Fanfic su artisti musicali > Blink-182
Segui la storia  |       
Autore: Molly182    08/01/2015    1 recensioni
«Perché non mi hai mai detto che il tuo vero nome è Thomas?»
«Perché non me l'hai mai chiesto…»
«Spiegami perché avrei mai dovuto chiederti se quello fosse il tuo vero nome?»
«Perché pensavo che mi avessi riconosciuto»
«È piuttosto difficile vedere chi ho davanti, sai?», mi disse mentre stava riempendo due tazze di caffè caldo. «Soprattutto se il locale ha luci basse e quello che mi sta davanti ha un maledetto cappello che gli copre metà volto»
«Hai ragione», le dissi ridendo e appoggiando il cappello sul ripiano.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom DeLonge
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chapter twelve.
When the night will be begin, the pain it won't end even if she falls in love
 
La luce bianca del mattino filtrava attraverso le persiane che illuminavano miseramente la camera. Riuscivo a intravedere qualche sagoma all’interno di una stanza che non era la mia.
Mi alzai lentamente e scostai pian piano la finestra cercando di far entrare un po’ di luce e di cambiare l’aria.
Ora riuscivo a vedere il letto disfatto che era vuoto, i mobili impeccabili e ultramoderni appartenuti a una donna che s’intendeva di design, l’enorme specchio davanti alla parete che rifletteva l’esterno della casa.
Mi ritrovai ad aprire anche l’altra persiana e ad ammirare il panorama fuori dalla sua villa. Il cielo rifletteva tutta la sua luce sull’acqua dell’oceano colorando il mare di una splendida tonalità di azzurro. La spiaggia dorata si estendeva a qualche chilometro da noi. Non mi sembrava di essere a Ottobre e trovarmi un clima del genere. A volte avevo nostalgia del tempo uggioso e il cielo slavato di Baltimora, almeno avevo una scusa per rintanarmi a casa a leggere un libro o a guardarmi un film, invece a San Diego mi sentivo in colpa a sprecare giornate come queste.
Allungai le braccia cercando di stiracchiarmi e mi accorsi solo in quel momento che ero in intimo. Mi guardai attorno alla ricerca dei miei vestiti che magicamente erano scomparsi e sostituiti soltanto da una maglietta nera con un disegno massonico sotto la scritta Macbeth gettata su una poltrona.
La indossai nonostante sapessi già che mi sarebbe stata larga. 
«Thomas, dove sono i miei vestiti?», domandai mentre uscivo dalla stanza per dirigermi verso la cucina e trovarlo intento a cucinare dei pancake dall’ottimo profumo.
«Li ho nascosti per poterti vedere indossare una delle mie magliette», rispose girandone uno nella pentola.
«Sul serio, dove li hai messi?», gli chiesi sedendomi su uno sgabello di fronte a lui. «Non posso tornare a casa così»
«In verità speravo che neanche la indossassi e che mi dessi il buongiorno in intimo», dichiarò poggiando anche l’ultima frittella dorata e fumante sopra a una pila. Prese un altro piatto simile a quello che teneva nella mano destra e lo portò sul ripiano mentre continuava a sorridere come la persona più spensierata del mondo. Mi piaceva osservarlo e ultimamente lo stavo facendo davvero spesso.
«Allora non dovevi lasciare lì questa maglietta», dissi alzandomi e prendendo due tazze vuote e riempendole poi di caffè appena fatto e posandole davanti ai piatti.
«Onestamente non mi ricordavo neanche di aver lasciato in giro quella maglietta», confessò alzando le spalle. «È nera, probabilmente non l’avevo neanche vista nel buio della stanza, non volevo svegliarti, però sta notevolmente meglio a te che a me», confessò posando le sue mani, ora libere, sui miei fianchi e baciandomi sensualmente il collo. 
«DeLonge, non ti facevo così seduttore…»
«Allora non mi conosci così bene!», disse poi facendomi voltare e ritrovarmi a pochi centimetri dal suo volto.
La mia mano percorse tutto la lunghezza del suo torace, fino all’ombelico, mentre le sue mani giocavano sui miei fianchi, sotto la maglietta. Le sentii lentamente salire e non riuscii a evitare di mordermi il labbro.
«Potresti evitare di farlo?», domandò bloccando le sue mani sul mio corpo.
«Cosa?»
«Morderti il labbro», disse alzando gli occhi al cielo. «Sto cercando di trattenermi dal saltarti addosso, ma tu non aiuti», spiegò abbassando i suoi occhi su di me. La scintilla che era comparsa nelle sue pupille era stata sostituita da uno sguardo più dolce. «Comunque buongiorno», disse infine avvicinandomi a se stesso e poi baciarmi.
«Buongiorno anche a te», gli risposi ricambiando il bacio.
Il bello di quando stai insieme a una persona che ami è quello di non vergognarsi di niente. Di non vergognarsi del proprio aspetto fisico o di quello che stai indossando, dell’alito del mattino o dei capelli spettinati.
