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Autore: Bijouttina    30/12/2014    13 recensioni
Un biglietto da visita, una scommessa con gli amici e una piscina basterebbero a capire il significato della storia.
La gelosia e la dolcezza in persona, Marco e Serena.
Marco è un rappresentante e affascinante pallanuotista, Serena una dolce e sensuale commessa in un outlet.
Una storia frizzante e divertente, con personaggi molto particolari che vi conquisteranno.
***
« Ora la mia missione è conquistarla e farla innamorare di me.», mi sento bello deciso e carico.
«E se ci riuscissi? Poi che cosa faresti? Tu non resisteresti neanche due minuti in una relazione stabile. Facciamo una nuova scommessa. Tu la porterai in villa dai tuoi, la farai conoscere ai coniugi Rossini, se non scapperà, vorrà dire che è davvero innamorata di te, e se questo succedesse, tu le farai la proposta.».
«Sei per caso impazzito?».
Che cosa ha bevuto?! Che cosa si è fumato?!
«No, affatto. Se tu la porterai da loro, vorrà dire che sarai innamorato di lei, non lo faresti altrimenti. E se sarai innamorato di lei, metterai la testa a posto. Per la gioia della tua mammina. Che ne pensi? Ti va di rischiare?».
Ho voglia di farlo? Non molta, ma non mi tiro mai indietro.
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La serie del rischio'
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19. Oggi mordo!
Non ce la posso fare. Voglio starmene tutto il giorno sul divano, con il mio cuscinetto caldo sulla pancia, a sgranocchiare cioccolata. Non mi sembra di essere troppo esigente, vorrei concedermi queste coccole almeno una volta al mese. Oggi, invece, sono costretta a lavorare. Sono particolarmente nervosa, potrei perfino mordere se mi fanno girare le scatole e so per certo che qualcuno lo farà. Non vorrei trovarmi nei loro panni. Ho dimenticato perfino di prendere le mie gocce per l'emicrania e ora sembro uno zombie. Dovrebbero starmi tutti alla larga, tutti.
«Flounder, abbiamo finito il caffè!», grida Marco dalla cucina.
Io senza caffè non posso andare a lavorare. Grugnisco mentre mi raccolgo i capelli in una coda di cavallo.
«Posso prepararti del tè?», chiede affacciandosi alla porta del bagno.
Lo fulmino con lo sguardo.
«Io non bevo quella brodaglia. Non sono né inglese, né malata», sputo piuttosto infastidita da quell'offerta.
Devo essere davvero in punto di morte per ingurgitare quel liquido bollente; al solo pensiero mi viene il voltastomaco. Io ho bisogno di caffeina, non di teina, non me ne faccio assolutamente niente.
«Flounder, credo che tu abbia bisogno di un esorcista. Sembri posseduta questa mattina». La sua pacatezza e la serenità che emana mi fanno incazzare ancora di più.
«Shark non fare il cretino, ti prego», borbotto gesticolando nervosamente. «Non ho voglia di scherzare oggi, e non c'è nemmeno il caffè. Peggio di così non potrebbe andare».
Lui scoppia a ridere, gettando la testa all'indietro.
«Sei spettacolare, credimi! Anche quando sei acida, irascibile e intrattabile», esclama venendo nella mia direzione.
«Tu devi essere impazzito». Scuoto la testa e sbuffo.
«Beh, penso che questo ormai lo sapessi già, dopo un mese e mezzo che stiamo insieme dovresti aver imparato a conoscermi».
Mi afferra per un fianco e mi attira a sé con uno strattone inaspettato che mi fa sussultare.
«Se stai cercando di farmi cambiare idea riguardo la nostra relazione, hai sbagliato completamente approccio. Se stai cercando un modo per liberarti di me, non ci stai riuscendo minimamente. Sono peggio di una zecca, non ti libererai di me così facilmente, sappilo».
Sto per ribattere, ma mi tappa la bocca con la sua.
«Non ho ancora finito, miss acidità», mormora con le labbra incollate alle mie. «Non riuscirai a trovare una sola cosa in grado di allontanarmi da te».
«Nemmeno se andassi con Massimo?». Lo punzecchio.
«Questa cosa non dovevi assolutamente dirla. Ora, per punizione, mi bacerai finché non pregherai il sottoscritto di smettere. Io non ho alcuna intenzione di farlo, nemmeno sotto tortura».
