterne il ricordo, perché, in quel momento, Hermione Granger stava odiando quelle mura di pietra.

– La tua allegria è contagiosa... – scherzò Harry, intuendo, forse, i suoi pensieri cupi.

– Andiamo, è così evidente? – chiese lei, titubante.

Harry, per tutta risposta, scoppiò a ridere. – Guardi il castello come se volesse ucciderti. – constatò lui, scuotendo appena il capo. – Senti, Hermy, anche io ho paura, okay? E sono stufo di dover affrontare cose più grandi di me... ma abbiamo bisogno di un ultimo anno qui, abbiamo bisogno di sentirci normali, per una volta – le strinse la mano, rassicurante.

Hermione sorrise. – Wow, che belle parole di conforto, Signor Potter... da dove hai preso tutta questa improvvisa saggezza? – lo prese in giro, mentre aspettavano il loro turno per salire sulla carrozza: ormai quasi tutti erano partiti alla volta del castello, erano rimasti in pochi nella piazzola.

– Sai, la mia migliore amica è davvero brava con le parole, suppongo mi abbia infettato – le strizzò l'occhio, prima di rivolgere un sorrisetto affettuoso a Ginny, che lo guardava di sottecchi.

– Blah, tu e Ginevra dovreste darvi una mossa: questo flirtare continuo è estenuante! Mettetevi insieme, su... siete così carini! – Hermione gli tirò una gomitata nello stomaco, come per riprenderlo.

Harry le lanciò uno sguardo corrucciato. – Hai appena definito il Prescelto “carino”, Granger? Davvero? – sembrava imbarazzato dal tono che aveva usato.

Hermione alzò gli occhi al cielo. – Stupido, non cambiare discorso! – incalzò, maliziosa.

Harry tossì, prendendo tempo. – Noi facciamo le cose con calma, okay? E poi, dopo tutto quello che è successo... non so se vorrà ancora stare con me... – balbettò, arrossendo fino alla punta dei capelli corvini.

– Stai scherzando? Lei è pazza di te, quindi sbrigati o penserà che non ti piace abbastanza... – lo sospinse in avanti, proprio mentre tutti gli altri prendevano posto su una carrozza.

Harry si sedette sulla seduta, per poi voltarsi verso Hermione. – Hey, aspetta... non ci stai qui sopra! – esclamò l'amico, alzandosi in piedi per cederle il posto, ma la carrozza partì bruscamente, facendolo cadere addosso a Ginny.

Hermione sorrise, soddisfatta e lo salutò con finto sguardo innocente.

La missione “Lieto fine” aveva appena avuto inizio e l'avrebbe portata a termine, poco ma sicuro.

Guardò con sollievo la carrozza che si allontanava, pensando che le sarebbe servito un po' di tempo per sé, o avrebbe sicuramente sbroccato.

Si guardò attorno e notò che era rimasta sola, così fece qualche passo verso una carrozza buia in penombra.

Il baule si impigliò nella sua divisa da Grifondoro e imprecò a mezza voce.

Perché cavolo non si era portata la borsetta di perline? Era così comoda...

– Grenger, non ho tutta la sera, sbrigati a salire: ho fame – sibilò una voce.

Hermione drizzò la schiena, strappando il lembo di veste intrappolato sotto il baule. Per un attimo, lanciò uno sguardo preoccupato al Thestral che guidava la carrozza: ora che poteva vederlo, terrificante e spaventoso, non era più tanto certa della sua salute mentale.

– Come? – chiese, rivolta allo strano cavallo.

Hermione udì distintamente un sbuffo. – Non il cavallo, Granger, io! – sibilò ancora la voce. La ragazza colse un movimento: una figura, rintanata nell'ombra della carrozza, si rivelò.

Pensò, scioccamente, che fosse un fantasma di Hogwarts: pelle diafana, viso scarno, capelli quasi argentei.

Draco Malfoy le lanciò un'occhiata a metà tra il divertito e lo spazientito.

Che figura, che aveva fatto!

Drizzando la schiena, cercando di assumere una posizione dignitosa, Hermione afferrò il baule e lo trascinò, con non poca fatica, fino alla carrozza.

I due metri di strada che doveva fare sembravano chilometri.

– Oh, santissimo Salazar... hai intenzione di trascinarlo alla velocità di un centimetro all'ora ancora per molto? Sai, Grenger, sei una strega! – la rimbeccò, sferzando l'aria con la sua bacchetta.