«Però ora mi dici dove sono i miei vestiti?»
«Te lo dirò dopo colazione, o almeno fino a quando non deciderò che sia ora di mandarti a casa».
«Sei crudele, lo sai?».
«È un pregio di cui vado fiero».
«Soprattutto perché non ne hai altri!», dichiarai canzonandolo e sedendomi sullo sgabello che avevo occupato prima.
Mangiammo i pancake che erano davvero buoni nonostante non mi fidassi ciecamente di quello che usciva dalle pentole del ragazzo.
Thomas stava già sparecchiando mentre io mi stavo riempendo un’altra tazza di caffè. Lo guardavo muoversi abilmente per la cucina mentre sciacquava i piatti e li riponeva nella lavastoviglie.
«Sai, stavo pensando che potremmo andare fuori a cena, solo io e te, una sera di queste…», disse asciugandosi le mani e poi alzare le braccia per stiracchiarsi. La maglietta si alzò leggermente scoprendogli la pancia. Persi un battito del mio cuore. Un semplice gesto lo aveva reso così tremendamente perfetto.
Si avvicinò a me poggiando le sue mani sul bancone, bloccandomi tra il piano e il suo corpo. «Cosa ne pensi?», domandò. Provai ad alzarmi ma quello che ottenni fu solo versargli metà caffè addosso. «Brucia!», urlò scostandosi da me e agitando le braccia. «Brucia, cazzo!»
«Mi dispiace, io…»
«Brucia!”, continuò agitandosi e infine togliendosi la maglietta sporca e gettandola a terra come se improvvisamente avesse preso fuoco.
«Io... mi dispiace… wow», mi lasciai sfuggire in un sussurro, quasi impercettibile, tranne che per lui.
«Wow?», domandò avvicinandosi di nuovo a me e togliendomi la tazza di mano. «Cassi, se non hai voglia di cenare con me potevi semplicemente dirmelo anziché versami addosso dell’olio bollente cercando di procurarmi un’ustione di ventesimo grado e uccidermi».
«Non era così caldo…»
«Sono rosso!», disse passandosi una mano sulle macchie rosse che si erano formate sul suo petto. Guardò il suo tatuaggio sul braccio sinistro e alla città futuristica sul suo pettorale sembrava tutto apposto senza nessuna strana bolla o scottatura così grave, la sua pelle non era neanche poi così tanto rossa. 
«Mi dispiace»
«Sono sopravvissuto a cose ben peggiori…», sospirò e ritornò alla posizione iniziale, costringendomi a sedermi sullo sgabello e a essere prigioniera dei suoi occhi e del suo corpo. «Stavamo dicendo… wow?» chiese. «È già qualcosa…»
«Che cosa intendi dire?»
«Tu cosa volevi dire con quel “wow” dopo che hai cercato di uccidermi»
«Nulla…», dissi abbassando la testa incapace di sorreggere il suo sguardo divertito dal mio imbarazzo. «Mi è sfuggito, non significa nulla…»
«Oh forse significa tutto»
«Non è come sembra»
«E come sembrerebbe?»
«Thomas mi lasci andare a casa?»
«Perché ogni volta che cerchiamo di parlare di quello che provi, tendi a scappare?»
«Perché non ho la minima voglia di parlare con te di queste cose, probabilmente hai mille altre ragazze da abbindolare con la tua fama, con il tuo carattere, con la tua bellezza, ma non penso di poter essere una di queste, mi dispiace»
«Quindi te ne vuoi andare e dimenticarmi?»
«Dovrebbe essere la soluzione migliore»
«Cassie, smettila di essere così insicura, diamine!», sbottò. «Non c’è nulla che non dovrebbe andare in te, sei perfetta così perché non ti decidi a rendertene conto anche te?»
«Perché con te non mi sento così sicura»
«Dici questo solo perché hai paura di soffrire, hai paura che ti possa abbandonare da un momento all’altro»
«Potresti farlo»
«Ma potrei anche non farlo e dimostrarti che tutte le cose brutte che t’immagini probabilmente non ti accadranno mai»
«Non hai una sfera di cristallo, Thomas»
«Ma sono responsabile delle mie azioni e se ti dico di fidarti, tu semplicemente fidati del fatto che non ti ferirò», disse cercando di apparire il più sincero possibile. «Ora invece dovresti soltanto allontanarti da qualunque cosa calda che potresti accidentalmente gettarmi addosso e passare un’intera giornata con me e domani mattina sei libera di tornare a casa»
«Non penso che tenermi segregata qui come una reclusa sia la soluzione migliore»
«Ma lo è per me», disse concedendomi un bacio a fior di labbra. 
