Capitolo XVII – Errori di valutazione
Lo
zigomo doleva più di quanto non avesse fatto la prima e ultima volta in cui
aveva ricevuto un pugno da Kakaroth.
O
Son Goku, come si faceva chiamare allora.
Ma
Yamcha, nel frattempo, non aveva elaborato alcuna strategia
per difendersi da un altro eventuale attacco da parte del saiyan.
Perché
mai, in fondo, quel maledetto avrebbe dovuto attaccarlo?
Il
torneo era finito da un pezzo, e i malvagi
avevano ottenuto tutto ciò che potevano desiderare: il controllo di Furipan, la collaborazione della principessa e persino le sfere del drago.
Ecco
perché il pugno di Kakaroth gli aveva procurato più
incredulità che dolore.
Non
se lo sarebbe mai aspettato, dopo tutto; non dopo che quel saiyan
era riuscito tanto brillantemente a spianare la strada ai suoi compagni.
«Si
può sapere che diavolo vuoi?»
«Lo
sai benissimo cosa voglio, terrestre.»
Yamcha
si passò una mano sulla bocca e raccolse i rivoli di sangue che gli stavano
colando dal naso.
No,
lui non lo sapeva affatto.
A
parte sparire dalla circolazione – vigliaccamente, come aveva osato dire Bulma – egli non aveva fatto proprio nulla di male e,
comunque, niente che avrebbe potuto infastidire i saiyan.
Era
vero: l’idea iniziale era quella di complottare qualcosa con Tensinhan e Jaozi per liberarsi
una volta per tutte di Kakaroth e della sua feccia,
ma in quei pochi giorni che avevano avuto a disposizione, loro tre non erano
riusciti a concludere niente di niente.
«Tu
sei completamente fuori di testa!» urlò il terrestre, ancora accasciato a
terra. «Che c’è? Ti sei alzato col piede sbagliato?»
Il
saiyan si avvicinò di nuovo a Yamcha
e lo afferrò per il bavero della tuta, fino a farlo sollevare con la forza.
Erano
a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, occhi negli occhi ed entrambi
inferociti.
Goku
detestava dover avere a che fare con i finti tonti e ancor più gli dava noia
l’idea che qualcuno decisamente più debole si permettesse il lusso di prendersi
gioco di lui.
Possibile
che a quell’idiota non fosse bastata la lezione ricevuta al torneo di arti
marziali?
Se
ben ricordava, oltretutto, Yamcha aveva dimostrato
una certa presunzione nei suoi confronti ancora prima di battersi con lui
proprio perché convinto di poter vincere senza problemi.
Un
incompetente, insomma.
Una
vera piaga.
Kakaroth
aveva però erroneamente pensato che la sconfitta subita gli avesse insegnato a
tenere a freno a lingua.
E,
invece, eccolo lì a prendere a pugni un povero disgraziato che fingeva anche di
avere la coscienza pulita.
Solo
per quello, il terrestre avrebbe meritato la morte.
Kakaroth,
però, dovette trattenersi.
Spedirlo
all’altro mondo in quel momento non avrebbe in alcun modo risolto i suoi
problemi e, anzi, forse li avrebbe addirittura fatti aumentare.
Lui
aveva uno scopo, ovvero rientrare in possesso delle sfere del drago e, senza la collaborazione di quel damerino, egli
non ci sarebbe riuscito mai e poi mai.
«Allora,
te lo chiedo senza giri di parole. Dove hai nascosto le sfere del drago?»
Il
cuore di Yamcha, nell’udire quella domanda, perse un
battito.
Che
diavolo stava farneticando quel pazzoide di Kakaroth?
«E
lo chiedi a me? Sei tu quello che è a contatto ventiquattro ore su ventiquattro
con la principessa di Furipan!»
Un
secondo pugno sullo zigomo impedì al terrestre di continuare a parlare.
Il
ragazzo si accasciò a terra dolorante e prese a inveire mentalmente contro il
suo avversario.
Era
chiaro: il saiyan stava cercando una scusa per
attaccare briga con lui e, anche se gli sfuggiva il perché di un simile
comportamento, Yamcha avrebbe fatto qualunque cosa
pur di capirlo.
