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Autore: Angelika_Morgenstern    02/02/2015    2 recensioni
[Canzoni]
Dal diario di Markus:
"Mio nipote Klaus ha indubbiamente preso di me, guarda sempre le montagne.
Dio mi perdoni per ciò che sto per dire ma sono quasi contento che la natura non gli abbia donato delle gambe sane.
Diversamente la storia si ripeterebbe.
Farebbe ciò che ho fatto io in passato."
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Crollo
 
“Ma un giorno passarono di lì
due occhi di fanciulla
due occhi che avevano rubato al cielo un po’ della sua vernice
e sentì tremar la sua radice”
Favola – Eros Ramazzotti
 

La nonnina fece una pausa e si alzò, dirigendosi verso la cucina.

— Nonna finisce così? – domandò subito Klaus, il tono quasi ansioso.

— No, stavo andando a prendere dell'acqua, ne vuoi? 
Il bimbo annuì e incrociò le braccine, riflettendo — Ma nonna, se Markus è diventato un albero la storia è finita! 
— No, tesoro, non è ancora finita. – rispose pazientemente la vecchina, riempiendo due bicchieri di acqua di rubinetto.
Tornò nella stanza del piccolo, che gettò uno sguardo alle montagne mentre beveva, adorante.
La nonna prese il suo bicchiere anche con l'altra mano, portandoselo al grembo.

— Dov'eravamo rimasti? 

Una bella mattina inondata di sole Markus stava riposando placidamente nella sua corazza lignea, avendo dimenticato ormai che quello era il giorno del suo compleanno.
Foglie e rametti caduti dagli altri alberi scricchiolarono, il rumore di passi che andavano avvicinandosi destarono con delicatezza l'albero dal suo oblio.
Col sole addosso ci mise qualche attimo a recuperare la vista e ciò che vide lo sorprese: c'era una ragazza vestita di blu dall'aria profondamente triste che passeggiava sola per il bosco.
L'albero ne fu stupito: non doveva essere di lì perché aveva i capelli scuri, ad occhio e croce avrebbe potuto avere la sua età ma lui non ricordava di averla mai vista da bambino.
Chissà chi è.
La ragazza stava parlando da sola, maledicendo sé stessa perché si era sacrificata ed era stata ingannata, e quando arrivò nei pressi dell'albero lo notò, guardandolo con occhi indagatori.
Per un attimo Markus credette di essere scoperto e fu attraversato da un brivido.
La ragazza sospirò — Come vorrei essere un albero anch'io.... .
Poggiò una mano candida sulla corteccia e la pianta avvertì un calore famigliare che non sentiva da anni, qualcosa che gli riportò alla mente ricordi di sua madre che gli fecero affiorare la resina sulla corteccia.

— Ti invidio, tu non soffri mai, eh? – mormorò la ragazza, che spostò un piede, toccando così qualcosa di duro che evidentemente era sotto le foglie e generò un tonfo sordo. Aggrottò le sopracciglia e guardò in basso — Ma questo... cos'è?

Si piegò sulle ginocchia e toccò quella specie di masso nero, che risultò morbido al tatto, e se ne stupì perché non era un sasso. Spostando le foglie rimaste alla base scoprì che si trattava di una custodia.

Anche Markus rimase sorpreso, poiché aveva dimenticato del tutto la presenza di Sigfrid, suo compagno di avventure ormai lontane.
Dov'era finito il suo amore per il violino, l'unico suo amico che gli teneva compagnia quando se ne stava solitario all'ombra degli alberi per intere giornate?
Improvvisamente sentì l'istinto di muoversi e riprendere tra le mani il suo strumento, ma si accorse che non poteva farlo.
I rami dell'albero si mossero e la ragazza alzò lo sguardo verso di essi, pensando che fosse strano: non c'era brezza.
Una fogliolina si era staccata e la raccolse su una mano, chiudendola nel palmo — Come vorrei essere una foglia che viene trasportata dal vento. – disse, volgendo lo sguardo al panorama, trasportata da una delle sue fantasie – Scapperei di qui e non tornerei mai più, dimenticherei tutto e tutti, vivrei sola vagando ovunque, sarei sicuramente felice. 
A Markus sembrò di sentire sé stesso da piccolo ed un moto di tristezza smosse ancora i suoi rami, riflettendo al giorno in cui i suoi genitori erano morti.
La ragazza aprì la custodia ed i due constatarono che il violino si era conservato bene nonostante le intemperie del tempo.
Vi era un intaglio sulla sua superficie e la ragazza strizzò gli occhi per leggere meglio, avvicinando lo strumento al suo naso quanto poté.

