Kerwick
Vendetta
Lo conosceva da quando erano entrambi bambini.
Ci si sarebbe aspettato che in tutti quegli anni
avessero
creato un legame, in qualche modo. Le mura di Dunchester non erano poi
così
larghe, e due bambini all’incirca della stessa età, il terzo figlio del
barone
e il figlio di uno dei suoi più fedeli cavalieri, avrebbero potuto
facilmente
fare amicizia, giocare e sognare insieme fino a quando non avessero
entrambi ricevuto
l’investitura.
Ma non successe così.
Kerwick passò tutta l’infanzia tra le mura del
castello,
servendo suo padre come scudiero. Conosceva molto bene il barone di
Dunchester,
che lo gratificava ogni volta che lo vedeva svolgere efficacemente e
con zelo
il suo dovere. Conosceva il suo carattere, le sue attività preferite,
il falco
che avrebbe dovuto portargli ogni qualvolta avesse avuto voglia di
andare a
caccia. Sapeva cosa fare per aiutarlo nella vita di tutti i giorni e
sapeva
cosa non fare per non farlo arrabbiare.
Ammirava suo padre e il barone oltre ogni misura.
E
conosceva i figli di quest’ultimo.
C’era Richard, il maggiore e l’erede, dallo
spirito ardito e
tanta voglia di avere successo in ogni cosa. C’era Peter, mite e
pacato, che lo
salutava sempre con un sorriso sincero. C’era l’unica femmina, l’ultima
dei
figli di Harald Martewall, Leowyn. Di lei Kerwick avrebbe potuto
parlare
all’infinito senza stancarsi mai.
Il terzo degli eredi era Geoffrey.
Kerwick aveva sentito dire spesso che la sua
esistenza, per
quanto fosse cara ad Harald, non era mai stata necessaria. Da un punto
di vista
prettamente razionale, era curioso che vi fosse un terzo figlio maschio
ad
arricchire un matrimonio combinato come quello di Martewall e sua
moglie. Due
eredi facevano sempre comodo, il terzo solitamente si poneva a capo di
un’abbazia, oppure si addestrava per i tornei. Non avrebbe mai ricevuto
un’eredità. I Martewall non erano baroni così ricchi da poterla
concedere a più
di due eredi, più la dote per la figlia femmina.
Sentiva parlare molto spesso della famiglia
Martewall, dai
suoi genitori, quando si riunivano a tavola nella loro casa in una zona
privilegiata del borgo di Dunchester. Suo padre gli raccontava delle
sue
avventure in guerra passate assieme a sir Harald e il bambino non si
stancava
mai di ascoltarle. E c’erano giorni in cui si parlava di lui,
il terzogenito del barone. I suoi genitori a volte ricordavano
il giorno in cui era nato, un giorno in cui il mare era in tempesta, a
volte si
domandavano quale futuro lo aspettasse.
« Qualcuno nella sua condizione… » aveva mormorato
una volta
il padre, riflessivo, gli occhi che non vedevano davvero la parete
della loro
casa, in una sera in cui l’ombra nera della guerra incombeva su di loro
e si
percepiva sulla pelle. « Può avere solo una vita ordinaria e stagnante
o
gloriosa e difficile. Senza nessuna via di mezzo. »
Kerwick non aveva compreso il senso delle sue
parole. E non
aveva cominciato allora ad osservare Geoffrey e a studiarlo, perché da
sempre
il terzogenito aveva attirato la sua attenzione più di ogni altro. Non
aveva
mai osato rivolgergli la parola, provava una sorta di timore che solo i
bambini
timidi e insicuri potevano avere.
Davanti a lui si
sentiva a disagio. Non che credesse che fosse un bambino cattivo,
semplicemente
Geoffrey non aveva mai mostrato di aver notato la sua presenza in
quegli anni,
troppo concentrato su altro e soprattutto troppo superiore a lui, sotto
diversi
aspetti. Kerwick ammirava la sua forza d’animo, ma non gli si
avvicinava, in
parte per paura di venire trascinato in qualche guaio, come era oramai
un’abitudine per il suo piccolo signore, in parte perché si sentiva
veramente
inferiore a lui. Lui, che aveva mostrato un talento per la scrima così
palese
che sir Harald, con orgoglio, non aveva avuto dubbi fin da subito su
quale
carriera Geoffrey avrebbe intrapreso.