Il baule venne caricato in un lampo ed Hemione balzò con agilità sulla carrozza, sistemandosi a disagio sulla sua seduta, difronte Malfoy.

– Grazie, per il baule – non sapeva bene come comportarsi con lui: avevano condiviso l'esperienza terrificante nella stanza delle Necessità ed era strano rivolgergli la parola.

Il ragazzo fece un vago cenno con il capo, facendole intuire che non avrebbe certo instaurato una conversazione con lei.

Hermione si sentì quasi offesa: aveva salvato la sua bianchissima e stronzissima pellaccia, per la miseria! – Sei sempre così affabile, Malfoy... – sputò, velenosa.

Il ragazzo sussultò appena, notando il suo nuovo tono di voce. Parve riprendersi subito, esibendo il suo classico sorrisetto malefico. – Oh, Grenger, non ho né il tempo, né la voglia di perdere tempo con te e con le tue inutili chiacchiere – alzò un sopracciglio, come se la sola idea di parlare con lei fosse assurda e senza alcuno scopo.

Hemione incrociò le braccia al petto, digrignando i denti. Ecco, ora si sentiva un po' più a casa: insultare Malfoy era qualcosa di automatico, abituale e dannatamente liberatorio. – Credi davvero che io salti di gioia all'idea di parlare con te?! – esclamò, il tono beffardo e derisorio.

Malfoy sorrise appena, quasi trattenendosi dallo scoppiarle a ridere in faccia. – Tesoro, sembri tu quella che si ostina a parlarmi. Se fosse per me, continuerei ad ignorarti come ho sempre fatto – scrollò le spalle, alzando lo sguardo verso il cielo scuro.

La ragazza socchiuse gli occhi. – Come vuoi, cercavo solo di essere educata, io – sibilò l'ultima parola con aria inferocita.

Draco sbatté un paio di volte le palpebre. – Disse quella che mi ha aggredito al terzo anno – la provocò, sciabolando le sopracciglia con fare che, ne era sicura, doveva risultare minaccioso, ma sembrò solo un gesto molto... sensuale. A quel pensiero, Hermione arrossì improvvisamente. Cosa stava insinuando il suo subconscio? Che Malfoy, Draco Malfoy, suo acerrimo nemico, la stesse guadando in modo sensuale? Per Merlino, aveva bisogno di un bel sonno ristoratore.

– Sai bene di esserti meritato quel pugno – puntualizzò lei, alzando il mento con fare stizzoso.

Draco sorrise ancora, questa volta in maniera perfida. Si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e guardandola da sotto le lunghe ciglia scure. “Strano” pensò Hermione: Draco aveva sopracciglia e capelli argentei, ma le sue ciglia erano nere come il carbone e mettevano ancora più in risalto i suoi occhi di ghiaccio. – Forse me lo meritavo... ma non è questo il punto – insinuò, inarcando appena le sopracciglia.

Hermione sbuffò dal naso e accavallò le gambe, assumendo una posa altamente scocciata. – E allora dimmi, Draco, quale sarebbe il punto? – chiese, non riuscendo a trattenersi.

Malfoy, udendola pronunciare il suo nome di battesimo e non il suo cognome, strinse appena le palpebre, come se lo avesse insultato: probabilmente riteneva che un essere con il sangue “sporco” come lei, non avesse il diritto di chiamarlo “Draco”. Poco importava, se gli dava così fastidio, lo avrebbe fatto più spesso.

Draco sorrise in maniera quasi dolce, poggiando nuovamente la schiena contro la carrozza, assumendo una posa rilassata e sicura. – Tu e i tuoi amichetti, siete il punto, Granger – si passò appena la lingua sulle labbra, per inumidirle. – Potterino e Lenticchia possono sembrare anche credibili, nella parte dei “bravi bambini che salvano il mondo”, ma tu... tu sei falsa – si strinse nelle spalle, godendosi la reazione di Hermione. Lei, tuttavia, non gli diede soddisfazione: rimase impassibile, alzando appena un sopracciglio.

Hermione fece dondolare distrattamente un piede, guardandolo con aria di scherno. – Falsa? Io? Detto da te, Malfoy, suona quasi assurdo – constatò, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Draco si limitò a sorridere, facendole intuire che non l'avrebbe passata liscia. – Sì, Granger: falsa. Ma hai ragione, anche io lo sono: l'unica differenza tra me e te, è che io lo ammetto! – concluse, ammirandosi le unghie.

