Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: pandamito    29/12/2014    1 recensioni
[CROSSOVER: RISE OF THE GUARDIANS / FROZEN]
Si guardò attorno, ma non vide nessuno. « Tu… puoi vedermi? » domandò, per sicurezza, puntandosi un dito contro il petto. Era scosso e si sentiva vulnerabile.
La bambina inclinò la testa, un po’ confusa. « Sì » rispose sincera, « perché non dovrei? »

Elsa è sola, sua madre sta per partorire e lei ha paura di non essere una buona sorella.
Poi un giorno qualcosa cambiò, Elsa ricevette dei poteri da qualcuno che le cambiò la vita, nel vero senso della parola. Nel bene e nel male, perché né Elsa né Jack potevano sapere che cosa avrebbero comportato; per quest'ultimo significava solo avere finalmente qualcuno in grado di vederlo.
Ma forse non sarebbe stato così per sempre.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Elsa, Sorpresa
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  F O U R T E E N –
 
 
Solo silenzio vi era nelle strade di Arendelle. Non c’era quella solita aria gioiosa che caratterizzava la città, con tutta la baraonda di gente indaffarata, i mercanti intenti a fare a gara a chi grida di più per attirare i clienti. Non ci sono i profumi dei fiori o del pesce o della frutta per le strade, né quello del sapone delle donne che lavano i panni e li stendono sui propri balconi.
Nulla di tutto questo accadeva quel giorno. La maggior parte della gente se ne stava in casa e chi aveva deciso di lavorare o uscire se ne stava zitto zitto al proprio posto, con la testa bassa e intento solo a svolgere il proprio dovere, nulla di più, con la bocca serrata e il volto segnato da un’espressione dura e triste.
Neanche le campane suonavano, perché sapevano che presto vi sarebbero stati un bel po’ di rintocchi sprecati.
Persino il tempo si era ingrigito, il vento si era alzato gelido e piccoli e candidi fiocchi iniziavano a scendere lentamente fino a ricoprire il suolo. Ma quella non era la magia proveniente da una donna a cui da bambina era stato fatto un dono. Era semplicemente l’inverno.
Lei non era triste, non come lo erano tutti quelli che se ne andavano in giro con abiti scuri, o che non giravano per niente. Non era triste come la sua famiglia, che indossava abiti neri. Sapeva solamente che oramai era arrivato il suo momento.
A sua sorella non era mai piaciuto il nero, ma lo indossava lo stesso, così come l’aveva indossato il giorno del funerale dei loro genitori. Ricordava bene quel giorno come il più triste della sua vita: sola, senza nessuno al suo fianco, rinchiusa in quella camera senza poter spiegare nulla a sua sorella, senza poterla confortare realmente, negandole l’affetto che avrebbe voluto dimostrarle.
In quei giorni solo la figura di Pitch le era stata affianco. Ma ora non le dispiaceva la sua assenza, o forse solo un po’, ma quell’uomo ora rimaneva comunque un ricordo lontano.
Le mani piccole e rugose di Anna venivano strette da quelle più grandi e callose di Kristoff, tipiche di un uomo che prima di tutto quello aveva lavorato duramente. Di fianco a loro vi era la loro stirpe dai capelli biondo-rossicci, prima di tutti il loro primogenito maschio – con la corona saldamente posata sul capo, la stessa corona che aveva indossato il suo adorato padre prima di morire – e al fianco sua moglie e i suoi figli, i suoi nipoti. Tutta la sua famiglia era lì, eppure non vi era un singolo bambino che fosse uscito dalla sua pancia, ma andava bene così, l’aveva voluto lei e non se ne pentiva.
E poi, vicino al suo letto, più vicino di chiunque altro, vi era quel piccolo e paffuto pupazzo di neve che le era stato sempre al suo fianco. Chiacchierone sì, pasticcione altroché, ma dal gran cuore, seppur coperto di neve. Una piccola nuvola grigia galleggiava sopra la sua testa, mantenendolo al fresco. Fresco, sì, perché oramai era troppo debole per rimanere ad una temperatura troppo bassa.