«Devo andare a lavorare». Gli faccio notare.
«Non me ne frega un cazzo. Scusa la schiettezza». Mi mette una mano dietro la nuca e mi spinge contro di sé con irruenza, senza darmi nemmeno il tempo di brontolare. Sapeva che l'avrei fatto e mi ha zittito appena in tempo.
«Marco, ti prego», mugugno con pochissima convinzione, mentre mi riempie il viso di delicati baci.
«Mi devi supplicare». Sorride nel dirlo e, un attimo dopo, mi sta abbassando le spalline della canottiera. Tortura i miei capezzoli, uno alla volta, facendomi perdere il controllo del mio corpo. Si ferma all'improvviso, lasciandomi stordita e desiderosa di altre attenzioni.
«Ti prego, non smettere».
La mia supplica esce inversa: dovevo chiedergli di fermarsi, non di continuare! Oh, al diavolo!
«Oh, la mia acidella vuole di più». Mi solleva per le natiche e gli avvolgo le gambe attorno alla vita. «Non avevi fretta di andare a lavorare?».
«Stai zitto, coccolami ancora un po', visto che dovrò rimanere insoddisfatta. È tutta colpa tua, solo colpa tua», borbotto mordendogli il labbro.
«E perché sarebbe colpa mia?», chiede aggrottando le sopracciglia.
«Lo sai benissimo perché! Sai che non resisto quando mi torturi in quel modo». Mi incollo nuovamente alla sua bocca e gli tolgo il respiro.
«Sì, lo so. E io non resisto tutte le volte che sei vicino a me. Sono un caso anche più disperato», soffia sulle mie labbra. «Ti accompagno al lavoro, sennò ho paura di non riuscire a controllarmi».
Poggio la fronte sulla sua e sospiro. Mi rimette giù a malincuore, continuando a tenermi stretta a sé.
«Vestiti, ti porto fuori a fare colazione prima di accompagnarti in negozio». Mi dà una lieve pacca sul sedere e mi libera dal suo abbraccio.
Come si fa a non amare quest'uomo? Mi sento anche un po' meno scorbutica, per ora. Voglio proprio vedere quanto durerà l'effetto benefico dei suoi baci e delle sue attenzioni. Io spero tanto che durino il più a lungo possibile, questa sensazione potrebbe migliorare notevolmente la mia giornata.
Raggiungiamo la pasticceria a piedi, di sabato e a quest'ora è praticamente impossibile trovare parcheggio in quella via. Quattro passi non hanno mai ucciso nessuno. Sergio ci saluta calorosamente.
«Galeotto fu il cappuccino, eh?». Ci prende in giro un attimo dopo.
«Tanto rompere le scatole per un po' di caffè e latte sulla sua camicia bianca». Sto al gioco.
«Già, non ho ancora capito perché si fosse scaldato tanto». Sergio scuote la testa, fingendosi sconcertato.
«Mah, forse perché si era reso conto che la sua camicia nuova aveva un tocco di classe per merito mio e non lo avrebbe mai ammesso».
Marco ascolta il nostro scambio di battute con un gomito ben piantato sul marmo del bancone, un sorrido divertito si forma sulle sue labbra.
«No, hai sbagliato, amore. Ero arrabbiato perché quel dannato cappuccino era rovente». Prova a difendersi, colpendomi una spalla con un dito, con aria che dovrebbe sembrare minacciosa.
Incrocio le braccia al petto e inarco un sopracciglio.
«Non raccontarci balle, ammetti la verità». Sergio lo osserva con la mia stessa espressione dubbiosa.
Marco mette le mani avanti in segno di resa.
«Okay, va bene, mi avevi rovinato la camicia nuova e mi sono girate le palle. Soddisfatti?».
«Siamo soddisfatti?», chiedo al mio complice, che annuisce appena.
«Bene, sono contento. Possiamo fare colazione ora?», brontola girandosi completamente verso Sergio. «Ho bisogno di un bel caffè».
«Un cappuccino per me». Ordino un attimo prima di scoppiare a ridere.
Marco rotea gli occhi, fingendosi scocciato. Un attimo dopo, mi prende il viso con entrambe le mani e mi bacia avidamente lì davanti a tutti. Mi sento avvampare per l'imbarazzo.