— Sig.... Sigfrid. – lesse.
Già, Sigfrid.
Markus ricordò tutte le volte che aveva suonato quel violino, seppur alle prime armi, sotto quegli alberi mentre il sole tramontava e le nuvole sembravano muoversi per scovarlo dalla loro privilegiata posizione.
Avrebbe voluto suonare ancora, chissà a che punto sarebbe arrivato se avesse continuato a vivere da essere umano e a studiare.
La ragazza sedette tra delle accoglienti radici scoperte dell'albero che quasi l'avvolsero, poggiandosi la custodia sulle ginocchia per poi tirare fuori lo strumento.
La giornata era abbastanza calda per essere solo marzo e lei poggiò goffamente il mento sul poggiatesta del violino, cercando di suonare qualcosa utilizzando con l'archetto.
Miracolosamente si era tutto conservato alla perfezione.
La ragazza cominciò a parlare all'albero, come se questi potesse capirla — Sono sicura che tu puoi ascoltarmi. Non credo sia un caso che io abbia trovato questo violino qui. – sospirò – Mia mamma mi raccontava spesso di un bambino che era andato nel bosco con un violino sottobraccio e non era tornato più. Si chiamava Markus ed aveva denominato il suo violino Sigfrid. – si fermò un attimo – Mi ha detto che sua madre è impazzita e poi è morta. Anche suo padre è morto. Sono morti tutti e due per il dolore della perdita di quell'unico figlio. 
Si portò le ginocchia al petto — Però ho invidiato per anni quel bambino... io sono sempre stata molto attaccata alla mia famiglia ed ho sempre fatto quel che volevano solo per farli felici, ho abbandonato tutto quel che amavo. Adesso però sono stufa, vorrei scappare lontano ma non posso. Non ho soldi per mantenermi e non ho un lavoro né un titolo di studio adeguato. Cosa potrei fare se non morire? 
Una lacrima attraversò veloce le gote della ragazza, la cui schiena si alzò scossa da singhiozzi lenti.
Markus sentì una profonda tristezza farsi strada nel suo fusto: avrebbe voluto aiutarla, ma come? La sua forma era inutile allo scopo.

Ma era maggiormente sconvolto per la triste sorte di sua madre e suo padre.
Sono morti per il dolore.
Per causa mia.

La ragazza sentì le campane della chiesa suonare, il che significava che erano già le sei della sera. Il sole stava per tramontare e doveva rientrare di corsa prima di essere scoperta a vagabondare sola per i boschi.
Si alzò, baciò sulla corteccia l'albero — Vorrei portare via il violino. Era di una persona che ho ammirato molto da piccola per il suo coraggio!

Ovviamente Markus non poté rispondere anche se non voleva che portasse via il suo Sigfrid, ma la fantasia della ragazza prese quel silenzio per un assenso e ringraziò l'albero, portando lo strumento con sé.

— Che cattiva, perché l'ha portato via? – domandò Klaus, interrompendo la nonna.
— La ragazza non sapeva che quell'albero fosse Markus. Ma sapeva che quel violino era di Markus. Non aveva mai conosciuto quel bambino o forse non si ricordava di lui. Le piaceva una persona così libera e voleva avere qualcosa di suo. – rispose la vecchina, sorridendo amorevolmente.

Arrivò l'alba di un nuovo giorno.
L'aria era un po' più frizzante del giorno precedente e Markus si sentiva solo, sensazione molto strana per lui che aveva agognato la solitudine per lungo tempo.
Avrebbe voluto rivedere quella ragazza, era sicuro che se fosse accaduto avrebbe anche rivisto anche il suo violino, e forse avrebbe saputo qualcosa in più sui suoi genitori.
Improvvisamente la sua felicità era svanita.
Neanche diventando un albero aveva potuto cancellare la sua colpa di essere nato uomo:
aveva fatto morire di dolore i suoi genitori, era un assassino anche lui, esattamente come tutti gli uomini.
Eppure la natura l'aveva accolto così bene tra i suoi figli.
Ma lui era stato egoista quanto gli altri uomini, non aveva tenuto in considerazione l'amore che i suoi genitori provavano per lui e li aveva uccisi.
Aveva pianto lacrime su lacrime di resina, quella notte aveva piovuto un po' ed ora faceva più freddo del giorno precedente.
Markus avrebbe voluto rimediare ai suoi errori e tornare indietro, ma non poteva.
Sarebbe voluto tornare a muoversi, voleva conoscere gente per farsi raccontare dei suoi genitori, voleva vederli nelle foto, almeno avere la possibilità di andare al cimitero per far loro visita.
Perso in quei pensieri tristi non si accorse che la ragazza era tornata.
Aveva Sigfrid tra le braccia e si era avvicinata fino a cogliere la resina dalla ruvida corteccia con le dita.