«Non
accetto che mi si prenda in giro così, idiota. Dimmi dove sono le sfere,
adesso!»
«Ma
che diavolo vuoi che ne sappia? Ti sei bevuto il cervello, per caso?»
Mentre
pronunciava quelle parole, il terrestre ebbe un’illuminazione.
«Ah,
forse ho capito! Tu e la principessa ve le siete fatte soffiare da sotto il
naso, non è vero?»
Un
calcio in pieno volto si aggiunse ai pugni già subiti da Yamcha
per mano di Kakaroth.
L’allievo
di Muten, evidentemente, aveva fatto centro.
Ma
come aveva potuto quel saiyan pensare che fosse stato
lui a prenderle?
Certo,
il ragazzo ci aveva seriamente pensato; ma inoltrarsi nel castello di Furipan da quando ci si erano stabiliti dentro gli invasori
era diventata un’impresa quasi impossibile.
Il
suo primo e unico tentativo si era rivelato un buco nell’acqua e, oltretutto,
per mano non di un malvagio, ma della
sua fidanzata.
Davvero
Kakaroth pensava che lui fosse tanto idiota da rimettere
piede lì dentro senza nemmeno avere in mente un piano efficace?
Magari,
quel saiyan pensava che ne avesse avuto uno.
Ma
si sbagliava! E quanto si sbagliava!
«Smettila
di attaccarmi, accidenti! Hai preso un granchio, lo vuoi capire? Io non c’entro
un bel niente con la sparizione delle tue preziose sfere!»
«Ma
a chi vorresti darla a bere, terrestre? Vorresti forse farmi credere che tu,
per tutto il tempo in cui sei stato lontano dalla corte, non abbia architettato
proprio un bel niente? So benissimo che sei in grado di azzerare la tua aura!
Ci sarebbe voluto poco per te per fregare quell’incapace del Supremo!»
«Cosa?
Vuoi forse dire che le aveva lui?!»
«Smettila
di fare il finto tonto!»
L’ennesimo
colpo che il saiyan stava per infliggere al suo
avversario venne bloccato da Tensinhan.
Il
ragazzo aveva la coscienza sporca e ne era perfettamente consapevole.
Per
la verità, l’idea che fosse qualcun altro a subire le conseguenze del suo gesto
avrebbe dovuto in qualche modo metterlo in una botte di ferro; ma una simile
vigliaccata non faceva proprio per lui.
Tensinhan
era un ottimo guerriero, un giovane dalle incredibili doti tecniche e di grande
coraggio.
Certo,
fare del bene non era esattamente nelle sue corde.
Egli
era stato educato da uno dei maestri di arti marziali più in gamba e cinici del
pianeta, e da lui aveva appreso a non conformarsi troppo al bene.
Dove
avrebbe portato, in fondo, un eccessivo buonismo?
Gli
eventi della vita gli avevano insegnato che nessuno al mondo si sarebbe fatto
scrupoli di fronte a una persona in difficoltà.
Per
sopravvivere in mezzo agli infami, bisognava conformarsi alla loro mentalità e
diventare più spietati di loro.
Lui
lo aveva fatto, e ci aveva guadagnato il rispetto di Condor e la soddisfazione
di vedere tremare di fronte a lui gente che, con altri individui, si sarebbe
comportata da spavalda.
In
quel momento, però, l’idea che qualcuno prendesse pugni al suo posto gli
piaceva ben poco.
Era
incredibile come la vicinanza agli allievi di Muten
avesse in qualche modo plasmato la sua coscienza.
Tensinhan
non avrebbe mai confessato, ovviamente, ma neppure avrebbe permesso che Yamcha perisse sotto i micidiali colpi di quel saiyan.
«Ti
ho già detto prima di non intrometterti» ringhiò Kakaroth,
osservando con sguardo truce l’allievo di Condor.
«Mi
dispiace, ma credo proprio che tu abbia sbagliato persona.»
