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Autore: mattmary15    16/01/2015    1 recensioni
Il sangue sulle mani colava a sporcare i polsini dell’uniforme. Il battito del suo cuore, accelerato e assordante, lo faceva respirare a fatica. Gli occhi sbarrati e fissati sul corpo esanime della donna. Uno squarcio profondo l’aveva aperta dalla clavicola destra al fianco sinistro.
“Mei”, sussurrò senza avere il coraggio di guardare il cadavere.
Prese un respiro più profondo e abbassò il capo. Mei aveva gli occhi blu ancora aperti. Il viso contratto in una smorfia di paura e dolore. Desiderava con tutto il suo cuore passarle una mano sul viso. Forse per chiuderle gli occhi, forse per darle quella carezza di cui l’aveva sempre privata.
Il contatto fisico tra un celebrante e un alfiere è proibito se non è finalizzato alla battaglia. Strinse in un pugno una ciocca dei suoi capelli ramati e fissò lo sguardo sulla profonda ferita che l’aveva quasi spezzata in due. Voleva imprimersi nella mente quel dolore. Voleva fare in modo di ricordare per sempre cosa significa far parte dell’Elité.
“Siamo solo carne da macello, Mei. Non esistiamo come individui. Siamo armi da combattimento. Possiamo morire o vivere per ricominciare a combattere”.
Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Tokyo, Aprile 2515

La porta della camera rispose perfettamente alla scheda digitale che Kei aveva ricevuto insieme alla busta con i suoi effetti personali. La stanza era spaziosa e vi era già stata spostata tutta la sua roba. Sorrise amaramente notando che ‘tutta la sua roba’ consisteva in una sola scatola e in un trolley di piccole dimensioni. Raggiunse la scrivania su cui era stata poggiata la scatola. Ne estrasse una custodia con i dischetti degli ultimi file a cui aveva lavorato, un cellulare, il suo orologio da polso, un quadernetto con un elastico rosso in cui era infilata una matita. Il portatile giaceva sul fondo del contenitore insieme ad una cornice digitale. Prese quest’ultima e rimase a fissarla. Nella superficie riflettente del dispositivo spento si intravedeva l’immagine del suo viso. Il taglio che aveva riportato nell’ultimo scontro era ancora ben visibile sull’occhio destro. Nel poggiarla sulla scrivania, la cornice si attivò e mandò l’ultima foto in memoria. Era la foto dell’ultimo giorno all’Accademia.
Sorrise, questa volta davvero. Shogi, vestito di verde, teneva un braccio intorno al collo di Jin, vestito con l’uniforme nera, e cercava di fare il solletico a Nanase, l’unica vestita di blu.
Aveva scattato lui la foto perché non amava finire in posa. Accanto a Nanase, una sorridente Mei faceva bella mostra del suo abito rosso. Perché non le aveva mai detto che quel colore le stava bene? L’immagine di Mei in rosso si sovrappose a quella di lei immersa nel suo stesso sangue. Con il dorso della mano lanciò lontano la cornice ma si pentì subito di quel gesto. Nel momento stesso però in cui la raccolse, s’accorse che l’immagine era cambiata. Ora ritraeva tre ragazzini che si stringevano e sorridevano felici alla macchina fotografica. Lui all’epoca portava ancora i capelli lunghi fino alle spalle. L’altro bambino faceva il segno della vittoria con una mano e con l’altra tirava a sé lui e la ragazzina nel mezzo. Si trattava di una bellissima bimba dai capelli biondi che aveva l’espressione più felice che avesse mai visto fare ad una persona. Spense la cornice e la posò di nuovo sulla scrivania. Raggiunse la finestra e tirò le tende, dopodiché si gettò sul letto con le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi. Non voleva pensare. Pensare era doloroso. Il beep dell’interfono lo scosse.
“Chi è?” chiese senza muoversi ma attivando comunque l’interfaccia vocale del sistema di chiusura della camera.
