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Autore: Non ti scordar di me    25/01/2015    8 recensioni
[Sequel Amore Proibito]
E dopo anni di lontananza, Elena e Damon Salvatore si rincontrano in un altro contesto e con altri sentimenti.
Elena è in bilico tra due mondi diversi: un mondo di sorrisi finti o un mondo di apatia. Lei non fa parte né di uno né dell’altro.
Damon ha trasformato il ‘proibito’ che provava per Elena in altro: in odio e sarcasmo mal celato.
Elena non ha rinunciato alla vita. Lei vuole salvarsi. Non vuole sentirsi un reietto della società.
Damon non ha più fiducia in nessuno. Lui non vuole salvarsi. Vuole trovare un metodo per chiudere tutto.
I due una volta che si rincontreranno cosa faranno? E soprattutto, i due lasceranno alle spalle il loro legame di sangue?
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Dalla storia:
«Se ora sei così sicura di te e combatti questa merda che hai intorno, è merito mio. Ti ho reso io forte, bimba.» Commentò stanco.
-
«Un fiammifero.»
«Un fiammifero?» Chiesi.
«Un fiammifero che prova a battere le tenebre. Ecco cosa sei.» Disse Damon.
-
«Lei era un’oppressa. Lui era un sopravissuto.»
-
E i due come si comporteranno? Lasceranno che il loro ‘proibito’ vinca su quello che pensa la gente?
Non ti scordar di me.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo sette.
It’ll be late.
 
E’ solo un’uscita. Perché sono così nervosa? Pensavo allisciandomi meccanicamente i pantaloncini che avevo indossato. Per uscire con una persona di cui non ero realmente interessata non avevo mai impiegato così tanto tempo per prepararmi.
Il punto era che qualsiasi cosa decidessi di indossare mi sembrava sempre troppo. Prima di adottare quei calzoncini, avevo indossato uno dei miei vestiti più sobri. Era di un semplice blu e scendeva morbido sui fianchi, eppure una volta visto addosso avevo iniziato a farmi troppi complessi.
Un vestito non era troppo elegante? Alla fine optai per qualcosa di soft.
Dei pantaloncini di jeans – non eccessivamente corti – con sotto una calzamaglia sfilacciata sulle ginocchia, una maglia nera che lasciava un effetto vedo non vedo – senza ricadere nel volgare – e a coronare il tutto il mio giubbotto nero.
Me la presi con comodo anche perché non credevo che al famoso pub Blue Eyes potessimo entrare prima delle nove.
Erano le undici quando il campanello di casa suonò. Feci un corsa spaventosa verso il salotto – rischiando di inciampare sul tappeto – e mi presi un colpo quando vidi mamma seduta sul divano seduta ad osservarmi con occhio critico.
«Con chi esci?» Mi chiese chiudendo la rivista che stava leggendo. Uhm, con chi uscivo? Era un’ottima domanda.
«Un ragazzo…» Improvvisai su momento, già pesando a un modo per svignarmela da lì. «L’ho conosciuto ad un corso di medicina…» Continuai, provando ad affievolirle la paura che le si leggeva in volto.
Mamma si avviò verso la porta e l’aprì tenendo per sé l’ansia che la stava divorando. Sgranai gli occhi quando vidi quello sconosciuto davanti alla porta con un sorriso – che sembrava alquanto rassicurante.
Indossava dei normali jeans che gli fasciavano le gambe, sopra una camicia bianca che metteva in risalto la carnagione scura e ai piedi aveva delle belle scarpe.
Grazie a Dio sembra un tipo raccomandabile. Pensai alludendo all’aspetto che aveva. Forse – cosa alquanto improbabile – mamma si stava rilassando.
«Hai le chiavi di casa.» Mi ricordò con un sorriso, cercando di non far notare troppo il modo in cui vigile squadrava il ragazzo davanti a lei. «Non…non esagerare, tesoro
Con quel ‘non esagerava’ mi aveva fatto capire che si stava fidando. Si stava, nuovamente, fidando. Significava che questa sera non mi avrebbe aspettato, sarebbe andata a dormire e avrebbe provato a non aspettarmi. Perché lei sperava che io non mi facessi una delle mie solite sciocchezze.
Non la deluderò. Pensai alludendo allo sguardo spaventato che, qualche mese fa, le aveva oscurato il volto. Mi venne la pelle d’oca a quel ricordo ma scacciai quei ricordi.
«Possiamo andare.» Mi rivolsi a quello stronzo che non mi stava neanche squadrando. Aveva mantenuto un buon portamento, il suo occhio non era sceso neanche troppo…Mhm, un grande attore, glielo concedevo.
