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Autore: Non ti scordar di me    16/01/2015    7 recensioni
[Sequel Amore Proibito]
E dopo anni di lontananza, Elena e Damon Salvatore si rincontrano in un altro contesto e con altri sentimenti.
Elena è in bilico tra due mondi diversi: un mondo di sorrisi finti o un mondo di apatia. Lei non fa parte né di uno né dell’altro.
Damon ha trasformato il ‘proibito’ che provava per Elena in altro: in odio e sarcasmo mal celato.
Elena non ha rinunciato alla vita. Lei vuole salvarsi. Non vuole sentirsi un reietto della società.
Damon non ha più fiducia in nessuno. Lui non vuole salvarsi. Vuole trovare un metodo per chiudere tutto.
I due una volta che si rincontreranno cosa faranno? E soprattutto, i due lasceranno alle spalle il loro legame di sangue?
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Dalla storia:
«Se ora sei così sicura di te e combatti questa merda che hai intorno, è merito mio. Ti ho reso io forte, bimba.» Commentò stanco.
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«Un fiammifero.»
«Un fiammifero?» Chiesi.
«Un fiammifero che prova a battere le tenebre. Ecco cosa sei.» Disse Damon.
-
«Lei era un’oppressa. Lui era un sopravissuto.»
-
E i due come si comporteranno? Lasceranno che il loro ‘proibito’ vinca su quello che pensa la gente?
Non ti scordar di me.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo sei.
I’ll win.
 
Sistemai nella borsa nera il libro e decisi di ritornare a casa. Per quel giorno avevo finito le lezioni all’università e in quel momento l’ultima cosa che volevo fare era studiare il basic life support. No. Decisamente era meglio ritornare a casa e distendere un po’ i nervi.
Avevo la fermata tra poco, ma mi fermai non appena adocchiai un volto familiare. Anzi, un volto tumefatto familiare.
Io gliel’avevo detto. Pensai con un groppo in gola. Ero ancora indecisa sul da farsi. O andare a parlare con lui e perdere il pullman o ignorarlo e prendere il pullman.
Maledizione, sono troppo buona. Mi maledii mentalmente. E immaginare che un tempo avevo sfiorato quasi l’apatia.
Il biondo era seduto a gambe incrociate a terra e aveva la testa china su un libro, quasi a nascondersi. Ero di fronte a lui ma faceva finta di non vedermi – era quasi impossibile non vedere una ragazza super incazzata venire verso di te.
«Luke.» Lo chiamai freddamente. Mi scontrai con i suoi occhi e provai a reprimere un conato di disgusto. Al labbro spaccato si era aggiunto anche il sopraciglio.
«Elena.» Ricambiò con eguale apatia. O almeno provò a fare del suo meglio. Non riusciva a non parlarmi per molto tempo, di solito cedeva lui – anche perché questa volta stranamente avevo ragione io.
«Cos’hai fatto al sopraciglio?» Gli chiesi sedendomi accanto a lui e sfilandogli il libro per tenerlo stretto. Mi guardò quasi scocciato e poi si decise a parlare.
«Stavo aiutando mia madre a sistemare non so quale cosa su uno stupido scaffale e sono caduto.» Alzò le spalle e si sporse un po’ per riprendersi il libro – cosa che impedii fermamente.
«E tu credi che io possa credere a questa scusa?» Replicai a muso duro. Per un momento avevo pensato che sarebbe scoppiato a piangere e che mi avrebbe dato ragione? Ah, no. Non stavo parlando con una persona normale, stavo parlando con Luke.
Lo stesso Luke che non voleva mai sentire i miei consigli. Lo stesso Luke a cui avevano fatto fuori i connotati.
«Fin’ora tutti ci hanno creduto…» Farfugliò iniziando a giocare con quello stupido braccialetto che teneva sempre al polso.
«Non tutti sanno che quel bastardo di Kai deve debiti a chissà chi.» Commentai distaccata. Solo al nome del ragazzo, Luke scattò in quarta. Come se avessi toccato qualcosa che non mi appartenesse, come se non potessi avvicinarmi troppo o non potessi osare con le parole.
«Non è così male come pensi. Lui ha detto che sistemerà tutto.» Credo che in quei due anni, quella fosse la prima volta che Luke prendesse una posizione così ferma. E questo tutta per colpa di…Kai.
Sospirai pesantemente e iniziai a pensare. La soluzione non era parlar male di lui col suo ragazzo, no? Meglio mostrare buon viso a cattivo gioco.
«E come pensa di sistemare tutto?» Grugnii con gli occhi assottigliati. Non avrei mai dimenticato tutte quelle giornate con un Damon costantemente alla calcagna per sapere cosa fosse successo e soprattutto chi fosse stato a farmi quel lividi.
«Lo farà. Abbiamo ancora tempo!» Posò una mano sul mio braccio. Quello stronzetto del mio amico sapeva che tasti toccare e quando toccarli. Sapeva che non potevo resistergli anche per molto, come sapeva perfettamente che io gli volevo tremendamente bene.
Perché quel discorso che gli avevo fatto a casa sua non era finto. Io gli volevo bene e se non glielo avessi mai dimostrato era perché ero fatta così. Perché non volevo fargli capire quanto fosse importante, le persone si approfittano delle tue debolezze, ti distruggono fino alla fine e ti lasciavano da solo col dolore.
«No. Non avete tempo. Pensi che aspetteranno, veramente, un mese per quello che vogliono?» Gli feci notare. Abbassò gli occhi e non replicò più.
C’era qualcosa che non mi aveva detto.
