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Titolo della storia: To protect the one you love.
Pacchetto scelto: Pacchetto 3.
Rating: Arancione.
Contesto: I Guerra Magica.
Genere: Angst; Romantico.
Note/avvertimenti: Nessuno.
Note dell'Autore: Sinceramente,
non ho idea di cosa dire.
Premettendo che si tratta della prima volta che
partecipo ad un contest, non so cosa aspettarmi — anche
perché è la prima volta
che scrivo una fan fiction con l’obbligo di seguire alcune
disposizioni.
Ad
ogni modo, ho amato scrivere di questa coppia, quindi grazie mille per
avermene
dato la possibilità. Ho inserito la citazione, ma non sono
del tutto sicura del
finale.. non mi convince, quasi non abbia reso giustizia alla storia.
E nulla,
aspetterò i risultati, non ho altro da aggiungere se non
buona lettura!
i.
❝I'm glad it's a girl.
And I hope she'll be a fool: that's the best thing a girl can be in
this world,
a beautiful little fool.❞
— F.
Scott Fitzgerald, The Great
Gatsby.
Il salone da ballo
di Malfoy Manor sfavillava d’incommensurabile lusso e
sfrenato sfarzo.
Commenti sommessi rimiravano gli intricati arazzi alle pareti,
capolavori
d’arte tessile risalenti ad epoche passate e troppo lontane
nel tempo, ormai,
perché altro che oggetti potessero testimoniarle;
intanto che la musica riscaldava
gli animi e le dita di Bellatrix correvano, struggenti, sulle corde del
suo
violino, elegante vino rosso, versato in calici in cristallo
d’incredibile
trasparenza,
tingeva labbra sottili di gentiluomini con indosso cerimoniose
marsine — e si chiedeva, Narcissa,
quante macchie nascoste portassero sui loro completi, quegli uomini di
classe
dalle bianche labbra e malevole lingue.
Lucius le teneva una mano sul fianco — esprimeva
possesso, ma mai, mai le aveva dimostrato affetto —
e sorrideva,
distaccato. Rivolgeva ringraziamenti asciutti alle congratulazioni per
il loro
fidanzamento.
E il salone risuonava di perfette note di violino, prive, tuttavia,
anche del
più mero sentimento — c’era rabbia, a
sostituire la passione, e Narcissa non
poté fare a meno di pensare che, se Andromeda fosse stata
lì,
avrebbe
certamente smorzato quelle melodie cupe accarezzando, delicata, tasti
bianchissimi d’un pianoforte.
Ma nessuno sembrava farci caso — un evento tanto atteso non
avrebbe potuto
esser rovinato da una sciocchezza quale l’accompagnamento
musicale — e morbida seta fasciava corpi pallidi e
perfetti impegnati in
complesse danze,
incantevoli nella loro ingannevole monotonia
— la
marcia monocorde di un esercito di ridicoli, obbedienti soldatini.
Di comune accordo, Lucius e Narcissa avevano preferito
esentarsi dal ballo
e dunque sedevano, composti, ad un tavolo disposto strategicamente in
modo da
poter osservare le danze e, soprattutto, essere osservati.
Agli occhi di tutti apparivano entrambi complementari,
un’armonia di
scintillanti sorrisi e sguardi manipolatori, un accostamento esemplare
di
colori su una tela bianca.
Lei era sottile, capelli chiari e occhi neri, scurissimi —
due gocce
d’inchiostro sull’ovale pallido e perfetto del suo
viso — e lui a lei
terribilmente simile, se non fosse stato per gli occhi d’un
grigio senza tempo,
pietre preziose incastonate in un viso spigoloso e marcato.
Un eccellente partito, i Malfoy, per riportar prestigio al buon nome di
Cygnus
Black III, orridamente infangato dalla fuga di colei che, per suo
padre, ora
non era altri che un nome cancellato dal proprio albero genealogico. Per amore di un Babbano.
Ma cos’era,
poi, l’amore?
Valeva davvero il prezzo pagato da quella che, fino a poco tempo prima,
era
stata sua sorella?
Valeva la fuga da ciò che per lei era stata una famiglia?