Chiusi alle mie spalle la porta e buttai fuori il grande sospiro che trattenevo da quando mamma aveva aperto quella porta.
«Bell’abbigliamento.» Ammiccò, scendendo i gradini del piccolo porticato di casa. Deglutii a vuoto salita e sospirai ancora. Notai con piacere che non aveva con sé la macchina, era venuto con la moto.
Per fortuna. Poteva sembrare strano, qual era la differenza tra una macchina e una moto?
Oh, ce n’era di differenza per me. Ormai avevo associato le macchine alla sua morte, mentre per le moto non era così.
Quando ero su una moto aveva una sensazione di adrenalina che mi faceva sentire più leggera. Meno colpevole.
Afferrai il casco e mi appoggiai ai lati della moto. Non mi sarei mai appoggiata a quel verme che avevo lì davanti.
Sul suo volto si dipinse un sorriso e notai che non aveva un doppio casco.
«Puoi stringerti a me, tranquilla.» Lo disse in modo asciutto, ma io non avevo intenzione di allacciare le mie braccia al corpo dello stesso ragazzo che aveva picchiato il mio migliore amico.
E Kai. Mi ricordò quell’insopportabile vocina che rappresentava la parte più razionale del mio subconscio.
Grugnii una risposta incomprensibile alle sue orecchie e alzai gli occhi al cielo. Ingranò subito una grande velocità.
Inizialmente andava adagio – dovevo ammettere che non guidava male – perciò era stato semplice non appoggiarsi al suo corpo ma ai lati della moto.
Dopo pochi secondi mi rivolse un’occhiata fugace e sul suo viso comparse uno di quei sorrisi bastardi che fin’ora avevo visto solo su…Damon.
La velocità aumentò notevolmente e quel maledetto si divertì a zigzagare tra le macchina che suonavano i clacson ripetutamente. Potevo sentire persino le bestemmie dei guidatori.
Sorrisi leggermente e capii le sue intenzioni.
Le mie mani erano saldamente ancorate ai lati della moto e non accennavo a toglierle da lì per nessuna ragione al mondo.
Mi fossi anche sfracellata lì, ma non gli avrei dato nessuna soddisfazione.
Arrivammo pochi istanti dopo, improvvisò un mezzo parcheggio – in doppia fila – e scese dalla moto. Lo seguii e mi tolsi il casco porgendoglielo in modo stizzito.
Lo afferrò e il ghigno si distese in un sorriso.
«Ora posso dire che sei la degna sorella di Salvatore.» Commentò, mettendo il casco sotto il sellino della motocicletta.
«Sono molto meglio di lui.» Replicai inacidita. Avere quella ‘fama’ – se fama poteva essere definita – non era qualcosa che mi piaceva particolarmente. E soprattutto non capivo neanche da cosa derivasse.
Cosa poteva aver mai fatto Damon prima di sparire da lì?
«Entriamo.» M’invitò con un mezzo sorriso. Alzai un sopraciglio e diedi uno sguardo alla moto parcheggiata lì.
«La lascia in doppia fila?» Gli chiesi. Il ragazzo alzò le spalle e mi porse la mano. Io, in risposta, me le infilai nelle tasche del giubbotto e lo seguii in silenzio.
Wow. Era la prima volta che venivo in quel pub – inaugurato da poco tempo, al massimo un paio di settimane.
Le descrizioni che avevo non gli rendevano giustizia. Non era uno di quei pub squallidi, dove trovavi ragazzi ubriachi fradici e altri a pomiciare mentre si scolavano dell’alcool di bassa lega.
Mhm, un posto che non era alla mia portata. Preferivo i pub più piccoli e perché no, neanche troppo famosi. In quelli troppi grandi c’era sempre il rischio di incontrare troppa gente.
Già da lontano avevo adocchiato un paio di ragazze che avevo visto di sfuggita all’Università. Non mi preoccupai più di tanto, non mi aveva mai parlato…perché dovevano iniziare proprio ora?
«Che ne pensi di un posto più appartato per…» Ci pensò pochi istanti, era sull’uscio della porta. «Parlare?» Era suonato alle mie orecchie in modo, veramente, troppo inquietate.
Scrollai le spalle e annuii in risposta. Ero di poche parole, o almeno lo ero quando si trattava di cose futili come queste.
C’era parecchia gente, eppure era presto. Di solito i pub non erano così pieni a quell’ora…Erano solo le undici e un quarto.
«Andiamo di là…» Mi urlò provando a superare la musica. Mi prese la mano e la strinse alla sua – distorsi la bocca a quel contatto – ma non replicai.
