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Autore: 9dolina0    21/01/2015    6 recensioni
«Il futuro di Chichi è drammaticamente avvolto da una coltre di nebbia attraverso la quale i miei poteri non possono penetrare. Vedo i malvagi incombere sul suo regno; vedo il sangue scorrere lentamente lungo le terre di Furipan e contaminare il vostro fiume; ma non posso vedere cosa ne sarà esattamente di vostra figlia. Perderà, usurpata dai malvagi, il controllo delle sfere del drago, ma che lei sopravviva o meno alla venuta di quegli esseri non posso in alcun modo saperlo. Tuttavia, riesco distintamente a scorgere accanto a lei la figura di un giovane forte e valoroso. Non so chi sia, né da dove venga, né se sarà davvero in grado di proteggerla. Cerca quel giovane e spera che possa davvero fare qualcosa. Ma sta’ attento a non confondere il designato con un malintenzionato: il destino di tua figlia potrebbe essere nelle sue mani.»
Amore, lotta, usurpazione e sentimenti...
Un destino da cambiare e una principessa da salvare.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Chichi, Goku | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha, Chichi/Goku
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo XVII – Errori di valutazione

 

 

Lo zigomo doleva più di quanto non avesse fatto la prima e ultima volta in cui aveva ricevuto un pugno da Kakaroth.

O Son Goku, come si faceva chiamare allora.

Ma Yamcha, nel frattempo, non aveva elaborato alcuna strategia per difendersi da un altro eventuale attacco da parte del saiyan.

Perché mai, in fondo, quel maledetto avrebbe dovuto attaccarlo?

Il torneo era finito da un pezzo, e i malvagi avevano ottenuto tutto ciò che potevano desiderare: il controllo di Furipan, la collaborazione della principessa e persino le sfere del drago.

Ecco perché il pugno di Kakaroth gli aveva procurato più incredulità che dolore.

Non se lo sarebbe mai aspettato, dopo tutto; non dopo che quel saiyan era riuscito tanto brillantemente a spianare la strada ai suoi compagni.

 

«Si può sapere che diavolo vuoi?»

 

«Lo sai benissimo cosa voglio, terrestre.»

 

Yamcha si passò una mano sulla bocca e raccolse i rivoli di sangue che gli stavano colando dal naso.

No, lui non lo sapeva affatto.

A parte sparire dalla circolazione – vigliaccamente, come aveva osato dire Bulma – egli non aveva fatto proprio nulla di male e, comunque, niente che avrebbe potuto infastidire i saiyan.

Era vero: l’idea iniziale era quella di complottare qualcosa con Tensinhan e Jaozi per liberarsi una volta per tutte di Kakaroth e della sua feccia, ma in quei pochi giorni che avevano avuto a disposizione, loro tre non erano riusciti a concludere niente di niente.

 

«Tu sei completamente fuori di testa!» urlò il terrestre, ancora accasciato a terra. «Che c’è? Ti sei alzato col piede sbagliato?»

 

Il saiyan si avvicinò di nuovo a Yamcha e lo afferrò per il bavero della tuta, fino a farlo sollevare con la forza.

Erano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, occhi negli occhi ed entrambi inferociti.

Goku detestava dover avere a che fare con i finti tonti e ancor più gli dava noia l’idea che qualcuno decisamente più debole si permettesse il lusso di prendersi gioco di lui.

Possibile che a quell’idiota non fosse bastata la lezione ricevuta al torneo di arti marziali?

Se ben ricordava, oltretutto, Yamcha aveva dimostrato una certa presunzione nei suoi confronti ancora prima di battersi con lui proprio perché convinto di poter vincere senza problemi.

Un incompetente, insomma.

Una vera piaga.

Kakaroth aveva però erroneamente pensato che la sconfitta subita gli avesse insegnato a tenere a freno a lingua.

E, invece, eccolo lì a prendere a pugni un povero disgraziato che fingeva anche di avere la coscienza pulita.

Solo per quello, il terrestre avrebbe meritato la morte.

Kakaroth, però, dovette trattenersi.

Spedirlo all’altro mondo in quel momento non avrebbe in alcun modo risolto i suoi problemi e, anzi, forse li avrebbe addirittura fatti aumentare.