«Io
penso di no. Sai? Difficilmente il mio intuito sbaglia su certe cose. Il tuo
amico è un codardo, e lo ha dimostrato scappando da Furipan
nonostante i suoi compagni fossero tenuti dai saiyan
ai lavori forzati. E poi, l’ho visto con i miei occhi aggirarsi furtivamente
nei dintorni del castello. Credo che se ne sia accorto anche Vegeta! Se il
principe venisse a sapere della sparizione delle sfere del drago, da chi credi che andrebbe a cercarle?»
«Yamcha è soltanto un ingenuo. Ha agito d’impulso! Ma sono
sicuro che lui non c’entra niente.»
Le
parole di Tensinhan in sua difesa accesero
nell’allievo di Muten un agghiacciante sospetto.
Il
ragazzo con cui aveva deciso di collaborare non godeva certo di un’ottima
reputazione presso Muten. Yamcha
non aveva dato troppo peso ai brutti epiteti che il suo maestro aveva riservato
agli allievi di Condor, anche perché, in effetti, questi ultimi erano stati i
soli a dar credito ai suoi sospetti circa la natura ambigua di Kakaroth.
Però
– e questo doveva purtroppo ammetterlo – il guerriero dai tre occhi aveva
sempre mantenuto nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo.
Lo
aveva coinvolto solo in parte nei suoi piani, tenendolo all’oscuro di tanti
dettagli che, evidentemente, egli aveva poi studiato e analizzato per conto
proprio.
C’era
anche da dire che troppe volte, nel corso delle lunghe giornate che
trascorrevano insieme, egli lo aveva perso di vista, senza però chiedersi con
troppa insistenza dove fosse finito.
E
se fosse stato proprio lui a rubare le sfere
del drago?
In
fondo, Yamcha gli aveva insegnato personalmente ad
azzerare l’aura, quindi, in effetti, Tensinhan poteva
rientrare benissimo nella lista dei sospettati.
Tutti
le sue riflessioni, però, furono interrotte dall’improvviso avvicinarsi di
un’aura a lui conosciuta.
Era
debole, certo, ma molto familiare.
Kakaroth
si voltò di spalle.
Era
chiaro: anche lui se n’era accorto.
Chichi
li stava raggiungendo a e elevata velocità.
Veniva
dall’alto.
Possibile
che avesse imparato a volare?
***
Bulma
non aveva mai guidato un elicottero con tanta ansia.
Aveva
una paura matta di ciò che sarebbe accaduto molto presto nella Città
dell’Ovest.
Vegeta
non era esattamente il tipo di persona che si potesse convincere con le buone a
desistere da un determinato proposito.
Ora,
il principe dei saiyan
aveva un obiettivo ben preciso: mettere le mani sul radar cerca sfere.
Tentare
di allungare la strada per arrivare alla Capsule Corporation sarebbe stata una
mossa controproducente. Non solo, infatti, Vegeta se ne sarebbe accorto, ma la
scienziata avrebbe addirittura rischiato di farlo innervosire ancora di più.
Ecco
perché ella sperava con tutta sé stessa che Crilin
avesse ricevuto il suo messaggio.
Bulma
non sapeva esattamente se il suo amico sarebbe stato in grado di fare qualcosa
– e, soprattutto, per tempo – ma, di sicuro, non poteva lasciare nulla di
intentato.
Era
in gioco la vita dei suoi genitori, oltre, naturalmente, all’incolumità di
tutti i terrestri.
E
la cosa peggiore era che la colpa era sua.
Solo
ed esclusivamente sua.
***
«Eppure… Eppure ero assolutamente certo di aver installato
nel nuovo prototipo di auto volante anche un dispositivo per il posizionamento
automatico della sveglia da bordo. Mia cara, per caso hai idea di che fine
abbia fatto?»
«No,
mi dispiace. Vuoi che ti prepari una tazza di tè?»
Il
signor Brief sollevò la testa dall’ultimo bolide
appena collaudato e prese a guardare la sua dolce e tenera moglie.
No,
decisamente no.
Quello
non era affatto il momento adatto per concedersi un break, ma la tenera
signora, in realtà, quel tè lo aveva già preparato e stringeva tra le mani la
tazza fumante.
Quella
donna sapeva sempre come sorprenderlo.
A
lei non interessava un bel niente della scienza e della tecnologia.
Probabilmente,
su tutto il pianeta non c’era una coppia più male assortita della loro.