“Matsumoto.” Kei si alzò e raggiunse la porta facendo scattare l’apertura. Jin accennò un debole sorriso. Kei si voltò sollevando comunque una mano e tornò alla scrivania. Dal giaccone tirò fuori sigarette ed accendino.
“Cordiale come ti ricordavo! Qui non puoi fumare”, gli rammentò il compagno.
“Cosa sei venuto a fare qui, Matsumoto?”
“E’ il tuo primo giorno a Skytree. Volevo darti il benvenuto e farti sentire che non sei solo.” Kei sorrise pensando che anche se Jin sembrava cambiato fuori, era sempre lo stesso dentro. Aveva tagliato i lunghi capelli e raccolto i ricci ribelli in un codino. Aveva persino tolto l’orecchino che portava all’Accademia. Complessivamente aveva perso l’aria fanciullesca che lo aveva reso spesso il bersaglio degli altri studenti, eppure qualcosa nei suoi occhi, ricordava ancora il bambino che aveva smesso di essere troppo presto. Tutti sapevano che la sua famiglia lo aveva praticamente venduto all’Elité e che non era fatto per essere un soldato, tuttavia il suo CPF lo aveva tradito dimostrando che era più idoneo di tanti bulli dediti ai giochi di guerra. Jin aveva accettato da molto tempo il suo destino ed era maturato molto nell’ultimo anno. Kei avrebbe detto che si fosse intristito. Come se avesse improvvisamente preso consapevolezza del grigiore del mondo.
“Lo sai che non sono bravo con queste cose,” fece Kei “comunque non avevo bisogno di alcun benvenuto. Sono in grado di capire da solo come vanno le cose in questo posto.”
“Lo so che ne sei capace. Ho sentito il bisogno di farlo.”
“L’hai fatto. Ora vorrei dormire.” Jin abbassò gli occhi e parlò tutto d’un fiato come per paura di essere interrotto.
“Non sei venuto al funerale di Hinata.” Kei strinse un pugno.
“Non sarei stato il benvenuto.”
“Nessuno pensa che sia stata colpa tua”, fece Jin alzando la testa e guardandolo dritto negli occhi.
“Lo pensano tutti.”
“Io no.”
“Davvero?” chiese Kei ironicamente “E comunque la tua opinione non conta. Tu sei troppo buono. Kawari che ne dice?” Jin sospirò.
“Perché fai così?”
“Perché sono così.”
“Vuoi che tutti credano che non t’importasse di Mei? Ti senti più forte se tutti pensano che sei talmente insensibile?”
“Jin, non me ne importa nulla. Questa è la verità. Ho combattuto, ho fatto delle scelte, ci ho provato. Alla fine ho scoperto che non me ne importa nulla. Non c’è niente che m’interessi e sai perché? Perché niente di quello che faccio ha importanza. Nulla può cambiare le cose. Quando lo capirai anche tu, allora forse comprenderai il motivo per cui non vedo la necessità di agitarsi tanto.” Jin non replicò. Raggiunse la porta e l’aprì.
“Torno di sotto. La cena è alle 19.00.”
Kei rimase di nuovo solo. Si chiuse in bagno e, come faceva da un po’ di tempo a questa parte, si gettò con tutti gli abiti sotto la doccia. Ne uscì solo quando l’interfono annunciò che era quasi l’ora di cena. Si asciugò i capelli corvini e indossò la divisa rossa. Scese fino al trentacinquesimo piano dove si tenevano le riunioni ma non c’era nessuno. Risalì al quarantaduesimo dove c’era il grande salotto dell’Elité.
Aprì la porta e trovò seduto ad una grande poltrona stile Luigi XIV, Kawari. Al pianoforte, una ragazza dai capelli bianchi tagliati sulle spalle, suonava una melodia di Chopin.
Vicino al camino Jin giocava a scacchi con una ragazza che portava la sua stessa uniforme. Kei rimase sulla porta fino a che Kawari non posò il libro che aveva in mano e si alzò.
