Fanfic su artisti musicali > Motionless In White
Segui la storia  |       
Autore: Touch the sound    06/01/2015    2 recensioni
Dei lunghi capelli neri su quella pelle così pallida, i suoi occhi erano chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti.
[Chris-Ricky]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 6- the moment of truth in your lies.
Martha Sullivan era una ragazza che si sarebbe autodefinita solare e carismatica. La sua più grande aspirazione era quella di frequentare l'università, avrebbe scelto medicina, probabilmente odontoiatria. Immaginava già il suo ultimo esame: alla domanda «Perchè vuoi diventare odontoiatra?», lei avrebbe risposto «Perchè voglio dare un sorriso alle persone». Probabilmente avrebbe maturato quella frase col passare degli anni, ma espressa con così tanta semplicità le sembrava comunque abbastanza incisiva. Nel frattempo, però, non voleva passare come la ragazza secchiona, non voleva starsene a casa il sabato sera. Quello che voleva erano gli amici e un fidanzato. Non le importava un granchè se tutte quelle persone di cui si circondava fossero fidate o meno, l'importante per lei era sempre essere sulla bocca di tutti. "Nel bene o nel male, purchè se ne parli", era quello il suo motto. Per parecchio tempo tutti avevano parlato di lei e della sua storia con Ricky, ora che si erano lasciati però le cose non andavano bene, le sembrava quasi che in poche settimane il suo nome fosse finito nel dimenticatoio. E non lo sopportava, non lo sopportava per niente.
Seduta all'ultimo banco, Martha aspettava che la campanella suonasse. Teneva gli occhi fissi su Ricky che se ne stava tranquillamente seduto ad un paio di banchi di distanza da lei. Le sembrò davvero strano che non l'avesse degnata nemmeno di uno sguardo, di solito quando si incrociavano lui la guardava almeno un pò. Le parve che fosse con la testa fra le nuvole, non era lo stesso di sempre. 
La campanella suonò e Ricky schizzò fuori dalla classe prima che lei potesse fare qualcosa. Si decise a seguirlo. Doveva parlargli.
Fuori l'aria era fredda, ma non eccessivamente, infatti la ragazza sorrise pensando che i suoi capelli non si sarebbero gonfiati per l'umidità e che non avrebbe dovuto indossare per forza un giubbotto, la sua maglietta aderente bastava.
«Richard» chiamò con la sua vocina sottile. Ricky fece finta di non sentire sedendosi sul muretto come sempre.
«Ricky» disse ancora lei avvicinandosi di più al ragazzo.
«Hei, Martha» rispose Ricky con una voce chiaramente sforzata. Parlare con lei era l'ultimo dei suoi pensieri dopo quello che era successo la sera prima con Chris. 
«Come stai?» gli chiese sedendosi accanto a lui.
«Bene, tu?»
«Male» disse Martha in un sospiro. 
«Mi manchi» continuò. Ricky la guardò scettico. Era stata lei a lasciarlo, quindi perchè stavano avendo quella conversazione?
«Ricky, mi dispiace per quello che ho fatto, mi dispiace per tutto quello che ti ho detto, io non volevo lasciarti»
«Però l'hai fatto» disse Ricky con schiettezza. La sua voce non permetteva repliche, ma lei ci provò ancora.
«Sì, ma io non sapevo cosa fare in quel momento e... Ricky, possiamo riprovarci» 
Ricky la guardò. Era bellissima. Aveva una pelle perfetta, due occhioni che chiedevano di essere ammirati e quei capelli sempre ben piastrati dietro i quali si nascondeva spesso che la rendevano misteriosa. Ma tutto quello non era abbastanza, la sua bellezza non poteva essere minimamente comparata a quella di...
«No, Martha, non possiamo» 
«Perchè? Guarda che se hai qualche problema con il tuo... voglio dire, il...»
«Io non ho nessun problema, funziona tutto benissimo» disse indispettito.
«E se vuoi saperlo, forse il problema eri proprio tu»
Forse il problema non era lei come persona perchè, che fosse vero o no, lei gli aveva detto di amarlo e si comportava come una ragazza innamorata sul serio; Martha era una donna, era questo il vero problema.
«Quindi adesso, scusa, ma stanno arrivando i miei amici» disse indicando la porta e lei guardò in quella direzione notando quella banda di zoticoni -così li aveva sempre definiti nei suoi pensieri- che si avvicinava.
«Va bene, ho capito, non c'è bisogno di alterarsi» disse Martha rimettendo i piedi a terra e andando via. Il ragazzo pensò che non si sarebbe arresa così facilmente anche se lo sperava con tutto se stesso.
«Un ritorno di fiamma?» chiese Josh non appena arrivò accanto a Ricky. 