Eppure,
nonostante l’apparente incompatibilità dei loro caratteri e dei loro interessi,
i coniugi Brief erano una coppia solida e felice,
nella quale ognuno dei due sposi contribuiva a rendere appagante la vita
dell’altro.
Bulma
era il risultato del loro più che ventennale amore.
Quella
ragazza era la sintesi perfetta tra la bellezza angelica della madre e
l’acutissimo cervello del padre.
Al
signor Brief piaceva molto rimuginare sulle qualità
della sua splendida figliola: egli sapeva che quella ragazza aveva talento da
vendere nel campo della tecnologia e che, molto presto, sarebbe probabilmente
riuscita anche a superare suo padre.
Peccato
che avesse una tendenza sfrenata a cacciarsi nei guai.
Lo
scienziato non avrebbe saputo dire se quella fosse una sua inconscia
predisposizione o se la sua dolce figliola fosse semplicemente sfortunata. Una
cosa, però, era certa: ovunque andasse Bulma Brief succedeva sempre qualcosa di spiacevole.
Sebbene
egli avesse fatto finta di niente con lei, lo scienziato sapeva che a Furipan erano giunti i malvagi.
Era stato lo stesso Muten a metterlo a conoscenza
della novità, pregandolo di accelerare al più presto la realizzazione del radar
cerca sfere.
Egli,
alla fine, ci era anche riuscito.
Il
prezioso oggetto era lì, poggiato su una mensola e pronto all’uso.
Ci
voleva soltanto qualcuno che venisse a prenderlo.
Inizialmente,
Brief aveva pensato di chiamare proprio Muten, ma la proverbiale poca dimestichezza che il grande
maestro aveva con la tecnologia lo fece desistere da un tale proposito.
Perché,
allora, non rivolgersi proprio a Bulma?
In
fondo, la ragazza era lì ormai da diversi giorni e, di sicuro, era molto più
probabile che riuscisse lei a fuggire per qualche ora da Furipan
senza dare nell’occhio, piuttosto che lo facesse Muten.
Tra
l’altro, quest’ultimo nemmeno sapeva guidare un elicottero.
Lo
scienziato posò per terra gli attrezzi che aveva in mano e prese dalle mani
della moglie la tazza di tè.
Era
da parecchio che non si concedeva il lusso di accoccolarsi per terra e di
degustare qualcosa con tanta tranquillità.
Egli,
tendenzialmente, non era un tipo che amasse fare le cose di fretta, ma, da
quando lavorava insieme alla figlia, aveva finito per cambiare le proprie
abitudini.
L’esuberanza
della ragazza l’aveva costretto a rivedere i suoi tempi di lavoro e anche il
suo modo di operare.
Bulma
aveva energie da vendere: era capace persino di lavorare un’intera nottata
senza chiudere occhio se prima non avesse portato a compimento un progetto.
Brief
non aveva mai conosciuto una persona più testarda di lei.
Da
chi diavolo aveva preso, quella benedetta ragazza?
Sua
moglie non era affatto così e tantomeno lo era lui.
Tuttavia,
l’impetuosità di Bulma gli aveva dato un’enorme
carica negli ultimi tempi.
Era
grazie a lei se il dottor Brief aveva portato a
termine vecchi progetti e studi rimasti per anni accantonati tra i suoi file.
Uno
di questi, riguardava la Luna.
Della
sua scomparsa si era parlato molto anni addietro, ma nessuno scienziato era mai
riuscito a trovare una spiegazione plausibile.
A
suo parere, qualcuno l’aveva distrutta.
Un’idea
del genere, peraltro esposta in uno dei grandi congressi tematici riguardanti i
corpi celesti, era stata sbeffeggiata a più riprese, ma lo scienziato aveva
sempre nutrito il sospetto di averci visto giusto.
Chissà
perché, il fatto che Bulma, in occasione dell’arrivo
dei malvagi, avesse messo di nuovo le mani sui suoi vecchi studi sulla Luna,
gli fece pensare, per l’ennesima volta, di aver indovinato alla grande.
«Caro,
oggi sei più silenzioso del solito. Che cosa ti succede?»