«Non stanno già aspettando vero?» Gli chiesi ora completamente presa dallo sconforto. Quel sopraciglio era solo uno dei tanti avvertimenti. Se magari potessi sapere cosa Kai ha combinato, tutto sarebbe più semplice.
Luke annuì in risposta e sentii il nodo allo stomaco salire verso la gola.
«Posso sapere cosa deve Kai a quei tipi? Sai bene che non dirò niente.» Provai a convincerlo, stranamente lui scosse la testa convinto.
«Mai.» Fu lapidario. Arricciai il naso e capii che Kai aveva detto qualcosa a Luke. Qualcosa che mi riguardava e che aveva messo Luke sugli attenti. Qualcosa che aveva messo in guardia inaspettatamente il mio amico da me. L’unica persona che non voleva fargli del male.
«Pensi che possa tradirti?» Gli chiesi, provando a carpire più informazioni possibili.
«Non penso questo, Els.» La sua risposta fu veloce e per niente incerta. Non si trattava di una questione di fiducia. Lui si fidava di me, ma qualcosa lo stava frenando. Qualcosa che non m avrebbe detto ora.
«Perché fai tutto questo per Kai?» Pronunciare quel nome e cercare di non essere disgustata mi dava il voltastomaco. Avevo tanti motivi per odiare Kai, forse perché Kai era una di quelle persona che sapevano troppo di me.
E per questo avevo paura di cosa avesse detto a Luke, perché non diceva stupidaggini. Kai era fermo e micidiale. Colpiva al momento giusto, ma non diceva bugie.
Quello che gli aveva detto era tremendamente vero. Il punto era: cosa gli aveva detto di tutto quello che io non gli avevo raccontato?
«Non hai mai avuto l’impressione di impazzire per una persona? Non hai mai pensato che per una persona avresti dato tutto?» Mi chiese – non rispondendo alla mia domanda e smettendo di giocare con quel bracciale –.
Damon. Mi venne in mente solo quel nome. Solo con lui avevo avuto quella sensazione fottutamente schifosa. Quella sensazione di poter morire soffocata se lui mi avesse tenuta con sé. Potevo morire, ma per mano sua e con la sua mano nella mia intrecciata, morivo dolcemente.
Per quanto una morte potesse essere dolce.
«Sì. Ho presente questa sensazione.» E forse lì mi tradii da sola, perché Luke sgranò gli occhi ma non lo diede a notare. Inclinò la testa e mi studiò attentamente – quasi a capire se avessi sparato una stronzata.
«E questa sensazione ti entra dentro. Inizia prima ad entrarti sotto la pelle e poi non ne esce più. Ormai Kai mi è entrato dentro. E’ entrato dentro fin dalla prima volta che lo visto più di un anno fa.» Mi strinse la mano e allora capii che quell’amore consumato che avevo condiviso fino alla fine con Damon non era lo stesso amore di Luke e Kai.
Perché tra loro non bruciava. Il loro amore era lì, presente. Aveva solo tanti problemi.
Un momento perché parlo dell’amore tra me e Damon? Pensai solo dopo aver realizzato il tutto.
Mi inumidii le labbra e sorrisi al mio amico.
«Non credo che tu possa paragonare quello che stai condividendo con Kai, con quello che ho condiviso io con una persona.» Gli assicurai passando alla mia solita acidità. Quando parlavo di questi argomenti l’acidità cresceva in me in modo troppo spontaneo.
Luke, però, si rabbuiò.
«Io non la penso così. L’amore è uno. Ognuno ha un suo amore, ovvio, ognuno lo affronta in modo diverso…ma la fine è sempre una. Se tra te e questa persona è finita, significa che quell’amore non era il tuo di amore.» Forse se Luke sapesse con chi avessi condiviso quella sensazione, non avrebbe reagito male. Almeno non sarebbe stato catastrofico quanto te.
«Il punto è che a me questa persona è entrata fino alla fine. E non va bene, chiaro? Non va affatto bene. Perché, poi, quella persona ha su di te un ascendente assoluto. E se non sei abbastanza forte non ne uscirai più.» Gli spiegai. Aveva il volto sconvolto, anzi si vedeva chiaramente che non aveva afferrato il concetto. «Quando quella persona ti distruggerà e ti annienterà, tu non avrai più la forza di reagire. Perché quella persona ti sarà entrata troppo in profondità per sradicarla.» Ed era maledettamente vero. Due anni fa pensavo di essermi salvata da quello che mi circondava grazie a Damon, ma solo col tempo mi sono resa conto che se non avessi avuto la forza di lasciarmi tutto alle spalle ora non sarei qui.
Ora sarei una persona finita e consumata.
«Vuoi dire che non sono abbastanza forte? Pensi che se un giorno Kai mi mollasse non avrei più la forza di continuare?» Chiusi gli occhi e capii che quel discorso ora con lui non c’entrava niente.
«No. Tu dici che l’amore alla fine è sempre lo stesso sentimento solo che provato da diverse persone? Io dico che non è così. Perché l’amore tra te e Kai non è consumato, non è sofferto fino alla fine e nessuno dei due si brucerà.» Solo allora sembrò capire il mio discorso.
«Elena…e tra te e questa persona chi si è bruciato?» Mi chiese alzando lo sguardo. Persi un battito a quelle parole. Non pensavo che fosse così…così diretto. E non credevo che avessi il coraggio di farmi una domanda così personale.
Di solito lui ci arrivava a queste domande, non le poneva in modo crudo e duro.
