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Autore: Eneri_Mess    25/01/2015    10 recensioni
Trafalgar Law era il tipo di medico e persona da ritenere insensati vizi come il fumo e l’alcool.
Rovinarsi polmoni e fegato per il piacere scaturito dall’inalare volute grigiastre o bagnarsi le labbra con liquori spesso scadenti gli urtava la pazienza.
Se tuttavia in quel momento una sigaretta si stava consumando con lentezza tra le sue labbra era perché i suoi nervi avevano retto anche troppo.
SPOILER sul passato di Trafalgar Law.
Storia complementare: Hate the Smile.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Corazòn, Trafalgar Law
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Hate the... '
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A chi apprezza i lati dei personaggi di cui Oda non parla.
A Gwyn, che si è innamorata perdutamente di Cora-chan.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Hate the White
 
 
 
Trafalgar Law era il tipo di medico e persona da ritenere insensati vizi come il fumo e l’alcool.
Rovinarsi polmoni e fegato per il piacere scaturito dall’inalare volute grigiastre o bagnarsi le labbra con liquori spesso scadenti gli urtava la pazienza.
Se tuttavia in quel momento una sigaretta si stava consumando con lentezza tra le sue labbra era perché i suoi nervi avevano retto anche troppo.
 
Detestava il bianco.
In silenzio, di un odio sottile che mai si lasciava sfuggire con altri. Lo fissava, in quella sua forma gelata oltre i doppi vetri della fortezza in pietra, e non distoglieva lo sguardo da quel candore che fioccava lento, cristallo dopo cristallo, ricoprendo la terra abbandonata.
Disprezzava anche l’odore del tabacco che si mescolava alla temperatura che presumeva ci fosse fuori, e lo riportava con la mente a quel giorno disperso negli anni, a lungo ignorato nella sua memoria, a lungo relegato in un forziere, come il più maledetto dei tesori. Rinchiuso, come lo era stato lui, tra quattro pareti di legno e ferro, ad ascoltare impotente il colpo di pistola che aveva portato via dalla sua vita l’ennesima persona a cui aveva voluto bene.
Prese la sigaretta tra le dita e soffiò via il fumo dalle labbra, fissando gli informi puntini nivei che dal cielo grigio continuavano a dondolarsi nell’aria in spirali prive di peso.
Punk Hazard era silenziosa, come troppo spesso accadeva, e lui si era preso una pausa dalle sue ricerche, dai suoi piani, da tutto.
Seduto su una delle poltrone imbottite della sua stanza, le gambe fasciate dai jeans e gli stivali ancora ai piedi, poggiati sulla scrivania addossata al muro, si era lasciato andare. Aveva ritrovato un vecchio pacchetto di sigarette, il tabacco stantio ma ancora accettabile, e prima che la sua mente sempre vigile avesse potuto dirgli di lasciar perdere la punta della cicca già ardeva.
Il primo tiro era stato veleno. Il fumo era sceso nella trachea bruciandola, aveva raggiunto i polmoni e li aveva riempiti alla stregua di gas nocivo, mentre il suo petto lasciato scoperto esalava il tutto ampliandosi come se non fosse stato in grado di contenere l’intrusione.
L’odore era stato la chiave della serratura di quello scrigno che aveva nascosto con tanta cura, facendolo pentire del proprio gesto.
Chiudendo gli occhi, la testa reclinata appoggiata contro la mano e la sigaretta trattenuta tra le labbra sottili e appena accostate, la mente di Law scivolò nel buio.
 