Ah, questa poi! – Io non sono affatto falsa! – si difese, iniziando a mostrare i primi segni di stizza.

Il sorriso di Malfoy si allargò ulteriormente. – Sì, proprio così! – confermò, godendosi la sua irritazione.

Hermione sbuffò dal naso, quasi divertita da quell'affermazione. – E cosa ti porta a dire una cosa simile? – chiese, ormai pronta a strangolarlo.

Draco si inumidì ancora le labbra con la punta della lingua, in un gesto quasi ipnotico. – Il fatto che cerchi sempre di fare la cosa giusta. Chi mai potrebbe fare sempre la cosa giusta? Una persona falsa, che è convinta che, se dimostra di non sbagliare mai, allora sarà una brava Grifondoro eccetera eccetera... voi Grifoni siete così prevedibili e ipocriti! – alzò gli occhi al cielo, come se la sola idea gli facesse venire il voltastomaco.

Hermione aprì la bocca per rispondere, ma lui si sporse nuovamente in avanti, ghignando. – Scommetto che sei terrorizzata all'idea di tornare lì dentro, no? – indicò con un cenno del capo la scuola, a cui si stavano sempre più avvicinando. Draco non si aspettava che rispondesse e non le lasciò nemmeno il tempo di farlo. – Ti ripeti che è per la guerra che hai combattuto, vero? Eppure, non ti convince come risposta. Sai perché? Perché non vuoi essere nuovamente il dannato esempio di tutti, lo stereotipo dell'alunna perfetta. Scommetto quello che vuoi che muori dalla voglia di infischiartene – ridacchiò appena, come se l'idea di una Hermione a cui non importava fosse ridicola.

Lei sbatté un paio di volte le sopracciglia, scuotendo appena il capo. – Quello che dici non ha senso, perché io sono fatta così: a me importerà sempre! Fin da quando sono scesa da quel maledetto treno mi preoccupavo già di Harry e di come meritasse un anno tranquillo, di come Ron avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle tutto! Io non riesco a non fare la cosa giusta perché sono amica di Harry Potter, Malfoy. Ti sei mai chiesto cosa comporti? – questa volta fu lei a non lasciarlo parlare. – Ho passato gli ultimi sette anni sapendo che, se anche mi fossi concessa un enorme sbaglio, se anche solo me ne fossi infischiata una sola volta... sarebbe andato tutto male. Harry sarebbe stato solo e Voldemort ne avrebbe approfittato. – non si era resa conto del fatto che anche lei, presa dal discorso, si fosse sporta verso Draco. In quel momento si limitarono a fissarsi, in totale silenzio.

– Non voglio essere sempre perfetta e non voglio sempre fare la cosa giusta, ma lo faccio perché altrimenti, chi si sarebbe esposto? Puoi accusarmi di essere stata troppo prudente, di aver soffocato l'entusiasmo di Harry e Ron così tante volte da averne perso il conto, ma era quello che dovevo fare, chiaro? – quasi urlò le ultime parole.

I due ragazzi continuarono a guardarsi e Hermione pensò che nemmeno Malfoy fosse convinto della sua stessa tesi, e che le sue parole lo avessero fatto pensare.

La carrozza si arrestò improvvisamente, inchiodando con un sonoro stridio di ruote e zoccoli. Vicini com'erano e dato che entrambi sedevano sul bordo della seduta, persero l'equilibrio. Hermione finì addosso a Malfoy: la sua testa ricciuta si scontrò contro il petto del ragazzo che, d'istinto, la trattenne.

Erano arrivati davanti all'entrata del castello.

Hermione, quasi sdraiata sopra Draco Malfoy, alzò lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi grigi, come il cielo in tempesta. Aveva sempre pensato che fosse un bel ragazzo, ma non aveva mai avuto l'opportunità di guardare così attentamente i suoi occhi: non aveva mai visto delle iridi di un colore simile, erano persino più belle di quelle di Harry!

Malfoy schioccò la lingua con fare divertito, stringendole con forza i fianchi. – Vedi qualcosa che ti piace, falsa mezzosangue? – la scimmiottò, godendosi il rossore che, in meno di un minuto, le aveva imporporato le guance.

– Hermione...? – una voce sconvolta la richiamò, in un punto imprecisato alle sue spalle: non vedeva altro se non il cielo stellato e il viso di Malfoy. Non ci fece quasi caso.