Mentre mi trascinava chissà dove, mi guardai attorno e squadrai attentamente quel luogo memorizzando tutti i particolari di quel locale che mi piacque particolarmente a primo impatto.
Eravamo in una saletta…notai che ce n’erano di diverse. L’eleganza domina questo posto. Costatai, notando le magnifiche poltroncine rosse che erano sotto i miei occhi.
«Non ti siedi?» Mi chiese estraendo dalla tasca un pacco di sigarette. Ero a disagio e non perché fossi in compagnia di un perfetto sconosciuto…Più che altro tutto quello che circondava quel posto mi faceva sentire fuori luogo.
Se avessi saputo o avessi immaginato come fosse elegante – per essere un pub riservato ai giovani era uno dei più decenti in cui fossi mai entrata – non avrei indossato qualcosa di così scialbo.
Cosa potevo saperne io…Non avevo idea che questo posto fosse a standard così alti. Pensai contrariata, posando la mia attenzione sul volto di quello sconosciuto.
«Perché dovrei sedermi accanto ad una persona di cui non conosco neanche il nome?» Gli dissi incrociando la braccia al petto.
«Mhm…Allora perché sei venuto in questo locale con me perfetto sconosciuto?» Rigirò la domanda in suo favore e questo m’infastidì notevolmente.
Quella era una mia esclusiva. Solo io – e Damon, aggiunse il mio subconscio – potevo rigirare le persone.
«Touchè.» Gli concessi prendendo posto sull’altra poltroncina.
«Non credo ti dia fastidio se fumo una sigaretta, no?» Mi chiese. Lo guardai con un espressione tra lo sconcertata e l’infastidita. Perché chiedermi il permesso, se aveva già acceso la sigaretta?
«Ancora non so il tuo nome.» Cambiai completamente discorso. Gli occhi scuri del ragazzo si posarono pochi istanti su di me e poi si spostarono altrove.
Fece uscire dalla bocca un po’ di fumo e poi aspirò nuovamente.
«Sono Joseph.» Finalmente si presentò con un sorriso.
«E io sono Elena. Probabilmente saprai già chi sono…Io, però, non so chi tu sia.» Andai dritta al punto abbozzando un mezzo sorriso che probabilmente lo fece divertire visto la sua espressione illuminata.
«Mhm, sai chi è tuo fratello? Chi è Damon Salvatore?» Mi prese in contropiede. Non immaginavo che mi rifilasse una domanda del genere. Mi irrigidii. Non amavo parlare di Damon, sia perché avevo paura di farmi scappare qualcosa di sbagliato sia perché mi metteva una spropositata ansia.
«Uno stronzo.» Risposi sorprendendolo. «E per te, invece?» Cosa pensavano le persone di Damon? Avevano paura di lui? Se sì, perché avevano così paura?
«Penso che sia meglio non provocarlo…anche se ora sta perdendo colpi.» Arricciai il naso all’ultima frase. Joseph notando il mio volto si schiarì la gola e continuò: «Mhm, se n’è andato via da qui due anni fa circa…molti pensano sia cambiato, i suoi amici dicono che c’entri una ragazza.» Commentò con un sorrisetto amaro.
Persi un colpo a quell’affermazione. L’ultima volta che Damon era venuto in Inghilterra risaliva…risaliva al viaggio che aveva fatto con me, dove avevo provato a farlo riconciliare con Alaric.
Parla di me. Costatai.
I suoi amici non sospettavano che fossi la sorella…E ora? Alaric non si faceva vedere in giro da un po’. Aveva cambiato aria…A pensarci bene, i volti alla pista di motocross erano cambiati molto in quegli anni.
«E questo cosa c’entra con quello che fai tu?» Pensava di avere a che fare con una persona che si faceva abbindolare facilmente?
«Semplice…Quello che fa lui, faccio ioPorca miseria. E’ uno spacciatore. Fu quello il primo pensiero che mi venne in mente.
«E tu cosa c’entreresti con Kai?» Kai non comprava droga. Non era un drogato, a pensarci bene non l’avevo neanche mai visto fumarsi qualcosa che non siano le sue sigarette – non era mai andato troppo oltre.
Non era un patito di queste cose. Ecco perché c’era qualcosa che non quadrava.
«C’entro molto, fidati.» Quella vocina insopportabile che stava usando mi stava urtando il sistema nervoso. Ora l’avrei ammazzato.
«Kai non si droga.» Proruppi con un cipiglio sul volto. Joseph scoppiò in una risata liberatoria, anzi quasi isterica. Aveva le lacrime agli occhi.