«Questo era quello che avrei voluto davvero fare quel giorno», mormora a fior di labbra. «Ti amo, piccola».
Appoggio il viso contro il suo petto e chiudo gli occhi, mi faccio coccolare un altro po', mi deve bastare per le prossime sei ore.
«Oh, ma guarda chi c'è qui!».
La voce di Luca mi fa sussultare, mi ha praticamente urlato nell'orecchio.
«Ciao». Saluto lanciandogli un'occhiataccia.
«Ehi, Luca». Saluta entusiasta il mio uomo, dandogli una pacca sulla spalla.
«Vedi? È con questo entusiasmo che si dovrebbe salutare». Mi fa notare il mio migliore amico.
«Se tu non mi facessi venire un infarto, forse potrei anche salutarti più calorosamente», grugnisco io con una smorfia.
Luca posa una mano sul braccio di Marco e dice abbassando il tono della voce: «Ha le sue cose, non è vero?».
Lui annuisce soltanto, un sorriso divertito appare su quella sua fantastica bocca.
«Condoglianze. Non ti invidio proprio», scherza Luca. «Mi raccomando, dopo averla accompagnata al lavoro, fermati da qualche parte a comprarle delle stecche di cioccolato. Una quantità industriale, mi raccomando. Solo così la potrai tenere a bada».
«Grazie per i consigli, lo apprezzo molto». Ride di gusto osservando la mia espressione imbronciata. Non mi piace quando parlano di me, facendo finta che io non sia presente e, soprattutto, non lo sopporto oggi.
Mostro loro tutto il mio disappunto con un grugnito.
«Comprane un bancale, ti conviene». Luca mi bacia la guancia. «Sai che ti voglio bene».
«Sì, certo», borbotto.
Alza gli occhi al cielo.
«Ah, mi stavo quasi dimenticando. Stasera andiamo al pub con le ragazze, vi unite a noi?», chiede rivolgendosi a Marco.
«Certo, verremo sicuramente.», risponde lui senza neanche degnarsi di chiederlo anche a me.
«Scusate se esisto, eh?», dico stizzita.
Loro non mi badano nemmeno.
«Se vuoi invitare anche qualcun altro, fai pure. Più siamo più ci divertiamo», aggiunge Luca con entusiasmo.
E se io non avessi voglia di uscire? Se volessi stare tutta sera sul divano a mangiarmi l'intero bancale di cioccolata? Sbuffo. In questo momento conto davvero molto poco. Facciamo colazione al volo, se non ci diamo una mossa, arriverò in ritardo e davvero non mi va. Concordiamo l'orario e il posto, prima di tornare a grandi falcate a casa di Marco. Arriviamo all'outlet con cinque minuti di anticipo. Lo saluto con un bacio.
Esco al volo, sto per correre all'interno, quando mi viene in mente una cosa.
«Fondente, mi raccomando!». Urlo nella sua direzione.
Marco scoppia a ridere, mi raggiunge e mi toglie il fiato con un bacio.
«Fondente sia. A dopo, Flounder».
Questa volta devo scappare sul serio, odio arrivare in ritardo. Il responsabile del negozio, Mirco, mi rimprovera con un'occhiataccia. Mi scuso al volo e sparisco nello spogliatoio. Due minuti dopo sono già al lavoro. Sono accaldata, senza fiato e con i crampi alla pancia: meglio di così non potrebbe andare! Una sensazione strana alla bocca dello stomaco mi tramortisce. Mi è sembrato di vedere Massimo nella corsia delle scarpe da corsa. Probabilmente ho le visioni. Sono così preoccupata che la giornata possa rivelarsi una delle peggiori di tutta la mia vita, che vedo cose che non esistono.
Scuoto la testa per scacciare quei pensieri assurdi e mi concentro sulle nuove felpe appena arrivate. Le piego con cura e le sistemo negli appositi scaffali, stando attenta a separare le taglie. Quella strana sensazione continua ad infastidirmi e non mi piace nemmeno un po'. Vado a riordinare l'ultimo scaffale in fondo al negozio, dove ci sono le sneakers per i bambini. Mi gratto la fronte. C'è qualcosa che non va.