Lui aveva uno scopo, ovvero rientrare in possesso delle sfere del drago e, senza la collaborazione di quel damerino, egli non ci sarebbe riuscito mai e poi mai.

 

«Allora, te lo chiedo senza giri di parole. Dove hai nascosto le sfere del drago

 

Il cuore di Yamcha, nell’udire quella domanda, perse un battito.

Che diavolo stava farneticando quel pazzoide di Kakaroth?

 

«E lo chiedi a me? Sei tu quello che è a contatto ventiquattro ore su ventiquattro con la principessa di Furipan

 

Un secondo pugno sullo zigomo impedì al terrestre di continuare a parlare.

Il ragazzo si accasciò a terra dolorante e prese a inveire mentalmente contro il suo avversario.

Era chiaro: il saiyan stava cercando una scusa per attaccare briga con lui e, anche se gli sfuggiva il perché di un simile comportamento, Yamcha avrebbe fatto qualunque cosa pur di capirlo.

 

«Non accetto che mi si prenda in giro così, idiota. Dimmi dove sono le sfere, adesso!»

 

«Ma che diavolo vuoi che ne sappia? Ti sei bevuto il cervello, per caso?»

 

Mentre pronunciava quelle parole, il terrestre ebbe un’illuminazione.

 

«Ah, forse ho capito! Tu e la principessa ve le siete fatte soffiare da sotto il naso, non è vero?»

 

Un calcio in pieno volto si aggiunse ai pugni già subiti da Yamcha per mano di Kakaroth.

L’allievo di Muten, evidentemente, aveva fatto centro.

Ma come aveva potuto quel saiyan pensare che fosse stato lui a prenderle?

Certo, il ragazzo ci aveva seriamente pensato; ma inoltrarsi nel castello di Furipan da quando ci si erano stabiliti dentro gli invasori era diventata un’impresa quasi impossibile.

Il suo primo e unico tentativo si era rivelato un buco nell’acqua e, oltretutto, per mano non di un malvagio, ma della sua fidanzata.

Davvero Kakaroth pensava che lui fosse tanto idiota da rimettere piede lì dentro senza nemmeno avere in mente un piano efficace?

Magari, quel saiyan pensava che ne avesse avuto uno.

Ma si sbagliava! E quanto si sbagliava!

 

«Smettila di attaccarmi, accidenti! Hai preso un granchio, lo vuoi capire? Io non c’entro un bel niente con la sparizione delle tue preziose sfere!»

 

«Ma a chi vorresti darla a bere, terrestre? Vorresti forse farmi credere che tu, per tutto il tempo in cui sei stato lontano dalla corte, non abbia architettato proprio un bel niente? So benissimo che sei in grado di azzerare la tua aura! Ci sarebbe voluto poco per te per fregare quell’incapace del Supremo!»

 

«Cosa? Vuoi forse dire che le aveva lui?!»

 

«Smettila di fare il finto tonto!»

 

L’ennesimo colpo che il saiyan stava per infliggere al suo avversario venne bloccato da Tensinhan.

Il ragazzo aveva la coscienza sporca e ne era perfettamente consapevole.

Per la verità, l’idea che fosse qualcun altro a subire le conseguenze del suo gesto avrebbe dovuto in qualche modo metterlo in una botte di ferro; ma una simile vigliaccata non faceva proprio per lui.

Tensinhan era un ottimo guerriero, un giovane dalle incredibili doti tecniche e di grande coraggio.

Certo, fare del bene non era esattamente nelle sue corde.

Egli era stato educato da uno dei maestri di arti marziali più in gamba e cinici del pianeta, e da lui aveva appreso a non conformarsi troppo al bene.

Dove avrebbe portato, in fondo, un eccessivo buonismo?

Gli eventi della vita gli avevano insegnato che nessuno al mondo si sarebbe fatto scrupoli di fronte a una persona in difficoltà.

Per sopravvivere in mezzo agli infami, bisognava conformarsi alla loro mentalità e diventare più spietati di loro.

Lui lo aveva fatto, e ci aveva guadagnato il rispetto di Condor e la soddisfazione di vedere tremare di fronte a lui gente che, con altri individui, si sarebbe comportata da spavalda.

