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Autore: Holly Rosebane    08/01/2015    12 recensioni
«Ritroveremo la tua ispirazione. E sai che quando mi punto, devo riuscirci» concluse. Scossi la testa, stancamente.
«Non questa volta, riccio. Ti stai imbarcando in qualcosa di troppo grande per te».
«Yasmin, non ho altra scelta. Il mio tempo qui è limitato, e non so con esattezza quanto avrò a disposizione» disse, sedendosi sul tavolo, poggiando i gomiti sulle cosce e fissando il pavimento. «Se non ti sbrighi a scrivere la conclusione del libro e a rimandarmi nel mio mondo… morirò».

~
Pensai di avere le allucinazioni, di essere ancora nel più assurdo dei miei parti onirici.
E invece no.
Perché Harry Styles, il personaggio della storia che stavo scrivendo, era appena uscito fuori dal computer.
Letteralmente.
E mi fissava sorpreso dall’altra parte della stanza.
Iniziai a sentire le vertigini.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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XII.
La Città di Carta







“Andrai nelle città di carta e non tornerai più indietro.”
JOHN GREEN
 
 
 

 
I pezzi della band di Zayn piacevano, e anche molto. Il pubblico rispondeva bene, acclamandoli e rumoreggiando con soddisfazione. Durante l’assolo musicale del nuovo brano che Harry aveva scritto, il riccio si lanciò sulla folla, lasciando che dozzine di mani accogliessero il peso del suo corpo, permettendogli di galleggiare per alcuni secondi. Dalla mia posizione, potevo osservare la scena con enorme chiarezza.
Harry aveva allargato le braccia e reclinato il capo, abbandonandosi completamente alle mani del pubblico, che gli fece percorrere un breve tratto di platea prima di restituirlo al palco. Il sorriso rilassato, gli occhi chiusi, completamente preda della musica, tutt’uno con l’oceano di mani sotto di lui. Fui felice di una simile esperienza, per il mio sfortunato ragazzo di carta. Avrei voluto regalargli più momenti come quello. Più occasioni di sentirsi infinitamente vivi, reali, umani.
Sospirai, mentre il cantante tornava sulla pedana, imbracciando il microfono e l’asta come una vera stella del rock e lanciando il suo consueto assolo.
«Ehi» mi richiamò una voce, sfiorandomi una spalla con un dito. Mi voltai, incuriosita. Vidi un giovane uomo sulla trentina, vestito in modi curato e dalle maniere distinte. Sorrise, come a volermi salutare cortesemente.
«Li conosci, vero? Sei stata con loro tutto il tempo, prima che venissero annunciati ufficialmente» chiese. Annuii, incerta su dove volesse andare a parare e anche un po’ infastidita dal fatto che mi stessi perdendo delle parti di spettacolo a causa sua.
«Mi chiamo Matthew Brown, sono il manager di una prestigiosa casa discografica» si presentò, allora, facendo sparire due dita nel taschino interno della giacca per poi estrarre un cartoncino lindo e dall’aspetto essenziale, porgendomelo. Lanciai una veloce occhiata al nome dell’agenzia a cui apparteneva, trattenendo un fischio per amore della mia femminilità. Accidenti se era prestigiosa. «I tuoi amici sono davvero interessanti, soprattutto il cantante con i riccioli. Mi piacerebbe vederli per discutere di affari, se anche loro sono d’accordo» concluse, sorridendomi di nuovo con cortesia.
«Ce-certo!» Balbettai, incapace di dire altro e troppo sconvolta per pensare a qualcosa di meglio.
«Perfetto. Il mio numero è sul biglietto da visita. Chiamatemi il più presto possibile» disse, voltandosi e dirigendosi al bar, sparendo dalla mia visuale. Infilai il biglietto nella tasca dei jeans, sorridendo felice. I ragazzi non avrebbero creduto alle loro orecchie, quando gliel’avrei detto. Al culmine della gioia, pensai che nulla avrebbe rovinato quella serata, che si stava rivelando un successo a trecentosessanta gradi. Ma la mia felicità durò ben poco.
Nel bel mezzo del pezzo di chiusura, Harry smise di cantare, sbiancando nuovamente e barcollando piano, proprio come aveva fatto poco prima accanto a me. Lo fissai, corrugando la fronte, mentre lui cadeva in ginocchio portandosi una mano all’altezza dello stomaco e vomitando, lì davanti a tutti. Mi coprii la bocca con le mani, trasalendo, proprio nel momento in cui la musica cessava e i componenti della band lasciavano i loro strumenti per attorniare il cantante. Mi feci strada attraverso la folla e salii a mia volta sul palco, sconvolta.
«Lasciatemi passare!» Esclamai, scostando Liam e Zayn, precipitandomi a terra vicino ad Harry. Gli presi il volto fra le mani dandogli dei colpetti sulla guancia, mentre lui non riusciva a mettere a fuoco il mio viso, scuotendo la testa e ripetendo di star bene. Fu allora che mi accorsi che razza di sostanza nerastra avesse appena espulso. Essa si allargava in una macchia scura che trasmetteva cupi pensieri e ancor più tristi congetture, dall’odore inconfondibile e la consistenza viscosa.
«Harry, hai appena vomitato inchiostro!» Sussurrai al suo orecchio, cercando di non farmi sentire dagli altri e di non lasciarmi prendere dal panico. Lui annuì, privo di forze.
«È… questo mondo…» proferì, stremato. «Mi sta… rigettando».
 