“Bentornato.”
“Grazie.”
“Vieni, ti presento i ragazzi che non conosci.” Alle parole di Ryu, la ragazza al pianoforte smise di suonare e lo raggiunse. “Lei è Takahata Yui. E’ la mia celebrante.”
“Piacere,”  disse educatamente la ragazza facendo un leggero inchino. Ryu continuò indicando a Jin e alla sua compagna di giochi di raggiungerli.
“Conosci già Matsumoto. Lei invece è Namura Akane. Opera nella squadra nera. Ho convocato tutti gli altri, stanno arrivando.”
Mentre Yui Takahata aveva dato a Kei solo un’occhiata distratta, Akane si era fermata parecchio ad osservare il nuovo arrivato. Kei aveva compreso subito che anche Akane doveva essere una celebrante e si chiese quale fosse allora il ruolo di Jin. Possibile che fosse diventato l’alfiere nero nonostante la sua inferiorità fisica rispetto alla maggior parte dei ragazzi dell’Accademia? Kei raggiunse un tavolinetto di vetro e si versò da bere.  Ryu si rimise seduto e non lo degnò più di attenzione.
Kei avrebbe voluto urlare, aveva i nervi a fior di pelle. Si ritrovò a valutare l’idea di tornare in camera e assumere uno di quei maledetti psicofarmaci che il dottore dell’Elité gli aveva prescritto per riequilibrare il suo CPF.
In quel momento la porta si aprì di nuovo e una ragazza dall’uniforme rossa e i capelli castani legati in una coda alta entrò chiassosamente nella stanza.
“Mi sono rotta il cazzo, Akito, hai capito? Non ci provare mai più o giuro che ti rompo quel tuo fottuto culo così ti sbattono fuori da qui!”
“Hosoda! Per favore moderati!” esclamò Yui redarguendo la ragazza. La risata sguaiata del suo accompagnatore fece arrabbiare ancora di più la nuova arrivata.
“Pazienta, Takahata, questa qui non è mica una signora! E’ un animale bisognoso di sangue che per di più non ama perdere”, disse Akito Konai, alfiere della squadra nera, buttandosi sulla poltrona che dava di fronte al camino.
“Io sarei la bestia? Hai mandato all’ospedale tre persone stasera!”
“Ora finitela voi due,” fece Ryu “venite qui. Vi presento Kei Sato. Da oggi abiterà qui a Skytree con noi. E’ l’alfiere della squadra rossa.”
A quelle parole Akito scosse le spalle mentre la ragazza raggiunse Kei e lo squadrò dall’alto in basso.
“Così tu sei Sato! Piacere di conoscerti. Io mi chiamo Maki Hosoda e, da domani, tu farai coppia con me.”
Kei la guardò fisso negli occhi. Che cazzo stava dicendo quella specie di ragazza? Chi aveva preso una simile decisione senza neppure consultarlo? Come se Ryu avesse letto nella mente di Kei, parlò.
“Ha deciso Yoshiki. Era mio compito parlartene ma Maki è fatta così. Spero che farai di tutto per andare d’accordo con lei.”
“Andremo benissimo, vedrai Kawari. Ora che ho un alfiere vero, la squadra rossa otterrà i risultati più brillanti di tutte le formazioni. Magari, Akito, disse rivolgendosi di nuovo al suo precedente interlocutore, stavolta ti faccio il culo davvero!” esclamò la celebrante della squadra rossa tutta orgogliosa.
“Io non faccio coppia con te.” La voce di Kei risuonò decisa nell’aria. Akito scoppiò a ridere.
“Visto Maki? Persino lui ha capito subito che fai schifo!”
“Che cosa?” urlò la ragazza “Che storia è questa?”
“Non faccio coppia con te. Questo è quanto”, ripeté Kei.
“Intendi disobbedire a Yoshiki?” chiese Ryu. Kei guadagnò l’uscita.