«Oh,
tesoro! Niente di che. Stavo solo pensando a Bulma.»
«Ah,
quella benedetta ragazza! Mi fa sempre preoccupare! Ma quando la deciderà di
smetterla di cacciarsi nei guai e di mettere su famiglia? Ormai non è più
un’adolescente! E poi, ha al suo fianco un bellissimo ragazzo! Dovrebbe pensare
un po’ di più a sé stessa invece che a risolvere i problemi del mondo intero.»
Il
dottor Brief prese a sospirare e lanciò un’occhiata
al radar cerca sfere.
«Che
ci vuoi fare. Anche a me piacerebbe che fosse meno spregiudicata, ma è fatta
così. Ormai è adulta e, di certo, non possiamo più sperare che la sua indole
cambi.»
«Chissà
se si sposerà mai. È così bella, la mia bambina! Potrebbe avere intorno tutti
gli uomini che vuole! E quel Yamcha mi pare un
giovanotto per bene. Già mi ci vedo: rilassata, felice, e con tanti nipotini
attorno.»
«Ah,
mia cara! Non credo che quel ragazzo diventerà mai il marito di Bulma.»
«Perché
dici questo?»
«Perché… be’, perché…»
Il
rumore molto familiare di un elicottero interruppe il dottor Brief.
«Oh,
caro! Bulma è arrivata, finalmente!»
«Aspetta!
Non precipitarti subito fuori!»
La
signora Brief, però, non diede ascolto al marito.
In
poco meno di dieci secondi, la consorte dello scienziato più blasonato del
pianeta era già in cortile, in attesa che la sua splendida figlia scendesse
dall’apparecchio.
***
Crilin
non c’era.
La
prima cosa che Bulma aveva fatto appena messo piede
nel giardino della Capsule Corporation fu quella di verificare se il suo amico
fosse già lì.
Purtroppo,
le cose stavano diversamente.
La
scienziata aveva il fiato sul collo.
Vegeta
non aveva proferito mezza parola durante tutto il volo, ma aveva osservato con
morboso interesse tutto ciò che saettava sotto i suoi occhi dal finestrino.
Evidentemente,
da quando aveva messo piede sulla Terra, Vegeta non aveva avuto il tempo di
perlustrarla a sufficienza.
Che
la trovasse interessante?
Evidentemente
sì, visto il religioso silenzio nel quale era piombato durante quell’ora scarsa
di volo.
Tuttavia,
il non sapere esattamente cosa passasse per la testa del saiyan
le metteva una certa inquietudine.
Era
poi troppo imbarazzata per rompere quel silenzio.
Avevano
da poco fatto sesso e l’idea che ciò potesse portarle delle brutte conseguenze
la stava facendo impazzire.
Più
cercava di capire cosa le fosse passato per la testa e più doveva fare i conti
con un’amara verità: quel maledetto principe le piaceva da morire.
E
la sua morte, probabilmente, sarebbe stata l’inevitabile conclusione di tutta
quell’assurda storia.
Bulma
incedeva a passo lento verso la porta di casa, percependo dietro di sé
l’inquietante presenza di Vegeta.
Ormai
era fatta: Crilin non sarebbe mai arrivato in tempo e
lei doveva solo sperare che il sovrano dei saiyan non
facesse del male a suo padre.
O
a sua madre.
Per
la verità, a impensierire di più Bulma era proprio la
sorte della signora Brief.
Lei
conosceva fin troppo bene la genitrice e sapeva che il suo modo di fare sarebbe
stato assolutamente insopportabile per un tipo come Vegeta.
Peccato
che il destino avesse deciso, per l’ennesima volta, di remare contro di lei.
Bulma
non fece in tempo ad aprire la porta della Capsule Corporation che sua madre
l’aveva preceduta e si era precipitata tra le sue braccia ad abbracciarla.
«Oh,
tesoro mio! Finalmente ti sei decisa a tornare a casa! Ero preoccupata per te,
sai? Ti cacci sempre in tanti di quei guai! Mi fa piacere che tu ti sia fatta
accompagnare da Yamc…»
Il
silenzio che travolse la signora Brief era per Bulma inequivocabile.