La mano di legno di Olaf sfiorò l’interno del palmo di quella di Elsa, che penzolava fuori dal letto. Le iridi azzurre, ancora più chiare di quanto fossero state nei suoi anni migliori, lo guardarono con la dolcezza che aveva sempre dimostrato di avere.
«Mi dispiace» sussurrò. Un sussurro strozzato e così basso da essere quasi impercettibile da udire.
Ma Olaf capì e sorrise gentilmente come solo lui sapeva fare in rari momenti, quando capiva che qualcosa non andava, ma lo accettava lo stesso, senza rimorsi.
«Va bene così» disse solamente, non aspettandosi che la donna avesse abbastanza forze da chiudere le sue dita attorno alla sua mano di legno.
Restò così, premendo lo stecco di legno contro il palmo della mano della donna che lo aveva creato, consapevole che assieme a lei se ne sarebbe andato anche lui: la sua nuvola sarebbe svanita e lui si sarebbe sciolto velocemente in una pozza d’acqua, stavolta per sempre, senza nessuno che lo potesse mantenere al fresco.
E dopo il periodo di silenzio che tutti avevano vissuto nel dolore comune, ad Arendelle rintoccarono nuovamente le campane.
 
* * *
 
La neve cadeva da un po’ di giorni e la colpa era tutta sua. Era un omaggio, si ripeteva nella mente, perché era con essa che tutto era iniziato e quindi con essa tutto doveva finire.
Solo ora si rendeva conto quanto fosse stato stupido ad andarsene via, a lasciarla di nuovo, credendo di farle solamente del bene. Invece Elsa aveva mantenuto fede alle proprie promesse, aveva dimostrato che era lui quello a sbagliarsi.
Jack era ancora convinto che la donna avrebbe potuto avere una vita felice, se solo lei l’avesse voluto, se si fosse buttata tutto alle spalle e fosse andata avanti con la propria vita. Invece non l’aveva fatto. Aveva deciso di rimanere legata a lui. Per tutta la vita.
Avrebbe potuto sposarsi, fare dei figli, rimanere regina di Arendelle, invece nulla di tutto questo faceva parte della strada che lei aveva deciso di intraprendere. Aveva rinunciato alla sua corona, concedendola serenamente alla propria sorella minore, augurandole il futuro che magari lei avrebbe voluto; non aveva preso in matrimonio nessun uomo e, se non per far visita alla sua famiglia e alla sua gente, si era rifugiata in quel vecchio castello di ghiaccio nascosto tra le montagne, che un tempo era stato la sua dimora e che a ogni ora brillava dei colori del sole che si riflettevano sui cristalli. E lì, in quella solitudine da lei scelta, era rimasta, aspettando… aspettando… aspettando lui. Ma lui in tutti quegli anni si era limitato solamente a guardarla da lontano, di nascosto, aspettando anche lui il momento in cui Elsa si sarebbe resa conto della realtà dei fatti e avrebbe voltato pagina. Momento che non era mai giunto.
A volte si chiedeva se l’avesse notato, lì accucciato tra i pendii delle montagne, o librante nel cielo, gettando sguardi alla sua finestra. Forse sì, ma non aveva mai fatto nulla per avvicinarlo, pensando forse che dovesse essere lui quello a sentirsi sicuro e prendere il coraggio per bussare alla sua porta.
Dopo anni passati ad osservarla – anni in cui aveva viaggiato nuovamente il mondo svariate volte e in cui era riuscito a far credere la gente nella sua esistenza, anni in cui si era sentito triste e felice allo stesso tempo, un po’ per la gioia nei volti dei bambini e ciò che faceva per loro e loro per lui, un po’ perché gli mancava la sensazione di sfiorare Elsa e sentirla fra le sue braccia più di qualsiasi altra cosa – aveva finalmente concluso che più nulla avrebbe fatto cambiare idea alla donna. Non avrebbe mai seguito il suo consiglio e avrebbe continuato a fare di testa propria. Ma quando si decise in mente che forse poteva tornare da lei, pentirsi, chiederle scusa, implorare il suo perdono e magari riniziare quel che c’era stato tra loro… Quando finalmente il vuoto che la mancanza di Elsa aveva lasciato nel suo petto era diventato così grande da non poter essere più controllato né sopportabile, si accorse di quanto tempo realmente fosse passato: la figura di Elsa era più alta e slanciata, i tratti dolci e gentili che l’avevano sempre caratterizzata erano più maturi, di una donna già fatta, e i capelli andavano via via facendosi ancora più chiari di quel che già erano.