“Che può farmi? Arrestare?” chiese alludendo alla sua detenzione recente “O farmi condannare a morte? E’ il benvenuto!” La porta si chiuse dietro di lui.
“E’ un figlio di puttana”, disse Akito alzandosi e raggiungendo il tavolo degli scacchi. A Jin mancavano poche mosse per vincere la partita. Gli carezzò il viso e prese un alfiere. “Scacco matto, Akane. Jin ha vinto di nuovo, stanotte dorme lui con me!”
“Akito, non sei migliore di lui” osservò la ragazza e lui sorrise mentre Jin rimaneva silenzioso a guardarsi le mani.
“Nessuno dorme con nessuno!” fece Ryu alzandosi e avvicinandosi anche lui alla porta “Conoscete le regole. I contatti fisici tra Alfieri e Celebranti sono vietati se non propedeutici alla battaglia.”
“Io ho combattuto oggi,” Insistette Akito “ho bisogno delle cure di un Celebrante.”
“Falla finita, stronzo!” urlò Maki “Quello è il combattente più forte al mondo, coefficiente psico fisico 346/350 e può permettersi di essere ciò che vuole anche un figlio di puttana. Sarà il mio alfiere, vedrete!”
Yui raggiunse Ryu, lo prese sotto braccio e uscirono dalla stanza.
“Grazie Yui.” Lei sorrise. Non parlava se non era strettamente necessario. Per questo Ryu l’adorava. In un ambiente in cui le persone dovevano sempre ostentare ciò che erano, Yui era la medicina perfetta contro lo stress da prestazione di cui parevano soffrire tutti. Raggiunsero insieme la sala da pranzo dove erano già seduti Rintaro e Takahata, i membri della squadra verde.
“A giudicare dalla tua faccia, Ryu, Kei è arrivato”, fece Shogi invitandoli a sedere vicino a lui.
“E’ arrivato. E ha già creato problemi. Ha detto che non farà coppia con Hosoda.” Shogi sorrise.
“E Hosoda che ha detto?” A parlare era stata Dezaki Sakura, celebrante della squadra verde.
“Che non le importa cosa dice. Faranno coppia e basta.”
“Tipico di Maki”, fece Sakura aprendo in due un panino.
“Sta bene?” chiese improvvisamente in modo serio Shogi. Stranamente a rispondere fu Yui.
“Non sta bene. Ha bisogno di amici. Sono certa che Maki gli farà bene.”
Ryu sorrise. La sua compagna aveva fatto centro eppure lui aveva ancora dei dubbi. Lui conosceva la verità. Il male di Kei non aveva radici nella morte di Mei. Era antico. La morte di Hinata aveva solo peggiorato le cose.
 
Osaka, aprile 2512

Mei era seduta ormai da un’ora fuori dalla porta della presidenza con le mani unite sulle sue ginocchia. Non immaginava che Nanase aveva assunto la stessa posizione sulla sedia davanti alla scrivania di Akane Izumi preside dell’Accademia. Mei era un anno più grande di Nanase e aveva sempre svolto la parte della sorella maggiore con lei. Le veniva naturale poiché faceva parte del suo carattere. Si preoccupava sempre per tutti. Nanase le somigliava in questo ma erano diverse sotto un aspetto fondamentale. Nel suo preoccuparsi per gli altri Mei non avrebbe mai detto o fatto qualcosa che potesse ferirne i sentimenti. Nanase invece riteneva che proteggere gli altri significasse anche contraddirne le opinioni o i sentimenti. Per questo Mei risultava sempre, ad una prima occhiata, più matura e adulta.
Quando Nanase le aveva fatto sapere di aver superato l’esame ma che era stata convocata in presidenza, si era offerta di accompagnarla. Sua cugina non aveva potuto nascondere proprio a lei il suo nervosismo e le aveva lasciato la mano a fatica al momento di essere ricevuta dalla preside.