Kerwick ci metteva una settimana per imparare ciò
che lui
imparava in un giorno. Gli voleva bene, ma da lontano, dato che con la
timidezza che si ritrovava ad avere da bambino non sarebbe riuscito a
stargli
dietro o a farsi apprezzare da lui, che possedeva un carattere così
dinamico.
Geoffrey era l’irrequieto, il solitario, il
ribelle. Le
regole imponevano al suo spirito troppi limiti e lui sentiva
irrimediabilmente
l’istinto di superarli. Geoffrey era il contestatore, il sognatore,
l’arrabbiato e l’idealista. E quello che finiva sempre per far tirare
fuori la
verga dal padre per più volte.
Era testardo e orgoglioso. Sir Harald lo
rimproverava di
continuo di voler fare sempre di testa sua e di avere poca capacità
d’ascolto,
e Kerwick era d’accordo con lui non solo perché era il suo signore, ma
anche
perché la testardaggine di Geoffrey era visibile chiaramente a tutto il
castello. Il piccolo barone però aveva dimostrato più volte di avere
inventiva
ed audacia, soffriva terribilmente una volta che aveva finito di
litigare col
padre, ma non per questo era disposto a cedere se riteneva qualcosa
ingiusto.
Ammirava senza riserve suo padre, lo si poteva
notare
chiaramente, e faceva di tutto per non mostrarsi troppo dispiaciuto
quando
veniva punito. Kerwick non ricordava una sola volta in cui lui avesse
tentato
di sottrarsi ad una punizione, una volta che il padre gli si poneva
davanti con
lo sguardo severo.
Harald lo rimproverava duramente, molte volte e
anche
davanti ai servi o agli scudieri. Subito dopo però Kerwick vedeva una
punta di orgoglio
nei suoi occhi e nel suo sorriso, a stento nascosto. Un vero sentimento
di
collera e un vero sentimento d’orgoglio che si contendevano il posto in
uno
sguardo. La cosa che più lo rattristava, era il sospetto che quella
fierezza
Geoffrey non avesse mai potuto vederla.
« Sir Harald ha una vera e propria predilezione
per lui. »
La madre di Kerwick aveva guardato suo marito,
quella sera,
con aria scettica, scuotendo la testa. « se dovesse avere una
predilezione per
uno dei suoi figli, non sarebbe per lui. »
« Ti sbagli. » ribadiva sir Kerwick con un sorriso
sicuro.
Il tempo passò e sir Harald andò in guerra col
figlio
Richard. Peter invece li avrebbe seguiti per una parte di strada, per
poi far
visita ai monaci del monastero di Glenheaven, come era suo desiderio da
molto
tempo. Sir Harald l’aveva accontentato, perché Peter era un ragazzino
così
gentile e arrendevole che non farlo dopo così tanto tempo e sapendo che
non
sarebbe stato presente per chissà quanti mesi l’avrebbe persino fatto
sentire
in colpa.
Kerwick aveva visto
solo allora, per la prima volta, paura nello sguardo di Geoffrey.
Quegli occhi
solitamente così risoluti anche di fronte alla verga di sir Harald, in
quel
momento fremevano d’angoscia e il petto si alzava e si abbassava con
meno
naturalezza. Non c’era solo paura, ma anche tanta rabbia. Kerwick la
guardava
con preoccupazione e capì solo qualche giorno dopo, quando assistette
ad un
allenamento di Geoffrey dai movimenti particolarmente esasperati.
Provò una sottile vergogna. Suo padre gli aveva
detto che
era normale che provasse paura, e che anche lui aveva paura, per questo
non
avrebbe potuto portarlo con lui. Disse che era ancora molto giovane e
avrebbe
avuto tutto il tempo per seguire il suo cavaliere in guerra come
scudiero e che
per ora doveva solo sentirsi sollevato ed allenarsi tanto. Kerwick gli
aveva
creduto subito e non aveva più avuto dubbi, né aveva provato imbarazzo
nel
restare a Dunchester. Suo padre disse che anche sir Harald aveva detto
le
stesse cose ai suoi figli, che sarebbero dovuti rimanere soli per quei
mesi,
perché la madre li aveva lasciati ormai da tempo, tanto che Leowyn se
la
ricordava solo vagamente.
Però, oramai Kerwick lo sapeva. Geoffrey non
avrebbe mai
neanche provato a non sentirsi arrabbiato.