«No» rispose infastidito dal comportamento di Martha.
«Dov'è Devin?» chiese notando la sua assenza. Ryan abbassò lo sguardo sentendosi al centro dell'attenzione. Josh, Ricky e Angelo sapevano che lui era al corrente di quello che stava succedendo quindi aspettavano una sua risposta.
«Ryan, tu sai qualcosa?» chiese Angelo.
«No, perchè dovrei? Probabilmente non si sente bene»
«Certo che non sta bene, qualcuno lo ha preso a botte» commentò Ricky a bassa voce, ma sapeva che tutti avrebbero sentito e andava bene così perchè dovevano sentirlo. Ryan, infatti, lo guardò e si poteva leggere nei suoi occhi tutto il senso di colpa che provava. Calò il silenzio e tutti presero a mangiare senza nemmeno guardarsi. Passarono così quei minuti di ricreazione. Ad un certo punto, però, Ricky si alzò e rientrò in classe senza dire niente. Era troppo arrabbiato per starsene lì a fare finta di nulla. Dalla porta entrò Angelo che l'aveva seguito senza pensarci due volte. Senza dire niente si sedette accanto a lui e, poggiandosi allo schienale della sedia, incrociò le braccia. Ricky non lo guardò e quindi Angelo sospirò una, due, tre volte, continuò finchè Ricky non si spazientì.
«Lo so che Dev è molto riservato, ma noi siamo suoi amici, abbiamo il diritto di sapere chi l'ha picchiato e soprattutto perchè» disse con un tono quasi isterico.
«Sì, anche gli altri sono nostri amici, ma noi non gli abbiamo detto che abbiamo limonato» pensò Angelo ad alta voce e con una calma che spazientì Ricky.
«Dannazione, Angelo, io e te non abbiamo limonato, era solo un bacio»
«Un bacio che ti ha fatto capire che tu non vuoi tette e vagina, ma pomo d'Adamo e cazzi»
«Non è vero» sussurrò imbarazzato.
«Invece sì»
Ricky sbuffò appoggiando la testa sul banco. La sentiva pensante, come se stesse per esplodere da un momento all'altro.
«Sono uscito con Chris ieri sera» disse mentre il sorriso riaffiorava sul suo viso.
«Ma dai? Com'è andata?»
«Lascia stare, gli ho dato un bacio sulla guancia, mi avrà preso per un cretino e non mi chiamerà mai più, però sono stato davvero bene»
Angelo rise, ma non riusciva ad immaginare quella scena. Ricky era davvero troppo impacciato e timido per poter fare una cosa simile.
«Lui come si è comportato?»
«È dolcissimo, io non ho mai conosciuto un ragazzo come lui, è attento a tutto, sa un sacco di cose, parla bene, è gentile e...» 
«E?» chiese Angelo notando che Ricky aveva chiuso gli occhi e si stava mordicchiando un labbro.
«Però dimmi tutto tranne che ti fa sesso»
«Non lo stavo pensando, volevo dire che Chris è... attraente»
Angelo inarcò le sopracciglia e prese un grande respiro.
«Mi raccomando, stai attento»
«Ancora con questa storia, Angelo?» 
«Io mi preoccupo per te» disse il ragazzo sincero. Ricky però si sentiva come preso in giro. Non era proprio un bambino e sapeva quando doveva stare attento. Quella non era una situazione da cui proteggersi, non c'era pericolo.
«Però quando uscivo con Martha nessuno mi ha detto di stare attento»
«Lei è una ragazza, che poteva farti?»
«Sono sicuro che quella stronza sarebbe capace di darmi in pasto ai cani e farlo sembrare un fottuto incidente»
Angelo sospirò. Ricky trovava sempre una via d'uscita, lui era quello sfigato che si pungeva con l'ago nel pagliaio e quello che vedeva il pelo nell'uovo.
«Sì, ma io non so questo Chris com'è... e se fosse uno schizofrenico o uno spietato assassino?» chiese Angelo.
«Ma per favore, mi ha fatto una specie di ritratto, come può essere un assassino?»
Angelo era curioso per quella storia del ritratto, ma un altro pensiero sovrastò la curiosità.
«Oddio, Ricky, è un maniaco sessuale e si farà le seghe sulla tua faccia»
Ricky voleva ribattere dicendo che si stava facendo solo un film mentale -inutile fra l'altro-, ma quel pensiero non era poi così male.
«Non è un maniaco e se si fa le seghe sono affari suoi»
«Non se poi viene sulla tua faccia»
Ricky si ammutolì arrossendo evidentemente. 
«Non è proprio la mia faccia» sussurrò.
«Adesso però smettiamola di parlare di questo, oggi vogliamo andare da Dev e scopriamo una volta per tutte cosa succede?»