«Tesoro non abbiamo questi tipi di problema con lui.» Sorrise enigmatico. Non aveva questi problemi? Era serio?
«E di cosa si tratta, allora?» M’inumidii le labbra e alzai un sopraciglio aspettando una risposta attesa.
Il ragazzo stava per portarsi alla bocca la sua sigaretta, ma gliela sfilai prontamente e feci un leggero tiro.
Non avevo con me il pacchetto e mi ero stufata di osservarlo.
Sbuffò infastidito e si sistemò il ciuffo scuro che gli ricadeva leggermente sugli occhi.
«Soldi sporchi. Ma non ha a che fare con la droga.» Chiarì immediatamente. Soldi sporchi? Quali altri soldi sporchi esistevano se non quelli…Oh.
«Scommesse.» Dichiarai alzando il capo di scatto. Gli occhi del ragazzo si illuminarono e mi osservò nei minimi dettagli mentre aspiravo un po’ di nicotina e riducevo ad una poltiglia il mozzicone di sigaretta.
«Sei intelligente e scaltra, te lo concedo.» Disse con un mezzo sorriso sul volto. Mi rilassai leggermente. Non erano finiti in guai del tutto irrimediabili, potevo ancora fare qualcosa.
«Cosa posso fare per…insomma, per non far rimettere la pelle a nessuno dei due?» Chiesi a disagio. Avevo parlato diverse volte con gente del genere. Il più delle volte ci passavo anche il tempo alla pista di motocross, ora però era cambiato qualcosa.
Era differente.
Quel tipo, Joseph, mi metteva una certa soggezione.
«Farsi difendere da una ragazza? Ouch, sono disperati.» Commentò per poi scoppiare in un’altra risata liberatoria. Uhm, era senza ombra di dubbio un bel ragazzo…Per non parlare del sorriso che gli si formava quando rideva.
Un tipo interessante. Così lo classificai.
«Nessuno dei due sa di questa iniziativa. Nessuno deve saperlo, chiaro Joseph?» Lo guardai interdetta pochi secondi. Non avevo idea di come potesse reagire. Mi era sembrato un tipo strano – per non dire pericoloso – e avevo ancora difficoltà a gestire una persona così.
«Uhm…Chiuderò un occhio, solo a una condizione tesoro.» Sorrise. E allora iniziai a preoccuparmi. Cosa voleva chiedermi? Mi appiattii alla poltroncina di velluto rosso e gli feci cenno di continuare.
Presi una grande boccata d’aria e aspettai che parlasse per tirare un vero sospiro di sollievo.
«Parteciperesti ad una gara in moto per me?» M’inumidii le labbra. Quel per me era chiaro e cristallino. Stava a significare fallo e quei due sono ‘salvi’. Per quanto potessero ritenersi ‘salvi’ visto le situazioni che aleggiavano intorno a Kai.
Scrollai le spalle e non impiegai molto a porgergli la mano per accettare.
Era una gara, no? Non era niente di nuovo. L’ultima volta che ero andata in moto era stata la volta in cui Damon era ritornato in città. Il giorno del mio penultimo attacco di panico.
«Ci sto.» Commentai calma e pacata.
Joseph afferrò la mia mano e la strinse.
«Hai coraggio.» Oh, ne avevo da vendere. Avevo fegato di rischiare. E l’avevo capito da soli due anni. L’avevo capito quando Kai mi aveva proposto di imparare ad andare in moto e sentirmi veramente bene. L’avevo capito quando avevo deciso di continuare a vivere e a combattere contro tutti.
L’avevo capito quando mi ero salvata da quel fottuto incidente.
Se fossi morta, cosa sarebbe rimasto di me? Niente se non uno stupido ricordo. E le mie ceneri.
Non mi bastava. Non volevo essere una ragazza anonima, volevo lasciare qualcosa, volevo che qualcuno potesse dire per me un giorno lei ha fatto tutto quello che una persona poteva fare in vita.
Volevo provare ogni emozione, dalla migliore alla peggiore.
E fin’ora ero a buon percorso. Ma mancava molto, tanto. Non avevo paura del giudizio di tutte queste persone, no, avevo il coraggio di alzare la testa e continuare.
Perché anche se avessi perso quella maledetta scommessa con Damon, avrei provato un’emozione diversa dall’apatia che in questo periodo mi stava sommergendo.
«Sembrerei troppo sfacciato se ti chiedessi il numero di cellulare?» Mi chiese alzandosi dalla sedia e mi porse una mano. Abbozzai un mezzo sorriso e mi alzai da sola senza il suo aiuto.