 

In quel momento, però, l’idea che qualcuno prendesse pugni al suo posto gli piaceva ben poco.

Era incredibile come la vicinanza agli allievi di Muten avesse in qualche modo plasmato la sua coscienza.

Tensinhan non avrebbe mai confessato, ovviamente, ma neppure avrebbe permesso che Yamcha perisse sotto i micidiali colpi di quel saiyan.

 

«Ti ho già detto prima di non intrometterti» ringhiò Kakaroth, osservando con sguardo truce l’allievo di Condor.

 

«Mi dispiace, ma credo proprio che tu abbia sbagliato persona.»

 

«Io penso di no. Sai? Difficilmente il mio intuito sbaglia su certe cose. Il tuo amico è un codardo, e lo ha dimostrato scappando da Furipan nonostante i suoi compagni fossero tenuti dai saiyan ai lavori forzati. E poi, l’ho visto con i miei occhi aggirarsi furtivamente nei dintorni del castello. Credo che se ne sia accorto anche Vegeta! Se il principe venisse a sapere della sparizione delle sfere del drago, da chi credi che andrebbe a cercarle?»

 

«Yamcha è soltanto un ingenuo. Ha agito d’impulso! Ma sono sicuro che lui non c’entra niente.»

 

Le parole di Tensinhan in sua difesa accesero nell’allievo di Muten un agghiacciante sospetto.

Il ragazzo con cui aveva deciso di collaborare non godeva certo di un’ottima reputazione presso Muten. Yamcha non aveva dato troppo peso ai brutti epiteti che il suo maestro aveva riservato agli allievi di Condor, anche perché, in effetti, questi ultimi erano stati i soli a dar credito ai suoi sospetti circa la natura ambigua di Kakaroth.

Però – e questo doveva purtroppo ammetterlo – il guerriero dai tre occhi aveva sempre mantenuto nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo.

Lo aveva coinvolto solo in parte nei suoi piani, tenendolo all’oscuro di tanti dettagli che, evidentemente, egli aveva poi studiato e analizzato per conto proprio.

C’era anche da dire che troppe volte, nel corso delle lunghe giornate che trascorrevano insieme, egli lo aveva perso di vista, senza però chiedersi con troppa insistenza dove fosse finito.

 

E se fosse stato proprio lui a rubare le sfere del drago?

In fondo, Yamcha gli aveva insegnato personalmente ad azzerare l’aura, quindi, in effetti, Tensinhan poteva rientrare benissimo nella lista dei sospettati.

 

Tutti le sue riflessioni, però, furono interrotte dall’improvviso avvicinarsi di un’aura a lui conosciuta.

Era debole, certo, ma molto familiare.

 

Kakaroth si voltò di spalle.

Era chiaro: anche lui se n’era accorto.

Chichi li stava raggiungendo a e elevata velocità.

Veniva dall’alto.

Possibile che avesse imparato a volare?

 

***

 

Bulma non aveva mai guidato un elicottero con tanta ansia.

Aveva una paura matta di ciò che sarebbe accaduto molto presto nella Città dell’Ovest.

Vegeta non era esattamente il tipo di persona che si potesse convincere con le buone a desistere da un determinato proposito.

Ora, il principe dei saiyan aveva un obiettivo ben preciso: mettere le mani sul radar cerca sfere.

Tentare di allungare la strada per arrivare alla Capsule Corporation sarebbe stata una mossa controproducente. Non solo, infatti, Vegeta se ne sarebbe accorto, ma la scienziata avrebbe addirittura rischiato di farlo innervosire ancora di più.

Ecco perché ella sperava con tutta sé stessa che Crilin avesse ricevuto il suo messaggio.

Bulma non sapeva esattamente se il suo amico sarebbe stato in grado di fare qualcosa – e, soprattutto, per tempo – ma, di sicuro, non poteva lasciare nulla di intentato.

Era in gioco la vita dei suoi genitori, oltre, naturalmente, all’incolumità di tutti i terrestri.

E la cosa peggiore era che la colpa era sua.

Solo ed esclusivamente sua.

 

***

 

«Eppure… Eppure ero assolutamente certo di aver installato nel nuovo prototipo di auto volante anche un dispositivo per il posizionamento automatico della sveglia da bordo. Mia cara, per caso hai idea di che fine abbia fatto?»