Angelo annuì e si alzò per andare nella sua aula. Nel corridoio c'erano già tanti ragazzi pronti a ricominciare le lezioni, lui non era poi così pronto, ma doveva farlo lo stesso.
«Vieni da me e poi andiamo da Devin, okay?» gli chiese quando arrivò vicino alla porta. Ricky annuì e gli disse che si sarebbero visti verso le 16:00. Quando Angelo andò via Ricky si mise comodo, cioè prese il suo iPod e cominciò ad ascoltare un pò di musica. Dopo qualche minuto l'aula si riempì e accanto a lui si sedette Brad Rice, un ragazzo che non vedeva la doccia da qualche mese, che aveva dei vulcani sulla faccia e il respiro sempre pensante. Ma quel giorno non ci fece poi così caso, era troppo preso dalla musica e dai sui pensieri.

Chiamalo, chiamalo, chiamalo. Non riusciva a pensare ad altro mentre teneva il cellulare in mano, ma non trovava il coraggio di cercare il numero di Chris in rubrica.
Dannazione, Ricky, chiamalo. Lui ti ha chiamato, ti ha offerto sigarette, caffè, birra e tutto il suo tempo libero. Adesso sta a te chiamarlo, altrimenti lui penserà che non ti importa niente. Quelle erano le parole che gli rimbombavano nella mente da quando era tornato da scuola. Purtroppo non aveva ancora trovato il coraggio. Non sapeva nemmeno cosa dirgli, aveva solo tanta voglia di sentire la sua voce.
Prese un grande respiro e afferrò il cellulare, cercò il numero velocemente, poi aspetò che lui rispondesse.
«Hei, Ricky» rispose Chris.
«Ciao» disse timidamente e il cuore cominciava a battergli all'impazzata.
«Sei a lavoro?»
Chris sbuffò.
«Sì, ma oggi è una giornata tranquilla quindi non stiamo facendo niente»
«Capisco» sussurrò Ricky, poi ci fu un momento di silenzio.
«Ti stavo pensando, lo sai?» disse Chris.
«E, visto che non ho nulla da fare, stavo per mettermi a lavoro, voglio finire il tuo disegno»
A Ricky venne la pelle d'oca. Chris stava pensando a lui e il solo pensiero lo rendeva estremamente felice. Avrebbe dato tutto quello che aveva per poter essere con lui in quel momento, per poter sentire ancora il suo odore, per poterlo guardare da così vicino. Anche se era estenuante stargli accanto e non poterlo toccare.
Strinse forte gli occhi quando quei pensieri cominciarono a renderlo eccitato.
«Chris»
Quel nome, appena sussurrato, scivolò dalle labbra di Ricky senza che se ne rendesse conto.
«Dobbiamo rivederci» disse Chris subito dopo.
«Sì»
«Che ne dici di domani?»
«Sì»
«A pranzo?»
«Sì»
«Okay, a domani allora»
«Sì»
Ci fu un attimo di silenzio e fu in quel momento che Ricky si accorse di aver risposto a monosillabi e, in realtà, non aveva davvero capito cosa gli aveva detto Chris. Non aveva prestato attenzione alle sue domande, la voce dell'altro l'aveva incantato.
«Ehm, voglio dire, domani ci vediamo... domani... a pranzo»
Sentì Chris ridacchiare e si vergognò incredibilmente. Angelo aveva proprio ragione quando diceva che era impacciato.
«Ciao, Ricky»
«Ciao, Chris»

A casa di Angelo c'era un'atmosfera sempre allegra e, nonostante fosse piccola, era tanto accogliente. Ad aprirgli la porta era stata la madre di Angelo, una donna bellissima e sempre sorridente. Gli aveva offerto da bere, da mangiare, si era preoccupata quando l'aveva visto senza il suo solito berretto di lana, diceva che avrebbe preso freddo. A lui piaceva indossarlo, si sentiva come protetto, ma i suoi amici lo prendevano sempre in giro dicendo che lo metteva solo per non far congelare l'unico neurone che ancora si ostinava a vivere.
Angelo gli corse in contro mentre si infilava la scarpa sinistra e quasi cadde inciampando nei sui stessi piedi.
«Andiamo?» gli chiese riprendendosi dalla paura di ritrovarsi con la faccia spiaccicata sul parquet.
«Sì» rispose Ricky ridendo. Uscirono di casa e Angelo, a metà strada si fermò a comprare un paio di pacchetti di Marlboro.
«Corromperò Devin con queste» disse sventolando i pacchetti in aria. Riky scosse la testa e continuò a camminare. Devin non abitava con i suoi genitori, sua madre era chiusa in un'ospedale psichiatrico e suo padre era sempre a lavoro, quindi lui passava tutta la giornata da sua nonna e tornava a casa sua solo per dormire.