Sua
madre doveva finalmente essersi resa conto che l’uomo che stava con lei non era
il suo fidanzato.
La
giovane scienziata prese a tremare e, istintivamente, strinse ancora più forte
a sé la donna più importante della sua vita.
«Mamma,
per favore, non è il momento di chiacchierare. Ho urgenza di vedere papà.»
La
bella signora Brief, però, sembrava totalmente
disinteressata alle parole della figlia.
Ella
guardava con stupore e con sfacciata curiosità lo splendido giovane che Bulma aveva portato con sé a casa.
Doveva
ammetterlo: Yamcha era un bellissimo ragazzo, ma il
tizio che aveva in quel momento davanti agli occhi era ancora più attraente di
lui.
Ella
aveva sempre avuto buon gusto in fatto di uomini e riusciva perfettamente a
cogliere la bellezza di un individuo anche se costui tentava di mascherarla.
Ma
la persona che accompagnava Bulma non cercava di
nascondere un bel niente.
Era
lì, dietro la sua dolce figliola, ostentando un portamento fiero e decoroso e
mostrando senza remore la sua sviluppatissima muscolatura.
La divisa che indossava, di un modello che mai le era capitato di vedere prima
di allora, metteva ancora di più in risalto il suo fisico scolpito.
Lo
sguardo di quel giovane non pareva né particolarmente sereno né, tantomeno,
rilassato.
Eppure,
la strana inquietudine e la rabbia che scorgeva in quegli occhi le sembravano
avere un fascino ammaliatore.
«Tesoro,
che cos’è questa novità? Non sapevo che avessi un nuovo ragazzo!» sussurrò a
mezza bocca la signora Brief all’orecchio della
figlia.
Bulma
avrebbe voluto sprofondare e sperò con tutta sé stessa che Vegeta non avesse un
udito raffinato a tal punto da udire le parole dell’irriverente madre della
scienziata.
«Infatti,
mamma. Tappati la bocca e non dire più mezza parola. Devo vedere papà, adesso.
Lasciami entrare in casa!»
«Quanta
fretta, tesoro! Hai fatto… Anzi, avete fatto un viaggio molto lungo! Rilassati un attimo! Tuo padre
è in laboratorio e sta’ sicura che non scapperà!»
«Oh,
andiamo! Ma quale viaggio lungo! Mamma, lasciami andare. Ho fretta!»
L’affascinante
signora sciolse l’abbraccio che la legava alla figlia e si avvicinò allo
sconosciuto accompagnatore.
Era
bello, c’era poco da fare.
Bulma
aveva la testa dura e anche un pessimo carattere, ma, chissà come, riusciva
sempre a farsi circondare da uomini molto interessanti.
«Perdona
la scortesia di mia figlia, ragazzo. Ha sempre così poco tatto! Comunque,
accomodati pure dentro casa. Sei il benvenuto!»
Vegeta
lanciò un’occhiata infuocata prima alla signora Brief
e poi a Bulma.
Che
razza di donna spudorata era quella?
Possibile
che fosse davvero la madre della scienziata?
Di
cose assurde, il principe dei saiyan ne aveva viste
in giro per l’universo; ma che una persona dall’intelligenza spiccata come la
giovane che poche ore prima aveva fatto sua fosse stata partorita da una
creatura tanto sprovveduta quanto poco perspicace era a dir poco ridicolo.
Era
forse uno scherzo della genetica, quello?
Probabile,
o magari Bulma lo stava solo prendendo in giro.
Vegeta,
comunque, ignorò l’eccentrica signora e si avvicinò a Bulma,
col risultato di far tirare a quest’ultima un sospiro di sollievo.
La
bella scienziata aveva seriamente temuto per l’incolumità della genitrice.
Le
voleva bene e sapeva che se le fosse capitato qualcosa per colpa sua non se lo
sarebbe mai perdonato.
Forse
Vegeta aveva letto nei suoi occhi la preoccupazione che aveva?
Chissà;
di sicuro, era bene approfittare della magnanimità del principe dei saiyan prima che cambiasse idea e decidesse di far saltare
in aria sua madre e tutta la Capsule Corporation.
