«A...
Aida...» balbettò
Semir, senza sapere se dover cadere definitivamente nel panico oppure
se essere
felice della comparsa della figlia.
«Papà, ho sentito te e la mamma discutere ieri
sera... so tutto, per questo vi
ho seguito.» spiegò la bambina uscendo dalla
macchina e chiudendo lo sportello.
«Principessa...» mormorò Ben temendo che
il collega andasse in escandescenza
«Vieni qui.» sussurrò facendola
avvicinare.
«Oh, perfetto.» fece la gelida voce di Gehlen di
cui momentaneamente i
poliziotti si erano dimenticati «Ringrazi sua figlia se non
ho sparato,
Gerkhan. Ora dividetevi come vi ho detto e iniziate questo percorso... ora! A meno che lei non preferisca
lasciare
la mocciosetta qua fuori tutta sola... a portata di mano dei miei
uomini.».
«Bastardo!» Semir gettò il cellulare a
terra in uno slancio di rabbia, e la
voce del criminale scomparve immediatamente.
«Aida, porca miseria, ma che diavolo ti è venuto
in mente? Eh?» gridò mentre la
bambina si rifugiava tra le braccia di Ben.
«Io volevo solo... solo...».
«Solo cosa? Non è un gioco questo, hai capito? Non
è un gioco!».
«Ma papà io... tu...».
Semir scosse il capo stringendo i pugni e fissando la figlia con occhi
che
lanciavano fiamme.
«Semir, calmati ti prego, lei non poteva sapere, non
è colpa sua. Ora ti devi
calmare.» intervenne Ben difendendo la bambina.
«Calmarmi?» fece il turco mentre la voce gli si
incrinava dalla disperazione
«Ma come faccio a calmarmi? Come posso calmarmi? Ora non
possiamo lasciarla
qui, quel porco se la verrebbe a prendere!».
«Infatti faremo il percorso tutti e tre e andrà
tutto bene, ma tu prima devi
calmarti, perché altrimenti non concluderemo proprio
nulla.».
«Papà...» mormorò Aida
avvicinandosi a lui «Scusa... io volevo solo aiutare in
qualche modo te e lo zio Ben e quando ho sentito che tu e la mamma
parlavate di
questo incontro e di me... scusami...».
Semir abbracciò la bambina e la guardò negli
occhi, provando a calmarsi come
gli aveva intimato l’amico.
Aveva perfettamente ragione.
«Va bene... va bene cucciolo, stai tranquilla, andiamo. Ben,
sei pronto?»
domandò poi rivolto al collega.
«Semir, sei tu che non sei ancora pronto.» sorrise
Ben «Dai, andrà tutto
bene.».
Semir alzò le spalle, lo sperava.
17.47.
Il luogo era totalmente deserto e davanti a loro le due porte di
metallo lucide
contrastavano con l’apparenza antica del capannone.
«Zio Ben, posso venire con te?» domandò
Aida dopo qualche attimo, squarciando
il silenzio.
«No.» rispose il turco in automatico al posto del
collega «Cucciolo, tu vieni
con me, non appena abbiamo finito tutto rivediamo Ben, va
bene?».
L’ispettore più giovane annuì con un
mezzo sorriso «Sì principessa, vai con
papà, è meglio. Sarà una cosa veloce,
vedrai.».
Non che non si fidasse dell’amico, al contrario era la
persona di cui si fidava
di più in assoluto, ma Semir aveva voluto tenere Aida con
sé per evitare che
Ben si caricasse eventuali sensi di colpa in futuro. E, forse, anche
perché
l’idea di poterla controllare direttamente lo rendeva un
po’ più tranquillo.
«Andiamo?» propose quindi.
«Andiamo, socio.» rispose Ben «Ciao
principessa, ci vediamo dopo.».
Aida sorrise annuendo e i due ispettori si scambiarono un
“batti cinque” con
forza.
Quindi si fissarono negli occhi per un ultimo istante ed aprirono le
rispettive
porte, richiudendosele poi alle spalle.
Come aveva
preannunciato Gehlen, il corridoio scendeva leggermente di livello. Era
stretto
e totalmente buio.
Aida afferrò la mano del padre e non emise un fiato fino a
quando entrambi non
furono arrivati ad un’altra porta di metallo, da cui filtrava
un po’ di
luce.
«Pronta, cucciolo?» domandò Semir
abbassandosi per guardare negli occhi la
bambina, che annuì con aria decisa. Era coraggiosa,
straordinariamente
coraggiosa per la sua età. L’ispettore avrebbe
giurato che un’altra bambina al
suo posto lo avrebbe pregato di uscire urlando di avere paura, ma lei
invece
non sembrava terrorizzata, curiosa piuttosto.
Improvvisamente una voce metallica riempì il silenzio con
una specie di risata
che fece rabbrividire entrambi.
«Dunque» fece
Gehlen attraverso gli
altoparlanti «Siete arrivati davanti
alla
porta della prima stanza. Qui svolgerete la prima prova.
Sarà divertente, non
temete. Aprite... e che il gioco cominci.».
«Fai sempre tutto quello che ti dico io, chiaro
Aida?» fece Semir rivolto alla
figlia «Sempre e solo quello che ti dico io.».
«Va bene papà.».
«Okay...».
Il turco schiacciò un pulsante e la porta scorrevole si
aprì per poi
richiudersi automaticamente alle loro spalle. I due si trovarono
all’interno di
una stanza quadrata dalle pareti lisce e metalliche, che assomigliava
ad una
specie di contenitore ermetico a forma di cubo.
Avanzarono fino a trovarsi al centro della stanza, sempre per mano,
attendendo
che accadesse qualcosa.