Suonarono il campanello, ma per un paio di minuti nessuno aprì la porta. Stavano quasi per andarsene, quando Devin aprì.
«Hei, che ci fate qui?» chiese con un sorriso che sembrava sincero, ma i due lo conoscevano fin troppo pene da sapere che non era così.
«Ehm... siamo venuti a vedere come stavi» disse Angelo cercando di non fissarlo. Ricky però non ci riuscì. Aveva il viso pieno di lividi violacei e un occhio gonfio. A Ricky venne quasi da piangere. Vederlo in quelle condizioni, ma con un sorriso stampato sul viso, era straziante.
Devin li fece entrare, loro salutarono sua nonna velocemente per poi andare nella camera che prima apparteneva a sua madre.
«Tieni, Dev» disse Angelo tirando i pacchetti di sigarette fuori dalle tasche del suo giubbotto.
«Oh, grazie... non ti dirò che non dovevi perchè per tutte le volte che vai a scrocco mi dovresti regalare una stecca» disse allungando una mano per prendere i pacchetti, ma Angelo si ritrasse.
«Non sono un regalo, ogni cosa ha il suo prezzo»
Devin si accigliò.
«Chi ti ha conciato così?» domandò Angelo con schiettezza e l'altro abbassò lo sguardo sospirando. Scosse la testa mentre andava a sedersi sul letto.
«Puoi tenertele, tanto finisce che me le rubi tutte» disse poi sprezzante. Ricky lo osservò in ogni movimento. Sicuramente sotto i vestiti nascondeva altri lividi come quelli sul viso. Lo poteva vedere nella sua espressione contratta quando camminava o quando si era seduto.
«Perchè non vuoi dircelo?»
«Angelo, sono affari miei e voi dovete restarne fuori»
«E Ryan?»
Devin non rispose. In realtà Ryan aveva scoperto tutto per caso, quindi era stato costretto a raccontargli tutto. Ma non poteva ammettere nemmeno di avergli detto qualcosa, altrimenti loro avrebbero voluto sapere cosa e sarebbe venuto tutto a galla.
«Tu non me lo fai il terzo grado?» chiese poi guardando in direzione di Ricky che ormai aveva gli occhi lucidi. Il ragazzo scosse la testa e si indicò una tempia. 
«Ti sta... ti sta uscendo del sangue»
Devin toccò la zona indicata e si guardò i polpastrelli sporchi di quel liquido rosso e appiccicoso.
«Cazzo» sussurrò alzandosi e andando verso il bagno. 
«Prova tu» disse Angelo sdraiandosi sul letto e lanciando un pacchetto di sigarette a Ricky, lui lo afferrò e seguì i passi di Devin poco convinto. Non gli avrebbe mai detto niente, ne era sicuro. Devin era una persona silenziosa, che non faceva domande, che ascoltava e dava consigli; Ricky pensava di conoscerlo bene. Pensava.
Quando entrò in bagno lo vide intendo a medicarsi la ferita sanguinante. Pensò che fosse un peccato quello di lasciare che qualcuno rovinasse il suo bel viso.
Aprì il pacchetto di sigarette velocemente e ne estrasse una portandosela alla bocca. Lanciò il pacchetto sul ripiano in cui era incastonato il lavabo e lo vide scivolare proprio accanto alla bottiglia di disinfettante.
«Fuma» gli disse con tono quasi imperativo. Devin non ci pensò due volte e prima di finire il suo lavoro, si accese la sigaretta.
«Perchè non mi racconti come sono andate le cose?» gli chiese Ricky cercando di andarci piano. Spaventarlo o metterlo sotto pressione non sarebbe servito a nulla.
«Io...»
«Voglio solo aiutarti, Devin, qualsiasi cosa sia successa tu puoi raccontarmela»
«Non capiresti» mormorò l'altro a denti stretti.
«Sai che non è così» disse Ricky poggiando una mano sul suo braccio, ma Devin si ritrasse bruscamente.
«Non mi toccare» disse guardandolo con aria terrorizzata. Ricky, per la prima volta, ebbe il serio sospetto che gli avessero fatto qualcosa di davvero terribile.
«Non... non avere paura, sono io, sono Ricky, non voglio farti del male» disse cercando di ammorbidire i torni di quella conversazione, di rendere la situazione meno tesa.
«Sì» sussurrò Devin sospirando.
«Sì, lo so» disse poi ritornando a fumare come se quell'ultimo scambio di battute non fosse mai avvenuto. Ricky sorrise, ma lo fece solo per dare sicurezza al suo amico, in realtà aveva tanta paura di sapere cosa gli fosse accaduto, o cosa stesse pensando in quel momento.