«Volevi qualcuna con il coraggio di gareggiare, no? L’hai trovata. Cos’altro c’è?» Ero diffidente. Forse troppo. Anche se abbassare la guardia non era nel mio essere, soprattutto con qualcuno che aveva provato in precedenza a strangolarti senza un valido motivo.
Ouch, l’avevo provocato. Mi ricordai con un mezzo ghigno che si stava formando sul volto. In tutti i casi non è una scusa per ammazzarmi. Mi liberai di quei pensieri e scrollai le spalle.
«Tesoro non è niente di strano o eclatante…Due persone si incontrano, si conoscono e magari si scambiano il numero di cellulare.» La buttò sull’ironia.
Alzai un sopraciglio? Due persone si incontrano? Il nostro incontro gli sembrava normale? O forse dovevo rinfrescargli la memoria?
«Mhm, suona strano detto da te. Persona che ha provato a strangolarmi.» Gli ricordai inacidita. Joseph alzò gli occhi al cielo e si sistemò il ciuffo scuro – aveva un tic nervoso, ogni due minuti doveva toccarli e allisciarli, era seccante da guardare –.
Il moro mise su un’espressione pensierosa e uscì fuori da quella saletta allontanandosi. Un momento dove andava quello stronzo? Voleva mollarmi là?
A grandi passi uscii da lì e spalancai la bocca non appena vidi la massa di persone ubriache che ballava al centro della pista da ballo.
E Joseph? Si era già dileguato?
Mi avvicinai a quel bar e presi posto su uno di quegli sgabelli, guardandomi attorno con aria infastidita. Se non fosse ricomparso entro dieci minuti avrei trovato un altro passaggio per ritornare a casa.
Dovessi anche fare autostop e ritornare a casa su una macchina di vecchietti ultra sessantenni!
Osservai i ragazzi ballare e non mi sorpresi quando vidi le mie altolocate compagne di corso completamente sbronza semi vestite. Mhm, prevedibile.
Fingere di essere una persona a casa e poi far uscire il tuo vero io in modo esemplare e plateale in un luogo che non faceva per loro.
Quelle ragazze avevano tutto. La scelta più ardua la mattina era se scegliere il tacco a spillo o la zeppa.
E poi c’ero io, una normale ventenne, che si fa troppi complessi ogni santo giorno sperando di riuscire a non farsi divorare nell’apatia.
«Ecco a lei il suo drink.» Un giovane cameriere mi porse un liquido colorato. Storsi il naso. Non avevo ordinato niente e se c’era qualcosa delle ‘regole’ che papà mi ripeteva sempre era che non dovevo bere niente se offertomi da qualcuno che non conoscevo.
«Non ho ordinato nulla.» Dissi al barista che non sembrava sorpreso di quella mia osservazione.
«Te lo offre quel ragazzo lì.» M’indicò un ragazzo seduto pochi posti più lontano da me. Perché Joseph se la filava e poi mi offriva da bere?
Afferrai il bicchiere – contenente quel liquido rossastro che non avrei bevuto – e mi avviai verso di lui con un cipiglio sul volto.
«Spiegami qual è il tuo problema.» Gli ordinai.
«Mhm, nessuno...Ho solo cercato di offrire da bere ad una bella ragazza. Sono Joseph, qual è il tuo nome tesoro?» Aveva in volto un sorriso quasi affidabile e per un momento non capii cosa stesse cercando di fare. Era un gioco?
«Mi prendi in giro?» Cercai di trattenere le risate, ma vederlo lì seduto con un bicchiere in mano e con un sorriso a dir poco da bravo ragazzo metteva i brividi.
«Ehi, sto solo ricominciando. Una seconda chance, no?» Mi disse con un mezzo sorriso.
E allora lì capii che quella era una delle altre sfide che non avevo mai intrapreso.
«Sono Elena, molto piacere.» Era qualcosa di nuovo, sentivo l’eccitazione salire.
 
La moto di Joseph camminava piuttosto veloce sull’asfalto.
Mi sentivo incredibilmente in pace. Strano. Forse non era una cattiva idea dargli una seconda chance. Dopotutto eravamo due persone simili e io avevo bisogno di qualcuno che reggesse i miei standard. Anche se per pochi istanti avevo sentito all’altezza un’emozione strana, una di quelle emozioni che ti faceva sentire…nostalgia.
Nostalgia del passato e di sentimenti vecchi che avevo chiuso in un baule e mi ero lasciata alle spalle. Deglutii cercando di non pensarci più.
«Tesoro, ti riporto a casa tua giusto?» Mi chiese svoltando l’angolo.
«Sì, grazie.» Dissi concisa, tenendomi stretta ai lati della moto. Non mi sarei ugualmente appoggiata a lui, avevo sempre la mia faccia tosta.
