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Autore: Angelika_Morgenstern    26/01/2015    2 recensioni
[Canzoni]
Dal diario di Markus:
"Mio nipote Klaus ha indubbiamente preso di me, guarda sempre le montagne.
Dio mi perdoni per ciò che sto per dire ma sono quasi contento che la natura non gli abbia donato delle gambe sane.
Diversamente la storia si ripeterebbe.
Farebbe ciò che ho fatto io in passato."
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Illusione
 
“La mia felicità – diceva dentro sé stesso –
ecco… ecco… 
l’ho trovata ora che
ora che sto bene
e che ho tutto il tempo per me
non ho più bisogno di nessuno.”
Favola – Eros Ramazzotti
 

Il bambino uscì vivacemente in strada, salutando chi gli capitasse a tiro come suo solito.
La gente ormai conosceva bene la sua stravaganza ed ogni volta il suo passaggio veniva accompagnato da commenti: se armato di violino, stava sicuramente andando nel bosco, altrimenti si sarebbe limitato a raggiungere il punto più panoramico del paese per ammirare le montagne in solitudine.
Neanche quel mattino deluse nessuno, il fedele strumento a corda sottobraccio col quale attraversò la cittadina, fermandosi solo al supermarket dove acquistò un panino per il pranzo.
Quando si trovò davanti al sentiero che portava al suo adorato nascondiglio sospirò e portò la custodia scura davanti al suo viso — Guardala, Sigfrid. – disse voltandosi verso la cittadina – Guardala bene perché questa è l'ultima volta che potremmo farlo. Sono convinto che chiunque egli sia, esaudirà il mio desiderio!
Rimase forse più del dovuto a guardare il luogo dove era cresciuto, avvertendo un peso sullo sterno e lo stomaco chiudersi.
Una lacrimuccia traditrice gli solcò la guancia, rivelando così i suoi sentimenti, ma venne subito trascinata via dal pollice.
Markus diede le spalle al posto che lo aveva visto nascere e crescere, iniziando a camminare sul sentiero che portava al bosco.



— Quindi Markus non vide più il suo papà e la sua mamma? – domandò ad un tratto Klaus alla nonna, che sorrise e rispose — Purtroppo no.
— Io non riuscirei mai ad allontanarmi così da mamma, papà e te. – borbottò il bimbo dopo un'attenta seppur breve riflessione, evidentemente in disaccordo con la scelta dell'altro. 

Ma come aveva potuto abbandonare la sua famiglia?

— Ma no, questa è solo una favola, tesoro! – rispose la nonna, baciandolo sulla fronte.
Il bimbo sembrò riprendersi — E poi...?



Markus aveva camminato diverse ore, fermandosi solamente il tempo necessario per poter mangiare, e la sua perseveranza lo aveva premiato: era arrivato nel punto più alto della pista da sci, la sua sommità.

La leggera brezza pomeridiana che si era alzata lo fece sorridere di piacere mentre si girava in cerca del sole, che si apprestava a tramontare dietro le montagne. Il cielo terso era ancora di un notevole azzurro anche se la luce si faceva via via sempre più tenue.

Era emozionato.
Cominciò a cercare un posto abbastanza esposto — Voglio che si vedano sia le montagne che la mia casa, capisci Sigfrid? – domandò al suo violino, che ovviamente non rispose.
Perlustrò così bene da trovare un angolino perfetto per il suo intento, dove gli alberi formavano un piccolo spiazzo nel quale sembrava essere stato nascosto proprio un posticino per lui.

— Finalmente l'ho trovato! – esclamò, felice. Si affacciò per dare un'occhiata dal dirupo di fronte e vide casa sua, il camino fumante e qualcos'altro che non si aspettava di vedere: c'era un'auto della polizia attorno al piccolo edificio giallo, alcuni poliziotti erano attorno a sua madre, piegata su sé stessa.
Probabilmente stava piangendo.
Suo padre era in piedi vicino a lei, forse nel vano tentativo di consolarla.
Improvvisamente Markus si sentì in colpa e desiderò tornare a casa e riabbracciare la mamma e il papà per tranquillizzarli, dire loro che non sarebbe scappato più, mai più se la cosa avrebbe dovuto farli soffrire così tanto.
Invece qualcosa lo trattenne e scelse di restare.
Si drizzò in tutta la sua breve altezza ed osservò gli alberi attorno a sé mentre si diresse verso di loro, allargando poi le braccia a mezz'aria col visino rivolto verso l'altro — Tu lassù, chiunque tu sia, ascoltami!
Ovviamente non giunse risposta.
— Oggi è il giorno del mio compleanno e sto facendo soffrire molto il mio papà e la mia mamma. Sono andato via per realizzare il mio sogno: voglio diventare parte della natura, di quella cosa che hai creato tu! Mi hai sentito?
Nessuna voce. Solamente il soffiare del vento che iniziava a diventare più forte gli rispose.
Tuttavia Markus non si arrese e continuò la sua invocazione per almeno un'ora o due.
Quando vide che non accadeva nulla cominciò a perdere le speranze ed i singhiozzi scossero velocemente il suo corpo di bambino— Per... favore... – balbettò.
Dopo pochi minuti il cielo si fece nero ed iniziò a piovere, con una leggera pioggerellina primaverile che in breve si trasformò in un violento acquazzone.