«Mi vergogno, Ricky, mi vergogno così tanto»
Ricky si accigliò e restò lì, per un pò, a guardarlo impietrito.
«Non farlo, Dev, non c'è bisogno di vergognarsi»
Devin  guardò l'altro ragazzo con la coda dell'occhio. Si sentiva troppo sotto pressione, voleva solo correre, scappare via da quella situazione. Voleva nascondersi, così avrebbe dovuto evitare le spiegazioni. Però Ricky, uno dei suoi migliori amici, era lì e poteva leggere nei suoi occhi la voglia di sapere di più su quella situazione. 
Devin trattenne la sigaretta stretta fra le labbra mentre apriva l'ultimo cassetto del mobiletto in fondo al bagno. Ne estrasse un paio di calze a rete, dei pantaloncini in pelle, una maglietta a mezze maniche nera e una specie di collare borchiato. Li fece cadere a terra, come se non volesse nemmeno tenerli in mano.
«Cosa sono?»
«È quello che devo indossare»
Ricky non capiva, non riusciva a trovare un nesso tra quei vestiti e i suoi lividi.
«Lui non vuole che metta altro quando siamo insieme»
«Dev, non... spiegati meglio, ti prego»
Devin lasciò cadere la sigaretta nel water e così fece anche Ricky. Insieme si sedettero sul bordo della vasca e Devin cominciò a parlare tenendo lo sguardo basso. Si vergognava tanto da non riuscire nemmeno a guardare il suo migliore amico negli occhi.
«Un pò di tempo fa ho cercato un lavoro, l'ho trovato in uno studio di un architetto, dovevo solo prendere qualche appuntamento, rispondere al telefono e ogni tanto portare il caffè al capo, dopo qualche giorno però lui mi ha licenziato e non capivo perchè, poi dopo una settimana mi ha chiamato e mi ha chiesto di andare a casa sua» 
Si prese una pausa prendendo un paio di grandi respiri. Si stava sforzando a raccontare tutto, ce la stava mettendo davvero tutto per combattere la vergogna e la paura.
«Lui ha cominciato a parlare di cose strane, mi ha detto che gli piacevo e poi ha... ha provato a baciarmi e io sono scappato, lui però mi ha cercato... io non sapevo che fare quindi un giorno sono andato a casa sua, volevo dirgli di smetterla di chiamarmi in continuazione, ma lui...»
«Lui?» chiese Ricky fin troppo preso da quel racconto. 
«Lui... io e lui... scusa, non ce la faccio» disse Devin alzandosi, ma Ricky gli afferrò prontamente un polso. Si guardarono negli occhi e Ricky sentì il bisogno di dirgli qualcosa. Doveva fargli capire quanto ci tenesse a lui, quanto gli volesse bene.
«Così non ti aiuti, Dev» gli sussurrò. Devin capì solo in quell'istante di quanto davvero Ricky volesse aiutarlo ad uscire da quella situazione. 
«Vieni qui, siediti»
Devin fece come gli aveva detto l'altro ragazzo. Doveva raccontargli tutto così lui avrebbe capito e l'avrebbe aiutato. Così si sarebbe aiutato.
«Mi ha fatto entrare in casa sua, mi ha fatto sedere e bere e... non lo so, Ricky, sembrava così diverso, sembrava gentile e io...»
«Ci sei andato a letto?»
Devin annuì sprofondando nel disagio.
«Ricky, io non sono gay, era la prima volta che andavo a letto con un uomo» disse con un tono quasi alterato, come a volersi proteggere da un'accusa che in realtà non gli era stata lanciata.
«Va bene, ti credo» ribattè Ricky sincero. Devin deglutì pesantemente, voleva togliersi quel peso dal petto il prima possibile, quindi ricominciò a parlare.
«Rimasi lì tutto il giorno, mi piaceva parlare con lui e pensavo che piacesse anche a lui, ma quando mi riaccompagnò a casa mi... mi diede dei soldi, mi disse che quello era solo un regalo e dovevo accettarli... non sapevo che fare quindi li presi, tanto a me facevano più comodo che a lui... pensavo che non mi avrebbe mai più chiamato, ma dopo due giorni mi venne a prendere qui e tornammo a casa sua, mi pagò di nuovo... è andata avanti così per un pò, poi ha cominciato a chiedermi cose strane... mi ha lasciato la chiave di casa sua, mi chiedeva di preparargli la camera da letto in un certo modo, voleva che mi truccassi in un certo modo, che camminassi in un certo modo... mi ha addirittura comprato quei vestiti, vuole che li indossi, ma solo lui può togliermeli... sai, non mi importava all'inizio, anzi io mi divertivo e mi dava tanti di quei soldi che non sapevo che farmene, ma l'altro ieri ho deciso che non poteva andare avanti così, io non sono una...» lasciò l frase in sospeso. Non ce la fece proprio a portarla a termine.