*
Il castello era in fermento e cercava notizie
ovunque, ma
queste arrivarono in modo non frammentario solo con il ritorno di sir
Harald. Geoffrey
era stato molto solo in quei mesi. Passava del tempo con la sorellina
quando ne
aveva voglia, ma sfuggiva con ammirevole destrezza alla compagnia dei
suoi
istruttori o delle balie. Kerwick sentiva uno strano bisogno di tenerlo
d’occhio, e il suo carattere stava mutando pian piano, divenendo più
sicuro con
l’età. Aveva provato a parlargli, un giorno in cui Geoffrey non era
riuscito a
nascondere la rabbia e l’angoscia che lo tormentavano e in cui lui
aveva buone
notizie da portargli.
« Signore?»
Geoffrey non si voltò.
Rimase col braccio leggermente alzato e con un pugnale pronto ad essere
lanciato nella mano.
« Cosa c’è? »
« Abbiamo buone nuove,
signore! Alcuni abitanti del borgo dicono che hanno sentito dire che
vostro
padre sta tornando!» affermò Kerwick gongolante. Geoffrey lanciò il
pugnale e
fece quasi centro sul bersaglio, cupo in viso.
«Sono solo voci. »
replicò laconico, e Kerwick vide la tristezza dipingersi nel suo
sguardo.
Geoffrey si accorse
della sua occhiata e lo osservò arrabbiato, incrociando le braccia al
petto.
« Altro?» chiese,
gelido.
Kerwick abbassò il
capo imbarazzato.
« No, signore. »
« Allora puoi andare.
E aspetta che tornino le sentinelle prima di credere alle notizie. »
Kerwick annuì
dispiaciuto. Lui e il giovane barone avevano la stessa età, ma
Geoffrey,
nonostante il fisico smilzo, pareva senza dubbio più grande.
Il bambino si voltò
un’ultima volta prima di lasciarlo solo.
« Siete ancora
arrabbiato con sir Harald? »
Geoffrey serrò la
mascella, andò a recuperare il suo pugnale e non rispose.
« Io… se permettete…»
cominciò esitante Kerwick, che non aveva molta voglia di chiudere il
discorso
così presto. « Io penso che dovr…»
« Io penso che
dovresti farti gli affari tuoi. Vattene via. » ordinò secco Geoffrey,
con una
punta dell’aria capricciosa tipica dei ragazzini, interrompendolo con
uno
sguardo infastidito. Kerwick aveva le orecchie rosse.
« Scusate…» poi, un
attimo prima di girarsi, respirò a fondo e si inchinò con la fretta
dell’imbarazzo. Si presentò velocemente, biascicando tutto d’un fiato.
Geoffrey
annuì con noncuranza.
« Guarda che lo so chi
sei. » disse, con un tono tra l’impaziente e l’infastidito.
Il sorriso di Kerwick
divenne raggiante d’orgoglio e soddisfazione.
*
Kerwick vide Geoffrey guadagnarsi il rispetto di
quelli che
sarebbero presto diventati i suoi uomini, in un modo assoluto che non
lasciava
spazio a dubbi e perplessità nella mente dei soldati.
Lui non aveva bisogno di convincersi di nulla. Era
già da
molto tempo che lo ammirava, il suo atteggiamento fiero e distaccato e
orgoglioso anche nei momenti più bui, il suo spirito indipendente e la
sua
impazienza nel diventare adulto, tutto questo gli aveva fatto capire
che lo
avrebbe seguito con ancora più ardore di quanto avrebbe fatto coi suoi
fratelli.
Era stata una considerazione non ponderata ma
quasi
istintiva, che si era consolidata col passare del tempo. E non vi era
quindi
una teoria logica per spiegarla, ma forse a Kerwick non serviva. Non
gli
serviva sapere perché avrebbe dato ogni fibra dei suoi talenti per
servire il
suo giovane e scontroso signore. Sapeva che Geoffrey si meritava il suo
rispetto e la sua lealtà, e tanto gli bastava.