– Allora? Ti sei imbambolata? O ti godi la vista? – era davvero terribile, quando ci si metteva!

La ragazza si riscosse dai suoi pensieri. – Pensavo, Malfoy, un'azione a te sconosciuta, a quanto pare – gli scoccò un'occhiataccia, eppure nessuno dei due si mosse.

Malfoy, scelse proprio quel momento per passarsi, per l'ennesima volta, la lingua sulle labbra. Quel piccolo guizzo, quasi involontario, catturò l'attenzione della ragazza: il Serpeverde deglutì a vuoto, ad indicare che era a disagio. Malfoy si mosse appena sotto di lei, facendola arrossire ancora di più: perché non la lasciava andare? Perché lei non gli aveva già tirato un ceffone? – Fatto sta, Granger, che sembravi interessata al panorama – la punzecchiò, incapace di resistere.

Lei sorrise dolcemente, quasi prendesse in considerazione quell'idea assurda. – Ti piacerebbe, Malfoy, ti piacerebbe... – si scostò un po' dal suo corpo, avvicinandosi ancora di più al suo viso. – Inoltre, credo che sia tu, quello interessato al panorama, dato che ti ho ispirato una riflessione così profonda e... – perché la sua voce era così bassa e roca? – … continui a tenermi stretta – concluse, deglutendo un po' troppo rumorosamente.

Draco sorrise con fare beffardo. – Tiriamo fuori gli artigli, Granger? – alzò un sopracciglio, con fare scettico e divertito.

– Hermione! Per la miseria, che stai facendo?! – sbottò una voce alle loro spalle.

Ron.

I due si riscossero, cercando di districare quell'abbraccio decisamente sconveniente: provò a tirarsi su, lontano dal corpo del ragazzo, ma inciampò nei suoi stessi piedi, cadendo sul fondo della carrozza e, per sua sfortuna, trascinò con sé anche Malfoy.

Lei lo spintonò di lato, proprio mentre lui si stava alzando e lo fece rovinare nuovamente a terra, procurandogli un bel bernoccolo in fronte.

Si portò una mano alla bocca – Oddio, scusa! – non riuscì a trattenersi dall'avvicinarsi per controllare che stesse bene, ma lui le rivolse un'occhiataccia. – Guai a te se ti avvicini, Granger! – sibilò, facendo una smorfia mentre si toccava la tempia destra.

Hermione alzò gli occhi al cielo e scese dalla carrozza, trovandosi difronte ai suoi amici, tutti con un'espressione ridicola stampata in faccia: Harry sembrava aver appena ingoiato una Gelatina tutti i gusti +1 al sapore di vomito; Ron sembrava aver contorto la faccia in modo da assomigliare all'Urlo di Munch; Neville pareva sul punto di scappare urlando, Ginny aveva assunto l'espressione di chi la sapeva lunga, mentre Luna le faceva “ciao ciao” con la mano con aria allegra.

Hermione arrossì, imbarazzata da tutti quegli sguardi, così si voltò, notando che anche Malfoy sembrava stranito dai suoi amici. Il biondo, tuttavia, ancora arrabbiato per il bernoccolo, scosse appena il capo. – Dio, quanto non vi sopporto...! – sibilò, camminando a passo svelto verso l'entrata del castello.

I loro spettatori lanciarono uno sguardo vero la sua direzione, ancora in stato di shock.

Hermione Granger, presto o tardi, avrebbe ucciso Draco Malfoy, ne era assolutamente certa.

 

***

 

– Quindi non è successo proprio nulla? Niente di niente? – ripeté, per la milionesima volta, Ginny. Durante il banchetto di inizio anno.

Hermione alzò nuovamente lo sguardo al cielo, sentendo che Harry e Ron erano in ascolto.

Hermione alzò le mani in segno di resa. – Okay, lo dirò per l'ultima volta e sarà meglio che apriate bene le orecchie, voi due, tanto lo so che state origliando! – li rimbeccò, facendo ridacchiare Ginny. – Non è successo nulla tra me e Draco, okay? Stavamo litigando, figurarsi! – chiarì, infilando un pezzo di arrosto in bocca.

Hermione lanciò uno sguardo al tavolo dei Serpeverde: il morale generale non era molto alto. Malfoy, in ogni caso, era circondato dalla sua solita cerchia di, era il caso di dirlo, malandrini.