 
I ragazzi furono costretti ad interrompere lo show, mentre la folla continuava ad acclamarli. Qualcuno doveva aver urlato “è così rock and roll!” e scatenato l’approvazione generale, mentre seguitavano ad applaudire. Lasciammo Niall, Louis e Liam ad occuparsi dell’attrezzatura, mentre Zayn ed io caricammo Harry in macchina e partimmo di filato verso casa.
«Cosa sta succedendo, Yasmin?» Chiese mio fratello, non senza tradire una punta d’impazienza nella voce, facendo del suo meglio per guidare velocemente senza schiantarsi contro un palo, un albero o il guardrail. Mi voltai verso i sedili di dietro, osservando la figura distesa del riccio. Sembrava dormire serenamente, le braccia abbandonate lungo i fianchi, il petto che si alzava e sollevava piano.
«Dice che il nostro mondo lo sta rigettando» riferii, ripetendo le parole che lui stesso mi aveva detto sul palco.
«Immagino che sia arrivato il momento di chiudere l’ultimo capitolo, Yasmin».
 
 
Sedevo accanto al mio stesso letto, scrivendo febbrilmente sul laptop di Zayn. Appena giungemmo a casa, chiesi espressamente che Harry venisse lasciato nella mia stanza. E lì giaceva anche in quel momento. Mi ero premurata di sfilargli il soprabito di scena, sciogliergli il foulard dai capelli e metterlo quanto più a suo agio possibile. L’avevo anche chiamato un paio di volte, ma non accennava a rispondermi. Dormiva sodo, sprofondato in una dimensione che le mie parole umane non potevano raggiungere.
Così, avevo imbracciato il computer e mi ero accomodata vicino a lui, calandomi per intero nella scrittura. Non conoscevo un altro modo per guarirlo, portarlo all’ospedale sarebbe stato impossibile ed impensabile. Pertanto, avevo cominciato a darmi da fare nell’unico modo in cui potevo. Mi rinchiusi con così tanta costanza nel mondo di Harry, che a stento mi accorsi di ciò che mi accadeva attorno. Ebbi la vaga certezza che anche il resto dei ragazzi della band fossero passati da casa a chiedere di lui, ma Zayn doveva avergli gentilmente impedito di salire.
Vidi la notte scolorare nell’aurora, la fredda luce solare autunnale riversarsi in lame attraverso la stanza, e nemmeno allora cessai di lavorare. Saltai la scuola per due giorni di fila, interrompendo il processo di scrittura solo per spizzicare qualcosa da mangiare e farmi una doccia. Mettevo in fila caratteri dopo caratteri, sperando che Harry non mi abbandonasse proprio in quel momento. All’alba del terzo giorno, lo vidi riaprire gli occhi con fatica.
«Sono proprio arrivato al capolinea», commentò con debole voce impastata dal sonno. Mi sfilai gli occhiali e chiusi il portatile, stringendogli una mano gelida fra le mie, stranamente calde.
«Sto facendo il possibile, Harry. Mi mancano sole poche pagine e il romanzo sarà completato. Ce la fai a resistere?» Gli chiesi, vedendo uno stanco sorrisetto dipingersi sulle sue belle labbra esangui, che una volta erano state piene di colore.
«Comincio a sentire sempre meno. Il mio corpo sta perdendo sensibilità, quando chiudo gli occhi rivivo scene prese dal libro. Alcune sono nuove, mi sembra di vederle per la prima volta. Immagino siano le tue modifiche alla storia», disse, volgendo lentamente il capo verso di me. Combattei più che potei per ricacciare indietro le lacrime. Quelle brevi frasi mi avevano artigliato il cuore in una morsa glaciale. Stava realmente tornando nel libro, ecco perché passava molto tempo a dormire e aprire gli occhi gli costava fatica. Mi stava abbandonando, la clessidra del suo tempo era ormai giunta agli ultimi granellini.