Devo tornare a casa altrimenti la mamma piangerà ancora.

Il piccolo sospirò, facendo per abbassare le braccia, ormai dolenti per la posizione mantenuta a lungo.
Ma ci ripensò: non abbandonò il suo posto, anzi, alzò il nasino al cielo — E va bene, se non vuoi tu diventerò io un albero. Adesso mi trasformo....
Il bimbo strizzò gli occhi e li tenne chiusi per diverso tempo, contando i minuti, combattendo il freddo e la pioggia.
Quando cercò di riaprirli si guardò attorno, constatando con forte delusione che non era cambiato nulla.
Non sentiva cambiamenti nel suo corpo ed era alto come prima.
Cominciò così ad osservare la vita sotto di lui nella vana speranza di diventare un albero.
Si addormentò.

Il mattino dopo Markus aprì gli occhi e scoprì che non si era minimamente mosso dalla sua posizione.
Aveva dormito in piedi e con le braccia alte, che stavolta non gli davano nessun cenno di dolore.
Provò a girare la testa ma si accorse che non poteva: era bloccata, il collo era rigido e poco propenso ad eseguire il movimento che il cervello ordinava.

Vuoi vedere che ho preso la febbre?

Alzò gli occhi al cielo al pensiero di dover rientrare a casa, beccarsi una sgridata clamorosa e rimanere a letto per qualche giorno.
In quella non vide l'estremità della frangia del suo caschetto biondo, e solo dopo si rese conto che non sentiva più il peso degli abiti bagnati e soprattutto notò che non riusciva neanche a chinarsi per riprendere il suo violino, rimastogli fedelmente ai piedi durante la nottata tempestosa.
Con fatica riuscì a sfiorarsi i piedi con lo sguardo, sobbalzando quando si rese conto che ruvida e resistente corteccia scura li ricopriva, salendo anche su per le gambe.
Era così: Markus si era trasformato in albero poco prima di addormentarsi, senza rendersene conto.
Talmente grande era il suo desiderio e talmente si sentiva parte della natura da non aver notato mutamenti nel suo fisico, che era cambiato in non si sa quanto tempo.
Sentiva solo una grande felicità crescergli dentro, avrebbe voluto saltare e cantare, andare dai suoi genitori e fargli vedere che era diventato la cosa più bella del mondo: finalmente era parte di quel magnifico paesaggio.
Eppure non poteva muoversi, non aveva libertà di parola, non poteva più suonare.
Ma era felice così.
Talmente felice che chiuse gli occhi e s'abbandonò alla natura, iniziando a vivere giorno per giorno ogni sensazione che ella poteva offrirgli. 