Stavano crescendo entrambi. Kerwick vedeva
Geoffrey raggiungerlo
in altezza e larghezza di spalle e accentuare la differenza d’abilità
militari
che li distingueva. Viaggiava molto, spesso da solo, per i boschi e i
villaggi
del suo feudo, e spesso seguiva il fratello Richard in occasione di
tornei o
per qualche battuta di caccia. Il suo spirito non tollerava
l’inattività. Si
era impegnato per gestire i cani da caccia, i falchi e i cavalli,
prendendosi
la responsabilità di selezionarli e sfruttarli, come se non volesse
fermarsi un
momento. I soldati gli si rivolgevano sempre più spesso per i motivi
più
svariati, e molte volte Geoffrey chiedeva loro di fargli da avversari,
e loro
avevano imparato a non privilegiarlo mai in nessun modo, per evitare la
sua
rabbia. Sir Harald riponeva in lui una fiducia assoluta, e chiedeva
spesso il
suo consiglio. Geoffrey si impegnava nel studiare le arti militari e
dimostrò
di avere una spiccata abilità nei panni dello stratega. La sua
dinamicità si
era disciplinata, forse, ma non assopita. Il suo sguardo fremeva di
continuo,
alla ricerca di qualcosa di indefinito, instancabile. L’eco di
un’antica
ambizione riecheggiava nelle sue iridi assieme a una celata e perpetua
insoddisfazione.
Kerwick provò una gioia sincera nel vedere sir
Harald
conferire al minore dei suoi figli maschi l’investitura a cavaliere.
Non
avrebbe mai dimenticato il sorriso del barone in quel momento. Volle
cingere
lui stesso la spada al fianco del figlio, quell’arma che aveva
commissionato
personalmente. Gli occhi di tutti i presenti erano puntati su Geoffrey,
con
fiducia e orgoglio. Sir Harald lo abbracciò, una volta che si fu alzato
dalla
posizione inginocchiata in cui aveva pronunciato i giuramenti.
Geoffrey era molto giovane, ma decisamente pronto
per
divenire cavaliere, sotto il punto di vista delle abilità, delle
esperienze e
dei principi morali.
Diversi mesi passarono e Kerwick li sfruttò
impegnandosi
ancora più del solito, per raggiungere il suo signore e seguirlo nelle
sue
esperienze.
Successe troppo rapidamente, ciò che sir Harald
più temeva.
Da qualche settimana il barone aveva cominciato ad apparire pensieroso,
preoccupato, con gli occhi distanti e l’aria ombrosa. Spesso osservava
Geoffrey
con una ruga d’inquietudine in mezzo alla fronte e emetteva un respiro
un po’
più profondo. Tutte le settimane arrivavano dei messaggeri, che
parlavano solo
con lui e, dopo qualche tempo, coi cavalieri più fidati. Alle domande
dei figli
non dava risposta.
*
Kerwick non avrebbe voluto comportarsi da spia.
Provava, in
quel momento, una certa vergogna, e una sorta di sottile disgusto per
se
stesso. Spiare il suo signore in un momento tanto delicato e privato
non gli
faceva onore ed era un gesto che sfiorava l’ingiustizia.
Non aveva iniziato di proposito. Semplicemente, si
era
trattenuto più a lungo nell’armeria e quando aveva attraversato il
chiostro per
rincasare aveva sentito sir Harald e Geoffrey discutere sotto il
porticato.
Era oramai sera inoltrata. L’oscurità era
rischiarata solo
dalle luci delle torce, ma non così tanto da coprire una distanza più
ampia di qualche
passo. Le figure del barone e del figlio erano segnate da luci e ombre
che le
rendevano quasi inquietanti e che accentuavano il dinamismo dei loro
volti.
Kerwick poggiò la schiena ad una colonna con le
sopracciglia
contratte dalla preoccupazione, ancora avvolto dall’ombra.
« Non potete negarmi anche questo! Non adesso,
non dopo tutto il tempo in cui ho aspettato e in cui sono
rimasto a guardare senza fare niente!» la voce di Geoffrey saettò per
il
chiostro. Kerwick rabbrividì, non solo a causa dell’aria pungente.
Intuiva,
anzi, sapeva a cosa Geoffrey stava alludendo. Una volta che le notizie
erano
state accertate, tutti i feudi avevano saputo della chiamata alle armi
di
Giovanni Senza Terra. Kerwick sapeva che sir Harald non credeva che non
si potesse
arrivare ad una tregua prima della venuta dell’anno nuovo, quel periodo
era
molto instabile e incoerente.
Ma Richard Martewall era morto per una sola
battaglia
combattuta male dall’esercito inglese.
Anche una sola battaglia poteva bastare, con così
poco tempo
per organizzarsi, con una situazione così incerta.
E sir Harald non nutriva nessuna stima né fiducia
nel suo
re.