Ginny si mordicchiò un labbro, avvicinandosi al gruppetto di amici per non farsi sentire da nessun altro. – Hermione, eravate spalmati su una carrozza e vi strusciavate addosso come due anguille! – precisò, fraintendendo totalmente tutta la situazione.

La riccia sospirò, massaggiandosi le tempie. – Eravamo “spalmati su una carrozza” perché il quello stupido e inquietante cavallo volante ha inchiodato all'improvviso! – ripeté, forse per l'ennesima volta.

Ron sembrava fumante di rabbia e la cosa le faceva un po' piacere: sembrava essersi risvegliato, almeno un poco, dal suo letargo. Aveva forse capito che non poteva aspettarlo per sempre? – Ah, sì? Certo, come se potessi bermela! Anche se fosse, per cadere addosso a Malfoy in quel modo, avreste dovuto essere molto vicini. Cosa miseriaccia ci facevate così vicini?! – sbraitò, mentre le sue orecchie si tingevano di un rosso scarlatto.

Fu il turno di Hermione di arrossire e ciò accadde non perché fosse imbarazzata a causa di qualcosa che loro presumevano avesse fatto con Malfoy, ma perché si era sentita totalmente a suo agio a pochi centimetri dal viso di quel demonio.

– Sei arrossita! – esclamò Ginny, portandosi una mano alla bocca, incredula.

Hemione drizzò la schiena in un lampo, sgranando gli occhi. – No, non è vero! – protestò, riempiendosi la bocca di insalata e carne.

Harry ridacchiò appena. – Oh, no, Hermy... sei arrossita eccome! – la punzecchiò, mentre Ron stringeva il bordo del tavolo con sguardo famelico.

Hermione deglutì l'enorme quantità di cibo che aveva ingurgitato, sospirando. – Io e Draco stavamo davvero litigando, okay? Non potrei mai baciarlo! – assicurò, facendo una smorfia schifata.

Ron alzò un sopracciglio, decisamente poco convinto. – Sai, quando si litiga, non ci si ritrova spalmati addosso al proprio nemico! È un dannatissimo Mangiamorte, Hermione! – questa volta, Ron aveva decisamente urlato. L'ultima frase attirò l'attenzione di molti studenti, e non solo della casa di Grifondoro. Fortunatamente, gli insegnanti non parvero notarli. Sfortunatamente, Malfoy le riservò un sorrisetto di scherno: era evidente che adorava far imbestialire Ron.

Hermione ricambiò lo sguardo divertito del Serpeverde, alzando un sopracciglio in modo minaccioso. Malfoy si infilò in bocca un pezzetto di pane, poggiando il mento sulle mani giunte. Ron, che stava assistendo a quello scambio di sguardi, sembrava aver assunto una sfumatura violacea.

Ma il colpo di grazia fu quel maledettissimo occhiolino.

Draco. Malfoy. Le. Aveva. Appena. Fatto. L'occhiolino.

Ron alzò un indice con fare tremante, indicando prima lui e poi lei, che fissava allibita quella biondissima canaglia. – Le... le... – balbettò, incapace di credere a quello che aveva appena visto.

Hermione scosse appena il capo, incredula davanti a quella sceneggiata: ormai molti studenti, di differenti case, li stavano osservando.

Ginny sbuffò, alzando gli occhi al cielo. – Sì, Ron, era un'occhiolino. Non scandalizzarti per così poco! – Hermione le fu infinitamente grata per averle lanciato un salvagente.

Ron richiuse la bocca e mise il broncio, mentre Harry continuava a fissare Malfoy con sguardo interessato, come se non lo avesse mai visto prima. Draco, per tutta risposa, gli fece un gestaccio e gli lanciò un'occhiata di scherno.

Pensò che, nonostante tutto, la rivalità tra i due ragazzi sarebbe sopravvissuta in eterno: eppure Malfoy non aveva provato ad infastidirlo in nessun modo, da quando avevano rimesso piede ad Hogwarts. Hermione era sicura che l'atteggiamento più o meno civile di Draco nei confronti di Harry, fosse dovuto al fatto che il biondo sapeva esattamente che era grazie a lui, se tre mesi prima gli avevano salvato la vita. Ronald non sarebbe mai tornato tra le fiamme per salvare una serpe come lui, ma Harry lo aveva fatto e questo, per quanto si sforzasse, Draco non poteva dimenticarlo.