«Prendiamo una scorciatoia.» Mi avvertì girando a sinistra. Era una delle tante viuzze di Londra.
Mi strinsi di più ai lati della moto. Non amavo particolarmente passare da quelle parti in quelle viuzze, soprattutto nel cuore della notte.
C’erano tante persone lì. Londra era divisa in tanti quartieri.
Nessuno si sarebbe mai permesso di inoltrarsi in determinati vie di Londra, forse perché definite ‘poco raccomandabili’.
E quella viuzza che ora stavamo percorrendo con la motocicletta di Joseph era una di quelle.
Aumentò un po’ la velocità e finalmente ci lasciammo alle spalle quella stradina inquietante. In lontananza vedevo il portone di casa e persi un battito non appena vidi Damon alla prese con uno Stefan più strano del solito.
«Lasciami qui.» Gli dissi. Non volevo neanche immaginare la faccia di Damon a vedermi su una moto con un tipo che mi aveva quasi strangolato.
«Perché?» Mi chiese frenando lentamente. Non gli permisi neanche di replicare nuovamente, mi alzai dalla moto e mi sfilai il casco.
«Fratelli in avvistamento. Sono un po’ troppo…» Mhm, come definirli? «…Protettivi.» Accompagnai il tutto con una risatina nervosa. Il ragazzo scese dalla moto e afferrò il casco senza fiatare.
«Spero di rincontrarti, Elena.» Mi disse. «Vale ancora il nostro accordo. Vinci una gara e lasciamo in pace i tuoi amici.» Mi ricordò avvicinandosi.
Annuii semplicemente, mentre lui giocava con una ciocca dei miei capelli.
«Notte, Joseph.» Il ragazzo spostò la sua attenzione sulle mie labbra e si prese pochi istanti per guardarle. Non realizzai quello che stava accadendo, fin quando non avvertii un sapore diverso dal solito. Non era il sapore di cuoio e di menta che mi piaceva…Era diverso.
Non era il sapore di Damon.
«Notte, Elena.» Mi salutò. Era stato un bacio semplice, casto, non rispecchiava i modi di fare di quel ragazzo così misterioso.
Scrollai le spalle. Non c’era bisogno di dire altro, con un leggero imbarazzo mi avviai verso il portone di casa mia.
Notai – con una punta di acidità – che Damon era ancora lì…E Stefan era completamente steso a terra.
«Stefan…» Il suo nome mi uscì dalla bocca come un leggero tremolio. Il mio fratellone aveva gli occhi socchiusi ed era poggiato al portone di casa con il corvino che lì accanto provava ad aiutarlo senza alcun risultato.
Incontrai gli occhi azzurri di Damon, ma spostai immediatamente lo sguardo su Stefan.
Sentivo il cuore battere più lentamente e la paura avvolgermi nuovamente. Cosa gli era successo?
Gli occhi già si stavano inumidendo e non m’importava di mostrarmi debole sotto lo sguardo del corvino, perché ora avevo solo una tremenda paura di dover lasciare andare mio fratello troppo presto.
«Damon, ti prego, dimmi che…» Che non ha niente di grave. Non riuscii a continuare la frase. All’altezza della gola c’era un groppo che m’impediva di dar voce ai miei pensieri.
«Sta bene, Elena.» Mi rassicurò avvicinandosi ancora di più a lui e provando ad aiutarlo. Mi avvicinai ai due e sospirai.
«E’ solo ubriaco.» Continuò. Mi accigliai immediatamente. Il primo pensiero che formulai fu perché? Perché ubriacarsi?
In questi tempi, ‘ubriacarsi’ era sinonimo di ‘divertirsi’. Per me non era così. Ubriacarsi non significava divertirsi, tutt’altro. Ubriacarsi voleva dire buttarsi alle spalle la realtà, cercando di evadere da qualcosa che ti stava sopprimendo lentamente.
«Perché si è ubriacato?» Gli chiesi arcigna. Nel frattempo, Stefan mosse lentamente la testa e aprì prima un occhio e poi l’altro.
«Avrà le sue ragioni.» Mi rispose acido Damon che frugava nelle tasche del cappotto alla ricerca di qualcosa. Sospirai pesantemente e mi sedetti accanto a Stefan. Non mi sorpresi quando incontrai i suoi occhi e vidi le pupille completamente dilatate.
Era fatto di qualcosa. Qualcosa di non troppo pesante, anche se non aveva mai retto bene l’alcool. A pensarci bene non ricordavo un solo momento in cui Stefan si era dato alla pazza gioia nell’alcool.