«La domanda non è chi si è bruciato, Luke.» Ridacchiai leggermente e mi sistemai i capelli. «La domanda è chi si è bruciato di meno…» Non avevo la più pallida idea. Chi dei due si era bruciato di meno?
«Lo amavi?»
«No.» La mascella di Luke quasi toccava il prato. Forse avevo azzardato troppo. In quel discorso aveva dato per scontato che lo amassi, ma non lo amavo. Non lo amavo, perché l’amore era quel sentimento che ti faceva sentire libero e con un peso in meno sul cuore.
Quando ero con Damon, mi sentivo sempre più coinvolta. Sempre con un peso in più e con un segreto in più. Eppure non mi ero pentita di quei mesi. Era strano descrivere il sentimento che mi aveva tenuta a lui per così tanto tempo.
Noi eravamo quel per sempre che bruciava sotto i nostri occhi. Consumavamo insieme il nostro per sempre, perché non poteva essere per sempre.
Mi alzai da terra e gli sorrisi. Avevo giocato più che bene le mie carte. La curiosità era sempre stato un punto forte per Luke. Quell’informazione ormai era già nel suo cervello, già stava pensando a tante soluzioni e non ci avrebbe messo molto tempo a chiedermi altro. E a quel punto, avevo il piano pronto.
Feci pochi passi, però mi fermai.
La voce di Luke mi arrivò alle orecchie chiara e forte.
«Anche tu avrai il tuo lieto fine.» Quelle parole mi sembravano così belle. Aveva una di quei lieto fine che vedevo nei film. Poter andare avanti con tutto e resettare tutto.
Non mi girai, continuai a camminare pronta per prendere il pullman successivo. Avevo una decina di minuti per arrivare in tempo alla fermata, altrimenti non sarei tornata a casa per pranzo.
«Vai da qualche parte?» Gelai sul posto. Non può succedere niente. Niente. Sei fuori dall’Università. Non possono farti niente. Quelle parole iniziarono a ripetersi nella mia mente all’infinito.
Mi girai e sfoggiai uno dei miei migliori sorrisi. M’imbattei in quel ragazzo – tanto affascinante quanto stronzo – che aveva provato a strangolarmi.
«Sparisci.» Commentai con una scrollata di spalle. In tutti i casi non mi mossi da lì. A quell’ora non c’era molta gente alla fermata e preferivo cento volte rimanere lì che allontanarmi e rischiare di rimanere solo con quel tipo.
«Tesoro, rimani calma…Sto solo parlando.» Mi fece notare alzando un sopraciglio. I tratti erano tesi e tra i denti teneva un sigaretta accesa da poco. Se non avesse provato a strangolarmi, oserei dire che era oggettivamente di bell’aspetto.
«E di cosa vorresti parlare?» Gli chiesi divertita. Quei tipi come lui non erano fatti per parlare. Loro avevano tutto un programma e ora – per colpa della mia testardaggine – io ci rientravo. E un po’ forse avevo paura. Perché una volta finita dentro quei giri si finiva sempre male. Tremendamente male.
«Delle checca del tuo amico, no?» Aveva superato il limite. La mia pazienza – già precaria – era finita. Lo guardai negli occhi e schiarii la voce.
«Sentimi bene, perché non sprecherò altra energia per parlare con un essere come te.» Chiarii a voce bassa. «Nessuno può chiamare checca il mio amico. Non mi importa di te, non mi importa neanche di quello che puoi farmi ma non offendere Luke. Siamo in un epoca abbastanza evoluta, no? Ognuno può amare chi vuole. E tu dovresti solo chiuderti quella bocca e sciacquarla almeno due volte prima di parlare di lui o di me.» Sul suo volto si era dipinta una smorfia più che divertita. Trovava divertente quella situazione?
«Vedo che sei di una mentalità aperta.» Commentò aspirando la nicotina della sigaretta. «Riformulo la domanda: vorresti venire questa sera con me al Blue eyes?» Avevo sentito quel nome. Era da un mese che si vociferava di questo nuovo pub esclusivo.
«E’ un invito?» Lo presi in giro, piegandomi in due dalle risate. «E perché mai dovrei accettare?»
«Vuoi sapere si o no cosa sta succedendo a quei due?» Se c’era qualcosa che odiavo era quando le persone mi mettevano spalle al muro. Quando dovevo accettare per forza una proposta, perché poteva cambiare le cose.
«Potrei considerare l’idea.» Conclusi lapidaria, guardandomi attorno e cercando disperatamente con lo sguardo qualche mia compagna di corso per aggregarmi con lei e svignarmela da lì.
«Ti vengo a prendere io.» Era un’affermazione. Uhm, un’altra cosa che detestavo: le persone che prendevano decisioni – anche se giuste – per me. Io avevo il controllo della mia vita e potevo fare quello che volevo, non avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse cos’era meglio fare per me.
«Non sai dove abito.» Gli feci notare roteando gli occhi al cielo.
«Chi non sa dove abita Damon Salvatore? Tu dovresti vivere là, sbaglio?» Perché qualsiasi persona che incontrassi sapeva chi era mio fratello e quant’era pericoloso?
«Perché è così famoso Damon? Credo mi abbia nascosto questa parte della sua vita…» La buttai sul ridere, anche se da ridere c’era ben poco. Sospettavo che il corvino non fosse nei giri migliori di Londra, ma non pensavo che ci fosse così dentro.
«Se è per questo, mi ha nascosto l’esistenza di una sorellina…Dove ti teneva rinchiusa?» Ridacchiò leggermente.