Hermione sorrise. – Beh, Ron, non è detto che l'occhiolino fosse rivolto a me: ho sempre sospettato che Malfoy avesse un debole per te... – lo prese in giro, aspettando che il rosso si infuriasse e si sfogasse con Harry, che sembrava terrorizzato alla sola idea di doverlo sentire vaneggiare per ore contro Malfoy.

– Chi sarebbe sessualmente interessato a Lenticchia, esattamente? – una voce a pochi centimetri dietro di lei, la fece sobbalzare.

“Ti prego, ti prego, ti prego... fa' che non sia lui... ti prego!” si ritrovò a pensare Hermione, esasperata da tutta quella situazione.

Invece era lui.

Malfoy si avvicinò al gruppetto, stando bene attento a sfiorare le spalle di Hermione con il braccio. Si chinò verso di loro, tra Ginny e lei, in modo che solo loro quattro potessero udire le sue parole. – Lenticchia, lenticchia... – sospirò, con tono di rimprovero. – Cosa ti ho sempre detto? Prima o poi, anche una nata babbana, sa distinguere tra chi ha classe – e si indicò con un elegante gesto della mano. – e chi, purtroppo per te, no – concluse, con un amabile sorriso stampato sul volto.

Hermione era paralizzata dalla sua sfacciataggine: non era così stupido da far sentire agli altri le sue parole, in modo che tutti credessero che avesse una storia con “la Granger”, ma voleva a tutti i costi infastidire Ron.

Malfoy si chinò ancora più avanti, in modo che i loro volti fossero abbastanza vicini da irritare il rosso. – Oh, Hermione... il tuo profumo è ancora più buono di quanto ricordassi – sussurrò, questa volta in modo che solo lei potesse recepire il messaggio.

Oh. Santo. Cielo.

Malfoy era odioso, spocchioso e arrogante, ma sapeva come provocarle dei brividi lungo tutto il corpo, usando solo la voce.

Lo odiava, certo, ma aveva sempre saputo che poteva essere affascinante in maniera quasi illegale, quando voleva: aveva il portamento, la sicurezza, il fisico e il corpo adatti. Ah, aveva anche una voce bassa e suadente, che sembrava essere stata creata per sussurrare segreti all'orecchio.

Per un attimo, le sue iridi dorate incontrarono quelle d'argento di lui e pensò che fosse sincero. Poi, Malfoy si alzò di scatto e si allontanò dal tavolo dei Grifondoro, diretto verso l'uscita della Sala Grande.

Il banchetto era appena iniziato e lui aveva la sfacciataggine di andarsene!

Lanciò uno sguardo al tavolo dei professori, che sembravano non essersi accorti di nulla e decise.

Ron stava borbottando senza sosta, accusandola di cose senza senso, mentre Ginny la fissava con sguardo penetrante: sembrava che l'amica le stesse scavando dentro e che sapesse cosa voleva fare.

Con scatto felino, si alzò da tavola e seguì Draco in tutta fretta, guadagnandosi lo sguardo malizioso e curioso di tutti quelli che avevano assistito al loro scambio di battute.

Al diavolo!

Avrebbe picchiato a sangue Malfoy, in memoria dei vecchi tempi.

 

***

 

Draco sapeva esattamente dove andare.

I suoi piedi si muovevano da soli, senza alcuna direttiva da parte del cervello.

Non sapeva perché lo aveva fatto, non sapeva perché le aveva detto quelle cose o perché le aveva fatto l'occhiolino.

Forse voleva solo un barlume di normalità, tornando a torturare Lenticchia: lo Sfregiato gli aveva salvato la vita e, per quanto gli costasse ammetterlo, gli aveva ridato la libertà, uccidendo Voldemort.

Certo, la sua vita non era delle migliori: aveva un patrimonio immenso da gestire da solo, una villa di cui occuparsi e aveva solo diciassette anni.

Pensò distrattamente ad Andromeda e a come si fosse presa cura di lui, durante quell'estate: aveva appena perso una figlia e si era ritrovata tra le mani un nipote orfano. Draco non sapeva perché, ma era venuta a fargli visita: era stato l'unico vero contatto umano che aveva avuto per tutta l'estate. Inoltre, gli piaceva abbastanza Teddy e quella sua strana dote di cambiare colore di capelli. Andromeda gli aveva detto che Harry le aveva raccontato della morte di Bellatrix e, per un motivo o per un altro, erano finiti a parlare di lui, segregato in Villa Malfoy.