Mi giro di scatto e Massimo è davanti a me, con un ghigno sul viso che farei sparire a suon di pugni. Non mi dà il tempo di pensare a niente: mi sbatte con la schiena contro lo scaffale, togliendomi momentaneamente il respiro. Ne approfitta per infilarmi la lingua in bocca contro la mia volontà, mi blocca i polsi sopra la testa con una mano soltanto. L'altra cerca di insinuarsi sotto la mia maglia. Cerco di dimenarmi, di scrollarmelo di dosso, ma è molto più forte di me. Sento la sua erezione premermi prepotentemente contro il mio ventre. Mi viene da vomitare.
Non ho tempo per pensare a una soluzione adeguata, decido di seguire il mio istinto. Gli mordo violentemente il labbro inferiore, sento il sapore metallico del suo sangue in bocca. Lui si stacca da me quel tanto che basta per poter colpire i suoi gioielli di famiglia con una potente ginocchiata. Si porta le mani su quel punto e non si risparmia con le smorfie di dolore.
«Mirco! Mirco!». Mi metto ad urlare come una pazza. Vorrei scappare da lì, ma le mie gambe non vogliono collaborare.
Il responsabile arriva di corsa e mi trova in lacrime, il coglione mi lancia delle occhiate piene di odio.
«Che sta succedendo?», chiede Mirco posando una mano sul mio braccio.
«La troia mi ha morso!», sbotta Massimo livido di rabbia.
Mirco mi fa sedere su uno sgabello e si piazza davanti a me, togliendomi dalla visuale del pazzo.
«Ora chiamerò la polizia». Sfila il cellulare dalla tasca dei pantaloni della divisa e compone il numero.
Massimo glielo strappa di mano. «Non ci provare nemmeno».
Lo lancia a terra con violenza, aprendolo a metà.
«Non è finita qui». Mi minaccia a denti stretti, prima di andarsene, pulendosi le labbra con il dorso della mano.
Mirco recupera i pezzi del telefono e si piega sulle ginocchia per potermi guardare negli occhi.
«Stai bene?», domanda visibilmente preoccupato.
Scuoto la testa. Mi sento tutto fuorché bene. Se fossi stata a casa tutto questo non sarebbe mai successo.
«Dammi il tuo telefono, chiamo il tuo ragazzo. Ti sostituisco io oggi, non puoi lavorare in queste condizioni».
Prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni, la mano mi trema tantissimo.
«Vado a prenderti una bottiglietta di acqua. Resta qui tranquilla, torno in un attimo».
Si allontana portandosi il telefono all'orecchio. Sta parlando con qualcuno, ma non sento quello che sta dicendo. Chiudo gli occhi e cerco di regolarizzare il respiro. Fosse facile. Non c'è nemmeno Luca. Ripensare a quel viscido mi fa singhiozzare nuovamente. Avrei potuto infierire su di lui mentre si contorceva dal dolore, ma non ci sono riuscita, ero troppo scossa. Ho bisogno di Marco.
 
***
 
È divertente stuzzicare Serena quando non è dell'umore adatto. È irresistibile anche quando mi tiene il broncio. Parcheggio davanti al supermercato ed entro a fare scorta di cioccolata fondente per la mia donna. Amo viziarla, lo ammetto.
Prendo il cestino rosso e cerco la corsia giusta. Una volta trovata, sbanco lo scaffale. Non so quale sia la sua marca preferita, perciò prendo un po' di tutto.
Vado alla cassa e la donna mi guarda sbalordita.
«Sua moglie ha le voglie?», chiede con espressione divertita.
«Qualcosa del genere», rispondo con un sorriso.
Pago ed esco con il mio sacchetto in mano. Il cellulare vibra nella tasca dei pantaloni, cerco di estrarlo, ma non abbastanza velocemente. La chiamata va persa. Un attimo dopo riprende a vibrare: è Serena.
«Ti mancavo già?». Scherzo in tono malizioso.
Sento un fruscio dall'altra parte della linea e della musica in sottofondo.
«Serena?».
«Ciao, scusa. Sono Mirco, il responsabile del negozio».
Che cazzo sta succedendo? Perché questo tizio mi sta chiamando con il telefono della mia donna?
«Dov'è Serena?», chiedo in apprensione.
«Dovresti venire qua. Un uomo la stava importunando, è sconvolta. Volevo chiamare la polizia, ma il bastardo mi ha rotto il telefono», mi spiega concitato.
«Arrivo subito».