Mei si chiedeva il perché di quella convocazione. Aveva seguito l’esame di Nanase e non le sembrava che avesse commesso alcuna irregolarità. Guardò ancora la porta e poi l’orologio e sospirò.
All’interno della stanza la preside Izumi sorseggiava una tazza di tea. Nanase si guardava le mani.
“E’ nervosa, signorina Otada?” Nanase sussultò.
“E’ che non capisco. La dottoressa mi ha detto di aver superato l’esame.”
“E’ così. Le faccio le mie congratulazioni.”
“Allora perché sono qui?” la preside schioccò le dita e su uno schermo comparve il video del test.
“Vede, signorina, il suo test è stato molto interessante. Lei ha superato l’ultima prova con l’aiuto di un altro studente e, inoltre, AI ha registrato un picco nel suo CPF di 340/350.”
“Credete che abbia barato ottenendo l’aiuto di quel ragazzo?” chiese Nanase con gli occhi fissi in quelli della Preside.
“Assolutamente no. Le regole non proibiscono di usare gli altri studenti per superare le prove.”
“Io non ho usato nessuno.”
“Signorina Otada, lei sa chi è quel ragazzo?”
“Non lo conosco.”
“Si chiama Konai Akito. Ha superato anche lui la prova ed è entrato nella squadra nera.”
“La squadra nera?”
“Esatto. Non ha mai cooperato con nessuno finora. In nessun test. Inoltre lei ha stabilito un contatto molto forte con la signorina Dezaki e con il signor Matsumoto. Questa sua capacità di attrarre le persone è risultata molto interessante. Per questo abbiamo deciso di promuoverla.”
“E a quale squadra mi avete assegnata?” chiese Nanase che non riusciva ancora a capire bene il perché di tutte quelle chiacchiere.
“E’ così importante conoscere la squadra?” chiese la preside lasciando la tazzina.
“Non capisco. A tutti viene assegnata una squadra.”
“Faremo un’eccezione con lei, signorina Otada. Qual è il suo colore preferito?”
“Tra i quattro?”
“Il suo colore preferito in assoluto.”
“In assoluto? Direi il blu.”
“Bene allora, domani riceverà un’uniforme blu.”
“Ma non esiste una squadra blu!” replicò Nanase stringendo la stoffa della tuta.
“Certo che non esiste ma AI non è stata in grado di stabilire quali siano le sue doti dominanti e pertanto non ha potuto associarla ad una particolare mistycal weapon. Pertanto si è deciso che continuerà a frequentare i corsi di tutte e quattro le squadre.”
“Tutte e quattro?” Esclamò Nanase “E come farò?”
“Seguirà gli allenamenti previsti dal programma fisico della squadra rossa. Sarà esentata da quelli per il miglioramento della massa muscolare mentre dovrà comunque imparare le tecniche di tutte e quattro le mistycal weapon. E’ risultata molto brava in tutte le materie umanistiche. Da oggi non le frequenterà più e seguirà i corsi psichici delle quattro squadre. E’ tutto chiaro? Se ha difficoltà me lo faccia sapere. Non c’è altro.”
Nanase si alzò ancora in preda ad un certo sconcerto. Aveva quasi guadagnato la porta quando si fermò e parlò dando le spalle alla preside.
“Perché?”
“Perché lei è speciale. Non se lo dimentichi. Coltivi i suoi doni. E ancora congratulazioni.”
Nanase aprì la porta e si ritrovò di fronte Mei.
“Allora com’è andata?” chiese quest’ultima.
“Non lo so, Mei. Ha detto che ho superato brillantemente il test.”
“A quale squadra ti hanno assegnata?”
“A nessuna.”
“Come sarebbe a dire?”
“Nessuna. Ha detto che dal test non è risultata una predisposizione particolare a nessuna delle squadre. Sono confusa.” Mei le strinse le mani e le sorrise.
“Congratulazioni Nana-chan. Sei entrata nell’Elité, non preoccuparti di nient’altro per adesso.” Nanase le sorrise. Sapeva che Mei voleva semplicemente tirarle su il morale.
