Capitolo
4
Vuoti
di
memoria
E così
Giacomo aveva un disturbo dissociativo
di identità. Da non crederci. In effetti, mi era sembrato un
tantino bizzarro –
e come non avrebbe potuto, dal momento che erano ormai mesi che mi
spiava e mi
seguiva di nascosto senza che l’avessi mai conosciuto?-.
Eppure mi faceva quasi
pena, steso lì, a terra, privo di sensi.
Quasi.
«E’
una storia lunga, ragazzi. Mi dispiace
che l’abbiate scoperto in un modo così
brutto» disse la signora Dorotea.
«Perché
c’è un modo bello di scoprirlo?»
esclamai istintivamente.
«Hai
ragione, non c’è un modo bello. Ed è
stato brutto anche per me, te lo assicuro, terribile, quando
l’ho scoperto.
Sapete, Giacomo è stato affidato a me che aveva
già undici anni. La madre è
morta di parto, mentre al padre è stata tolta la sua
custodia. Era un
alcolizzato violento, non faceva che picchiarlo, tutti i santi giorni.
Vivevano
vicino a casa mia, e non potete immaginare quante volte ho sentito
urlare
questo povero ragazzo. A un tratto, non ce l’ho fatta
più: ho deciso di
denunciare mio figlio alle autorità. Gli è stata
tolta la custodia ed è stato
arrestato, perché aveva pure commesso qualche reato. Giacomo
è venuto a stare
da me, e per i primi anni è andato tutto bene. Poi, un
giorno, di ritorno da
scuola, ho notato che si comportava diversamente dal solito. Sapete,
è sempre
stato un ragazzo tranquillo, timido e gentile. Al tempo, aveva circa
sedici
anni. Ha iniziato a trattarmi male, ad essere violento sia verso di me
che
verso gli amici, che lo hanno abbandonato a poco a poco e isolato. Non
sapevo
cosa pensare di lui: cosa diamine era successo a mio nipote? Decisi
così di
portarlo da uno psichiatra, che gli diagnosticò un disturbo
antisociale di
personalità. Avviò la psicoterapia, ma non
sembrava migliorare. Addirittura, un
giorno lo trovai in giardino che torturava un povero gatto. Iniziai ad
avere
paura di mio nipote».
Si interruppe ed
iniziò a singhiozzare.
Gli porsi un
fazzolettino di carta.
«Grazie,
cara. Dicevo … non riuscivo più a
riconoscere mio nipote, e iniziai ad averne paura. Mi consigliarono di
farlo
ricoverare presso un istituto psichiatrico, visto che stava diventando
pericoloso, ed io avevo praticamente ormai rinunciato a riavere il mio
gentile
nipotino, quando un giorno, senza preavviso, come se nulla fosse,
tornò quello
di prima. Era un pomeriggio d’estate, lo ricorderò
sempre. Stavo pulendo il
giardino, quando me lo ritrovai alle spalle: stava annaffiando i fiori.
Incredibile, pensai. Non può essere. Non volevo crederci.
Nei giorni successivi
continuò a comportarsi come il Giacomo che conoscevo, un
nipote buono, gentile
e timido. Gli psichiatri avevano opinioni contrastanti: chi pensava fosse stato un
periodo di ribellione
transitorio dovuto all’adolescenza, chi che stesse fingendo e
in realtà fosse
sempre un antisociale, in fondo. Fatto sta che, per alcuni mesi, tutto
tornò
alla normalità. Finché di nuovo, un giorno, si
ripresentò il problema: Giacomo
prese a pugni un suo compagno di classe. Il malaugurato ragazzo
finì in terapia
intensiva, e rischiò di morire. Mio nipote aveva quasi
diciotto anni, perciò
rischiò sul serio di finire in prigione. Fortunatamente
comprese il problema lo
psichiatra della scuola, il dottor Serio. La sera stessa
dell’incidente venne a
trovarmi e mi disse che pensava di aver capito quale fosse la malattia
di mio
nipote».
«Il
disturbo dissociativo di identità»
intervenni io, interrompendola.
Sentivo che aveva
bisogno di una pausa per
riprendersi. Tirò su col naso e proseguì.
«Sì.
E infatti fino ad oggi questa è
l’undicesima volta che succede».
«Ma di
cosa si tratta, esattamente?» chiese
Davide, incuriosito e spaventato al tempo stesso.