Andromeda era sempre stata la sua preferita, gentile nei modi, dagli
occhi
ridenti ed i grandi sorrisi.
Cosa le avrebbe detto, ora, se l’avesse vista promessa in
sposa ad un uomo che
non amava? Non sapeva neppure cosa fosse, l’amore.
Di certo non quella
fastidiosa sensazione, quell’amaro rimpianto sulla punta
della lingua per un
sentimento infinitamente prezioso che, probabilmente, non avrebbe mai
avuto
occasione di poter provare.
Sciocchezze,
erano state le parole di sua madre. Schiena
ritta e portamento fiero, Cissy,
non
ti curare di null’altro che di questo. E’
ciò che di meglio tu possa sperare di
essere, in questo mondo: una bellissima, piccola stupida.
I festeggiamenti terminarono al calar del sole, dopo il
taglio di
un’imponente torta a tre piani decorata con maestria dai
pasticcieri personali
della famiglia Malfoy.
Gli invitati si congedarono, uno dopo l’altro, con un
ordine ben preciso e studiata lentezza, allo stesso modo in cui erano
arrivati.
I promessi sposi accompagnarono il loro commiato distribuendo senza
tregua
alcuna sorrisi ed educati ringraziamenti, finché il cielo,
fuori dalle immense
vetrate del salone, non si tinse di scuro.
Si separarono l’uno dall’altro esattamente come
avevano salutato i propri
ospiti, scambiandosi lo stesso luminoso, menzognero sorriso, quasi
congratulandosi l’un l’altro per
l’impeccabile messa in scena.
Sarebbero presto convolati a nozze, dopotutto, e in seguito Narcissa si
sarebbe
trasferita definitivamente al maniero dei Malfoy; instaurare una
pacifica
convivenza avrebbe reso, per entrambi, tutto molto più
semplice.
ii.
❝You get lighter the more it
gets dark. ❞
— Coldplay, A Sky Full Of Stars.
La paura serpeggiava
infida, silenziosa, insinuandosi, gelida come la morte, nei cuori di
tutti i
presenti.
Si poteva quasi sentirne il fiato pesante, insopportabilmente caldo,
sul collo,
sulle guance, sul petto — erano stati riuniti attorno a quel
tavolo per un
motivo ben preciso, un’idea estremista che, nel bene e nel
male, li accomunava
tutti.
Narcissa sapeva ormai da tempo che prima o poi sarebbe accaduto.
Tutti i Purosangue erano stati cresciuti ponendo, al di sopra di ogni
legge o
etichetta, l’assoluta superiorità del proprio
sangue rispetto ai Maghi di
sangue misto. O, ancor peggio, di sangue
sporco. Nati Babbani.
Tuttavia, non tutti condividevano tale principio tanto
radicalmente; nel
suo caso, seppur fermamente convinta del credo tramandatole dai propri
genitori,
la donna non aveva mai prestato particolare attenzione a ciò
che si trovasse al
di fuori del proprio, piccolo universo: fintanto che i Babbani e le
loro
discendenze non interferivano con la sua vita, avrebbe tranquillamente
ignorato
la loro esistenza, in quanto non era mai stata naturalmente predisposta
alla
violenza.
Al contrario di sua sorella Bellatrix, succube delle proprie
emozioni, e di Andromeda, così estroversa e indipendente,
lei aveva sempre
preferito la pacatezza.
Proprio come il fiore di cui portava il nome, Narcissa amava stordire con le proprie parole,
inebriare, manipolare le persone con quell’incommensurabile e
sottovalutata
forza.
Ma si era ritrovata all’improvviso, e senza alcuna via di
scampo, a dover
sostenere l’ascesa di un Male che tutti sapevano di non poter
combattere —
aveva osservato impotente, e con sommo orrore,
colui che uomo non poteva esser definito conquistare il
potere
spazzando via giovani vite come fossero state foglie in balia del
vento, aveva
visto il Mondo Magico esser sconvolto e scoprirsi impreparato a
contrastare un
tale potere.
Lucius aveva atteso la sua venuta impaziente, inconsapevole, forse, del
sacrificio al quale si stava volontariamente immolando, e a nulla erano
valsi i
suoi tentativi di farlo rinsavire.