 

«No, mi dispiace. Vuoi che ti prepari una tazza di tè?»

 

Il signor Brief sollevò la testa dall’ultimo bolide appena collaudato e prese a guardare la sua dolce e tenera moglie.

No, decisamente no.

Quello non era affatto il momento adatto per concedersi un break, ma la tenera signora, in realtà, quel tè lo aveva già preparato e stringeva tra le mani la tazza fumante.

Quella donna sapeva sempre come sorprenderlo.

A lei non interessava un bel niente della scienza e della tecnologia.

Probabilmente, su tutto il pianeta non c’era una coppia più male assortita della loro.

Eppure, nonostante l’apparente incompatibilità dei loro caratteri e dei loro interessi, i coniugi Brief erano una coppia solida e felice, nella quale ognuno dei due sposi contribuiva a rendere appagante la vita dell’altro.

 

Bulma era il risultato del loro più che ventennale amore.

Quella ragazza era la sintesi perfetta tra la bellezza angelica della madre e l’acutissimo cervello del padre.

Al signor Brief piaceva molto rimuginare sulle qualità della sua splendida figliola: egli sapeva che quella ragazza aveva talento da vendere nel campo della tecnologia e che, molto presto, sarebbe probabilmente riuscita anche a superare suo padre.

Peccato che avesse una tendenza sfrenata a cacciarsi nei guai.

Lo scienziato non avrebbe saputo dire se quella fosse una sua inconscia predisposizione o se la sua dolce figliola fosse semplicemente sfortunata. Una cosa, però, era certa: ovunque andasse Bulma Brief succedeva sempre qualcosa di spiacevole.

Sebbene egli avesse fatto finta di niente con lei, lo scienziato sapeva che a Furipan erano giunti i malvagi. Era stato lo stesso Muten a metterlo a conoscenza della novità, pregandolo di accelerare al più presto la realizzazione del radar cerca sfere.

Egli, alla fine, ci era anche riuscito.

Il prezioso oggetto era lì, poggiato su una mensola e pronto all’uso.

Ci voleva soltanto qualcuno che venisse a prenderlo.

Inizialmente, Brief aveva pensato di chiamare proprio Muten, ma la proverbiale poca dimestichezza che il grande maestro aveva con la tecnologia lo fece desistere da un tale proposito.

Perché, allora, non rivolgersi proprio a Bulma?

In fondo, la ragazza era lì ormai da diversi giorni e, di sicuro, era molto più probabile che riuscisse lei a fuggire per qualche ora da Furipan senza dare nell’occhio, piuttosto che lo facesse Muten.

Tra l’altro, quest’ultimo nemmeno sapeva guidare un elicottero.

 

Lo scienziato posò per terra gli attrezzi che aveva in mano e prese dalle mani della moglie la tazza di tè.

Era da parecchio che non si concedeva il lusso di accoccolarsi per terra e di degustare qualcosa con tanta tranquillità.

Egli, tendenzialmente, non era un tipo che amasse fare le cose di fretta, ma, da quando lavorava insieme alla figlia, aveva finito per cambiare le proprie abitudini.

L’esuberanza della ragazza l’aveva costretto a rivedere i suoi tempi di lavoro e anche il suo modo di operare.

Bulma aveva energie da vendere: era capace persino di lavorare un’intera nottata senza chiudere occhio se prima non avesse portato a compimento un progetto.

Brief non aveva mai conosciuto una persona più testarda di lei.

Da chi diavolo aveva preso, quella benedetta ragazza?

Sua moglie non era affatto così e tantomeno lo era lui.

Tuttavia, l’impetuosità di Bulma gli aveva dato un’enorme carica negli ultimi tempi.

Era grazie a lei se il dottor Brief aveva portato a termine vecchi progetti e studi rimasti per anni accantonati tra i suoi file.

Uno di questi, riguardava la Luna.

Della sua scomparsa si era parlato molto anni addietro, ma nessuno scienziato era mai riuscito a trovare una spiegazione plausibile.

A suo parere, qualcuno l’aveva distrutta.