Stavo per replicare, ma vidi il sorriso del moro aprirsi sempre più.
«Credo che qualcuno sia venuto a prenderti.» Mi girai velocemente e vidi in lontananza una chioma nera uscire fuori da una macchina troppo familiare.
«A stasera, dolcezza.» Ammiccò e se ne andò a passo lento. Un momento…non so il suo nome! Alzai lo spalle e mi appuntai mentalmente di chiedergli il nome.
Il mio sguardo vagò dritto altrove. Incontrai due occhi azzurri come il mare e freddi come il ghiaccio. Mi fissavano indiscretamente. Damon poggiato allo sportello semiaperto della macchina con lo sguardo accigliato incuteva quasi timore.
Velocemente lo raggiunsi e mi rincuorai della sua presenza – mi sentii al sicura –. Incrociai le braccia al petto e con un cenno del capo lo incitai a parlare.
«Entra.» Mi ordinò. Un’altra persona che mi stava dando ordini. Un’altra persona insopportabile.
«Cosa ci fai qui?» Gli chiesi sostenendo il suo sguardo.
«Entra.» Ripetè con la voce ferma. La sua mano era poggiato sullo sportello che aveva aperto e con un mezzo sorriso mi invitava ad entrare.
Subito mi chiesi perché mi fosse venuto a prendere all’Università.
«Tu mi rispondi, io entro.» Gli proposi porgendogli la mano che non strinse. La sua era ancorata allo sportello che sembrava la sua ancora.
Rimanemmo in silenzio per svariati minuti. Agli occhi delle persone sembravano strani e inusuali, ma io e lui sapevamo cosa stava succedendo. Ci sfidavamo apertamente con lo sguardo che distolsi solamente quando vidi delle mie compagne di corso passarci vicini e squadrare il corvino con aria visibilmente spaventata.
Solo allora realizzai quello che stava – realmente – succedendo e di malavoglia – dovendo darla vinta a Damon – entrai in macchina chiudendo violentemente lo sportello.
Lui sorrise ed entrò, allacciandosi la cintura.
«Hai cambiato idea in fretta, eh?» Mi sfotté divertito.
«Parti.» Questa volta fui io ad usare un tono duro e stranamente non replicò. Mi allacciai la cintura e come mio solito mi ancorai al sedile. La schiena aderiva perfettamente ad esso e il mio sguardo viaggiava dalle mani di mio fratello sul volante alla strada di fronte.
Il nervosismo di stare in una macchina non mi sarebbe mai passato.
«E’ colpa di quelle ragazzine?» Sbottò tutt’un tratto, serrando la presa sul volante. Stringeva così forte che le nocche diventarono sempre più bianche e io deglutii.
Non pensavo avesse notato loro e non pensavo che avesse notato me guardare loro.
«Come scusa?» Fare la finta tonta aiutava a volta, ma con lui non attaccava bottone. Non appena il rosso scattò Damon fece una frenata e rivolse i suoi occhi freddi e vitrei su di me.
«Sei entrata nella macchina per le occhiate di quelle ragazzine?» Aveva la voce assurdamente seria e forse per un momento pensai che l’avessi ferito per quel comportamento da vigliacca che avevo assunto.
Però mi corressi immediatamente, Damon non veniva ferito. Non per queste cazzate, no?
«Che tipo di occhiate?» Continuai.
«Oh, non mi prendere in giro. Ho capito tutto perfettamente.» Sputò acido, rivolgendo il suo sguardo altrove. Chiusi gli occhi e iniziai a formulare diverse idee per ribattere.
Volevo ribattere in modo acido e duro, quasi a volergli far capire che qualsiasi cosa stesse pensando aveva ragione ma alla fine optai per un semplice e d’effetto: «E cos’hai capito?»
«Ho capito che non vuoi farti vedere con me da quelle ragazzine ricche e insopportabile. Come ho capito quanto tu tenga a questa nuova vita che ti sei creata.» Mi spiegò. Inutile negare che la capacità di leggere i miei comportamenti non era affatto svanita. «Peccato che tu non sei di qui. Tu non sei la ragazza schifosamente perfetta e dai buoni comportamenti. Queste cose che racconti sono fasulle, così com’è fasulla l’Elena che ho visto pochi istanti fa.» Continuò alzando il tono di voce. Era sbottato completamente. Era rosso in visto e la vena del collo pulsava forte, evidenziando il colorito.
«Non c’è nessuna Elena fasulla. Sono fatta così.» Gli dissi incurante e feci finta di rilassarmi, mentre in realtà non vedevo l’ora di arrivare a casa mia e scendere da quell’aggeggio infernale che mi stava portando all’esaurimento.
Ormai non guidavo più. Non volevo più vedere una macchina e non avevo intenzione di guidarla dopo l’incidente. Ci salivo solo in casi estremi e solo con persone di cui mi fidavo particolarmente.
Questo vuol dire che mi fidavo, ancora, di Damon? Mi chiesi.
«Non è vero. L’Elena vera è quella ragazza che beve, che ha paura delle macchine, che gareggia in moto, che scommette il tutto per tutto.» Mi disse. Il semaforo scattò nuovamente, divenne verde e Damon premette il piede sull’acceleratore.
«So bene chi sono. Semplicemente farsi vedere in giro con Damon Salvatore, una delle persone meno raccomandabili a detta di tutti, non mi fa una grande reputazione.» Commento acido e cattivo che lo prese alla sprovvista.