Del tutto vani sarebbero stati in ogni caso, in quanto solo
in quel momento prendeva coscienza del fatto che non
sarebbero
mai stati in grado di fuggire abbastanza lontano da lui.
Era troppo tardi, ormai, per poter tornare indietro. Troppo
tardi per poter cancellare quel Marchio tatuato indelebilmente
sull’avambraccio
sinistro di suo marito, per cancellare il sangue di cui le sue dita
affusolate
si erano macchiate.
Lei si era rifiutata. Aveva schermato i suoi pensieri dietro una
potente
barriera, sfruttando al massimo le proprie capacità di
Occlumante, e aveva
pregato che lui non la infrangesse.
Non aveva voluto quel Marchio, aveva giurato dinanzi a Dio che avrebbe
seguito
suo marito ovunque, nella buona e nella cattiva sorte, ne avrebbe
condiviso il
destino e supportato gli ideali.
Sarebbe stata fedele al Signore Oscuro, ma rifiutando il Marchio Nero
sentiva
la possibilità, un giorno, di poter fuggire da quella
realtà. Un modo per
lasciarsi tutto alle spalle, se mai tutto
fosse finito.
Forse fu per quello che, lentamente, Lucius
s’innamorò di lei.
Nel buio che l’ascesa al potere di Lord Voldemort aveva
portato, Narcissa Black
in Malfoy era un faro di luce: l’unica in grado di splendere
di luce propria,
seguendo le idee della massa senza mai omologarsi del tutto ad essa.
Aveva
compiuto una scelta autonoma — quella di non portare il
marchio — con il coraggio
di fronteggiare colui che persino la morte non sembrava in grado di
poter
sopraffare.
Aveva avuto quel coraggio che a lui era mancato e a lungo, per questo,
l’aveva
odiata.
Lui, che sin da bambino aveva imparato a non chinarsi dinanzi a
nessuno, a
farsi obbedire e ad ottenere tutto ciò che voleva, subito, era ora costretto ad eseguire gli
ordini di un padrone che
non gli riconosceva alcun diritto.
Piegato, manovrato,
costretto a sporcarsi le mani per rispettare le disposizioni di qualcun
altro.
Eppure s’era cullato dietro la certezza d’aver
fatto la scelta giusta,
denominando quella che altro non poteva essere chiamata, se non
sottomissione,
come istinto di sopravvivenza.
Vigeva
la legge del più forte, e lui ad essa s’era
adattato.. avrebbe reclamato la sua
fetta di potere poi, quando il Signore Oscuro fosse giunto al potere.
Ma lei,
così dannatamente fiera, aveva esibito un orgoglioso
coraggio al cui confronto
qualunque altra cosa sfigurava.
Quella donna a lui del tutto estranea che aveva
portato all’altare senza amore, che aveva sposato
perché necessario,
perché ancor prima che lui fosse stato in grado
d’intendere e volere qualcun altro aveva scelto per lui, e
aveva scelto lei.
E lui l’aveva scelta, inconsapevolmente, molte volte.
L’aveva scelta in silenzio, osservandone la figura algida e
fiera passeggiare
fra i corridoi di Hogwarts, il mento alto e la schiena ritta.
L’aveva scelta
per i suoi occhi scuri, che tanto di contrasto erano sul suo viso
— pozze scure che celavano lacrime
inaccettabili.
La sceglieva, ora, per la salda roccia ch’era la
sua fierezza.
Narcissa s’innamorò di lui in silenzio.
Si svegliò un mattino, la luce fioca dell’alba ad
accarezzarle la pelle nuda, e
s’accorse d’amare il profilo delle sue spalle
bianchissime.
Si scoprì
impregnata del suo profumo, lavata dai suoi casti baci, e si rese conto
d’aver
riscritto, inconsapevolmente, la propria realtà.
Conosceva di lui il tono
strascicato, l’immancabile tè del mattino,
l’ordine maniacale in cui aveva
fatto predisporre i propri libri e le sue fisse abitudini.
Si rese conto d’amarlo, e di non volerlo ammettere.
D’amare di lui ogni cosa,
le imperfezioni che lo rendevano ciò ch’era.