 
Mi dispiace di averti mentito. Vedi, non volevo che mi odiassi…
 
 
Il respiro sembrò uscirgli sgretolato. L’espressione di Law si incrinò per un attimo, le palpebre serrate si contrassero e la sigaretta bruciò un po’ di più quando inspirò di nuovo, annebbiando il ricordo con una seconda dose di tossina impalpabile.
Corazόn odorava di tabacco, di alcool e di buono.
Era assurdo, se lo ripeteva ogni volta che il pensiero spuntava indesiderato e lui cercava di soffocare i perché nella sua testa.
La prima volta che si era soffermato su quegli odori era stata anche una delle prime volte che si era sentito male e Corazόn, non sapendo come gestire la situazione e riempendolo di domande insensate, lo aveva stretto a sé mentre cercava qualcuno di competente. Quasi soffocato tra quell’assurda quantità di piume scure e la camicia a cuori di flanella, il piccolo naso macchiato di bianco di Law aveva registrato il misto di aromi che in un primo momento gli avevano rivoltato lo stomaco, tanto erano pungenti.
Alcool e tabacco, due tra i primi vizi che suo padre gli aveva insegnato quanto potessero nuocere alla salute di un uomo. E lui, da bravo apprendista dottore, li aveva subito disdegnati.
“Solo degli stupidi si avvelenerebbero con le proprie mani” si era detto con sprezzo, chiedendosi nei suoi dieci anni scarsi come le persone potessero rinunciare così facilmente alla propria salute per godere di qualcosa in grado solo di creare dipendenza. Quelle stesse persone che al contrario di lui e di sua sorella non erano destinate a morire dalla nascita. “Stupidi e miserabili”
E Corazόn era uno di loro. Una di quelle persone senza cervello che con i suoi tentativi a vuoto e illogici di guarirlo lo stavano facendo soffrire più di quanto la sua sindrome già non facesse.
Lui e quell’andare di ospedale in ospedale a chiedere una cura inesistente.
Lui e quell’incazzarsi quando lo trattavano per il mostro che era.
Lui e quella speranza di guarigione e vita che gli profilava come realtà.
E poi anche il suo profumo, di alcool, di tabacco e di buono.
Si era chiesto a lungo Law, la mente vacillante e il corpo dolorante e inerme tra le braccia di Corazόn, cosa fosse quel buono, quel sentore che era riuscito a tranquillizzarlo nonostante la febbre e il senso di vomito.
Corazόn urlava, era fastidioso, lo trasportava di malagrazia, rischiava di soffocarlo nel suo spolverino di piume e al contempo alleviava le sue fitte semplicemente standogli vicino. 
 
 
Incontriamoci nella prossima città, ok?
 
 
Trafalgar serrò la mandibola, e i denti quasi recisero il filtro della sigaretta.
Con un moto di rabbia espirò di nuovo, come se potesse liberarsi dalla malinconia che si stava insinuando nei suoi pensieri.
Quando riaprì gli occhi, tutto era esattamente come prima.
Niente baule dove si era fatto stupidamente convincere a nascondersi da quell’idiota.
Nessuna parola rassicurante a ingannarlo.
Nessuna magia a farlo divertire di nuovo, a fargli credere che tutto sarebbe andato bene.
Era cresciuto da allora.
Il suo corpo non aveva riportato nemmeno una cicatrice della malattia che l’aveva fatto sentire condannato; aveva imparato a controllare il proprio potere e aveva pazientato per anni il momento giusto per tessere la propria vendetta.
Nonostante tutto ciò si sentiva lui lo stupido.
Inalò un’altra boccata, mandando giù insieme al sapore sgradevole del fumo anche il groppo in gola.
La vetrata davanti a lui gli rimandò il suo riflesso, la silhouette di un uomo di ventisei anni, con i capelli disordinati, le iridi penetranti e la linea delle labbra piegata all’ingiù. La sigaretta stonava, e la riprese tra le dita, allontanandola dallo sguardo perennemente rimarcato dalle occhiaie. Il tratto dei tatuaggi segnava una pennellata netta e scura sulle sue mani, sugli avambracci, le spalle e il petto, dove le curve del cuore terminavano in quello smile bizzarro e stilizzato su cui molti avevano poggiato lo sguardo dubbioso.
Come avrebbero potuto capire?
Chiuse di nuovo gli occhi, riportando il filtro alla bocca, inspirando lentamente e ributtando fuori con indolenza l’acre aroma.
 
 
Lascialo andare e vivere! Lui è libero!
 