“Grazie Mei-san. Vado a cambiarmi e poi andiamo a festeggiare, ti va?”
“Certo, sbrigati però. Ci vediamo tra mezz’ora in giardino.”
Nanase la vide correre via e prese il corridoio dietro l’angolo senza guardare finendo addosso alla persona che stava appoggiata alla parete.
“Kei! E tu che ci fai qui?”
“Congratulazioni per l’esame.”
“Stavi origliando?”
“Stavo controllando la situazione. E’ diverso.” Nanase tolse il broncio e s’intristì.
“Kei, cosa ho sbagliato?”
“Che intendi dire?”
“Non mi hanno assegnata ad alcuna squadra.”
“Ho sentito.”
“E non è normale.”
“Perché tu sei normale?” disse Kei dandole un buffetto. Nanase sbuffò.
“Sorridi. Sei stata brava. Va a festeggiare con Mei.” A quelle parole Nanase abbassò il capo e sentì la voglia di piangere.
“Vieni anche tu?”
“Io domani ho un esame.”
“Capisco.”
“Portami dei dolcetti, capito?”
“Ok.” Kei si voltò e fece per andarsene quando lei lo trattenne per una manica “Kei, non ce l’avrei mai fatta se non mi avessi spronato tu.”
“Eri semplicemente inciampata”, rispose lui rimanendo di spalle.
“No. Avevo mollato.”
“Perché non credi in te stessa.”
“Tu però credi in me e continui a proteggermi da quel giorno.”
“Quello è un problema mio. Tu pensa a vivere la tua vita, Nanase.” La ragazza lo lasciò andare.
“Grazie, Kei.”
“Divertiti e non scordarti i dolcetti!” fece lui allontanandosi. Nanase si voltò e corse a cambiarsi. Rimase fuori per tutto il giorno facendo shopping con Mei. Nel pomeriggio le ragazze furono raggiunte da Jin e Shogi.
Giornate come quelle erano rare all’Accademia. Un po’ perché era difficile che i ragazzi avessero gli stessi turni di studio liberi, un po’ perché gli attacchi dei Golem si facevano sempre più frequenti.
La situazione di Tokyo era ancora abbastanza stabile ma nelle regioni meridionali ormai vigeva la legge marziale e il coprifuoco. La gente ormai era abituata a vedere apparire questi grandi mostri meccanici dal nulla. L’esercito addestrava anche i bambini a come comportarsi in caso di un attacco Golem.
Rifugi antiradiazioni erano stati disposti praticamente ovunque dissimulati tra gelaterie, sale gioco e uffici. In caso di attacco bastava recarsi nel punto di raccolta più vicino segnalato da una sirena rossa e mostrare il tesserino di appartenenza alla regione di residenza.
Gli attacchi inizialmente duravano diversi giorni poi, dopo la creazione dell’Elité, si ridussero a raid di poche ore. Definire i Golem macchine, comunque, non era esatto.
Con lo scoppio della guerra tra la Khamsa e l’ordine Thule, l’uso di armi biologiche aveva decimato la popolazione mondiale. Il Giappone, che non credeva né alle regole economiche dell’ordine Thule né a quelle religiose della Khamsa, era inizialmente rimasto neutrale. Era riuscito a sviluppare una tecnologia in grado di migliorare le abilità dei propri soldati per difendersi dalla guerra che bruciava il resto del mondo. Per questo erano stati selezionati soldati in grado di utilizzare particolari attrezzature meccaniche altamente sofisticate. Grazie a questa tecnologia, i soggetti erano in grado di controllare un elemento tra metallo, fuoco, elettricità, acqua e aria. Questi soldati vennero chiamati ESP e furono messi in condizione di governare i Golem, macchine con un nucleo elementale, create dal potere stesso degli ESP in modo tale che anche quando un Golem veniva distrutto, l’ESP poteva crearne un altro. In questo modo, l’esercito giapponese, seppure notevolmente inferiore di numero rispetto a quello di Khamsa e dell’Ordine Thule, poteva difendere con efficacia i propri confini. Gli ESP riuscirono anche ad entrare in possesso dell’oggetto del contendere: l’Apocalypse, una fonte di energia sviluppata da un gruppo di scienziati europei morti durante il tentativo di far funzionare la loro creazione. Gli eserciti della Khamsa e dell’ordine Thule non potettero fare altro che rinunciare di fronte a tale superiorità bellica.