Accolse questa consapevolezza,
Narcissa, e la nascose a lungo.
iii.
❝« Think how you love me,
» she whispered. « I don't ask you to
love me always like this, but I
ask you to remember. »
« You'll always be like this to me. »
« Oh no; but promise me you'll remember. » Her
tears were falling. « I'll be
different, but somewhere lost inside me there'll always be the person I
am
tonight. » ❞
— F.
Scott Fitzgerald, Magnetism.
Sangue vivido e viscoso insozzava la candida trapunta del letto su cui
Narcissa
l’aveva fatto stendere.
Sangue sulle sue mani, sulla sua camicia stracciata, e quando Lucius
tese una
mano per accarezzarle i capelli fini, gli occhi grigi persi dietro una
nebbia
di dolore, il sangue sporcò anche lei.
Lei, che pareva così limpida e pura, la fronte corrugata
dall’impegno — era da
un’ora, ormai, ch’era impegnata a medicare i
numerosi tagli che solcavano la
pelle pallida di suo marito — fu sporca del sangue di lui,
delle sue azioni
brutali,
macchiata da colpe che non aveva commesso. Non in prima persona.
Avrebbe potuto fuggire, Lucius; una volta appurata la propria
inferiorità
numerica, loro avrebbero potuto
ripiegare, Smaterializzandosi.
L’Ordine era diventato, giorno dopo giorno, anno
dopo anno, sempre più forte, sempre
più meticoloso negli attacchi — tuttavia, il
Signore Oscuro aveva dato ordine
d’uccidere.
Eliminare il problema estirpandolo alla radice: quale miglior modo di
sopprimere un ideale, se non estinguendone i seguaci? Come piegare un
popolo,
se non togliendogli la speranza?
Da ambo le parti, Auror e Mangiamorte altri non erano che burattini,
pedine
sacrificabili per uno scopo più alto — e
cos’importava, allora, del bilancio
dei caduti?
Quanto era misera, una vita umana, insignificante,
in confronto al fine ultimo per cui ognuno lottava.
Per quanto ciecamente Lucius Malfoy credesse negli ideali promossi da
Lord
Voldemort, una prorompente voglia di vivere lottava allo stremo contro
le
azioni che egli stesso stava compiendo.
La morte l’aveva sfiorato talmente da vicino, quella notte,
tanto vivide erano
state le sue gelide dita desiderose di fermargli il cuore, che ora
quest’ultimo
ancora batteva all’impazzata, desideroso, forse, di
riprendersi ogni battito
che quell’esperienza gli aveva rubato.
E lui non vedeva più nulla, non pensava più a
nulla, se non a quanto avesse da
perdere.
Avvicinò il viso a quello di lei e furono labbra su labbra,
un bacio rovente
dal sapore amaro del sangue e dell’unica, solitaria lacrima
che aveva rigato il
viso di Narcissa Malfoy — quanto,
quanto
era stata vicina a perderlo, quella notte,
a vedere la luce spazzata via dai
suoi occhi.
Le mani di Lucius erano ovunque, sul suo collo, sul suo viso,
sui suoi
fianchi, quasi ad accertarsi che lei fosse davvero lì,
incantevolmente viva.
E così vera
era la sensazione della sua pelle accaldata sotto le dita
frementi di lui,
dei suoi capelli fini, sciolti, che le accarezzavano il volto e ne
addolcivano
gli zigomi marcati — lasciò scivolare fuori
dall’asola il primo bottone della
sua camicia, lentamente, quasi fosse un
gesto d’estrema importanza. Fu allora che si
scostarono, il tempo
necessario per riprender fiato.
Il tempo necessario perché lui cogliesse negli occhi di lei
un assenso e,
insieme, un desiderio nascosto e mai del tutto assopito.
Furono di nuovo due
corpi senz’altro punto di contatto che un bacio, che quelle
labbra.
Lei, che
mai s’era lasciata guidare soltanto da sentimenti irrazionali
e ragionamenti
illogici, si scoprì invasa da una forza tanto ardente, da
una tale brama di amare
ed essere amata, da non potervisi sottrarre.
Si rese conto d’amare quelle mani carezzevoli, possessive ma
mai violente, e di
agognare il loro tocco.