 
Corazόn gli aveva salvato la vita e lui sentiva addosso tutto il peso di quel gesto.
Tredici anni e il suo essere aveva imparato a dare una forma all’odio, a plasmarlo, a redistribuirlo in un piano concreto e sofisticato da riuscire a strappargli anche un po’ di macabro divertimento. E l’aveva forgiato, limando le sue insicurezze, rendendolo duro, freddo, distaccato.
Non c’era stata più nessuna figura da cui imparare, nessun buffone da seguire che gli mettesse strane idee in testa.
Senza che lui lo avesse mai voluto davvero, Corazόn gli aveva regalato o strappato – a volte non sapeva neanche lui quale punto di vista adottare – gli ultimi stralci di infanzia, l’ultima risata, la speranza. Lui, che aveva accettato l’idea di dover morire, si era trovato timidamente a credere che in fondo le cose potessero andare diversamente, che per una volta tutti quei pesi che la vita gli aveva serbato ancora prima di nascere potessero essere alleggeriti dalle mani troppo grandi e goffe di un bugiardo truccato da pagliaccio con sorrisi agghiaccianti.
Eppure, negli anni, si era chiesto più volte, durante le rare volte in cui aveva lasciato l’alcool annebbiargli la mente allo stesso modo in cui quella sigaretta ora gli anestetizzava i sensi, se Corazόn non lo avesse condannato a vivere e basta.
Salvato? Si era chiesto ironicamente.
Si poteva considerare salvo se viveva con il rimorso, con il rancore, con il vuoto?
Era diventato forte, era temuto e non rifiutava uno scontro con Marina o pirati che fossero. Si era costruito da subito una certa fama. Avevano iniziato a chiamarlo Chirurgo della Morte, macabro soprannome che non aveva disdegnato, tutto volto a un obiettivo preciso.
Qualcuno nello Shinsekai doveva sentire risuonare il suo nome. Ogni vittoria che conseguiva era un ticchettio in più nell’orologio della resa dei conti.
Aveva studiato tutto, aveva calcolato le eventualità, i rischi, le mosse, le variabili. Nel suo piano meticoloso aveva incluso anche una ciurma, perché affrontare la Grand Line in solitaria sarebbe stata una mossa avventata. Aveva sempre cercato di considerarli solo sottoposti, all’inizio, pedine marginali nella sua trama. Ma quando era giunta l’ora del via ai giochi seri, aveva preferito lasciarli indietro per paura di perderli.
Paura, ecco cosa gli aveva regalato Corazόn, con i suoi sorrisi da brividi e i suoi modi stravaganti. Timore che di nuovo la falce che lo seguiva avrebbe portato via qualcun altro senza che lui potesse impedirlo, qualcuno a cui aveva lasciato il permesso ancora una volta di varcare la soglia del suo cuore.
Quanta ironia. Lui che il proprio cuore era disposto a cederlo fisicamente pur di guadagnare terreno in quella giostra infernale che anelava distruggere.
 
 
Law… Ti voglio bene.
 
 
Quando rialzò la sigaretta tra indice e medio si accorse che era ormai consumata. L’ultimo bagliore rossastro si spense davanti al suo sguardo lontano.
Nella sua mente, quel volto che mai aveva visto privo del sorriso marcato dal rossetto iniziò a sfumare, e per un attimo avrebbe voluto afferrare quell’uomo dal colletto della camicia e…
e urlargli quanto dannatamente gli mancasse.
Quel clown che mentendogli era riuscito, nonostante la propria morte, a instillare di nuovo nel suo animo la volontà di credere che le cose potessero cambiare. Lui che aveva fatto la differenza quando nessun altro si era mai davvero preoccupato di prendersi cura di un mostro bianco.
Schiacciò il mozzicone sul legno della scrivania e si lasciò andare sulla poltrona, riempiendosi i polmoni di una lunga sorsata d’aria compromessa dalla scia del tabacco. Un’altra volta e ancora una, finché l’aroma acre non divenne sottile e si perse, e lui poté richiudere e nascondere di nuovo quello scrigno nel luogo più recondito di sé.
 
La neve continuò a scendere leggiadra e lui tornò a detestarla con un ghigno di sfida.  
 



 


 
 
 
***
 
È diverso tempo che non pubblico qualcosa (ho un certo regalo che mi sta tenendo occupata), ma queste tre pagine scarse sono nate l’altra sera e hanno richiesto attenzione fino all’ultimo, gridando “pubblicami sfaticata!”
Sono perdutamente innamorata del personaggio di Law, di tutti i risvolti di cui Oda-sensei non parla ma che lascia intuire (e che lascia alle menti sbandate delle fangirl). Ho apprezzato il personaggio di Cora-san e ho voluto omaggiare entrambi con un poco di introspezione. L’augurio è sempre che gradiate.
I dialoghi in italico che frammezzano il testo sono parole di Corazόn che ho tradotto dalla versione inglese fanmade del manga.
Sono stata sulla neve giusto l’altro ieri. Io e Law abbiamo due visioni diverse, io la adoro ~
Lasciate commentini, che fanno tanto piacere all’ego *love* soprattutto se c’è qualcosa che vi ha fatto storcere il naso *superlove* a me molte cose.
 
Sayounara,
Nene
 
 
Ps: probabilmente Law non odia il bianco in sé, ma il bianco della neve che potrebbe ricordargli Flevance e il giorno della morte di Cora-san, perché no?


[Storia complementare: Hate the Smile]
   
 
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