Un’idea del genere, peraltro esposta in uno dei grandi congressi tematici riguardanti i corpi celesti, era stata sbeffeggiata a più riprese, ma lo scienziato aveva sempre nutrito il sospetto di averci visto giusto.

Chissà perché, il fatto che Bulma, in occasione dell’arrivo dei malvagi, avesse messo di nuovo le mani sui suoi vecchi studi sulla Luna, gli fece pensare, per l’ennesima volta, di aver indovinato alla grande.

 

«Caro, oggi sei più silenzioso del solito. Che cosa ti succede?»

 

«Oh, tesoro! Niente di che. Stavo solo pensando a Bulma

 

«Ah, quella benedetta ragazza! Mi fa sempre preoccupare! Ma quando la deciderà di smetterla di cacciarsi nei guai e di mettere su famiglia? Ormai non è più un’adolescente! E poi, ha al suo fianco un bellissimo ragazzo! Dovrebbe pensare un po’ di più a sé stessa invece che a risolvere i problemi del mondo intero.»

 

Il dottor Brief prese a sospirare e lanciò un’occhiata al radar cerca sfere.

 

«Che ci vuoi fare. Anche a me piacerebbe che fosse meno spregiudicata, ma è fatta così. Ormai è adulta e, di certo, non possiamo più sperare che la sua indole cambi.»

 

«Chissà se si sposerà mai. È così bella, la mia bambina! Potrebbe avere intorno tutti gli uomini che vuole! E quel Yamcha mi pare un giovanotto per bene. Già mi ci vedo: rilassata, felice, e con tanti nipotini attorno.»

 

«Ah, mia cara! Non credo che quel ragazzo diventerà mai il marito di Bulma

 

«Perché dici questo?»

 

«Perché… be’, perché…»

 

Il rumore molto familiare di un elicottero interruppe il dottor Brief.

 

«Oh, caro! Bulma è arrivata, finalmente!»

 

«Aspetta! Non precipitarti subito fuori!»

 

La signora Brief, però, non diede ascolto al marito.

In poco meno di dieci secondi, la consorte dello scienziato più blasonato del pianeta era già in cortile, in attesa che la sua splendida figlia scendesse dall’apparecchio.

 

***

 

Crilin non c’era.

La prima cosa che Bulma aveva fatto appena messo piede nel giardino della Capsule Corporation fu quella di verificare se il suo amico fosse già lì.

Purtroppo, le cose stavano diversamente.

La scienziata aveva il fiato sul collo.

Vegeta non aveva proferito mezza parola durante tutto il volo, ma aveva osservato con morboso interesse tutto ciò che saettava sotto i suoi occhi dal finestrino.

Evidentemente, da quando aveva messo piede sulla Terra, Vegeta non aveva avuto il tempo di perlustrarla a sufficienza.

Che la trovasse interessante?

Evidentemente sì, visto il religioso silenzio nel quale era piombato durante quell’ora scarsa di volo.

Tuttavia, il non sapere esattamente cosa passasse per la testa del saiyan le metteva una certa inquietudine.

Era poi troppo imbarazzata per rompere quel silenzio.

Avevano da poco fatto sesso e l’idea che ciò potesse portarle delle brutte conseguenze la stava facendo impazzire.

Più cercava di capire cosa le fosse passato per la testa e più doveva fare i conti con un’amara verità: quel maledetto principe le piaceva da morire.

E la sua morte, probabilmente, sarebbe stata l’inevitabile conclusione di tutta quell’assurda storia.

 

Bulma incedeva a passo lento verso la porta di casa, percependo dietro di sé l’inquietante presenza di Vegeta.

Ormai era fatta: Crilin non sarebbe mai arrivato in tempo e lei doveva solo sperare che il sovrano dei saiyan non facesse del male a suo padre.

O a sua madre.

Per la verità, a impensierire di più Bulma era proprio la sorte della signora Brief.

Lei conosceva fin troppo bene la genitrice e sapeva che il suo modo di fare sarebbe stato assolutamente insopportabile per un tipo come Vegeta.

 

Peccato che il destino avesse deciso, per l’ennesima volta, di remare contro di lei.

Bulma non fece in tempo ad aprire la porta della Capsule Corporation che sua madre l’aveva preceduta e si era precipitata tra le sue braccia ad abbracciarla.