Distesi su un letto ormai non più sporco di sangue
— labbra a baciare altre labbra,
pelle a sfregare altra pelle, occhi che
si cercavano, corpi che cozzavano in un’esplosione di
carezze, paura e cocci
infranti —
s’accorsero d’amarsi in
modo completo e totalizzante. Strati di vestiti che scivolavano via
insieme
alla lucidità di entrambi, lampi di piacere ad offuscare i
loro sguardi.
E quando la forza ch’era tra loro, dentro
di loro, a bruciare i cuori ed infiammare le terminazioni
nervose,
raggiunse l’apice — e lo sentirono entrambi, fu
come colmarsi fino all’orlo ed
essere prossimi a traboccare, ad esplodere, con la potenza sconvolgente
d’un
uragano che non avrebbe lasciato sopravvissuti — fu allora
che si persero.
Arrivarono a perdersi, a perdere tutto:
ogni cognizione del tempo e della realtà.
Furono due corpi uniti a tal punto da non riconoscersi, l’uno
abbandonato
nell’altro, l’uno la speranza dell’altro;
fu come morire.
Nell’attimo eterno in
cui tutto parve fermarsi, ci fu nient’altro che il battere
all’unisono di due
cuori, e ne riemersero come rinati. Lucius la vide, la speranza.
Si lasciò cadere al fianco di Narcissa, il respiro
irregolare e prossimo a
spezzarsi nuovamente, e solo allora la notò.
S’accese timorosa, come la
fiammella d’una candela in balia del vento, e altrettanto
rapidamente si
spense.
iv.
❝You do what it takes to protect the
ones you love, whatever the cost. ❞
—
Anonymous.
Malfoy Manor s’ergeva s’una collina solitaria,
lontano dalla confusione delle
grandi città e dalla rozza ordinarietà
dell’aperta campagna, dominando sul
paesaggio circostante.
Imponenti mura scure, recintate d’alte siepi ben curate,
poggiavano su solide e
antiche fondamenta; antiche quanto il silenzio opprimente che pareva
albergarvi
sin dalla sua costruzione, riempiendo le innumerevoli stanze vuote e i
silenti
corridoi.
Lucius ne conosceva ogni sfumatura, aveva imparato ad apprezzarne i
segreti e ne apprezzava la compagnia.
Tuttavia, nelle ultime settimane quel vecchio
compagno di giochi aveva assunto le fattezze d’una tortura
insopportabile, una
violenza psicologica che lo asfissiava e gli impediva di respirare.
Non un
rumore spezzava l’imperturbabile quiete, nessun volto
sembrava deciso ad aprire
la porta dietro la quale s’era ostinatamente barricato.
Chiusa nella sua
stanza, Narcissa non usciva, ormai, da giorni.
Dobby, l’Elfo incaricato di portarle il cibo
all’orario dei pasti, compiva il
suo dovere e non poteva in seguito aprir bocca, perché
forzato al silenzio da
lei stessa.
Inizialmente, Lucius aveva attribuito la causa della sua assenza ad un
malessere, ma era stato ben presto rassicurato su quel fronte: la signora era in perfetta salute, ma
preferiva non lasciare la sua stanza e godere di un po’ di
riposo.
Lui,
trovandosi d’accordo, non aveva indagato oltre; eppure i
giorni erano passati,
lasciando la situazione del tutto immutata.
Non riusciva a capire, non riusciva davvero
a comprendere perché mai sua moglie avesse dovuto assumere
un comportamento
simile, e aveva tentato di giustificarla in mille modi.
Se da un lato avrebbe
voluto rispettare la sua riservatezza, dall’altro gli era
ormai impossibile
ignorare la faccenda. Dunque aveva bussato due volte, per cortesia, ed
era entrato
in silenzio, richiudendosi la porta alle spalle.
L’aveva trovata così, con indosso gli stessi abiti
che portava nel giorno in
cui l’aveva vista l’ultima volta: seduta dinanzi
alla finestra, lo sguardo
perso dietro qualcosa, in quel cielo d’un azzurro terso, che
Lucius non
riusciva a vedere.