Era cresciuta, mentre Jack era rimasto sempre lo stesso ragazzino magro e vispo, col volto appuntito, le orecchie un po’ a sventola e i capelli sbarazzini.
E non ce l’aveva fatta, con quella consapevolezza determinata dal tempo – anzi, dalla differenza di tempo che era trascorsa nei loro due corpi – non era riuscito ad avvicinarsi più a lei ed aveva preso atto che era meglio se lasciava le cose così.
Se da un lato si pentiva di aver lasciato Elsa e con tutto se stesso voleva tornare da lei ed averla vicina come prima, dall’altro si era reso conto di quanto quella relazione li avrebbe fatti soffrire in un modo o nell’altro.
Vedere Elsa invecchiare accanto a lui – dotato della giovinezza eterna – era una cosa che non poteva permettere che accadesse.
Fissò la grande lapide di pietra con inciso il nome della donna che tanto amava, lo stesso nome che lui stesso aveva amato pronunciare, ma che il suono evocato da labbra che non fossero quelle della stessa fanciulla gli sembrava così impuro.
Sfiorò la pietra con le dita lunghe e poi lasciò che il braccio penzolasse morto sul suo fianco, vivendo nel silenzio che lo circondava. La tomba era piena di fiori: dei cari, della famiglia e anche dei cittadini. Era un piccolo spazio ricoperto di fuori variopinti su cui si ergeva questa massiccia lapide di pietra, molto simile a quelle con cui i troll delle montagne amavano nascondersi.
Poi… il suo sguardo azzurro si perse nel vuoto.
Chiuse gli occhi per qualche istante e ricordò la risata cristallina di lei, le sue mani affusolate che stringevano le sue, i morbidi e lunghi capelli biondi così chiari da rubare la luce alla luna di notte, fili luminosi che le ricadevano sulla spalle nude senza timore, non quando c’era solo lui a stringerla fra le sue braccia. La luna la invidiava e Jack sorrideva sempre a quel pensiero, perché finalmente per una volta era l’Uomo nella Luna a fargli domande, a volere delle risposte da lui. Ma non c’erano risposte sul come e perché Elsa fosse così bella. Era così e basta e Jack amava pensare che fosse un raggio di luna rubato da qualcuno e portato di nascosto sulla Terra per far conoscere la vera bellezza ai mortali.
Ricordava il tocco delicato dei suoi polpastrelli sulla sua pelle, il sapore delle sue labbra morbide che premevano sulle proprie, la sensazione delle farfalle nello stomaco ogni volta che la vedeva, i loro giochi, il loro stare semplicemente sdraiati a parlare e magari abbracciarsi e sentire che andava tutto bene. Gli mancava tutto quello e ora non c’era più un modo per tornare indietro. Era tutto finito e nessuno gli avrebbe più ridato momenti del genere. Era tutto semplicemente rinchiuso nella propria memoria.
Jack avrebbe continuato a vivere per l’eternità ed Elsa non sarebbe più stata al suo fianco, era solo una dolce briciola nel suo infinito.
Aprì gli occhi chiari e le sue iridi continuarono a fissare intensamente la pietra fredda, come se vi potesse leggere il proprio destino lì sopra, stando semplicemente in piedi, dritto di fronte alla tomba della sua amata.
Poi, lentamente, sollevò la sua mano in un piccolo gesto rotatorio. Dal suolo si librò un piccolo strato di neve comparso dal nulla che prese a ruotare come un minuscolo e basso tornado ai suoi piedi. Velocemente andò a solidificarsi e la neve si fece più compatta, prendendo la forma di un buffo pupazzo di neve col corpo basso e paffuto, due minuscoli piedi su cui bilanciare tutto il corpo, due stecchetti di legno presi da terra come braccia e mani, una testa ovale, un enorme dente sporgente su un’altrettanto enorme bocca, due curiosi occhi neri e tre corti ramoscelli in testa.