«Cosa cerchi?» Gli chiesi scontrosa.
«Le chiavi di casa. Che probabilmente avrò lasciato dentro.» Grugnì. Seguirono diverse imprecazioni, mentre io estrassi un mazzo di chiavi dal giubbotto.
Mi alzai da terra e sbuffai.
«Aiutalo a sollevarsi da terra…Io apro casa.» Gli ordinai. Ci furono alcuni minuti di imbarazzante silenzio, in cui nessuno dei due voleva darla vinta all’altra.
Potevamo passare così ancora molto tempo, se Stefan non avesse iniziato a tremare convulsivamente e a reprimere brividi di freddo.
Il corvino aiutò Stefan a rimettersi in piedi e io lentamente inserii la chiave nella toppa e la girai. Era tutto buio, mamma stava già dormendo.
Uhm, l’una di notte. Non dovrebbe sentirci. Costatai entrando dentro casa lentamente e lasciando le chiavi sul primo mobile che mi capitò a tiro.
Accesi la lampada e mi tolsi il giubbotto.
Damon aveva superato da poco l’uscio della porta e teneva Stefan stretto a sé. Un suo braccio gli circondava il collo, mentre il corvino lo teneva per il busto.
«Vuoi una mano?» Gli chiesi. All’inizio volevo usare un tono canzonatorio e provocatorio nei suoi confronti, ma non riuscii ad essere così meschina.
Non ero cieca.
Vedevo perfettamente la realtà.
E in quel momento mi stavo chiedendo chi tra Stefan e Damon fosse più debole. A primo impatto, un’altra persona avrebbe risposto senza pensarci dando per scontato che Stefan fosse quello messo peggio tra i due.
Io, invece, mi soffermavo sui dettagli.
Stefan era debole, sì, ma era ubriaco marcio. Damon, invece, perché era così debole? Non aveva bevuto, le sue pupille non erano dilatate…Cosa gli succede?
Faceva fatica a camminare.
«C’è la faccio.» Rispose rude. Come sempre fraintendeva tutto. Volevo sembrare gentile, volevo fargli capire che in fondo ero disposta ad aiutarlo per qualsiasi cosa gli stesse succedendo e non lo facevo solo per quella stupida scommessa.
Lo facevo perché non volevo che fosse distrutto da qualcuno che non sia io. Volevo essere io la persona che l’avrebbe distrutto, forse sembrava strano…Forse qualcuno potrebbe giudicarmi pazza, ma non lo ero.
Per quanto volessi essere io la ragione della sua distruzione, sapevo perfettamente che non avrei mai trovato il coraggio necessario per farlo.
Non replicai e lentamente ci avviammo verso la loro camera.
Attraversammo il corridoio immerso nel buio più totale, chiusi la porta della stanza di mamma – che aveva lasciato aperta –.
«Elena…» Sentii il mio nome come un debole sussurro. Accesi la luce e mi precipitai verso Damon e Stefan. Il corvino era appoggiato allo stipite della porta e teneva stretto a sé il minore come se fosse il suo unico sostegno per rimanere in piedi.
«Dio mio, cosa vi è successo?» Usai un tono così basso che l’udii solo io. Mi avvicinai e poggiai il braccio di Stefan intorno al mio collo. Il letto dopotutto non era così lontano.
«Sorellina…Ti sei divertita?» Il ragazzo sbatté più volte le palpebre e iniziò a sussurrare frasi sconnesse l’una dall’altra.
Era completamente sbronzo.
«Domani faremo i conti.» Gli dissi a denti stretti, lasciandolo cadere sul letto. «Hai bisogno di qualcosa, Stef?» Gli chiesi in tono più dolce. In risposta ebbi solo un mugolio. Stefan aveva la testa poggiata sul cuscino e cercava di prendere sonno.
A quel punto concentrai l’attenzione su Damon.
Era seduto a terra, poggiato allo stipite della porta con le mani tra i capelli e la testa tra le ginocchia. Il suo corpo era percosso da brividi, forse per pochi secondi pensai che stesse piangendo ma cancellai immediatamente quell’idea dalla mente.
«Damon…» Lo chiamai calma, provando a contenere il panico che si stava impadronendo di me. Non l’avevo mai visto in queste condizioni, anzi…l’ultima volta che avevo visto un Damon così debole e indifeso risaliva a quel giorno in cui lo trovai svenuto in bagno.
«Damon…» Insistetti ancora, avvicinandomi. Inutile. Il corvino era silenzioso, cercava di rimanere calmo. Stufa di quell’angoscioso silenzio mi sedetti a terra anch’io e iniziai a fissarlo, sperando che si renda conto della mia esistenza e che decida finalmente di rivolgermi la parola.