«Qualcuno ti ha messo la pulce nell’orecchio.» Disse con un sorriso sornione. «Forse è quella stessa persona che ti ha messo le mani addosso?» Continuò ancora. Alzai gli occhi al cielo. Per quanto lo stessi insultando e ignorando – pensando anche a un modo per uscire da quella scommessa pur di evitare stretti contatti – quel pensiero lo perseguitava.
«Damon non m’importa se vuoi avere l’esclusiva, okay? E’ la mia vita.» Fin’ora avevo sempre cambiato argomento, oppure mi chiudevo nella mia stanza. Costatando che non avevo più argomenti con cui ribattere e che non potevo buttarmi giù da una macchina in movimento.
«Secondo te si tratta di avere l’esclusiva?» Ribatté alzando la voce. In realtà non speravo in una reazione così. Perché io lo pensavo veramente, non vedevo altri motivi.
«No, porca miseria. Si tratta di te e della tua vita che stai buttando nel cesso. Non puoi capire cosa possa succederti una volta entrato nel giro sbagliato.» Tuonò potente. Cercai di nascondere la paura che mi colse in quel momento. Perché io non dovevo stare attenta a non entrare in un giro, no, ora dovevo solo capire come uscire da quel brutto giro.
«Senti…» Non riuscii neanche a completare la frase. Una bambina – sfuggita probabilmente alla madre – stava attraversando le strisce pedonali.
«DAMON, DAVANTI A TE!» Era come se tutto fosse tornato a quella sera di due anni fa. Era sparita dai miei occhi la Londra a cui mi ero abituata. La strada asfaltata era stata sostituita da una piccola via in campagna al buio. Al posto della bambina c’era quel maledetto cervo…Era come il mio sogno.
Come quel maledetto incubo che mi tormentava la notte.
Era tutto uguale. Il cuore iniziò a battere velocemente e iniziai a respirare a tentoni rimanendo ancorata al sedile.
Ecco, perché io non volevo più salire in una macchina.
Per un momento mi sembrò tutto troppo familiare e mi estraniai completamente da quel luogo. Con la mente ripercorsi quello che successe effettivamente quel giorno: avevo sterzato al posto di Matt, uscimmo fuori strada e lui perse la vita sul colpo.
Ormai quella scena mi perseguitava. E la cosa peggiore era ricordarla come se non l’avessi vissuta in prima persona.
Nell’incubo ero la spettatrice di quel macabro spettacolo e per quanto urlassi, per quanto cercassi di farmi vedere e di far sentire la mia voce era tutto inutile.
Come lo ero stata io per Matt.
«Dio, stai…» Aprii gli occhi. La bambina era nelle braccia della madre che la stringeva possessivamente a sé rivolgendo un’occhiata piena di gratitudine sia a me che al corvino.
Si era fermato in tempo.
Perché non era successo anche con Matt?
Perché era morto sul colpo e non aveva resistito pochi minuti?
«Tieni ancora la fobia…» Non lo feci neanche concludere. Ignorai i clacson che suonavano – visto che avevamo bloccato una fila di automobilisti – e ignorai Damon che provava a parlarmi.
Mi tolsi la cintura, afferrai la tracolla e al volo scesi da quella macchina.
Quella macchina sembrava tanto il vecchio pick up di Matt. Matt. Il ragazzo d’oro, il ragazzo che nonostante lo trattassi uno schifo e lo respingessi sempre mi rivolgeva sempre uno dei suoi migliori sorrisi. Uno dei quali me l’aveva dedicato poche ore prima della sua deceduta.
Aveva nella sua mente il suo sorriso e quegli occhi azzurri che si scambiavano con quelli del corvino che era ripartito per andare chissà dove.
E non pensai neanche a dove stesse andando e non mi arrabbiai rendendomi conto che mi aveva lasciato lì, o almeno così sembrava.
Feci pochi passi, ma le gambe sembravano non reggere più il mio peso. Un leggero dolore iniziò a manifestarsi all’altezza del petto, quel dolore lo conoscevo bene. E non potevo sopportarlo ancora.
Non poteva far sì che il suo ricordo prendesse su di me il sopravento.
«Non puoi scendere dall’auto così!» In lontananza vidi il corvino venire verso di me a grandi falcate. Il dolore al petto fu sostituito da un fastidioso tremolio alle gambe.
«Non puoi comportarti da bambina a vent’anni, maledizione!» Grugnì ad un passo dal mio volto, afferrandomi per il polso.
Forse quel contatto fu la goccia che fu traboccare il vaso.
Il suo respiro sul mio collo mi faceva sentire bloccata chiusa e la paura di poter risalire in macchina e schiantarmi come successe al mio amico si amplificava sempre di più.
«Fammi aria…» Sussurrai con respiro corto, allontanandolo da me. Solo in quel momento Damon sembrò riacquistare un po’ del suo polso e fissarmi dapprima con espressione incerta per poi mutare in una delle sue tante maschere che ancora non riuscivo a decifrare.
«Elena, abbiamo già affrontato un attacco di panico. Ricordi?» Questa volta il tono era pacato e calmo, ma sentivo che stava facendo di tutto per non urlarmi addosso.
Scossi la testa in segno positivo, mentre l’ambiente che mi circondava sembrava scivolasse sempre più lontano da me.
«Vieni…Siediti qui.» Si muoveva indietro e mi indicò con un cenno del capo la sedia.
«Damon non c’è la farò ad arrivare lì…» Commentai con il panico che saliva a dismisura. Le sue sopraciglia s’incurvarono e s’inumidì le labbra – chiaro segno di nervosismo –.