« Ti ho già spiegato le mie motivazioni, Geoffrey,
e non
sprecherò altro tempo perché ti ostini a non ragionare! » disse sir
Harald con
un gesto imperioso del braccio, il tono severo e lo sguardo bruciante.
« Allora spiegatemi, che cosa dovrei farmene della
mia
investitura?!» chiese Geoffrey, sarcastico e amaro, senza timore né
prudenza,
perché la prepotenza delle sue convinzioni evidentemente superava ogni
altro
sentimento e la capacità di vedere quel confine invisibile da non
oltrepassare.
« Mi avete voluto cavaliere solo per portarvi il
denaro dei
tornei!»
Kerwick sapeva che non lo pensava davvero. Le sue
parole
erano dettate dalla rabbia e dalla frustrazione. Ma non per questo
avrebbero
ferito di meno.
« Come puoi pensare
questo?! » la
reazione di sir Harald era stata immediata e terribile. Respirò a fondo
per
riprendere il controllo di se stesso e si allontanò di un passo dal
figlio,
perché gli si era avvicinato tanto che quasi la sua barba gli sfiorava
i
capelli. « Non azzardarti mai più a ripetere una cosa del genere. »
continuò,
col tono più basso, tremante ma controllato. « Mi fa male sapere che
pensi questo
di me. » affermò infine, ed era chiara la sua ferrea volontà di essere
onesto
in tutto e per tutto con suo figlio.
Geoffrey abbassò per
un momento
lo sguardo mordendosi le labbra.
Suo padre allora
incrociò le
braccia al petto e respirò lentamente l’aria gelida.
« Ti ho voluto
cavaliere perché
ti credevo pronto. »
« Io lo sono!»
affermò Geoffrey
serrando i pugni.
« lo so. » sospirò
sir Harald. «
Ma vorrei che tu avessi più capacità di giudizio e che sapessi
comprendere i
tuoi limiti. »
Alzò una mano per
frenare sul
nascere le proteste del ragazzo e ricominciò ad alzare il tono della
voce, a
renderlo più severo e a stracciare il velo di rassegnazione di cui era
intriso
e che Geoffrey non sopportava.
« Tu resterai qui
perché vivi
ancora sotto il mio tetto. Sono costretto a mandare Peter e ad andare
io
stesso, ma per te posso trovare una giustificazione e lo farò. Non
manderò a re
Giovanni più di quanto gli devo. »
« E perché? » sbottò
Geoffrey« è
il nostro re!»
« Ci trascinerà tutti
in una
guerra inutile che non possiamo affrontare. Non senza una buona guida.
Lui non
è una buona guida. »
« Come potete saperlo? Tutte quelle voci sul fatto
che abbia
sacrificato il fratello… non vi è nessuna prova! »
Sir Harald sorrise amaro.
« Ti comprendo, Geoffrey, perché da ragazzo ero
esattamente
come te. Vedevo ingiustizie dove non c’erano. »
Geoffrey scosse la testa con impazienza.
« Io sono un cavaliere adesso. Siete stato voi ad
investirmi
di questo titolo e non mi interessa se ve ne pentite…»
« Io non ho mai dett…» provò a protestare sir
Harald,
tenace.
« Non subirò di nuovo l’umiliazione di restare a
guardare
senza fare niente! Di vedervi partire senza rischiare nulla di persona
per la mia
terra e per la mia famiglia! »
Sir Harald sospirò seccato.
« Ora non venirmi a dire che non ti ho fatto fare
esperienza. Ti ho lasciato a Dunchester una sola volta, in tutti gli
altri miei
viaggi ti ho sempre portato con me anche se eri solo un bambino. »
« Quell’unica volta è stata la sola in cui siete
andato in
guerra. »
« Solo per qualche mese. Poi c’è stata la tregua.
»
« E io come facevo a saperlo?!»
Il silenzio calò come una falce spietata tra loro.
Ognuno di
loro sembrava meditare sulle parole dell’altro. sir Harald senza dubbio
pensava
al senso di abbandono di Geoffrey. Per quanto riguardava il figlio,
Kerwick non
riusciva a decifrare i suoi pensieri. Provava costantemente il timore,
gelido e
terribile, di essere visto e si sentiva in colpa per questo. Voleva
solo che si
spostassero così da potersene andare senza colpo ferire.
« Tu non sai nemmeno perché vuoi combattere. »
sentenziò sir
Harald. Kerwick si aspettava da Geoffrey una risposta secca, gelida e
furente.