E così passammo l’intera giornata a non fare niente. Durante il pomeriggio Thomas si era seduto ai piedi del divano con una chitarra classica in grembo e dei fogli volanti sparsi sul pavimento, su cui alternativamente scriveva frasi e note e ne cancellava altrettante. Era totalmente immerso nel suo lavoro. Si era chiuso nella sua bolla personale e non si era neanche reso conto che il sole stava per tramontare e che aveva colorato la casa di una tonalità rossastra, molto calda e accogliente, e così anche il suo proprietario che si passava una mano tra i capelli scompigliandoseli per poi scrivere una frase su uno dei tanti fogli.
«Cosa ne diresti di fare una pausa?», gli chiesi sedendomi sul divano dietro di lui, poggiando il mento sulla sua testa e abbracciandolo delicatamente per paura di averlo disturbato. «So che sei occupato però mi sto iniziando a preoccupare davvero, non hai detto una sola parola da quando ti sei messo lì e inizia a mancarmi la tua voce irritante»
«Te lo ha mai detto nessuno che ammazzi il romanticismo?», disse alzando la testa e guardandomi con due stelle al posto degli occhi.
«Ecco qui le battutine!», annunciai felice di sentirlo parlare. «Quindi non hai perso la voce?»
«Per tua informazione sono pronto a romperti le scatole ancora per molto, molto tempo», dichiarò girandosi completamente verso di me e rimanendo seduto per terra con le gambe incrociate. Sembrava un ragazzo nel pieno dei suoi anni. 
«Suona come una minaccia!»
«Forse lo è!»
«Se è così, allora, non ti preparo la cena!»
«Questa è una minaccia!»
«Stavo pensando di ordinare cinese»
«Per me va bene, dovrebbe esserci qualche volantino sulla mensola», disse ora alzandosi e dandomi le spalle mentre cercava tra i vari foglietti vicino al telefono. «Comunque ti chiedo scusa se non sono stato di molta compagnia, ma quando scrivo, di solito, m’immergo totalmente nel mio mondo e mi è difficile fare qualcos’altro»
«Non ti preoccupare, scusa se ti ho chiamato…»
«Figurati, ormai non riuscivo a produrre più niente di buono...», disse, ma non ero d’accordo con lui. Lessi quelle frasi scarabocchiate tra i fogli, quelle parole che sembravano scritte da una persona totalmente diversa dal Thomas che conoscevo. Sembravano mature, per nulla ridicole e semplici come le canzoni scritte in precedenza. «Ti prego, non leggere!», si affrettò a dire togliendomi un foglio dalle mani.
«Perché?»
«Perché me né vergogno»
«Sei serio?», gli domandai alzando un sopracciglio. «Sei consapevole di essere in una band famosa e che le vostre canzoni siano conosciute da quasi tutto il mondo?»
«Sì, ma questa deve essere perfezionata»
«Secondo me va bene così. Le parole sono molto belle», ammisi spostandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. «Perché non me la suoni?»
«Perché dovrei?»
«Suvvia Tom non farti pregare», gli dissi porgendogli la chitarra. «Avanti!»
Il ragazzo si sedette su una poltroncina verde con la sua chitarra sulle tra le braccia e iniziò a intonare qualche nota. 
«È ancora da correggere…»
«Zitto e suona!», gli ordinai. 
Lui riprese a suonare qualche nota e poi iniziò a muovere le sue dita lungo le corde intonando una splendida melodia fino a quando la sua voce iniziò a cantare le prime parole: 
«And she was, like a blade of ice
Like a lonely road, clearest day alive
Always sharp and cold, always beautiful
I am such a fool.
 
When the night will be begin,
The pain it won't end even if she falls in love.
Back, you want to turn back, your heart will attack
Even if she falls in love», cantò. Passò qualche minuto prima che riuscii a dire qualcosa di abbastanza bello. Qualunque cosa avessi detto non sarebbe stata all’altezza delle parole cantante da lui. «Fa così schifo?»
«Sei pazzo?», gli domandai incredula di quello che avesse appena detto. «Non so se sei consapevole di quello che hai appena cantato, cioè di quello che hai appena composto… non riesco a trovare le parole giuste per dirti quanto queste due strofe siano bellissime e sono sicura che anche quello che concepirai in seguito sarà fantastico», dissi tutto d’un fiato. «Non mi sento in grado di dire niente a riguardo… sembra una canzone totalmente diversa da quelle che ho ascoltato fin ora, sembra più matura rispetto a quelle degli altri CD»
«Diciamo che ultimamente sono più ispirato», confessò posando la sua chitarra sulla poltrona dove era seduto poco prima e regalandomi uno dei suoi splendidi sorrisi capaci di sciogliere la neve sul K2. «E poi era da una vita che non suonavo qui, di solito Jennifer mi faceva rintanare in una stanza che aveva fatto insonorizzare… diceva che tutti questi accordi senza senso le facevano venire il mal di testa»
«Amante della musica…»
«No, era affetta da una grave forma di stronzaggine!».
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Blink-182 / Vai alla pagina dell'autore: Molly182