Tutto questo accadde fino al 2510 quando un gruppo di terroristi non identificato, riuscì ad infiltrarsi in un corpo speciale dell’esercito giapponese e provocò l’Esplosione, la più grande catastrofe del Giappone dai tempi di Hiroshima e Nagasaki. L’attentato di Saitama, la base degli ESP, uccise la quasi totalità di questi soldati. Coloro che si salvarono dichiararono di essersi uniti agli attentatori e fuggirono.
L’Elité nacque esattamente sei mesi dopo dalle ceneri di quella tragedia come forza militare al diretto comando dell’imperatore e con protocolli di sicurezza completamente diversi da quelli dell’esercito ordinario. Aveva lo scopo di trovare gli ESP sopravvissuti ed eliminarli. Questi comunque non si nascondevano affatto. Continuavano a spargere il terrore per le città del Giappone nel tentativo di impossessarsi dell’Apocalypse. Avevano trovato comunque pane per i loro denti nell’Elité che disponeva di nuove armi e risorse messe a disposizione direttamente dall’imperatore.
Nanase a volte pensava a cosa sarebbe successo se invece di sviluppare la tecnologia ESP, il Giappone avesse deciso semplicemente di prendere parte alla terza guerra mondiale parteggiando per la Khamsa o per l’ordine Thule. Sarebbe stato meglio o peggio? Una pacca sulla spalla la distrasse da questi pensieri.
“Signorina, è la tua festa. Dove ci porti?” chiese Shogi. Nanase sussultò poi, con un sorriso enorme, rispose.
“In pasticceria!”
“Pasticceria? Nanase sei crudele, lo sai che sono a dieta!” esclamò Mei.
“Sì! Tutti in pasticceria!” fece Jin la cui golosità era nota a tutti.
“Non sarebbe meglio un Maji burger? Io ho fame”, si lamentò Shogi toccandosi la pancia.
“Al Maji potrei prendere un’insalata, che ne dici Nanase?” provò ad insistere Mei.
“Ho un’idea!” propose Jin “C’è un Maji proprio all’angolo della pasticceria Asakusa, che ne dite? Mangiamo qualcosa e poi chi vuole prende un dolcetto di fronte.”
“Andata!” gridò Mei.
La serata al Maji passò veloce. Tutti si divertirono e si complimentarono con Nanase per aver superato l’esame anche se c’era da festeggiare anche Jin entrato nella squadra nera. Ad un certo punto Nanase s’accorse che la pasticceria stava chiudendo. Si alzò di corsa.
“Aspettate qui per favore e non pagate. Faccio io!”
“Nessuno se lo sognava!” esclamò Shogi raggiunto prontamente da uno scappellotto di Jin. Nanase rientrò con un cestino.
“Grande Nanase!” fece Shogi allungando le mani sull’involto.
“Non ci provare!” urlò la ragazza bionda alzando il cestino fuori dalla portata delle mani di Shogi “Non è per te. Me li mangerò tutti io! Per voi ho preso questi!” disse allungando quattro biscotti della fortuna.
I ragazzi ruppero contemporaneamente i loro biscotti e lessero le rispettive fortune.
“Preoccupati di meno e agisci. L’istinto ti aiuterà” lesse Shogi.
“Ancora di meno? Sei già così avventato!” fece Mei.
“Smetti di prendermi in giro e leggi il tuo!” la rimbeccò lui.