«Be’,
è un disturbo dissociativo, di fondo. Un
tempo si chiamava disturbo da personalità multiple. In
pratica, una stessa
persona ha più di una personalità, e ciascuna di
esse può prendere il controllo
del suo comportamento».
«E Giacomo
quante diverse personalità ha?»
domandai.
«Solo due,
almeno per adesso. In genere, la
transizione dall’una all’altra avviene in occasioni
cariche di significato,
emotivamente parlando» rispose, rivolgendomi uno sguardo
eloquente.
«Cosa
diavolo sta insinuando? Cosa centra
adesso mia sorella?» sbottò Davide, infastidito da
quell’espressione.
«Guardi
che noi due non ci eravamo mai visti
prima» dissi io, quasi a volermi giustificare.
«Forse tu
non lo avevi notato, ma lui è già
da un po’ che mi parla di te. O meglio, di una ragazza
bellissima e
intelligente che dice di aver conosciuto a mare, diversi anni
fa» sostenne
Dorotea.
Diversi
anni
fa? Una cosa era certa,
io non avevo
mai visto quel ragazzo se non qualche mese prima, a scuola. Me
l’aveva fatto
notare la mia migliore amica, Giada, e al tempo ci eravamo pure
spaventate.
Quel ragazzo più grande che mi fissava nascosto dietro a un
albero … cosa
poteva volere da me? Poi però mi tranquillizzai, se
così si può dire, dal
momento che si limitava solo a spiarmi.
«Guardi
che io non l’ho mai visto prima,
glielo assicuro. E poi … quale dei due Giacomo mi avrebbe
conosciuta al mare?»
chiesi, un po’ curiosa un po’ inquietata dalla
strana situazione.
«Quello
antisociale» rispose la nonna,
eloquentemente.
Mi sforzai a
ricordare, ma niente … sembrava
che veramente non avessi mai visto quel ragazzo prima di allora. A meno
che …
«Suo
nipote quanti anni fa mi avrebbe
conosciuta, esattamente?».
«Due anni
fa. Al tempo, lui aveva circa
diciannove anni».
Ecco.
Probabilmente mi
aveva conosciuta al falò del
terzo anno del liceo, l’unico falò al quale abbia
mai preso parte. E purtroppo,
aggiungerei. Avevo solo sedici anni, e avevo insistito con i miei
genitori
affinché mi mandassero a quella festa, la mia prima
festa. E non mi era sembrato vero, quando finalmente avevano
ceduto. Salvo
mettermi un coprifuoco
proibitivo a mezzanotte. A quel falò mi sono ubriacata per
la prima ed unica
volta nella mia vita, e dalla vergogna non riuscivo neppure ad aprire
la porta
di casa, di ritorno, prevedendo la reazione che avrebbe avuto mio
padre. Di
quella sera ricordo solo il primo drink e litri e litri di vomito sulla
spiaggia, con Giada che mi teneva la testa e mi consolava, ridacchiando
di
nascosto. Considerando il vuoto di ben tre ore, era plausibile che
l’avessi
conosciuto lì.
«Ha
parlato di una festa?» chiesi.
«Sì,
diceva di averti conosciuta ad un falò
in spiaggia. Non sai quanto gli sei rimasta impressa, Melissa
… per due anni
non ha fatto che parlare di te soltanto» disse Dorotea.
A quel punto, fui
pervasa dai sensi di colpa.
Com’era possibile che non mi ricordassi di lui?
Sicuramente in quei mesi mi aveva seguita sperando che lo
riconoscessi
e, che so, magari che lo salutassi pure calorosamente. Però
qualcosa non
tornava … come mai neppure Giada l’aveva
riconosciuto? Dopotutto, lei era
abituata a bere, e tollerava abbastanza bene gli alcolici.
«E adesso
dov’è suo padre?» chiesi a un
tratto, interrompendo il silenzio che aveva pervaso la stanza.
«Dovrebbe
essere ancora in galera, per quanto
ne so. E’ stato condannato a quindici anni, e finora ne ha
scontati solo
undici» rispose Dorotea.
Fantastico: un
ragazzo violento con un padre
carcerato a breve sarebbe diventato mio vicino. Cose che non si vedono
neanche
in tv.
«Quando si
sveglierà come faremo a sapere
quale Giacomo avremo di fronte?» proruppe
d’improvviso Davide, turbato.
«State
certi che lo capirete» replicò eloquentemente
Dorotea. Le tremavano le mani.
Neanche il tempo di
finire la frase, che il
nipote si iniziò a muovere.
«Ecco,
stiamo per scoprirlo, ragazzi».