Salgo in macchina lanciando il cellulare sul sedile del passeggero. So benissimo chi era quell'uomo e giuro che lo ammazzo! Se ha osato anche solo sfiorarla...
Non ci voglio pensare, devo concentrarmi alla guida e correre da lei, ha bisogno di me. Dieci minuti dopo parcheggio davanti al negozio. Scendo senza preoccuparmi né di recuperare il telefono, né di chiudere la macchina: niente è più importante di Serena in questo momento. Entro come una furia, la cerco con lo sguardo e la trovo seduta su uno sgabello, in fondo al negozio. Un uomo sulla quarantina, con i capelli scuri e cortissimi, sta parlando con lei.
«Serena», dico quando sono a un passo da lei.
Alza lo sguardo, i suoi occhi sono rossi e gonfi, le lacrime versate hanno lasciato il segno del sale sul suo viso. Si alza di scatto e si butta fra le mie braccia.
«Dimmi che cosa ti ha fatto quel bastardo. Io lo ammazzo davvero, ne ho piene le palle di quel pezzo di merda», ringhio a denti stretti. Se ha alzato le mani sulla mia donna, non vedrà più la luce del giorno.
«Mi ha sbattuto contro lo scaffale, con violenza, e mi ha messo la lingua in bocca. Una cosa disgustosa». Riesce a raccontarmi quello che è successo, ma con non poca difficoltà. Se quel borioso del cazzo fosse qui davanti a me, lo prenderei a calci fino a spaccargli tutti i denti, fino a renderlo incosciente.
«Che cosa vuoi che io faccia? Vuoi denunciarlo?». Più che ad una denuncia, stavo pensando all'evirazione e, successivamente, ad una morte lenta e dolorosa.
Lei sospira.
«Non so nemmeno io che cosa fare. Voglio solo che la smetta. L'ho morso e anche preso a ginocchiate sulle palle. A dirtela tutta avrei voluto fare di peggio, ma non ne ho avuto la forza».
La mia donna ha spirito di iniziativa ed è combattiva, ma adesso sarò io a risolvere la questione.
«Credo di sapere a chi rivolgermi. Ti fidi di me?», le chiedo.
«Al mille per mille», risponde lei, alzando finalmente lo sguardo e cercando i miei occhi.
Le accarezzo lo zigomo con il pollice.
«Risolveremo tutto, te lo prometto».
Ringrazio il suo responsabile per essersi preso cura di lei in mia assenza, prima di accompagnarla alla macchina. Ho come l'impressione che, appena si riprenderà dallo shock, diventerà indomabile e vorrà vendetta.
Si raggomitola sul sedile e fissa un punto imprecisato davanti a sé, immersa in mille pensieri. Se avessi davanti quello stronzo, non so quello che gli farei. Non aveva il diritto di molestare la mia donna e pagherà per quello che ha fatto. Per cosa, poi? Serena non c'è stata, e lui non lo sopporta? Che uomo senza palle! Se lo incontrassi per strada in questo momento, lo metterei sotto, senza pensarci su due volte. Non sono mai stato violento, ma quel bastardo sta tirando fuori il mio lato peggiore. Non si avvicinerà più a Serena, o sarà l'ultima cosa che farà in tutta la sua vita.
Sfioro la sua mano per farle sapere che io ci sono per lei e che ci sarò sempre: mi prenderò cura di lei. È una cosa che mi sento di fare, che voglio fare. Fermo la macchina nell'unico parcheggio che ho trovato e la aiuto a scendere.
«Dove stiamo andando?», chiede rompendo finalmente quel silenzio carico di tensione.
«Da un avvocato», rispondo senza aggiungere altro.
Suono il campanello e, dopo essermi annunciato, la porta d'ingresso del condominio scatta. Saliamo al secondo piano e veniamo accolti da un profumo di biscotti appena sfornati. La porta è socchiusa ed entriamo. Serena sembra perplessa, si guarda in giro per cercare di capirci qualcosa.
Ci accoglie la padrona di casa, con un grembiule sporco di farina legato in vita.
«Ciao Marco. È da un po' che non ti vedo».
«Buongiorno signora Zanna. Un paio di anni probabilmente». Le sorrido.
«Come vola il tempo! E io continuo a invecchiare». Scuote la testa con un sospiro. «Cercavi mio figlio?».