«Va… va tutto bene», mi costrinsi a mentire, accarezzandogli il capo, attraversando i suoi riccioli con le dita. Annuì, fidandosi delle mie parole, per poi sprofondare nuovamente nel mondo dei sogni.
Fu lì che il dolore mi mozzò il respiro, costringendomi a stringere forte gli occhi e persino i denti, per non lasciarmi sfuggire un sospiro e turbare il suo sonno. Arrivò come un’onda, lacerandomi in due metà esatte, fermandomi nel tempo e sospendendomi in una dimensione a me sconosciuta. Mi coprii il volto con le mani, prendendo ampi respiri, cercando di calmarmi. Dovevo finire il romanzo. Non potevo lasciarmi sopraffare così. Spazzai via le lacrime che mi erano silenziosamente rotolate giù dagli occhi e inforcai nuovamente gli occhiali. Tutti dicevano che Yasmin Malik era una ragazza forte, dal carattere d’acciaio. Beh, mentivano.
 
 
Verso sera, ricevemmo una visita. I ragazzi non vollero saperne di non salire a trovare Harry, e mi trovarono accanto al letto, ancora intenta a scrivere. Un simile atto mi colse così tanto di sorpresa, che chiusi il laptop di scatto. Mi alzai dalla sedia, mentre loro entravano nella stanza, tenendosi ancora un po’ in disparte per osservare incuriositi il loro amico.
«Yasmin, che diamine stai facendo?» Chiese Louis, interdetto. Mi strinsi nelle spalle.
«I compiti», buttai lì.
«Mentre tuo cugino sta male?» Incalzò lui. Mi morsi la lingua a sangue.
«Dorme profondamente. Non…» m’interruppi, cercando di farmi forza e non sembrare eccessivamente turbata. «Non so se può sentirvi».
Louis emise un verso sarcastico, in risposta alla mia affermazione.
«Carina, nessuno può evitare di sentirmi. Nemmeno volendo», ribatté.
«Ha il sonno pesante», ingiunse Zayn, apparendo sulla soglia con un’espressione così spossata in volto, da lasciarmi intendere quanto anche lui potesse dispiacersi per la condizione di Harry. Vedemmo Louis prodursi in alcuni dei suoi più abili tentativi di risveglio molesto, tuttavia senza successo. Il ragazzo seguitava a dormire beato, non reagendo nemmeno ai contatti fisici. La sua impassibile immobilità turbò lievemente Tomlinson, che si allontanò a malincuore dal letto.
«Immagino che abbiate ragione», commentò lui, osservando il suo amico continuare a riposare.
Non l’avevo mai visto così triste, nemmeno quando una sua festa era stata sabotata dall’arrivo della polizia. Era una vera pena mettere a confronto l’Harry attivo e brioso dei giorni precedenti con il fantasma dormiente che albergava nel mio letto, pallido e perso negli abissi di un mondo a noi sconosciuto, che lo stava attirando nuovamente a sé.
Quando mi coprii gli occhi con le mani, sentii due forti braccia accogliermi e avvolgermi con il loro calore. Un profumo familiare di gelsomino mi inebriò, consentendomi d’identificare il proprietario di quel gesto d’affetto. Niall mi aveva abbracciato senza dir nulla, accarezzandomi la testa con delicatezza, tenendomi come se dovessi andare in pezzi da un momento all’altro. Sentivo gli altri ragazzi chiacchierare, ma in quel momento volli ascoltare solo il caldo battito del cuore del giovane, che mi trasmetteva una ritmica tranquillità, al di sotto di suoi vestiti. Era un suono vivo, vibrante, che mi comunicava la sua silenziosa vicinanza. L’arbusto vicino a cui appoggiarmi durante la tempesta. Prima di sciogliere l’abbraccio, mi baciò la fronte, accarezzandomi il volto.
«Passerà. Starà bene» sussurrò, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorridendo rassicurante. Annuii, benché neanche lui sapesse quanto vere potessero essere le sue parole.
 