“Impara a godere di ogni attimo per ciò che è” lesse piano.
“Dovresti, sai?” fece Shogi sorridendole “A volte tendi a voler tenere tutto sotto controllo! Il tuo che dice, Jin?”
“Cerca il buono dove non pensi che sia.”
“Wow! Criptico!” esclamò Mei voltandosi verso Nanase che aveva ancora le briciole del biscotto tra le dita. La ragazza s’accorse che ora tutti la guardavano. Srotolò il biglietto e lesse.
“Ogni cosa ha un prezzo ma un oni veglia su di te.”
“Inquietante”, disse Jin. Mei le tolse subito il biglietto di mano.
“Si tratta solo di frasi a caso! Non significano niente,” disse alzandosi e trascinando Nanase con sé “E’ ora di tornare a casa!”
I ragazzi pagarono anche per Nanase e Mei e i quattro tornarono chiacchierando all’Accademia. Nessuno fece più cenno ai biscotti della fortuna e si salutarono dandosi appuntamento per la lezione del giorno dopo. Nanase non raggiunse subito la sua camera. Si fermò davanti alla porta della camera di Kei e bussò. La porta era aperta e, anche se non era abitudine della ragazza curiosare, entrò ugualmente perché voleva lasciargli il cestino dei dolcetti. La stanza era vuota. Dal bagno veniva il rumore della doccia e lei capì che il ragazzo doveva essere lì. Lo immaginò stanco per un intenso allenamento pomeridiano.
Scrisse un biglietto e lo lasciò sulla scrivania insieme al cestino. Se ne andò chiudendo piano la porta.
Il rumore tuttavia arrivò fino alla stanza da bagno. Kei chiuse l’acqua, si avvolse un asciugamano intorno ai fianchi ed entrò nella sua camera. Anche se non c’era più nessuno, notò subito il cestino sulla scrivania. Si avvicinò e strappò la carta. Era pieno di dolcetti alla crema. Accanto al cestino stava un biglietto. Quando Kei lo prese, le dita umide ammorbidirono la carta e l’inchiostro si allargò oltre le righe. Kei le lesse e sorrise. Il biglietto diceva solo ‘Per il mio oni’.  Afferrò un dolcetto alla crema e ne fece un solo boccone.
“Grazie Se-chan”, disse guardando fuori dalla finestra e sentendosi, improvvisamente, più sereno.

Note folli dell'autrice:
Voce insensibile: Skytree abbiamo un problema... l'autrice fa fatica a ricordare i nomi e i cognomi di tutti i personaggi.
L'autrice: Ho fatto uno schemino e vedrete che ce la farò a non fare confusione!
Voce insensibile: Suggeriamo l'intervento di AI.
L'autrice: Quel coso l'ho inventato io!
Voce insensibile: Tipico caso di macchina che supera l'uomo.
L'autrice: Fa la brava che chiamo Kei...
Voce insensibile: ....
L'autrice: Bene. Ora che ho ricondotto questa maledetta al silenzio, ringrazio tutti coloro che hanno deciso di dare una possibilità a questa storia che nasce da una scommessa. Mi aiutate a vincerla? Mi hanno chiesto di dimostrare di poter creare una sceneggiatura per un manga. Voi pensate che potrebbe funzionare?
Voce insensibile: Non s'è capito ancora nulla!
L'autrice: Siamo solo al terzo capitolo... Keiiii!
Kei Sato: Se non hai dolcetti per me non vengo.
L'autrice: Non essere spocchioso con me!
Kei Sato: Io sono così. E comunque mi manca ancora la celebrante.
L'autrice: Uffa! L'angolo non da anticipazioni, serve per i ringraziamenti. Grazie davvero. Vi aspetto alla prossima.
Ps. Io non sono brava con il disegno ma mi piacerebbe dare un volto ai miei personaggi. Qualcuno ha voglia di darmi una mano? Un abbraccio. Mary.

  
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