Rimasi lì ad osservarlo per un tempo indeterminato.
Lui non si era mosso. Era rimasto fermo ed immobile. E io lo studiai attentamente, era cambiato tutto in lui. I suoi modi di fare erano cambiati, ma – in primis – era cambiato lui interiormente.
Il Damon, che avevo conosciuto due anni fa, non si sarebbe mostrato così a nessuno. Neanche a me.
Ora, invece, stavo facendo i conti con un Damon nuovo. E mi spaventava. Mi spaventava tremendamente, perché non capivo a cosa fosse dovuto questo cambiamento radicale.
«Elena…» Chiamò il mio nome dopo troppo tempo, tra poco avrei perso la speranza. Scossi leggermente la testa e sbattei più volte le palpebre. Mi stavo appisolando lì.
«Vattene via…» Continuò, alzando di sbieco lo sguardo. Incontrai i suoi occhi celesti e allora decisi di non seguire le sue parole. Perché quegli occhi mi chiedevano di restare con lui e non potevo abbandonarlo di nuovo.
«Rimarrò qui fin quando non capirò cosa vi sta succedendo, sia a te che a Stefan.» Decretai con una scrollata di spalle.
«Non me ne fotte niente se vuoi vincere quella stupida scommessa…Vattene da qui.» Replicò con voce pesante e sistemandosi leggermente i capelli. Ancora non capivo come riusciva a farmi sentire così. Con lui sentivo sempre qualcosa bruciare, sentivo l’ansia consumarsi e la paura aumentare.
«A prescindere da questa scommessa, scoprirò quello che ti sta succedendo.» Dissi a muso duro. Damon scoppiò in una risata dura e raschiata, una di quelle che ti mettevano i brividi.
«Stai cercando di salvarmi, bimba?» Mi chiese canzonatorio. Stavo cercando di salvarlo? No. Non stavo cercando di fare un bel niente, anche perché non avevo intenzione di salvarlo in alcun modo. Come potevo salvare qualcuno, se io per prima avevo bisogno di qualcuno?
«Salvarti da cosa, Salvatore?» Detestavo ritornare a quegli odiosi nomignoli, anche se mi divertiva la smorfia che si formava sulla faccia di Damon quando lo chiamavo per cognome.
«Salvarmi dalla fine
«La fine?» Questa era una delle conversazioni più strane che avessi mai sostenuto in vita mia. E non solo perché la mia mente stava pensando già a migliaia di soluzioni possibili per sradicare Damon e tutti i suoi misteri.
«Quando capirai sarà tardi.»
Era qui che si sbagliava.
Io avrei capito. L’avrei salvato e l’avrei distrutto.
 
 
 
 
 
 
 
 
Hi girls!
Spero mi scusiate per questo piccolo ritardo di due giorni, ma non sono stata bene di salute e non ho potuto scrivere. Questo capitolo l’ho ultimato oggi, esattamente pochi minuti fa e spero vi sia piaciuto.
Non sprecherò molto tempo, perché sinceramente non mi sento granché.
Inizio da principio. Cosa ne pensate di questo ‘Joseph’? E soprattutto cosa ne pensate di questa nuova coppia (?) JosephxElena? Tranquille, non me ne uscirò con delle stupidaggini. Il pairing Delena rimarrà tale! :3
In tutti i casi sappiamo cosa Elena dovrà fare per evitare una morta certa sia per Kai che per Luke. Mhm, non vi sembra troppo semplice che con una semplice gara clandestina tutto ritorni a posto?
Le cose troppo banali non sono nel mio stile, forse però ho cambiato idea. Chi lo sa ;)
Superato questo momento, si salta alla parte finale. Credo di aver chiarito un po’ i vostri dubbi, no?
Qual è la vostra ipotesi? Cos’ha Damon? Elena lo salverà e lo distruggerà? Ora sono curiosa di sapere cosa ne pensiate.
Mi scuso in anticipo se ci sono un po’ troppi errori di battitura, non appena mi sentirò meglio lo revisionerò.
Finisco con i ringraziamenti!
Grazie alle 39 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, grazie alle 33 che l’hanno inserita nelle seguite e grazie alle 4 che l’hanno inserita nelle ricordare.
Uhm, quasi dimenticavo: un grazie a NikkiSomerhalder, Bea_01, Nicoliale, PrincessOfDarkness90, Kovu e _Alil.
Conclusi i ringraziamenti, ci sentiamo alle recensioni!
Un forte abbraccio,
Non ti scordar di me.

 
 
  
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