«Perché mai? Sono pochi passi.» Mi incoraggiò con voce assurdamente pacata.
«Morirò…Morirò come è morto Matt. E non voglio morire. Chiaro?» Iniziai ad alzare la voce spropositatamente, alcune persone si girarono persino a guardarmi.
«Elena non stai salendo su una macchina.» No. No. Lui non poteva capire. Ormai avevo la sensazione di essere sola, sola in una macchina che sfrecciava a tutta velocità. E io non potevo fare altro che urlare e urlare per farmi sentire.
«Elena sei con me. Ad un bar.» Continuò prendendomi la mano. «Io sono reale e sono con te. Mi stai tenendo la mano…Ora hai solo paura.» Pian piano sentii la paura abbandonarmi.
Questi attacchi avevano una breve durata, ma la cosa peggiore non era il mentre: era il posto attacco di panico. Perché la paura costante di avere una seconda ricaduta c’era sempre e non mi sarei liberata di quest’odiosa sensazione fin quando non mi sarei sentita al sicuro.
E questo era impossibile. Non mi sentivo al sicuro…Avevo sempre il terrore di commettere un passo falso e far crollare tutto quello che avevo costruito.
«Sediamoci, ti va?» La sua voce vellutata mi arrivò alle orecchie. Orgogliosa come sempre gli lasciai la mano – quasi fossi scottata da quel contatto – e mi sedetti ad uno dei tanti tavolini, lasciando il corvino dietro.
Lo sentii sbuffare e accomodarsi.
«Qualcosa di freddo?» Mi suggerì chiamando il cameriere con un’occhiata. Io non risposi. Poggiai la testa sul tavolino e mi tenevo i capelli fra le mani. Col pollice e l’indice massaggiavo le tempie sperando di scrollarmi da dosso quella paura che non si accennava ad allontanarsi da me.
«Signorina, tutto bene?» Il cameriere teneva in mano un taccuino e mi guardava preoccupato. Alzai lentamente il capo e scossi lentamente la testa.
«Ha bisogno di un po’ di ghiaccio, grazie.» Fu secco Damon al posto mio. «Oh, anche due cocktail – dei due uno analcolico.» Precisò subito dopo freddandolo con un’altra occhiataccia.
«Sai vero che posso bere alcolici?» Lo presi in giro togliendomi i capelli dalla faccia. Presi il codino e abbozzai una misera coda. Il senso di asfissia non era passato ancora del tutto, per non parlare del nervosismo a fior di pelle.
«Dopo un attacco di panico vorresti bere un alcolico?» Sorrise enigmaticamente e si aggiustò i capelli scuri. Sembrava calmo, forse troppo. Perché sapeva come agire in questi casi? Aveva già affrontato qualcosa del genere?
Neanche Luke la prima volta aveva reagito come lui. Si era fatto prendere anche lui dal panico e forse si era chiesto cosa c’era che in me non andava.
Questo me lo chiedevo anch’io, però. Perché era formata solo da tanti guai? Perché non c’era una parte di me normale? Perché di sicuro non lo ero. Niente di quello che mi veniva in mente, niente di quello che dicevo, niente di niente era normale.
«Mamma lo sa?» Mi riscosse dai miei pensieri. Quella domanda fu una doccia fredda. Mamma…La stessa donna che ogni giorno mi chiedeva apprensivamente se tutto andasse bene. La stessa donna che notte controllava se ero ritornata a casa, la stessa che chiamava Luke alle quattro del mattino per chiedergli se ero con lui, la stessa che mi teneva in casa con lei nonostante fossi un completo disastro.
«Non lo sa. E non deve saperlo.» Partii in quarta. Avevo capito perfettamente cosa stesse facendo Damon. Stava continuando il suo giochetto, ma mamma non doveva sapere niente. Già aveva capito che tipo di persone frequentassi e per quanto cercasse di far finta di niente sentivo sempre i suoi occhi indagatori su di me. Sapevo che quando non ero in casa, probabilmente frugava nei miei cassetti cercando qualcosa che non avrebbe trovato. E lei doveva continuare a credere che tutto questo fosse reale.
Che frequentassi le persone sbagliata, ma che quelle persone non influissero su di me. In realtà era vero. L’unica persona che influiva fortemente su di me era qui, avanti a me e mi guardava seriamente con gli occhi azzurri cielo freddi e calcolatori.
«Sai a cosa portano questi attacchi?» M’inumidii le labbra e mi sedetti meglio su quella sediolina. Non mi aspettavo una domanda del genere, una domanda a cui non avevo una risposta. Scossi la testa e lui si schiarì la voce.
«Di solito questi attacchi non sono particolarmente pericolosi. E forse un’altra persona potrebbe classificare il tuo sotto un semplice attacco, ma io che ti conosco e che so da cosa sono causati posso solo dirti che ti porteranno alla depressione.» Mi spiegò stringendo il menù che aveva tra le mani così forte quasi da spezzarlo.
«Non sono depressa.»
«Questo lo dici tu.» Replicò smettendo di stringere tra le mani quel menù.
Sospirai pesantemente.
«Mi stai parlando come se fossi una persona instabile.» Scandii lentamente ogni parola. Non ero instabile. Stavo dannatamente bene con me stessa, cercavo di dare il meglio e…Cosa stai dicendo? Pensai interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Lo sei.» I suoi occhi azzurri mi scrutavano attentamente e per un momento pensai di andarmene via da lì. Però quella non era la soluzione. «Da quanto non trovi piacere a fare qualcosa? Da quanto tempo non dormi la notte?» Continuò.
