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Autore: Christa Mason    08/01/2015    0 recensioni
Julian Casablancas (cantante degli Strokes - è anche bene sapere che gli Arctic Monkeys nascono come cover band degli Strokes) e Alex Turner si incontrano nel principale aeroporto di New York. Complicità, confessioni, intimità, una sbronza insieme e...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alex Turner
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Caro Julian, 
  ho interrotto bruscamente la prima lettera perchè ho realizzato improvvisamente quanto fosse inutile scriverti. Ci siamo incontrati quella volta, e non succederà più per molti anni ancora, e quando riaccadrà saremo saturi di imbarazzo e faremo finta di essere stati entrambi ubriachi e troppo tristi per ricordare davvero ciò che abbiamo detto e fatto ciò che abbiamo fatto. Quel trenta dicembre mi hai chiesto come stavo, se c’era qualcosa che m’affliggeva. E il verbo affliggere mi sembra oggi così esagerato, privo di significato, ma è esattamente quello che abbiamo usato nella nostra conversazione. Eravamo due eroi romantici che si apprestavano a scambiarsi le avventure vissute, le donne amate che la sorte ci aveva crudelmente rifiutato. Ti raccontai di quella stronza di Arielle, quel nome suona così ridicolo anche quando lo scrivo, non la vedo da più di due anni e ancora continua a tormentarmi, ogni mio pensiero è in realtà indirizzato a lei, e te lo dissi. Tu dicevi che mi capivi, mi hai posato una mano sulla spalla. Andiamo a sbronzarci, Alex. 
  Ci siamo rifugiati in un finto pub rintanato in un angolo della sala d’aspetto, tra i gate 20 e 21. Era davvero la bevuta più triste che mi apprestavo a fare, su quel bancone di legno finto-sporco con le luci smorzate che sembravano dire Hey, ragazzi, siete davvero in un pub, anche se alle vostre spalle c’è un aeroporto con le luci a neon, immacolato e bianco. Ci prendemmo una birra, e poi un’altra, poi cominciai a perdere il conto. So che eravamo arrivati al punto in cui il barista, se fossimo stati in un pub normale, ci avrebbe chiesto le chiavi dell’auto. Ti parlai del fatto che non sopportavo più le scimmie, i loro finti e pensanti moralismi, il fatto che si comportavano come se una valanga di soldi non avesse cambiato loro la vita. No Alex, anche se abbiamo un conto in banca da capogiro, noi siamo gli stessi di dieci anni fa, gli stessi. I soldi mi hanno profondamente cambiato, e non capisco perchè gli altri si sono dimostrati così testardi ad ammetterlo. Fingono di essere ancora i bravi ragazzi fuggiti da Sheffield, ma intanto si apprestavano a passare l’ultimo dell’anno in un piccolo strip-club mascherato da jazz club, mascherato da tipico ritrovo per finanzieri e agenti di borsa. Non sopporto che abbiano da ridirei su qualsiasi cosa io faccia, su qualsiasi donna che io scelgo, sono passati due anni e ancora parlano di Arielle. 
  - Forse perchè sei tu a parlarne ancora. - hai commentato tu. 
  - Forse hai ragione. Ma vedi… non è solo il fatto di Arielle, è tutto un mondo dal quale non riesco a liberarmi. Indosso un paio di jeans da settecento dollari, capisci cosa intendo? - 
  - Capisco cosa intendi. - 
  - E poi non va mai bene niente di quello che faccio. Mi chiedono il significato dei testi che scrivo come se dovessero avere una morale, una morale per tutte le ragazzine che li ascoltano. - 
  - E non ce l’hanno una morale, immagino. - 
  - Cazzo, no. - 
Scoppiamo a ridere come degli idioti, in quell’orribile finto pub in un aeroporto in cui tutti sembravano immobilizzati dalla neve, sopra di noi un grosso schermo annunciava i ritardi inevitabili che avremmo dovuto prevedere. Proprio questo intendevo, una volta ero una persona che si preoccupava della neve e dei ritardi degli aerei, adesso continuo a venire colto di sorpresa, come se l’interruzione di un tour o un disagio all’aeroporto, come se cose del genere fossero tutto sommato impossibili per chi è una scimmia artica.
  - Credo di essere terribilmente ubriaco, Julian. - 
  - Non ancora, Alex. - hai detto facendo segno al barista di riempirci i bicchieri di scotch, perchè nel frattempo eravamo stupidamente passati dalla birra allo scotch. 
  - Non te la vuoi proprio fumare quella sigaretta, Julian? Si vede che non aspetti altro… Stai iniziando a sudare. Io me ne faccio una, se mi fai compagnia. - 
  - Non sto tremando perché voglio fumarmi una sigaretta. - hai risposto, distante. 
  - No? - 
Lì ho capito molte cose. Ero così stupido e preso dai miei complicati quanto inutili problemi da trentenne sfondato di soldi che non avevo saputo spiegare la tua aria più stanca e persa del solito. Non ti chiesi cos’era che il tuo corpo bramava così tanto da farti fremere, era come se fossi colto da un freddo intenso. Sapevo dei tuoi trascorsi con la droga, Dio solo sa quale, e ci eri evidentemente ricascato, forse solo per un momento nella fredda New York che non ha mai fatto sconti e nessuno, testardamente volevi uscirne di nuovo, il più velocemente possibile. 
  - Adesso passa, Turner. - buttasti giù il tuo bicchiere di scotch. 
  - Cosa fai in aeroporto, Julian? - 
  - Raggiungo Juliet, è entrata in travaglio un’ora fa. - 
Sputai lo scotch, colto di sorpresa. 
  
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