La sua bellezza lo colpì, incredibilmente, ancora una volta.
Nonostante i capelli che le cadevano scomposti attorno al viso, la
pettinatura
che portava di solito completamente sfatta, nonostante il viso pallido
e le
occhiaie profonde e violacee a circondarle gli occhi, lui la trovava
comunque
bellissima.
Una bellezza spenta, pensò. Quella
d’un fiore appassito.
Furono gli occhi a spaventarlo — non erano soltanto
spenti, erano persi, disperati,
congelati in un attimo di
estremo dolore. Solo allora notò il tremito convulso che
interessava le sue
dita, strette sul ventre, e impallidì.
« Narcissa »
La sua voce fu un soffio tremulo.
« Narcissa »
Lei non accennò a muoversi, persa dietro una sofferenza che
lui non sembrava in
grado di poter comprendere. La sua voce non pareva raggiungerla, le sue
parole
non erano in grado di far breccia in quelle mura che,
inconsapevolmente, lei
s’era costruita attorno.
Si dondolava,
chiusa, come una conchiglia. Lui dovette chiamare, e chiamare, e staccarle via i vermi che la soffocavano
come appiccicose perle.
Solo allora — dopo ch’ebbe pronunciato il
suo nome innumerevoli volte, vide
il collo di lei muoversi e il viso
ruotare, lentamente, come gli attimi che precedono una caduta:
inesorabili.
I suoi occhi scuri, fino a pochi istanti prima annebbiati, persi,
sembrarono
indurirsi all’improvviso, sostenendo lo sguardo di lui con
rabbiosa
determinazione. E Lucius sembrò spezzarsi dentro.
« E’ colpa tua, »
sussurrò Narcissa,
nella voce il tono insindacabile d’una condanna. «
E’ tutta colpa tua..
»
Ne fu talmente sconvolto da non avere il coraggio di proferir parola,
certo che
lei avrebbe proseguito, che avrebbe spiegato —
impietrito, rimase quasi in attesa del momento in cui
l’incantesimo si
sarebbe infranto,
rivelando l’ordinaria, meravigliosa
realtà nascosta dietro quell’inspiegabile follia.
Allungò una mano nella sua direzione, tremante, scostandole
una ciocca di
capelli dalla fronte, e fu come aver volontariamente lasciato che, da
una singola
scintilla, divampasse un incontrollabile incendio.
« Non toccarmi! » sibilò lei, gli
occhi bellissimi gonfi di rabbia e di lacrime,
saltando in piedi come morsa da un serpente velenoso. « Non
ti permetterò di
toccarmi di nuovo, di farmi del male — non
un’altra volta! »
Lucius dovette appoggiarsi fermamente alla sedia dove, sino a pochi
istanti
prima, lei era seduta. Altrimenti sarebbe caduto, rovinando a terra
insieme a
ciò che restava del suo razionale autocontrollo.
« Narcissa, ti prego, io
non capisco..
»
« Sono incinta, Lucius. Incinta!
»
Lui impiegò alcuni secondi ad elaborare la notizia, le
labbra socchiuse ed
immobili alla ricerca d’aria.
Una gioia sconfinata gli strinse il cuore,
bruciandogli nelle vene e raggiungendo, poi, il cervello — e
fu allora che un
gemito sommesso spezzò il silenzio, riportandolo bruscamente
alla realtà.
« Tu non
capisci, non è vero? Non ti
rendi conto di ciò che hai fatto, di ciò che abbiamo fatto? Un
bambino
necessita di amore, di sicurezza — quali speranze
avrà, in un mondo come
questo?
Siamo divorati dal male, fatti a pezzi, burattini
portatori di morte e tu, proprio tu dovresti saperlo! Non
voglio che nostro figlio cresca in questo modo, non lascerò
che viva tutto ciò
che noi stiamo affrontando, lui non se lo merita.. »
Si interruppe, le guance rigate di lacrime, mentre tremiti convulsi le
scuotevano le spalle.
« Noi saremo lì a proteggerlo. Non lasceremo che
soffra, lo renderemo felice, ed
io — »
« Tu cosa, Lucius? Cosa
potresti fare
tu, con quel Marchio a segnarti la pelle, quasi fosse una firma sotto
la tua
condanna a morte?