Appena i ragazzi se ne andarono, tornai immediatamente di sopra. Harry era sempre lì, che dormiva. Sospirai, ricordando con quanta costanza Louis avesse provato a svegliarlo e di come non ci fosse riuscito. Riaprii il laptop e mi accinsi a completare gli ultimi capitoli della sua storia.
Proprio quando digitai la parola finale dell’intera vicenda, sentii Harry riprendere vita accanto a me. Mi voltai, vedendolo aprire gli occhi per la seconda volta. Li spalancò ben bene, stiracchiandosi con energia. Ero quasi incredula. L’attimo prima sembrava sul punto di dissolversi nel letto, l’attimo dopo recuperava le vecchie energie. Mi lanciò un’occhiata amichevole, sorridendo.
«Credo che tu abbia concluso il romanzo, perché sto avvertendo un interessante senso di completezza», disse. «Tutta la vaghezza che sentivo prima, è sparita. Sono… in quiete» precisò, ridacchiando. «Ci siamo. È arrivato il momento» aggiunse, scostando le coperte e sollevandosi in piedi. Richiusi il portatile, alzandomi a mia volta per cercare di aiutarlo, ma lui scosse la testa con convinzione. «Non c’è bisogno», mi disse con fermezza.
Tutta la leggerezza e la tranquillità con cui comunicava con me in quel momento, mi lasciarono senza parole. Fino a due minuti prima avrei pianto tutte le mie lacrime. Non sapevo se essere felice del suo benessere o arrabbiata a causa di tutto il dolore che mi aveva involontariamente causato.
«È passato qualcuno, prima?» Chiese lui, distrattamente. «Perché mi pare di aver udito alcune voci chiamarmi, mentre dormivo. Avrei giurato che fosse Louis, ma non ne sono sicuro».
«In verità sì, erano passati a vedere come stavi. Solo che non riuscivi a svegliarti…»
«Giusto» aggiunse lui, dopo alcuni attimi. Rimasi in silenzio, osservandolo. Eccezion fatta per il pallore, sembrava perfettamente normale, come in tutti gli altri giorni.
«Ascolta, Yasmin…» esordì, cercando le parole adatte per esprimere i suoi pensieri. «Io credo di doverti ringraziare. Per avermi creato, per avermi dato la possibilità di fare tutte queste esperienze, quando sono uscito da quel computer. E lo so che sembra una cosa folle, ma ti ringrazio per aver creduto in me. Soprattutto per avermi ascoltato ed essere riuscita a superare il tuo blocco dello scrittore. La tua abilità si è affinata così tanto da indurmi a provare veri sentimenti e questo non lo dimenticherò mai» disse, e mi abbracciò con calore. Nonostante lui stesse per perdere qualsiasi accezione terrestre, quella stretta era così umana che non avrei mai voluto separarmene. Associando quel gesto ad un addio, calde lacrime solcarono nuovamente il mio volto, in silenzio.
«Vorrei tanto avere qualcuno a cui raccontare quest’esperienza, ma immagino che mi accontenterò di vivere nei tuoi ricordi. Il che equivale, più o meno, a rivivere nella mente di chiunque leggerà la mia storia» aggiunse lui, baciandomi la radice dei capelli e sciogliendo la stretta. Quando si accorse che stavo piangendo, si accovacciò di fronte a me, prendendomi il volto fra le mani ed asciugando quelle umide scie di dolore con i pollici. Che buffo, ora era lui a dover alzare la testa per guardarmi.
«Non sto andando da nessuna parte, Yasmin. Vivrò per sempre nel mondo dei libri, rinascerò in mille momenti, ogniqualvolta un lettore deciderà di sfogliare le pagine della mia vita. Ti sarò accanto dal fondo del foglio, dal nero inchiostro dei caratteri stampati, dalle labbra di chiunque mi leggerà ad alta voce. Sarò ovunque, ovunque tu vorrai che io sia. Mi troverai qui, nelle parole.
«Non è un addio. È il più bell’arrivederci che io possa augurarti e, se potessi, ti chiederei di scrivere di me all’infinito. Perché scrivere è uno dei più grandi atti di amore che esistano, se rivolto ad una persona speciale. È inserirla in mille mondi diversi, donarle altrettante vite differenti, consegnarla ai posteri e alle memorie di decine e decine di persone. Nessuno potrà mai dimenticarmi e io non sarò mai andato via», concluse, accompagnando il suo discorso dal più bel sorriso che avessi mai visto, quieto e disteso, calmo, sereno. Si sollevò in piedi e mi sfiorò una guancia con le dita.
«Starai bene, vero? Me lo prometti?» Chiese. Annuii, cercando di farmi forza, mentre lui si chinava per depositare un leggero bacio sulle mie labbra. Chiusi gli occhi cercando di catturare quel momento e rinchiuderlo per l’eternità dentro il mio cuore, per non lasciarlo più scappar via.
Quando riaprii gli occhi, le luci dell’alba avevano timidamente cominciato a farsi strada attraverso la pregna tenebra della notte. Ed Harry non era più lì con me. Il silenzio mi avvolse, mentre conservavo dentro di me l’eco della sua voce che mi salutava per l’ultima volta, per lasciarsi assorbire dal vero mondo a cui lui apparteneva.
Ti chiederei di scrivere di me all’infinito” ripeteva, in lontananza. Sorrisi, asciugandomi le nuove lacrime con la manica della maglietta.
Arrivederci, Ragazzo di Carta. C’incontreremo fra le pagine di mille nuove storie, mille nuovi inizi e mille nuove esperienze. 