Lo guardò con nostalgia, ricordandosi la prima volta che quel pupazzo di neve aveva preso forma: proprio fuori dalla mura del palazzo reale, con la prima neve dell’anno, e Jack che per la prima volta in vita sua aveva incontrato qualcuno capace di vederlo. A quel tempo Elsa non era altro che una bambina – una bambina speciale – che non gli arrivava neanche alla vita per quanto era piccola e invece ora eccola lì a giacere immobile in una tomba, con un bel vestito e i capelli bianchi spazzolati accuratamente per essere deposta sotto terra. Per sempre.
Le sue dita si strinsero violentemente attorno al suo bastone e il suo viso fu attraversato da un lampo di dolore. Lo sguardo si assottigliò e dagli occhi già umidi scesero lente lacrime che non riuscì a fermare. Poggiò la fronte sul bastone, chinando il capo e rifugiandosi per qualche istante tra i suoi stessi singhiozzi, lasciando che tutti fluisse dal suo corpo. Ne aveva bisogno.
Prese un respiro profondo e si tirò su, mentre le lacrime si congelavano sul proprio viso, ma non gli davano fastidio. Sbatté le palpebre un paio di volte in più del necessario e tornò a posare lo sguardo sul pupazzo di neve inanimato ai piedi della tomba. Allungò il bastone come se fosse la prolunga del proprio braccio e toccò con la punta la testa del pupazzo, sprigionando una tenue luce chiara e fredda, che avvolse tutte il corpo di quel che era stato un piccolo e vecchio compagno di giochi per le due sorelle reali di Arendelle.
Quando la luce scomparve, dissolvendosi nell’aria così come era nata, il pupazzo di neve ebbe un tremito che lo fece scuotere tutto e un attimo dopo eccolo lì a muovere come per la prima volta braccia e gambe, sbattendo ora gli occhietti neri e guardandosi attorno. Prima di tutto il suo sguardo fu rivolto alle mani, muovendo le corte dita di legno, poi iniziò a tastarsi il corpo, la testa, i capelli e poi le sue mani tastarono la spazio vuoto sopra il suo dente, in mezzo agli occhi. Non vi era nulla se non neve.
Gli occhi neri di Olaf ora puntarono verso Jack, riconoscendolo, ma non disse ancora nulla come invece era suo solito intervenire sempre.
Lo spirito alzò le spalle e lo guardò con comprensione e serenità. «Non ce l’ho una carota per te, amico» si scusò.
Olaf scrollò le piccole spalle, sfoggiando uno dei suoi grandi sorrisi. «Oh, non fa niente. Grazie lo stesso.»
L’albino alzò il braccio col bastone alle sue spalle, puntando verso il castello. «È meglio se vai a casa ora, ti staranno aspettando.»
Olaf si voltò verso la direzione indicata, avanzando di qualche passo; ma poi si arrestò, tornando a guardare il suo creatore. «E tu?»
Ma Jack si limitò ad alzare lo sguardo verso la pallida luna che si faceva spazio al crepuscolo, attendendo il buio della sera per poter brillare.
E fu proprio alla luna che Jack espresse un desiderio.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
"Ommiodio ma cos'è successo? Mito ha aggiornato il giorno dopo?" Ehm... sì, non so che mi è preso, per una volta ero ispirata e meglio approfittarne, sinceramente, anche perché a Capodanno parto, gh.
E quindi diciamo che.. sì, mi odierete ancora di più. Elsa è morta. Oddio, dirlo così fa proprio brutto...
E manca solo un capitolo, il prossimo, che è una sorta di epilogo e non ho la minima idea di quando uscirà........ Forse sono in tempo per partecipare agli Oscar EFPiani, non so.
Se volete seguite i miei aggiornamenti o fangirlare e piangere con me, potete mettere mi piace alla mia pagina facebook, seguirmi su twitter, o su tumblr, o sul mio secondo tumblr, e se vi piacciono The Maze Runner e i Libri dell'Inizio, ho pagine facebook pure per loro due. Aiuto.
Hey, non ho fatto copia-incolla per una volta! O forse sì? Uhm, dunno.
Comunque mi sto accorgendo che a volte mi dimentico i numeri in inglese. Bao.
 
Baci e panda, Mito.
   
 
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