«Vedi
di darti una mossa, Bulma. Non ho molto tempo da
perdere, come ben sai.»
«Certo»
sbuffò la ragazza «e come potrei dimenticarlo? Seguimi.»
***
Al
suo interno, quella che Bulma aveva chiamato più di
una volta con il nome di Capsule Corporation era una vera meraviglia della
tecnologia.
Raramente
Vegeta aveva potuto ammirare tanta spropositata evoluzione scientifica in giro
per l’universo.
Certo,
lui non avrebbe mai usato dei robot tanto avanzati solo per pulire una stupida casa;
però doveva ammettere che, se sfruttati in altri modi, quegli aggeggi metallici
avrebbero potuto facilitare non poco il suo ruolo di sovrano dei saiyan.
In
fondo, quello era il tipo di dimora che il principe dei saiyan
aveva immaginato per Bulma: estremamente lussuosa,
comoda oltre ogni dire e superavanzata tecnologicamente.
Il
senso di delusione provato nello scoprire che razza di madre avesse colei che,
volente o nolente, sarebbe presto diventata a tutti gli effetti la sua donna,
stava pian piano lasciando il posto a una rassicurante presa di coscienza: ci
aveva visto giusto.
La
Capsule Corporation era un mondo a parte, profondamente diverso dagli altri
edifici del pianeta.
Era
maestosa, imponente, ricca.
Perfetta,
insomma.
Perfetta
come ipotetica dimora reale.
L’uomo
che il principe scorse accucciato al pavimento di quello che, a detta di Bulma, doveva essere il laboratorio scientifico, aveva un’aria
mesta e piuttosto trasandata.
Si
era accorto subito del loro ingresso il famoso dottor Brief.
Li
aspettava con ansia, a dire il vero.
Certo,
che Bulma arrivasse in compagnia di qualcuno non era
di affatto previsto, ma lo scienziato aveva imparato già da diversi anni a
tenere la bocca chiusa, soprattutto quando le faccende non risultavano troppo
chiare e pulite.
In
quel caso, tacere su quel ragazzo gli era sembrata la mossa migliore.
Bulma
non aveva alzato nemmeno per un secondo lo sguardo verso di lui.
Non
solo sua figlia sembrava avere molta fretta, ma, probabilmente, voleva anche
evitare che egli le facesse troppe domande.
Domande
su quel tizio, appunto.
Apparentemente,
il ragazzo in questione non aveva proprio niente di anormale, ma il fatto che
fosse con lei in quell’occasione aveva acceso nella testa dell’eccelso dottore
un campanello d’allarme.
Chi
era costui?
Perché
Bulma lo aveva portato con sé per recuperare il radar
cerca sfere?
Possibile
che…
«Dov’è,
papà?»
«Su
quella mensola, tesoro» rispose prontamente l’uomo indicando il punto esatto
con un indice «ma perché vai tanto di corsa? Calmati un attimo! Non fa bene
alla salute agitarsi così!»
«Lo
so, figurati. E comunque… E comunque non sono
agitata.»
Bulma
si avvicinò alla mensola e prese tra le mani il prezioso oggetto.
Era
più piccolo di quanto immaginasse, a dire il vero, ma la sola fattura che
vantava era una prova dell’elevata qualità del radar.
La
scienziata non fece nemmeno in tempo ad ammirarlo per bene che Vegeta glielo
sfilò dalle mani.
«Questo
lo tengo io, per il momento. E ora
andiamocene.»
Il
signor Brief avrebbe voluto replicare, ma lo sguardo
con cui tacitamente sua figlia lo supplicò di stare zitto lo frenò dal suo
intento.
Quello
era un malvagio; ormai non aveva più
dubbi.
Bulma
doveva essersi cacciata in un guaio parecchio grosso e, se l’intuito non lo
ingannava, almeno in parte doveva essersela cercata.
***
La
signora Brief, dal maestoso giardino della Capsule
Corporation, aveva lo sguardo rivolto verso il portone di casa e ripensava
sognante al misterioso accompagnatore di Bulma.
Doveva
ammetterlo: sua figlia aveva superato tutte le sue più rosee aspettative.
Più
di una volta aveva temuto che rimanesse zitella o che non riuscisse a tenersi
stretto un uomo per più di mezza giornata.