 

«Oh, tesoro mio! Finalmente ti sei decisa a tornare a casa! Ero preoccupata per te, sai? Ti cacci sempre in tanti di quei guai! Mi fa piacere che tu ti sia fatta accompagnare da Yamc…»

 

Il silenzio che travolse la signora Brief era per Bulma inequivocabile.

Sua madre doveva finalmente essersi resa conto che l’uomo che stava con lei non era il suo fidanzato.

La giovane scienziata prese a tremare e, istintivamente, strinse ancora più forte a sé la donna più importante della sua vita.

 

«Mamma, per favore, non è il momento di chiacchierare. Ho urgenza di vedere papà.»

 

La bella signora Brief, però, sembrava totalmente disinteressata alle parole della figlia.

Ella guardava con stupore e con sfacciata curiosità lo splendido giovane che Bulma aveva portato con sé a casa.

Doveva ammetterlo: Yamcha era un bellissimo ragazzo, ma il tizio che aveva in quel momento davanti agli occhi era ancora più attraente di lui.

Ella aveva sempre avuto buon gusto in fatto di uomini e riusciva perfettamente a cogliere la bellezza di un individuo anche se costui tentava di mascherarla.

Ma la persona che accompagnava Bulma non cercava di nascondere un bel niente.

Era lì, dietro la sua dolce figliola, ostentando un portamento fiero e decoroso e mostrando senza remore la sua sviluppatissima muscolatura. La divisa che indossava, di un modello che mai le era capitato di vedere prima di allora, metteva ancora di più in risalto il suo fisico scolpito.

Lo sguardo di quel giovane non pareva né particolarmente sereno né, tantomeno, rilassato.

Eppure, la strana inquietudine e la rabbia che scorgeva in quegli occhi le sembravano avere un fascino ammaliatore.

 

«Tesoro, che cos’è questa novità? Non sapevo che avessi un nuovo ragazzo!» sussurrò a mezza bocca la signora Brief all’orecchio della figlia.

 

Bulma avrebbe voluto sprofondare e sperò con tutta sé stessa che Vegeta non avesse un udito raffinato a tal punto da udire le parole dell’irriverente madre della scienziata.

 

«Infatti, mamma. Tappati la bocca e non dire più mezza parola. Devo vedere papà, adesso. Lasciami entrare in casa!»

 

«Quanta fretta, tesoro! Hai fatto… Anzi, avete fatto un viaggio molto lungo! Rilassati un attimo! Tuo padre è in laboratorio e sta’ sicura che non scapperà!»

 

«Oh, andiamo! Ma quale viaggio lungo! Mamma, lasciami andare. Ho fretta!»

 

L’affascinante signora sciolse l’abbraccio che la legava alla figlia e si avvicinò allo sconosciuto accompagnatore.

Era bello, c’era poco da fare.

Bulma aveva la testa dura e anche un pessimo carattere, ma, chissà come, riusciva sempre a farsi circondare da uomini molto interessanti.

 

«Perdona la scortesia di mia figlia, ragazzo. Ha sempre così poco tatto! Comunque, accomodati pure dentro casa. Sei il benvenuto!»

 

Vegeta lanciò un’occhiata infuocata prima alla signora Brief e poi a Bulma.

Che razza di donna spudorata era quella?

Possibile che fosse davvero la madre della scienziata?

Di cose assurde, il principe dei saiyan ne aveva viste in giro per l’universo; ma che una persona dall’intelligenza spiccata come la giovane che poche ore prima aveva fatto sua fosse stata partorita da una creatura tanto sprovveduta quanto poco perspicace era a dir poco ridicolo.

Era forse uno scherzo della genetica, quello?

Probabile, o magari Bulma lo stava solo prendendo in giro.

 

Vegeta, comunque, ignorò l’eccentrica signora e si avvicinò a Bulma, col risultato di far tirare a quest’ultima un sospiro di sollievo.

La bella scienziata aveva seriamente temuto per l’incolumità della genitrice.

Le voleva bene e sapeva che se le fosse capitato qualcosa per colpa sua non se lo sarebbe mai perdonato.

Forse Vegeta aveva letto nei suoi occhi la preoccupazione che aveva?