Invece il ragazzo sorrise, agghiacciante, con una
sfumatura
spietata tra le labbra.
« Credete? »
Il padre attese qualche secondo che aggiungesse
dell’altro,
prima di perdere la pazienza come faceva sempre quando la
preoccupazione lo
assaliva.
« Tu rispondi ancora a me!» sbottò duramente la
voce di sir
Harald, severa, irata, aspra. « E rispondi a Dunchester! Resterai qui a
difenderla in caso di bisogno. Ti lascio il pieno controllo del
castello, che è
ciò che abbiamo di più prezioso! Non ti basta!?»
« Mi chiedete se mi basta?» chiese Geoffrey tra i
denti. « Hanno
ucciso Richard! Come potete accettarlo in questo modo? Come potete non
desiderare che ne muoiano il più possibile? »
Kerwick trattenne il fiato, colpito da quelle
parole come se
avesse ricevuto una stilettata al petto. Non aveva mai immaginato che
ci fosse questo dietro lo sguardo di Geoffrey, che,
due anni prima, era diventato fin troppo freddo. Sapeva che vi era
celata tanta
sofferenza, eppure il ragazzo aveva nascosto bene la sua voglia di
vendetta,
aveva atteso, terribilmente solo nel suo desiderio di agire al più
presto,
appena l’occasione si fosse presentata.
Eppure Kerwick non avrebbe dovuto stupirsi.
Ricordava col
cuore in gola lo sguardo di Geoffrey puntato sulla bara del fratello, e
ancor
prima sulla sua salma, ricordava ogni sfumatura delle sue iridi anche
se aveva
avuto il coraggio di guardarle solo per pochi istanti. E ricordava il
legame
che univa i fratelli Martewall, l’ammirazione di Geoffrey nei confronti
di
Richard e il modo in cui il più grande insegnava qualche trucco con la
spada al
fratello minore di cui andava tanto fiero.
Trovarsi di fronte un ostacolo dopo due anni in
cui la sua
anima si era nutrita di rabbia e odio per sopportare il dolore doveva
essere
per Geoffrey più che frustrante.
Kerwick sperò con tutte le sue forze che sir
Harald lo
fermasse.
Non sentì più nulla. Quando si sporse per vedere,
vide sir
Harald trattenere saldamente suo figlio per il braccio per impedirgli
di
andarsene, sussurrargli qualcosa mentre Geoffrey ribadiva a voce più
alta che
sarebbe partito con o senza il suo permesso. Il barone lo fulminò con
lo
sguardo saettante.
« Dannato ragazzino! Spero almeno che tu possa
trovare
motivazioni più onorevoli per scendere in battaglia, allora. » sbottò
sir
Harald alla fine, con un gesto esasperato e un misto di rabbia e
preoccupazione
negli occhi.
Geoffrey sembrò indolente fino all’ultimo.
« Per adesso le mie mi bastano, padre. »
Ooook….
Mi
devo scusare, perché avevo detto che sarei riuscita
con ogni probabilità a pubblicare prima di Natale e invece….
Ormai
devo farvi gli auguri di buon anno!!!
Che
dire… questo capitolo è l’emblema dell’OC. Ho
inventato di sana pianta un po’ di cose… il carattere di Kerwick da
bambino, il
fatto che lui sia cresciuto a Dunchester…
Per
alcuni elementi mi sono rifatta alla cronologia
storica e al libro, come per azzeccare, più o meno, l’età di Geoffrey
alla
morte del fratello (che ho evitato di menzionare, ma dovrebbe essere
sui
quattordici anni, quindi ho fatto diventare Geoffrey cavaliere da molto
giovane, a sedici anni. Spero sia verosimile, d’altra parte non si fa
altro che
dire che è un veterano. E poi me lo immagino sempre più maturo, di
certo non il
classico ragazzetto con gli occhiali da moscone di terza liceo ).
Per
quanto riguarda la furia vendicativa… mi sono accorta
che nei capitoli precedenti ho accentuato molto poco questo lato del
suo
carattere. Un errore da non rifare, Geoffrey è caratterizzato da luci e
ombre.
*Jerome
annuisce convinto. *( è sempre bello avere la sua
approvazione. )
Spero
tanto che il capitolo vi sia piaciuto( almeno più
di quanto ha convinto me : )…)
Grazie
per essere arrivati fino a qui e BUON 2015 (a
chi piace festeggiarlo… )!!!!!!
Tacet