E cosa potrei fare io,
barricata dietro le mura di questo silenzio, nascosta come un topo in trappola, ingannata da
un’illusoria convinzione di
essere al sicuro.. nessuno è al
sicuro,
nessuno lo sarà mai.
Lo abbiamo ferito ancor prima che potesse nascere,
lasciando a gravare sulle sue fragili spalle una simile condanna,
lasciandolo a
combattere una guerra in cui non ha scelto di partecipare.. »
Avrebbe voluto risponderle, Lucius. Avrebbe voluto gridarle contro
parole piene
di rabbia, urlando che ciò che aveva fatto l’aveva
fatto per lei, che aveva scelto ciò che era meglio
per tutti loro,
che lei
era l’unico motivo per cui lui era ancora lì, vivo, perché quando delle
notti la paura lo divorava apriva gli
occhi nel buio e lei era lì, e la sua vista bastava a non
farlo impazzire — e
intanto lei scivolava via.
Lentamente, raggiunse la porta, abbassandone la
maniglia con esasperante lentezza.
Non andar via, avrebbe voluto dirle.
« Cosa hai intenzione di fare, ora? »
sussurrò, invece, preda di un’infinita
stanchezza.
« Proteggerò chi amo, a qualsiasi costo.
»
Con un gemito strozzato, Lucius si rese conto che Narcissa non parlava
di lui. Che avrebbe protetto il bambino.
Dal
canto suo, lei uscì in corridoio, lasciando che la porta le
si chiudesse alle
spalle, e di nuovo scoppiò in lacrime.
Guardarsi negli occhi ma mai nel cuore. Era
questa la strategia che entrambi avevano scelto di adottare.
Lucius prendeva parte a
missioni sempre
più pericolose, la vita appesa ad un filo —
Narcissa respirava profondamente
per combattere le continue nausee.
Sorridere insieme agli eventi di alta
società, annunciare con gioia la
buona
notizia.
Si amavano in silenzio, i cuori distrutti da divergenze
irreparabili.
Lucius lasciò che lei scegliesse Hogwarts, piuttosto che
Durmstrang — Narcissa
scelse Lucius come secondo nome.
Sperò che suo figlio ereditasse gli occhi di lui, e che la
guardasse pieno
d’amore come suo marito non sembrava più in grado
di fare.
Si amavano in
silenzio. Si cercavano, senza però volerlo ammettere.
Quanto può esser grande la paura di distruggere
ciò che più si ama al mondo?
Le
persone possono essere amate, ma questo non basterà a
salvarle. Era questo che
si ripetevano. Meglio star lontani che ferirsi irreparabilmente.
Non erano
riusciti a salvarsi, loro, a
mettersi
al riparo da quella guerra. E se avessero fatto lo stesso con Draco? Se
non
fossero stati in grado di proteggerlo?
Guardarsi negli occhi ma mai nel cuore. Forse avevano paura,
entrambi, di
trovare l’uno nell’altro un aspro rimprovero alla
loro vigliaccheria.
Angolo Autrice.
Meritereste un premio solo per essere arrivati fin qui, giuro! Mio Dio,
non
riesco a credere di essere finalmente riuscita a terminare questa OS.
L’ho
iniziata durante le vacanze di Natale, senza la minima ispirazione, poi
l’ispirazione mi ha preso e ho cominciato a scrivere come se
non ci fosse stato
un domani — arrivata
alla fine, però,
non avevo la più pallida idea di come finire.
Non ce l’ho tuttora, né il
risultato mi convince. Mi sembra di non aver reso giustizia alla
storia..
premettendo che avrei preferito un lieto fine,
perché questa ship — che prima
di scoprire questo contest non avevo mai preso in considerazione quanto
merita
— è una di quelle che un lieto fine se lo guadagna
pagina dopo pagina; tuttavia
un amore disfunzionale,
distrutto dagli stessi protagonisti, era il tema
principale del contest. Ho amato scrivere di questi due personaggi.
Spero di
aver reso loro giustizia, e di aver fatto altrettanto con il contest.
Spero vi sia piaciuto!
Love you always,
— afterallthistime.