Chissà; di sicuro, era bene approfittare della magnanimità del principe dei saiyan prima che cambiasse idea e decidesse di far saltare in aria sua madre e tutta la Capsule Corporation.

 

«Vedi di darti una mossa, Bulma. Non ho molto tempo da perdere, come ben sai.»

 

«Certo» sbuffò la ragazza «e come potrei dimenticarlo? Seguimi

 

***

 

Al suo interno, quella che Bulma aveva chiamato più di una volta con il nome di Capsule Corporation era una vera meraviglia della tecnologia.

Raramente Vegeta aveva potuto ammirare tanta spropositata evoluzione scientifica in giro per l’universo.

Certo, lui non avrebbe mai usato dei robot tanto avanzati solo per pulire una stupida casa; però doveva ammettere che, se sfruttati in altri modi, quegli aggeggi metallici avrebbero potuto facilitare non poco il suo ruolo di sovrano dei saiyan.

In fondo, quello era il tipo di dimora che il principe dei saiyan aveva immaginato per Bulma: estremamente lussuosa, comoda oltre ogni dire e superavanzata tecnologicamente.

Il senso di delusione provato nello scoprire che razza di madre avesse colei che, volente o nolente, sarebbe presto diventata a tutti gli effetti la sua donna, stava pian piano lasciando il posto a una rassicurante presa di coscienza: ci aveva visto giusto.

La Capsule Corporation era un mondo a parte, profondamente diverso dagli altri edifici del pianeta.

Era maestosa, imponente, ricca.

Perfetta, insomma.

Perfetta come ipotetica dimora reale.

 

L’uomo che il principe scorse accucciato al pavimento di quello che, a detta di Bulma, doveva essere il laboratorio scientifico, aveva un’aria mesta e piuttosto trasandata.

Si era accorto subito del loro ingresso il famoso dottor Brief.

Li aspettava con ansia, a dire il vero.

Certo, che Bulma arrivasse in compagnia di qualcuno non era di affatto previsto, ma lo scienziato aveva imparato già da diversi anni a tenere la bocca chiusa, soprattutto quando le faccende non risultavano troppo chiare e pulite.

In quel caso, tacere su quel ragazzo gli era sembrata la mossa migliore.

Bulma non aveva alzato nemmeno per un secondo lo sguardo verso di lui.

Non solo sua figlia sembrava avere molta fretta, ma, probabilmente, voleva anche evitare che egli le facesse troppe domande.

Domande su quel tizio, appunto.

Apparentemente, il ragazzo in questione non aveva proprio niente di anormale, ma il fatto che fosse con lei in quell’occasione aveva acceso nella testa dell’eccelso dottore un campanello d’allarme.

Chi era costui?

Perché Bulma lo aveva portato con sé per recuperare il radar cerca sfere?

Possibile che…

 

«Dov’è, papà?»

 

«Su quella mensola, tesoro» rispose prontamente l’uomo indicando il punto esatto con un indice «ma perché vai tanto di corsa? Calmati un attimo! Non fa bene alla salute agitarsi così!»

 

«Lo so, figurati. E comunque… E comunque non sono agitata.»

 

Bulma si avvicinò alla mensola e prese tra le mani il prezioso oggetto.

Era più piccolo di quanto immaginasse, a dire il vero, ma la sola fattura che vantava era una prova dell’elevata qualità del radar.

La scienziata non fece nemmeno in tempo ad ammirarlo per bene che Vegeta glielo sfilò dalle mani.

 

«Questo lo tengo io, per il  momento. E ora andiamocene.»

 

Il signor Brief avrebbe voluto replicare, ma lo sguardo con cui tacitamente sua figlia lo supplicò di stare zitto lo frenò dal suo intento.

Quello era un malvagio; ormai non aveva più dubbi.

Bulma doveva essersi cacciata in un guaio parecchio grosso e, se l’intuito non lo ingannava, almeno in parte doveva essersela cercata.

 

***

 

La signora Brief, dal maestoso giardino della Capsule Corporation, aveva lo sguardo rivolto verso il portone di casa e ripensava sognante al misterioso accompagnatore di Bulma.