Poco più di una decina di primavere erano trascorse e Markus era rimasto lì, accogliendo con gioia la furia degli elementi nell'alternarsi delle stagioni, piegandosi al vento che sembrava voler strappar via la sua pelle ruvida tanto soffiava forte a quell'altitudine.
Era felice della sua nuova vita, il tempo per lui trascorreva più velocemente dato che dormiva molto spesso, d'inverno anche per diversi giorni, cadendo in un vero e proprio letargo.
Il suo fusto era cresciuto in altezza ed in larghezza, diventando così un possente abete, ancora giovane rispetto agli altri, ma comunque un albero dalla corteccia sana e forte.
Era veramente felice quando gli uccellini facevano il nido su alcune sue innumerevoli, lunghe braccia.
Oppure quando gli scoiattoli si arrampicavano su per il corpo, solleticandolo con le loro zampette, quando veniva bagnato dalla pioggia o appesantito dalla neve, quando era scosso dal vento, quando cominciò a produrre resina, quando i conigli e gli scoiattoli facevano rifugio del suo corpo.
Ecco, quella era la sua felicità.
Non aveva bisogno di nessuno lui, né di esseri umani, né di feste, voleva solo avere a che fare con la natura. Amava vedere i primi fiori primaverili fare capolino, ma anche osservare come la brina aveva adornato le sue foglie durante le nottate invernali lo rendeva felice.
Adorava constatare la timidezza ed il timore degli uccellini che si svegliavano dopo il letargo.
Sì, questo è il massimo, sono felice e lo sarò per sempre così.
Non sentiva nostalgia della sua vita da essere umano nemmeno quando cominciava a vedere le coppiette formate dai suoi vecchi conoscenti che si avviavano a passeggio tenendosi teneramente per mano su quegli stessi sentieri calpestati da lui quando era un piccolo umano, posti che conosceva a memoria in ogni più piccolo anfratto.
Non sentiva il bisogno di tutto ciò.
Era ormai totalmente parte della natura: quando era stato triste per la morte di sua madre e di suo padre, sui quali aveva vegliato dall'alto fino ai loro ultimi istanti di vita, gli elementi si erano uniti a lui.
Aveva pianto gocce su gocce di resina e si era scatenato un acquazzone mentre il vento aveva smosso gli alberi in una danza piena di malinconia, salutando così il viaggio delle anime di coloro che lo avevano messo al mondo.
E quando aveva finito di piangere, la sua tristezza era così forte che iniziò a nevicare e continuò per diversi giorni, ricoprendo la cittadina di una fitta coltre di neve e gelo che bloccò la vita per quasi due settimane.
La natura era così, un'unica entità che non veniva divisa dalle diverse tipologie a cui i suoi figli appartenevano.
Che fossero animali o vegetali, alberi, fiori, conigli, scoiattoli, uccelli, serpenti, qualsiasi sentimento forte essi provavano la natura lo percepiva e lo esprimeva.
Così era sempre stato e così sarebbe continuato ad essere.
Questa era la cosa che faceva amare la natura a Markus: la sua istintiva dolcezza.
Tutti i figli della natura, accomunati solo dal fatto di essere vivi, si amavano e rispettavano come fratelli.
L'uomo era l'unico a non rispettare questa condizione, essendo l'unica specie che distruggeva vegetali ed animali per il proprio tornaconto, andando molto oltre grazie alla sua cosiddetta intelligenza.
Ed era l'unico essere vivente che uccideva i suoi simili.
Più volte Markus da piccolo aveva pensato che sarebbe stato sicuramente meglio se l'uomo non avesse raggiunto determinati livelli di sviluppo, da sempre aveva quella convinzione ed aveva sempre desiderato tirarsi fuori dalla società che imponeva uno stile di vita nocivo per la natura.
Era felice così, aveva cambiato radicalmente la sua vita, dissociandosi da quella razza assassina ed egoista.
Lui non voleva crescere come uomo, voleva essere parte della natura e lo era diventato sacrificando la sua umanità, senza ripensamenti.
Non voleva affatto essere considerato uno di quei mostri che uccidono e razziano, egoisti e capricciosi, volubili ed incapaci di amare.
No, non voleva essere un uomo, se ne vergognava particolarmente.
E per questo motivo era diventato un albero, meraviglioso, protettivo e rispettoso delle leggi naturali nella sua imponente immobilità.
Era felicissimo della sua condizione nonostante fosse veramente solo dal punto di vista oggettivo: non poteva parlare, non poteva muoversi, non poteva mangiare.
Non poteva esprimersi autonomamente
Eppure non era solo. La natura lo capiva, la sua vera madre lo capiva e tutti i suoi fratelli lo sostenevano e lo consolavano laddove ce ne fosse il bisogno, solo aveva un diverso linguaggio.
Questo era vero amore.
Non aveva bisogno di saper parlare e saper scrivere.
Non aveva bisogno d'essere un uomo.
Dava e riceveva amore, ed era felice così.




Buon lunedì a tutti! 
Siamo ormai giunti a metà storia.
Il piccoletto ha fatto la sua scelta... trasformandosi! Ovviamente c'è un significato in tutto ciò ma è bello che ognuno la veda a modo suo ^^ C'è un forte simbolismo e la "morale" arriverà solo alla fine della storia.
Bene, bene, ringrazio quanti stanno seguendo la storia: _Fedra_ e blueOwl, anche per le recensioni.
Spero che l'evolversi della storia non deluda le aspettative di nessuno e chiedo venia se i capitoli sono molto corti ma è la storia in sé ad esserlo e non vorrei tediare nessuno con letture lunghissime ^^' (era una oneshot di 37 e più pagine su word...!).
Tra due settimane posterò l'ultimo capitolo ma -se riesco a non essere discontinua- inizierò a pubblicare un'altra fanfic dai toni molto più cruenti di questa.
Un grosso abbraccio a tutti! ^^

- Angelika

 
   
 
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