Nota: scrivere questo capitolo è stato molto duro anche per me. Soprattutto la parte dell'addio, nonostante le parole di Harry siano più che vere. E condivido ogni suo pensiero, seppur sia così difficile, da parte di chi scrive una storia, accettare che i personaggi che hanno vissuto con noi fino a qualche minuto fa, abbiano ormai compiuto il loro corso e vivranno nella mente di qualcun altro, per sempre. Non è mai facile, devo riconoscerlo.
Ad ogni modo, non disperatevi: questa storia ha un epilogo e ve lo posterò prossimamente. Non vi abbandonerò così, non è nel mio stile. E, visto che siamo alla fine, ci terrei a ringraziare particolarmente le persone che hanno atteso per me due interi anni, affinché potessero leggere questo capitolo. Lo dedico a voi molto più che agli altri, perché ve lo siete meritato dal primo all'ultimo carattere. E, alle nuove leve... piacere di conoscervi e di aver fatto amicizia con i miei personaggi, anche se per poco!
Ma, conclusasi una storia, non si conclude una carriera (parolone, carriera)! Holly è sempre al lavoro e ha altro materiale da sottoporre alla vostra pazienza! Vi allego il link della mia ultima follia, inserendo un arrivederci all'epilogo di Paper Boy.
E ricordate: una storia è importante solo e soltanto quando viene letta e prende vita nella mente del lettore. Quindi, il debito che ho contratto nei vostri confronti, probabilmente non l'estinguerò mai. Ma va bene così.
...Alla prossima!






• Doppelgänger
 


2 Doors Down


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