«Non lo sei, Devin»
«Ma facevamo sesso e lui mi pagava»
Ricky sospirò e, visto che Devin non si convinceva ancora a guardarlo, si alzò, si inginocchiò davanti a lui e, cercando di non fargli male, gli prese il viso fra le mani. Quasi lo costrinse a guardarlo negli occhi.
«Ascoltami, tu non hai nessuna colpa, quello stronzo ti ha raggirato, non credere di essere colpevole perchè tu sei la vittima, okay?»
Davin annuì poco convinto. Quelle parole lenivano un pò il dolore che portava dentro per quello che aveva fatto con quell'uomo, ma la vergogna restava, il senso di colpa lo stava divorando. Aveva lasciato che un uomo molto più grande di lui lo trattasse come una puttana, come un corpo senz'anima dentro cui svuotarsi a proprio piacimento, come un oggetto facile da comprare. Si faceva schifo.
«Perchè ti ha picchiato?» gli chiese Ricky.
«Perchè gli ho riportato tutti i soldi che mi erano rimasti e gli ho detto che non volevo più vederlo... non l'avevo mai visto così infuriato, ha cominciato ad urlarmi che senza di lui non sarei andato mai da nessuna parte, che lui per me era tutto, che non avrei mai trovato nessun altro come lui... io volevo solo andarmene, Ricky, ma lui ha cominciato a picchiarmi, sembrava che la rabbia non gli passasse mai, mi faceva male... ma quando si calmò pianse, mi chiese anche di perdonarlo, ripeteva in continuazione che gli dispiaceva di avermi fatto male»
«Dev, per favore, dimmi che non hai creduto alle sue parole»
Devin strinse un secondo gli occhi per non permettere alle lacrime di scivolare via. Non voleva piangere. Lui era uno di quelli che si sfogava sotto la doccia, o di notte nel suo letto.
«Mi disse di tornare, dovevamo solo parlare e-»
«E, guarda caso, invece di parlare ti ha preso a calci e pugni» disse Ricky alterandosi. Non poteva crederci, non riusciva a pensare che qualcuno se la potesse picchiare così violentemente un ragazzo come Devin. Nessuno poteva comportarsi così con lui, era impossibile. Poi notò qualcosa sul viso di Devin, qualcosa che lo fece spaventare, gli vennero i brividi quando quel pensiero attraversò la sua mente.
«Dev, ha fatto solo quello, vero?»
Il ragazzo tacque per qualche secondo poi sussurrò un "sì".
«Okay, ma la verità qual è?» chiese Ricky. Devin non aveva mai saputo dire le bugie, glielo si poteva leggere negli occhi che mentiva.
«Ricky, ti prego, basta... ti ho detto cosa è succes-»
«Ti ha costretto?» lo interruppe Ricky alzando un pò la voce. Devin tentò di dare una spiegazione, di deviare un pò il discorso, ma la voce gli si spezzò e cominciò a piangere. Tentava di nascondere il viso fra le mani procurandosi solo altro dolore. 
Ricky non sapeva cosa fare, aveva solo voglia di uccidere il bastardo che aveva fatto del male ad uno dei suoi migliori amici. Ma con Devin in quelle condizioni, decise che il suo benessere veniva prima di tutto, allora lo abbracciò e aspettò pazientemente che smettesse di piangere. Gli promise che l'avrebbe aiutato ad uscirsene da quella situazione, ma gli serviva tutta la sua collaborazione.
Restarono lì per qualche minuto poi tornarono da Angelo che stava fumando seduto sul davanzale della finestra. Prima che i due andassero via, Devin chiese a Ricky di raccontare tutto ad Angelo se voleva. Ripetere quella storia era l'ultima cosa che voleva. Quando però Ricky provò a spiegargli la situazione, Angelo lo informò che sapeva già tutto. Si era messo dietro la porta e li aveva ascoltati attentamente. Si sentiva solo parecchio arrabbiato con quell'animale che si era accanito su Devin.

«Dai, posso venire anche io?»
«No, non puoi»
«Ma dai, voglio solo vederlo»
«No»
«Me lo presenti e vado via»
«No, cazzo»
Quello scambio di battute andava avanti da circa cinque minuti. Ricky non riusciva a capire per quale strana ragione Angelo volesse conoscere Chris. Immaginava la curiosità, ma non poteva certo portarsi un amico al loro appuntamento. E non poteva credere di averlo definito "appuntamento".
«Dannazione» mormorò Angelo mentre prendeva il cellulare dalla tasca e si infilava le cuffie.
«Ci vediamo domani" disse con aria di superiorità, voltandogli le spalle.
«Oh, ma dai, Angelo... non te la sei presa, vero?»