Riflettei su quelle domande, stavo per rispondere ma la voce mi mancò. Perché le risposte che stavo per dargli erano delle risposte che io non volevo sentire e che lui non voleva sentire.
Io non le volevo sentire perché equivaleva a dargli ragione. Perché era da una vita che non riuscivo a chiudere gli occhi e a dormire per più di sei ore. Perché non riuscivo a ridere e ad avere un umore leggero neanche a pagamento.
Lui, invece, non le voleva sentire e basta. Potevo capirlo dallo sguardo che aveva su di me…Quasi sperava che gli rispondessi con una bugia.
«Cos’è una di quelle rimpatriate tra fratelli? Ora ci confesseremo i nostri segreti e tutto ciò che abbiamo fatto in questi anni?» Rispondere con una domanda ad un’altra domanda funzionava sempre. O quasi. Distraevano la persona che avevi davanti e senza rendertene conto stavate già parlando d’altro. Damon non ebbe la reazione tipica di tutti, sulla sua bocca si formò un ghigno e mi sorpresi che avesse abbassato  così facilmente la guardia.
«Non sarebbe un’idea malvagia…Tu come hai passato questi anni?» Ed ecco che la domanda che avevo provato ad eludere ritornava più chiara e diretta. Damon Salvatore non si giocava facilmente.
«Il cocktail analcolico per lei…» Intervenne il cameriere che spezzò quell’atmosfera pesante tra noi. «E quello alcolico.» Lo servì anche al corvino e andò via da lì.
Sbuffai e bevvi lentamente da quel coso – era imbevibile.
«Li ho passati come mi si presentavano davanti. Belli o brutti che siano.» Le risposte vaghe erano le migliori e notai sul suo viso il suo sgomento. Si era meravigliato di come una persona potesse cambiare? Pensava che sarei rimasta sempre la stessa? Quella ragazza a cui bastavano due belle parole per farle sciogliere la lingua? Non lo ero mai stata…Forse con lui, c’era stato un tempo in cui non riuscivo a parlargli se non per dirgli tutto quello che mi passava per la mente con sincerità…Ma ora NO. Non c’era niente.
Tutto spazzato via.
«Mi piace questa filosofia di vita.» Alzò il cocktail a mo’ di brindisi e ne bevve un po’.
«Questo vuol dire che anche tu sei instabile come persona?» Ci scherzai su. Non volevo rendere quella conversazione, già pesante di suo, ancora più insostenibile.
«Sono esattamente come te. Completamente andato. Ma io la mia instabilità la tengo per me. Dovresti farlo anche tu.» Mi consigliò con un tenue sorriso ad illuminargli il volto.
«Cosa ti è successo quella volta in bagno?» Cambiai completamente argomento. Ero curiosa anch’io. Avevamo tanti segreti, uno dei due doveva cedere per primo.
«Cosa ti è successo per ritornare a casa con quei segni?» Replicò spostando la mano avanti per spostarmi leggermente la mega sciarpa che tenevo al collo. Mi ritrassi da quel contatto e roteai gli occhi al cielo.
«Non si risponde ad una domanda con un’altra.»
«Tu lo hai fatto prima. Siamo pari, no?» Mi sorrise sghembo prendendo un altro sorso di cocktail. Si leccò sensualmente le labbra e si accomodò meglio sulla sedia.
«Sei un mistero.» Diedi vita ai miei pensieri guardandolo incuriosita.
«Lo sono sempre stato. Tu lo sei diventata.» Disse sistemandosi la giacca in pelle.
«Conferma le mie teorie.» Scrollai le spalle con aria convinta. Arricciò il naso e capii che non aveva afferrato quello che volevo dire. «Questo indirizzare il discorso verso di me, vuol dire una sola cosa.»
«E cosa?» Dalla sua voce trasudava quell’ironia tagliente che feriva. Che mi aveva ferito in passato, ma ora anche io sapevo giocare con quell’ironia senza farmi male.
Questo lui non poteva saperlo. Non ancora.
«Hai un segreto. Un grande segreto.» La sua espressione mutò. «Lo scoprirò e ti distruggerò, Salvatore.» Decretai. Sgranò gli occhi e aprì leggermente la bocca: non aveva parole per ribattere.
Proprio quello che volevo.
Mi alzai dal tavolino e presi la borsa, sarei ritornata a piedi a casa.
«Una volta distrutto non potrai far niente per rimettere i pezzi insieme, bimba.» Replicò calmo, giocando con la canuccia del mio analcolico quasi pieno – non avrei mai bevuto quella schifezza.
Cosa intendeva?
«Non ho intenzione di rimetterti insieme una volta distrutto.» Sbuffai divertita. Pensava che fosse così importante per me?
«Non parlavo di me.» Aveva fatto un passo avanti. Mi aveva confuso nuovamente le idee. Cosa stava a significare? Avrei distrutto qualcun altro, se scoprissi il suo segreto per ritorcerglielo contro?
«Non parlavi di te?» Gli feci l’eco, visto che non avevo idea di cosa replicare.
«Una volta che sarò distrutto, ci sarà qualcun altro che sarà distrutto.» Sorrise malignamente. «Giochi a tuo rischio e pericolo, bimba?» Avrei giocato costi quel che costi.
Dovevo scoprire quello che mi nascondeva Damon.
«Giocherò e vincerò, Salvatore.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 







Look into my eyes, it’s where my demons hide…It’s where my demonssss hideeeee.
OKAY. STOP.