«Sì, se non è impegnato», rispondo.
La donna osserva Serena e si acciglia.
«Stai bene, cara?», domanda posandole una mano sul braccio.
«Non molto».
È particolarmente pallida e sembra stia per dare di stomaco.
«Siediti, ti porto qualcosa da bere». La signora Zanna la accompagna sul divano e la fa sedere. Non sopporto vederla in questo stato per colpa di un coglione. Stringo le mani a pugno, la mascella mi si contrae senza neanche rendermene conto.
«È in camera sua». Mi informa la donna, prima di sparire in cucina.
«Torno subito,
 amore». La bacio sulla fronte e mi dirigo verso la stanza. Busso sul legno e, un attimo dopo, la porta si apre di un spiraglio.
«Socio! Che cazzo ci fai qua?».
Lorenzo aggrotta la fronte e spalanca la porta. Capisco la sua perplessità: non vengo spesso a casa sua. Di solito è lui a fermarsi da me. Per lui non è semplice vivere ancora con i suoi, ma allo stesso tempo non si sogna minimamente di andarsene. È un contro senso unico.
«Ho bisogno del tuo aiuto». Lo informo muovendomi nervosamente sul posto.
«Che cosa è successo?». Deve aver capito che la situazione è seria e ha cambiato completamente tono.
«Il figlio di puttana del pediatra ha molestato Serena un'ora fa al negozio. Non deve più succedere niente del genere», ringhio. La rabbia sta salendo nuovamente di livello.
«Non lo conosco, ma mi sta sul cazzo!», sbotta il mio migliore amico. «Che cosa volevi da me?».
«Volevo chiederti se si poteva fare qualcosa. Non voglio che lui si avvicini ancora alla mia donna. Stavo pensando all'omicidio, ma non ho intenzione di andare in galera per lui». Mi esce una smorfia involontaria. L'idea dell'omicidio non è affatto male: non molesterebbe più nessuno.
Lorenzo non deve nemmeno pensarci su troppo, ha già la soluzione.
«Gli facciamo una bella diffida».
«Come funziona?». Non ho la più pallida idea di come si gestisce una cosa del genere.
«È semplicissimo. Scriviamo una bella letterina al nostro dottorino, dicendogli di stare almeno a cinquecento metri da Serena. Se malauguratamente lui non dovesse mantenere la distanza, potremmo portarlo in tribunale. Che ne pensi?».
«Penso che potrebbe essere interessante. Parliamone con Serena. Spetta a lei l'ultima parola», dico dandogli una pacca sulla spalla.
«Certo, intanto prendo carta e penna così buttiamo giù la letterina per Babbo Natale». Lorenzo scherza sulla questione e fa bene, c'è bisogno di stemperare un po' l'atmosfera.
Una volta recuperato il necessario, raggiungiamo le due donne in salotto.
Serena sgrana gli occhi appena mi vede tornare, seguito da Lorenzo.
«Tu saresti un avvocato?», gli chiede inarcando un sopracciglio.
«Sì, lo so, non si direbbe guardandomi. Modestamente sono il principe del foro. Ovviamente ogni allusione era puramente casuale». Le strizza l'occhio e si siede accanto a lei sul divano.
«Non avevo dubbi», commenta lei accennando un sorriso.
Prendo una sedia e mi accomodo di fronte a loro.
«Bene, bene, bene», comincia Lorenzo fregandosi le mani. «Il tuo qui presente fidanzato mi ha spiegato la situazione e io avrei una soluzione poco invasiva ma efficace».
«Che cosa avresti in mente?», domanda lei incuriosita.
«Una bella diffida». Le spiega come funziona questa cosa e lei ascolta con molta attenzione, sorseggiando il caffè che la madre di Lorenzo le ha preparato.
«La spediamo tramite raccomandata. Hai l'indirizzo?».
Serena annuisce. «Devo avere ancora il suo biglietto da visita da qualche parte».
«Benissimo, procediamo?», chiede Lorenzo con entusiasmo.
Lei mi guarda, aspettando un mio cenno che non tarda ad arrivare. Mi sorride.
«Facciamolo», risponde mettendosi più comoda sul divano.
«Che figata!», sbotta il mio migliore amico emozionato. «La mia prima diffida!».
Entrambi lo guardiamo poco convinti.
«È un onore, non credete?». Lui sorride raggiante.