Angelo continuò a camminare senza voltarsi.
«Angelo» disse con un tono più alto, ma senza urlare. Non voleva attirare l'attenzione di mezza scuola.
Appena vide Angelo girare l'angolo, scosse la testa e imboccò la strada di casa. Per tutto il tragitto pensò al messaggio che gli aveva inviato Chris quella mattina, gli aveva detto precisamente l'ora e il luogo dell'appuntamento. Aveva un'ora esatta per prepararsi, quindi una volta in casa sua, corse in bagno e si fece la doccia. Si vestì velocemente e si ritoccò il trucco sbiadito. Pulito e profumato, entrò nel grande salone di casa sua con un sorriso che proprio non riusciva a mandare via. 
«Richard, il pranzo è pronto da cinque minuti» disse sua madre mentre beveva un pò d'acqua da un bicchiere di cristallo, come suo solito.
«Ehm... no, mamma, oggi pranzo fuori»
La donna inarcò un sopracciglio.
«Scusa?»
«Esco con un amico»
«Va bene, ma non tornare tardi e non prendere appuntamenti per domani, è il compleanno di tuo padre»
Ricky annuì e corse fuori, Quell'inutile festa stava andando tutti fuori di tersta, ma non lui; era l'ultimo dei suoi pensieri.
Arrivò con cinque minuti di ritardo e Chris era già lì, seduto su uno sgabello, con una sigaretta fumante nella mano destra e gli occhi puntati sul televisore posto su una parete in alto. A Ricky tremarono le mani mentre entrava. Il televisore trasmetteva una partita di hockey di cui lui non sapeva niente. Non era un grande appassionato di sport e, fra tutti, l'hockey non era di certo il suo preferito.
Si guardò intorno, c'erano tante persone che guardavano quel televisore come se ne fossero dipendenti e commentavano ogni movimento dei giocatori. Non riusciva a trovare un modo per avvicinarsi a Chris senza sembrare uno stupido.
Prese un grande respiro e corse verso di lui sedendosi sullo sgabello accanto.
«Scusa, scusa, scusa, lo so, sono in ritardo»
Si stupiva ogni volta che diceva una bugia. Avrebbe potuto fare l'attore.
Chris rise, ma non riuscì a parlare. Quel ragazzo aveva qualcosa di estremamente bello capace di mettere a tacere ogni rumore intorno a lui. Smise addirittura di guardare quella partita di hockey che, in un'altra occasione, avrebbe catturato completamente la sua attenzione.
«Che c'è?» chiese Ricky incerto. Chris raccolse tutte le forze che aveva per riuscire a scollargli gli occhi di dosso.
«Ehm... niente e comunque non sei in ritardo» disse voltandosi poi verso la donna dietro al bancone.
«Tess, il solito»
La donna dai capelli biondi e ricci annuì.
«Tu cosa vuoi?» chiese Chris a Ricky e lui lo guardò insicuro.
«Non lo so... quello che hai preso tu»
Avrebbe tanto voluto aggiungere "anche se non so cosa diavolo hai ordinato", ma stette zitto e aspettò.
«Non ti piace l'hockey, vero?»
«No, non tanto» rispose Ricky intimidito da quella domanda così diretta, ma allo stesso tempo banale.
«A me sì, da impazzire»
Ricky sorrise e cominciò a torturarsi le unghie. Si sentiva tanto in ansia da avere vampate di calore continue. Sperava con tutto se stesso di non essere rosso in viso, ma il pensiero di poterlo essere lo metteva ancora più in imbarazzo. 
Alzò lo sguardo su Chis e si accorse che lo stava guardando. Non lo metteva in soggezione, ma quel suo modo di guardarlo era strano, quasi come se stesse cercando di catturare ogni particolare per poterlo portare con se. Si sentiva esattamente come se Chris riuscisse a vedergli dentro. Quelle nuove sensazioni lo facevano sentire leggero, ma allo stesso tempo lo spaventavano incredibilmente. Non riusciva a credere che provasse delle cose per un ragazzo. Si vergognava anche a chiamarli sentimenti tanto gli pareva strano.

Era passata mezz'ora, avevano mangiato ed erano usciti all'aria aperta. Si erano fumati una sigaretta e poi Chris gli aveva detto che entro quindici minuti doveva essere a lavoro. Ricky allora si era proposto di accompagnarlo, così si erano messi in cammino.
«Chris, posso chiederti una cosa?»
Chris annuì.
«Ti va di venire a casa mia domani sera?»
A Chris venne subito da ridere.
«Ti facevo un pò più timido, Ricky»
L'altro lo guardò imbarazzandosi oltre ogni limite.
«No, io non... non volevo dir-»
«Stavo scherzando» lo rassicurò Chris.