Doveva ammetterlo: sua figlia aveva superato tutte le sue più rosee aspettative.

Più di una volta aveva temuto che rimanesse zitella o che non riuscisse a tenersi stretto un uomo per più di mezza giornata.

Già con Yamcha, Bulma aveva fatto passi da gigante.

Ma quel ragazzo… Quel meraviglioso ragazzo che aveva visto scendere con lei dall’elicottero, be’, era una goduria pura per gli occhi. Dove accidenti era andata a pescare un simile gioiello antropomorfo? Ah, la sua dolce bambina aveva finalmente deciso di mettere la testa a posto!

 

L’allegra signora canticchiava in giardino.

Era passato poco più di un minuto da quando Bulma e il ragazzo senza nome erano entrati dentro la Capsule Corporation, e lei, da brava padrona di casa, aveva deciso di prendere la scopa in mano e di spazzare per bene il viale.

Tanto, prima o poi sua figlia sarebbe dovuta passare da quella porta e, chissà, magari avendo risolto la famosa questione urgente con il padre, si sarebbe lasciata andare a una bella chiacchierata con lei.

Fu in quel momento che la signora Brief scorse all’orizzonte qualcosa che dal cielo si stava avvicinando.

E più il misterioso oggetto si faceva distinto e più si rendeva conto che in realtà quel qualcosa era qualcuno.

 

«Oh, cielo!» esclamò stupefatta la madre della scienziata più spregiudicata del pianeta. «Ma quello… Quello chi è?»

 

In pochi secondi, la bella signora si trovò davanti un uomo, un uomo dal fascino indiscutibile letteralmente piovuto dal cielo.

 

«No, non ci credo! Oggi è proprio il mio giorno fortunato!»

 

Bardack si guardò intorno, stupito non poco dalla magnificenza dell’edificio in cui era appena approdato. Se il terrestre pelato non aveva mentito, quella doveva essere la Capsule Corporation, la residenza della ragazzina che si era fatta raggirare come un pedalino dal grande Vegeta.

Già; peccato che di fronte a lui ci fosse una perfetta sconosciuta, dall’aria anche piuttosto inebetita.

Il generale non batté ciglio di fronte all’insistenza con cui quella donna lo stava guardando.

Che diavolo aveva quella svampita?

Una qualunque persona normale avrebbe tremato di paura nel vedere un uomo volare.

A quanto aveva potuto capire, infatti,  non era una facoltà comune tra gli esseri umani.

Eppure, quella strana signora non sembrava affatto essere spaventata.

Bardack evitò qualunque discorso che potesse allungare una conversazione che, già di per sé e ancora prima che fosse iniziata, non lo entusiasmava affatto.

 

«Dove sono il principe e la scienziata?»

 

Nell’udire quelle parole, per poco l’esuberante moglie del dottor Brief non ebbe un mancamento.

Il tizio in compagnia di sua figlia era… un principe?

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ciao a tutti!

Innanzitutto, perdonate il mio ritardo ma la scorsa settimana non sono stata molto bene e non ho avuto il tempo per completare il capitolo.

Oggi, per fortuna, va un po’ meglio.

Bene, finalmente abbiamo assistito all’ingresso in scena dei coniugi Brief. Ho cercato di renderli più IC possibile e spero di esserci riuscita, anche se in realtà non ho ancora dedicato loro tutto lo spazio che vorrei. Credo proprio che lascerò alla madre di Bulma ancora un po’ di tempo per godersi i bei maschietti appena atterrati alla Capsule Corporation.

Kakaroth, nel frattempo, le sta dando di santa ragione a Yamcha, che, come ben sappiamo, non c’entra niente con la sparizione delle sfere del drago. Tensinhan inizia a tal proposito ad avere qualche rimorso di coscienza. Gli ho dedicato un discreto angolo introspettivo e spero che sia sufficiente a far capire il suo modo di ragionare. Tra l’altro, Chichi sta per raggiungere Kakaroth e, molto probabilmente, il segreto di Tensinhan verrà a galla.

 

Ok, ammetto di essere abbastanza stanca e quindi eviterò di dilungarmi oltre con le note.

Vi ringrazio, come sempre, per il sostegno che mi date!

Un bacione :**********

9dolina0

 

   
 
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