Già
con Yamcha, Bulma aveva
fatto passi da gigante.
Ma
quel ragazzo… Quel meraviglioso ragazzo che aveva
visto scendere con lei dall’elicottero, be’, era una
goduria pura per gli occhi. Dove accidenti era andata a pescare un simile
gioiello antropomorfo? Ah, la sua dolce bambina aveva finalmente deciso di
mettere la testa a posto!
L’allegra
signora canticchiava in giardino.
Era
passato poco più di un minuto da quando Bulma e il
ragazzo senza nome erano entrati dentro la Capsule Corporation, e lei, da brava
padrona di casa, aveva deciso di prendere la scopa in mano e di spazzare per
bene il viale.
Tanto,
prima o poi sua figlia sarebbe dovuta passare da quella porta e, chissà, magari
avendo risolto la famosa questione
urgente con il padre, si sarebbe lasciata andare a una bella chiacchierata
con lei.
Fu
in quel momento che la signora Brief scorse all’orizzonte
qualcosa che dal cielo si stava avvicinando.
E
più il misterioso oggetto si faceva distinto e più si rendeva conto che in
realtà quel qualcosa era qualcuno.
«Oh,
cielo!» esclamò stupefatta la madre della scienziata più spregiudicata del
pianeta. «Ma quello… Quello chi è?»
In
pochi secondi, la bella signora si trovò davanti un uomo, un uomo dal fascino
indiscutibile letteralmente piovuto dal cielo.
«No,
non ci credo! Oggi è proprio il mio giorno fortunato!»
Bardack
si guardò intorno, stupito non poco dalla magnificenza dell’edificio in cui era
appena approdato. Se il terrestre pelato non aveva mentito, quella doveva
essere la Capsule Corporation, la residenza della ragazzina che si era fatta raggirare
come un pedalino dal grande Vegeta.
Già;
peccato che di fronte a lui ci fosse una perfetta sconosciuta, dall’aria anche
piuttosto inebetita.
Il
generale non batté ciglio di fronte all’insistenza con cui quella donna lo
stava guardando.
Che
diavolo aveva quella svampita?
Una
qualunque persona normale avrebbe tremato di paura nel vedere un uomo volare.
A
quanto aveva potuto capire, infatti, non
era una facoltà comune tra gli esseri umani.
Eppure,
quella strana signora non sembrava affatto essere spaventata.
Bardack
evitò qualunque discorso che potesse allungare una conversazione che, già di
per sé e ancora prima che fosse iniziata, non lo entusiasmava affatto.
«Dove
sono il principe e la scienziata?»
Nell’udire
quelle parole, per poco l’esuberante moglie del dottor Brief
non ebbe un mancamento.
Il
tizio in compagnia di sua figlia era… un principe?
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti!
Innanzitutto,
perdonate il mio ritardo ma la scorsa settimana non sono stata molto bene e non
ho avuto il tempo per completare il capitolo.
Oggi,
per fortuna, va un po’ meglio.
Bene,
finalmente abbiamo assistito all’ingresso in scena dei coniugi Brief. Ho cercato di renderli più IC possibile e spero di
esserci riuscita, anche se in realtà non ho ancora dedicato loro tutto lo
spazio che vorrei. Credo proprio che lascerò alla madre di Bulma
ancora un po’ di tempo per godersi i bei maschietti appena atterrati alla
Capsule Corporation.
Kakaroth,
nel frattempo, le sta dando di santa ragione a Yamcha,
che, come ben sappiamo, non c’entra niente con la sparizione delle sfere del drago. Tensinhan
inizia a tal proposito ad avere qualche rimorso di coscienza. Gli ho dedicato
un discreto angolo introspettivo e spero che sia sufficiente a far capire il
suo modo di ragionare. Tra l’altro, Chichi sta per
raggiungere Kakaroth e, molto probabilmente, il
segreto di Tensinhan verrà a galla.
Ok,
ammetto di essere abbastanza stanca e quindi eviterò di dilungarmi oltre con le
note.
Vi
ringrazio, come sempre, per il sostegno che mi date!
Un
bacione :**********
9dolina0