«Comunque credo che lavorerò fino a tardi» disse poi guardando fisso la strada piena di negozi che vendevano cose troppo brutte a prezzi troppo alti. I suoi pensieri erano così contrastanti da fargli venire il mal di testa. Quell'invito l'aveva sorpreso e di certo non aveva voglia di dirgli di no, ma allo stesso tempo si sentiva rilassato; cominciare ad andare a casa di Ricky avrebbe solo reso le cose più complicate.
Improvvisamente si sentì afferrare per un braccio e tirare indietro di qualche passo. Guardò Ricky un pò confuso e l'altro se ne accorse, così cominciò a parlare.
«Domani è il giorno più brutto della mia vita, mio padre festeggia il suo compleanno bevendo vino e champagne insieme ai suoi amici noiosi, mia madre impazzisce perchè tutto deve essere perfetto e io... io mi rompo il cazzo ad ascoltare i loro discorsi per tutta la sera»
«E... perchè non inviti i tuoi amici?»
Ricky fece un sorrisino sarcastico.
«I miei non li vogliono in casa quando ci sono feste come queste, dicono che se vogliono venie devono indossare un abito elegante... io li ho pregati di mettere una giacca per una sera, ma loro  si sono messi a ridere e sai cosa hanno detto?» chiese Ricky sull'orlo di una crisi isterica. Chris scosse la testa.
«Divertiti, fratello» sussurrò Ricky. Chris scoppiò a ridere. Poteva leggere la frustrazione nei suoi occhi. Era esilarante.
«Oh, bravo, ridi... ridi delle mie sciagure» disse Ricky ricominciando a camminare. Chris gli corse dietro cingendogli le spalle con un braccio e stringendolo leggermente. Ricky sentì un'esplosione dentro. Da un momento all'altro sentì un calore pervaderlo dalla testa ai piedi. Il contatto fisico era una delle cose che proprio non gli piaceva, ma per quelle braccia stava consapevolmente facendo un'eccezione.
«Okay, senti, io ci verrei volentieri e per te lo metterei un abito elegante, ma non posso»
Ricky stette zitto, ma qualcosa già gli passava per la mente. Trattenne un sorriso, poi si accorse di non essere più avvolto in quell'abbraccio e allora ritornò serio. In mezzo alla gente non era consigliabile camminare abbracciato ad un ragazzo, ma Chris non era un ragazzo qualsiasi.

Arrivati al negozio, Ricky disse a Chris che sarebbe entrato per salutare Mike, ma in realtà non doveva solo salutarlo.
«Mike, ti devo chiedere un favore enorme» gli disse tenendo d'occhio Chris che stava mettendo in ordine una scrivania lontana da loro.
«Non ti faccio nessun piercing nella zona cazzo» disse l'uomo distrattamente. Era impegnato a disegnare un cimitero con zombie, luna piena e Salici Piangenti.
«Non potrei mai farmi un buco lì» disse Ricky sconvolto dall'idea che qualcuno potesse invece farlo.
«Comunque, mi serve Chris domani sera»
Mike rallentò l'andatura della matita sul foglio.
«Vedo che state facendo amicizia»
Il ragazzo evitò del tutto quella frase.
«Lo fai uscire un pò prima sì o no?»
«Per prima cosa intendi?»
«Per le otto?» azzardò Ricky e Mike sospirò.
«Non posso, mi dispiace»
Il ragazzo sbuffò sonoramente un paio di volte per attirare l'attenzione di Mike. 
«Perchè? È solo per una sera» 
La tecnica del "giuro che non te lo chiederò più" non funzionò, quindi si sentì costretto ad usarne un'altra un pò più irritante.
«Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti pre-»
«Okay, va bene» disse Mike esasperato.
«Va bene, ma adesso vai via, sto lavorando» 
Ricky gli fece un grande sorriso e lo ringraziò, poi corse da Chris e gli comunicò la notizia. Non capì se Chris fosse davvero felice di andare a casa sua ma, in fondo, perchè  non avrebbe dovuto.
«Ti vengo a prendere io, ti porto in un negozio per comprare un abito elegante e poi... non so, ci vediamo domani, okay?»
Chris annuì e guardò Ricky allontanarsi e uscire dal negozio. Sembrava felice.



Salve salvino a tutti, spero che il vostro Natale/Capodanno/ feste in generale siano andate meglio delle mie e che vi siate, quindi, divertiti.
In questi giorni non ho postato e di conseguenza questo è un capitolo lunghissimo che -PERDONATEMI- non ho nemmeno riletto. Incrocio le dita sperando di non aver combianato un casino e... niente, aspetto qualche recensione(?) Baci :3 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Motionless In White / Vai alla pagina dell'autore: Touch the sound