E poi lo udirono.
Un rumore, prima lontano e poi sempre più forte.
Si guardarono intorno e solo allora Semir si accorse di due buchi
laterali
sulle pareti e capì che il rumore che progressivamente stava
aumentando veniva
da lì.
«Acqua...».
Dopo aver
percorso lo
stretto corridoio, Ben schiacciò il pulsante luminoso sulla
parete di fronte a
lui e una volta che la porta si fu aperta e poi richiusa alle sue
spalle, si
meravigliò di ritrovarsi in una stanza ancora più
buia dell’ambiente
precedente.
Non vedeva nulla, se non la timida luce a qualche metro di distanza che
indicava la porta di passaggio per la stanza successiva.
Ignaro di cosa dovesse fare, si avvicinò con circospezione
al centro della
stanza, camminando lentamente ed emettendo il minimo rumore possibile.
Si fermò solamente quando sotto al suo piede sinistro
sentì qualcosa...
qualcosa di lungo e circolare, sembrava una corda o qualcosa del genere.
Ma non ebbe nemmeno il tempo di provare a capire di cosa si trattasse,
che la
corda improvvisamente gli cinse la caviglia e cominciò a
stringersi sempre di
più attorno ad essa, tanto da costringerlo ad urlare.
Sempre nel buio più totale, Ben si accucciò
portando le mani alla caviglia per
provare a slegarsi ma un’altra fune venuta da
chissà dove gli si attorcigliò
intorno al polso destro e un’altra, come lanciata da un uomo
che lui non poteva
vedere, gli cinse la vita con forza.
L’ispettore cominciò a dimenarsi sul pavimento
provando a sottrarsi alla
stretta con il braccio e la gamba ancora liberi, ma ben presto anche la
seconda
caviglia venne imprigionata.
Le corde si stringevano sempre di più, tagliandogli la pelle
e provocandogli
dolori lancinanti in tutto il corpo.
Urlò e si dimenò ancora ma non ottenne nessun
risultato.
«Mapporca!»
imprecò Semir notando che l’acqua gli era ormai
arrivata alle ginocchia.
Continuava ad uscire dalle bocche a lato sulle pareti in flutti che a
lui
parevano sempre più abbondanti e irrefrenabili.
In non molto tempo sarebbero stati letteralmente con l’acqua
alla gola.
«Papà, cosa facciamo?» gridò
Aida preoccupata alzandosi sulle punte nel vano
tentativo di bagnarsi un po’ meno.
«Non lo so cucciolo, aspetta, adesso mi faccio venire in
mente qualcosa.».
Ma per quanto si sforzasse, al poliziotto non veniva in mente proprio
nulla.
Non c’erano aperture in quel cubo di metallo, non avevano via
di scampo e
l’acqua continuava ad alzarsi.
Semir prese Aida in braccio notando che alla bambina nel frattempo
l’acqua era
arrivata al petto.
Saliva velocemente, troppo velocemente...
Quando una corda
si
attorcigliò intorno alla gola di Ben e cominciò a
stringersi sempre di più, il
giovane ispettore cominciò seriamente a pensare che sarebbe
morto soffocato.
Era praticamente immobilizzato a terra e provava a tenere distanziata
la fune
dal suo collo con le dita della mano ancora libera ma senza molto
risultato.
Nel frattempo continuava a scuotere le gambe, dimenandosi come un
animale
caduto nell’imboscata di un bracconiere.
La corda attorno al collo si stringeva, si stringeva, si stringeva...
Ben cominciò a fare veramente fatica a respirare e la vista
piano piano gli si andò
offuscando...
Fu solo allora che vide qualcosa di luminoso e lampeggiante attaccato
alla
parete di fronte a lui: un timer.
Segnava venti secondi... doveva resistere ancora per venti,
interminabili
secondi...
Aida
gridò agitandosi
nell’acqua e annaspando per rimanere a galla.
Ormai l’acqua aveva riempito quasi tutta la stanza e Semir e
la bambina
nuotavano con la vana speranza che quelle due bocche cessassero di
sputare
liquido prima che loro fossero morti annegati.
Semir trovò un appiglio al soffitto, che ormai toccavano
facilmente, una
sottile maniglia di metallo a cui fece aggrappare Aida
perché non si dovesse
stancare troppo continuando a stare a galla.
Continuò a guardarsi intorno disperato, quando finalmente
vide una cosa, una
cosa che si domandò come avesse fatto a non notare prima.
Si vedeva male a causa dell’acqua che lo separava da essa
ma... sì, era una
botola metallica, sul fondo di quella che ormai stava diventando una
vasca di
morte.
Come aveva potuto non vederla, prima, sul pavimento della stanza ancora
asciutta?
«Aida, tieniti alla maniglia, non staccarti mai.»
gridò.
La bambina annuì terrorizzata nonostante l’acqua
le arrivasse ormai
praticamente alla gola e la sua testa fosse a due centimetri dal
soffitto della
piccola stanza. L’acqua continuava a uscire.
Dovevano avere ancora pochissimi minuti.
Semir prese un respiro e si immerse, nuotando fino al pavimento e
aggrappandosi
alla piccola e scomoda maniglia della botola nel tentativo di aprirla.
Provò e provò, trattenendo il fiato, consapevole
che presto sarebbe dovuto
risalire a prendere ossigeno, perdendo però altro tempo.
Era bloccata.
La botola non si apriva.
Prima
prova... la
supereranno i nostri eroi?
Come
cominciare l’anno nuovo in maniera rilassante...
Grazie
mille a chi continua a seguirmi e a recensire e un bacione!
Sophie
:D