Andromeda non era affatto una cattiva persona e, nonostante avesse perso molto anche a causa dei Mangiamorte, non lo aveva mai guardato con orrore o disgusto: dopo la guerra magica, aveva deciso che i familiari non dovevano restare separati. E, lui, Draco, era più solo che mai.

Pensò distrattamente che gli sarebbe piaciuto crescere con Andromeda, nonostante fosse quasi uguale a Bellatrix: gli sembrava una buona madre e forse, se fosse stato suo figlio, non sarebbe mai diventato una persona così vuota.

Aveva sempre pensato che sua zia “Dromeda” fosse una persona detestabile, che si era sposata con uno stupido babbano con cui aveva avuto una stupida figlia mezzosangue. Invece, da come la zia parlava del marito e della figlia deceduti, Draco poteva intuire cosa si fosse perso: era stato allontanato da una parte della famiglia che era buona. Tonks sembrava una forza della natura e Teddy, almeno in quel senso, aveva preso tutto dalla madre.

Gli sembrava strano essersi affezionato in quel modo ad un bambino, per di più figlioccio dello Sfregiato, ma non aveva saputo resistere all'insopportabile idea di stare solo.

Nei mesi successivi all'arresto dei suoi genitori, aveva temuto che, prima o poi, venissero a prendere anche lui: a quanto sembrava, i membri dell'Ordine e, in particolare, il signor Weasley, avevano convinto il Ministro a lasciarlo in libertà. Dopotutto, era stato marchiato all'età di sedici anni, dunque non era legalmente in grado di intendere e di volere, no? A quanto sembrava, prima dei diciassette anni, il Ministero della Magia lo considerava al pari di una melanzana.

Si passò una mano tra i capelli, scacciando il pensiero di quei giorni bui. Ora si stava riprendendo: era ad Hogwarts e avrebbe aggiustato quel piccolo difetto di fabbrica che lo caratterizzava.

Era per questo che aveva stuzzicato la Granger, no? Voleva sapere come facesse ad essere sempre così sicura che quello che stava facendo fosse giusto. E la sua risposta quale era stata? Che faceva tutto quello che doveva essere fatto per Harry Potter.

Beh, Draco Malfoy odiava lo Sfregiato e si rifiutava di credere che, per essere una buona persona, avrebbe dovuto agire nei suoi interessi.

Era stufo di quel posto, era stufo di essere in debito con Potter ed era stufo di sentirsi a disagio per il Marchio che aveva tatuato sul braccio.

Aveva deciso che, se si fosse trovato in estrema difficoltà, avrebbe trovato un modo per sgattaiolare via dalla scuola. Voleva poter uscire all'aria aperta o chiudersi in un posto che potesse rassicurarlo e scacciare i brutti pensieri. Magari, più tardi, si sarebbe procurato una bottiglia di whisky incendiario e l'avrebbe divisa con Nott e Zabini.

Si fermò davanti al muro spoglio che tanto conosceva. Era quasi un sollievo guardare quella parete senza provare angoscia.

Si chiese distrattamente se la stanza delle Necessità fosse ancora agibile, dopo che l'avevano incendiata, solo pochi mesi fa. Ma Draco era quasi certo che lo fosse.

Chiuse gli occhi e pensò a ciò che voleva trovare dietro quel muro.

Regalami un posto che sia come casa. Chiese solo questo e lo ripeté mentalmente per tre volte. Quando riaprì gli occhi, sul muro spoglio era comparsa un'imponente porta di legno massiccio.

Sorridendo, per il sollievo e la stanchezza, aprì l'uscio e vi sgusciò dentro. Entrò con gli occhi socchiusi, gustandosi la sorpresa che avrebbe ricevuto nello scoprire cosa avesse creato la stanza per lui.

Con la punta del piede, spinse la porta in modo che si richiudesse alle sue spalle. Ma, proprio in quel momento, udì uno sonoro tonfo: sembrava che qualcosa fosse andato a sbattere contro il legno massiccio dell'uscio.

Non fece nemmeno in tempo a voltarsi che, per il contraccolpo, venne scaraventato a terra.

E con quella botta, era arrivato a quota due bernoccoli.

– Dove credi di andare, pezzo di imbecille? – sibilò una voce femminile alle sue spalle.

Udì la porta chiudersi con uno tonfo sordo.

Aveva come la netta sensazione, che quella serata non sarebbe mai finita e che, presto o tardi, avrebbe ucciso Hermione Granger per questo.

 

 
   
 
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