«Lo è». Serena gli posa un bacio sulla guancia e lui ammutolisce all'improvviso. «Grazie Lorenzo».
«Figurati», farfuglia imbarazzato.
Non l'ho mai visto così in difficoltà. Ci vuole un'oretta per scrivere tutto alla perfezione. Lorenzo, poi, lo avrebbe battuto al computer, stampato e inviato. Il bastardo avrebbe ricevuto la lettera al massimo in un paio di giorni.
«Stasera usciamo con i miei amici, ti va di unirti a noi?», gli chiede Serena mentre sta ultimando le ultime righe.
«Te la senti?». Non vorrei che si stancasse o altro, mi preoccupo per lei.
«Non rinuncerò a una serata in compagnia per colpa di quello stronzo. Non gli permetterò di rovinarmi la vita, lo stronco prima!».
Eccola qui la mia piccola combattente: ha tirato fuori gli artigli. Massimo non avrà vita facile con noi.
«Allora, ci vieni?». Si rivolge nuovamente al mio amico.
«Ci sarà anche Stella?».
Serena mi lancia uno sguardo strano, io mi stringo nelle spalle. Non ho la più pallida idea del perché abbia chiesto di lei. Questa è nuova anche per me.
«Credo di sì», risponde sincera.
«Va bene, vengo con voi. Non si dice mai di no a una bella birretta». Lorenzo sorride radioso. Che diavolo gli è preso? C'è qualcosa che non torna e stasera lo scoprirò.
Lo ringraziamo e ce ne torniamo da Diablo. Credo che quel diavoletto possa far tornare nuovamente il sorriso alla mia donna. Ci sdraiamo sul letto, con il micio in mezzo a noi che si fa coccolare con la pancia all'insù. Serena sembra ancora assorta nei suoi pensieri, almeno finché non decide di rompere nuovamente il silenzio.
«Credi che funzionerà?», mi chiede continuando ad accarezzare assorta il pelo morbido del nostro gatto.
«Deve funzionare, sennò sarà peggio per lui». Le faccio notare.
«Sai una cosa? Io spero tanto che non mantenga le distanze così potrò pestarlo a sangue», afferma guardandomi dritta negli occhi. Le accarezzo una guancia, delicatamente.
«E io ti darò una mano», aggiungo con decisione.
Diablo è talmente felice, che le sue fusa riempiono la stanza, sembra un piccolo trattore. Serena torna a guardarlo con infinita dolcezza.
«Potremmo anche darlo in pasto a lui», propone con il sorriso sulle labbra. «È un abilissimo gatto da guardia, potrebbe esserci d'aiuto».
«È ferocissimo, farebbe scappare qualsiasi malintenzionato», dico accarezzandogli la testina. Lui mi prende il dito al volo e se lo infila in bocca, cominciando a mordere. I suoi denti sono affilatissimi, non è proprio piacevolissimo.
«Pensi che a Lorenzo possa piacere Stella?», chiede ad un tratto.
Bella domanda. Non è il tipo di donna che normalmente frequenta, non saprei proprio che cosa rispondere a riguardo.
«Non lo so, Flounder. Stasera indagheremo, sono curioso anch'io di scoprirlo».
Rimane in silenzio un attimo, prima di baciarmi le labbra.
«Grazie», sussurra.
«E di cosa?», domando posandole dei delicati baci sul viso.
«Semplicemente di amarmi», risponde con gli occhi chiusi.
«Lo farò per sempre». Questa promessa la manterrò, non ho intenzione di amare nessun'altra donna.

 
***Note dell'autrice***
Come avrete notato, i bastardi non muoiono mai! Massimo è tornato alla carica, con violenza questa volta. Se non sta attento, qui qualcuno gli farà fare una brutta fine e noi gongoleremo quando accadrà! Chi di voi avrebbe mai pensato che Lorenzo potesse essere un avvocato? Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su di lui lol. Domani arriverà lo spin off tutto suo, tenetevi pronti! ;)
Un grazie immenso a chiunque passi da qui *abbraccia tutti*
Vi auguro un buon inizio anno!
Un bacione


Una OS sul nostro Luca può interessarvi? Volevo dargli un po' più di spazio ed è uscita questa storia, spero vi piaccia :) 
Rischiamo insieme

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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 
   
 
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