Sono io e sono in fissa con quella canzoncina di cui ho improvvisato i versi (?) Okay, scusatemi ancora…Non ho idea di cosa mi stia succedendo, ma questo capitolo mi è uscito più pesante di come lo immaginassi e ho un groppo in gola perché non ho idea se questo genere di cose possa piacervi.
Diciamo che l’argomento principale che sto intraprendendo è un po’ pesante e forse vi sembrerà obbrobrioso? Scritto da un criceto? Da un ippopotamo? O da un ornitorinco? (?) Da dove mi è uscito ornitorinco non ne ho idea, ma vabbeh.
Oggi ho quest’umore un po’ strano e boh mi dovrete sopportare così e basta!
Comunque ora sono seria, se qualcuno di voi è infastidito da certi argomenti di cui sto trattando per le mie descrizioni magari insensibili (vi giuro io provo a descrivere il tutto con massimo realismo) o che possano turbarmi avete tutto il diritto di dirmelo.
Tralasciando ciò – spero che mi facciate sapere così da migliorare – ora passo al capitolo *0*
Primo punto:
- Elena e Luke. Oddio quei due diventeranno una fissa ora. L’unica domanda che mi viene in mente è: ELENA COSA DICI A LUKE? QUANTE STUPIDAGGINI HAI DETTO UNA DIETRO L’ALTRA? Anche se ha riacquistato i punti quando ha iniziato a parlare di un amore particolarmente tormentato (eheheh, chissà a chi ti riferivi tesoro mio *-*)
Luke in generale lo amo. COME DIFENDE KAI QUEL RAGAZZO. *0* Okay, credo che avrò seri problemi quando li vedrò nella season 6 e si odieranno ^^’’
Poi…La domanda di Lukey, ora, ve la pongo a voi: chi dei due tra Elena e il misterioso ragazzo (noi sappiamo che è Damon ^^’’) si è bruciato di meno? Mhm. Quoto Elena. E voi? Elena si è bruciata di meno di Damon in quella relazione? Sono curiosa di sapere cosa pensiate *.*
- Il BADBOY ritorna all’azione. Quante di voi si sono preoccupate per quei ragazzi in casa di Luke? Ora quanto vi preoccuperete pensando ad ELENA PIU’ QUEL RAGAZZO (di cui non ho ancora svelato il nome u.u) insieme IN UN PUB? Io la vedo male. Molto male u.u
Oh, già…Come avrete notato il ragazzo è piuttosto affascinante dalle mie descrizioni…E boh, io quando l’ho descritto ho immaginato come la bella faccia di Zayn Malik (per chi di voi non sappia che faccia ha – okay dubito che qualcuno non sappia che faccia abbia – basta andare su google immagini).
Almeno potete dargli un volto a quel tipo (e che volto aggiungerei *0*). Comunque…Quante di voi vogliono ammazzarlo per aver offeso LUKE? IO SI’. ORA PREPARO I FORCONI, tranquille!
- Concludo con quei due. Quei due che mi stanno completamente facendo uscire fuori dai gangheri. Oh, mio dio DAMON TU NON PUOI. E voi vi chiederete non può cosa? E io dico NON PUO’ FARE NIENTE. Non potete immaginare la mia faccia mentre immaginavo Damon mentre beveva quel cocktail, la morte mia *-*
Mhm, la nostra Elena ha un attacco di panico ed ecco che il nostro super Damon (?) accorre in suo aiuto. Ribadisco che quello che ho scritto per quanto riguarda ciò che gli attacco di panico portano e la depressione è tutto vero, non mi sono inventata niente. ^^
Però dai l’odio si sta diradando! Sta diminuendo…e lascia spazio a qualcosa di non ancora ben definito…COSA SARA’ MAI?
IO LO SO u.u
Comunque tutte quelle frasi tra quei due mi stanno facendo male, molto male. Ora sto iper attiva e vomito cuori e arcobaleni ovunque!
Ora spero di avervi aiutato con tutti questi punti interrogativi. Abbiamo capito che Damon ed Elena hanno un segreto. Quello di Elena già l’abbiamo appreso, poiché la narrazione è dal suo punto di vista…Mentre per Damon non ne sappiamo (alias sapete) ancora niente.
Sorge spontanea la domanda: per voi cos’ha Damon? La soluzione per me è scontata visto che già lo so, ma sono curiosa di saperlo da parte vostra :3
Uh, mi stavo quasi dimenticando le parole del corvino! Quando Elena avrà saputo il suo segreto non sarà solo lui la persona distrutta. Che significa? E’ un buon indizio per capire cos’ha quel povero ragazzo *-*
E poi…ah, è finito il capitolo!
In realtà è incompleto, perché dovevo metterci anche l’appuntamento di Elena col misterioso ragazzo però sarebbe venuto lungo e troppo pesante, così l’ho diviso. ^^ :)
Ora ringrazio le 8 anime (Alil_, Bea_01, NianDelLove, NikkiSomerhalder, Sereniti2783, Elenafire, PrincessOfDarkness90, Nicoliale) che hanno recensito. Grazie anche le 34 che l’hanno inserita nelle preferite, graize le 30 che l’hanno inserita nelle seguite, grazie le 4 che l’hanno inserita nelle ricordate e GRAZIE ai lettori silenziosi che invito sempre a farsi vivi! AHAHAHAHAHAHHAHAH.
Detto ciò, me ne vado veramente. Ci sentiamo alle recensioni!
Non ti scordar di me.
PS. Avete sentito la notizia che Mrs Reed diventerà a breve Mrs SOMERHALDER? Un colpo al cuore.
  
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