— Perdi sangue. – mormorò – Allora anche gli alberi soffrono. – sentenziò sconfortata

– Esisterà al mondo un essere incapace di soffrire? Comincio a perdere le speranze, sai? La vita non è mai stata peggiore come ora. Solo adesso mi rendo conto che tutto quel che ho fatto non è valso a nulla, mi ritrovo con un pugno di mosche in mano. 
Si voltò a guardare la cittadina sotto di lei e Markus avvertì chiaro l'istinto di abbracciarla, ma ovviamente non poteva muoversi.
Avrebbe voluto consolarla ma così, in quella condizione di totale immobilità si sentiva perfettamente inutile.
A cosa servo? Ho ucciso i miei genitori e non posso consolare una creatura che soffre.
La ragazza guardò il violino, indicandolo con un sorriso mesto — Sai, quando mia madre lo ha visto, per poco non le prende un colpo. Mi ha chiesto dove l'ho preso, era davvero agitata! Poi ha visto l'iscrizione ed anche lei è scoppiata in lacrime. Pare fosse amica della mamma di Markus quando siamo arrivati qui e l'abbia assistita finché non è morta. Povera donna... 
L'albero sentì il senso di colpa crescere dentro di sé ed infine in tutta la sua umana prepotenza, sentì il desiderio di tornare uomo farsi spazio in lui.
Ma che diavolo sto pensando?

Sono diventato un albero perché lo volevo io, ho fatto soffrire i miei genitori per questo, li ho uccisi per il mio grande desiderio, ed ora...?

Rinuncerei al mio sogno così?

Per cosa?
Tutte queste domande erano inutili, lui lo sapeva: l'istinto era rimasto tale, lui aveva mutato solo la sua fisicità. Fondamentalmente non era cambiato affatto.
Gli esseri umani sono mutevoli, questo lo sapeva anche lui, l'aveva osservato da bambino.
Eppure lui era un albero da tempo, perché pensava ancora da umano?
Sapeva la risposta ma non voleva ammetterlo.
Non voleva ammettere che era nato uomo e che dentro di sé lo era sempre stato.
Che le sue emozioni erano così mutevoli per via della sua natura, del suo istinto volubile.
Oh, no...
Cominciò a pensare di avere sbagliato tutto, disperandosi per aver condannato le due persone più importanti della sua vita per soddisfare una scelta egoistica.
Non aveva capito nulla, avrebbe dovuto accettarsi e cercare soltanto di essere migliore degli altri, senza giudicare le azioni altrui, rimanendo coi piedi per terra.
Magari avrebbe potuto fare comunque qualcosa per la sua adorata natura.
Forse avrebbe fatto meglio.
Che stupido era stato.
Un vero egoista.
Un vero uomo.
La sua tristezza prese possesso di ogni sua minuscola cellula e, quando la ragazza disse— Si è fatto tardi, devo andare. – avvertì forte il bisogno di chiederle di rimanere, di parlare ancora a lui.
Voleva aprire la bocca ma non ne era più dotato.
Che tristezza, che senso di impotenza, quale smarrimento stava provando adesso!
Eppure fino a pochi giorni fa era così felice della sua condizione.
La ragazza si allontanò giù per il sentiero e lacrime di resina ripresero a scendere, stavolta come una piccola cascata, dalla sua corteccia.

— Markus soffrirà per sempre? – chiese Klaus e la nonna sorrise — Sei un po' troppo curioso! 
Il bimbo cacciò la lingua— Lo so... è che... è una storia molto triste. 
— Già.

La vecchina guardò la sua gonna scura e strinse le mani attorno al bicchiere.
Poi alzò il viso e riprese a raccontare.

Passarono diversi giorni ma la ragazza non tornò da Markus.
L'albero sentiva premere in maniera sempre più insistente nelle sue viscere il desiderio di muoversi per andare a cercarla, ma ovviamente non poteva spostarsi e ne soffriva molto.
Cominciò a maledire sé stesso ed il suo sogno di bambino.

Sono stato uno stupido.


 


Rieccoci qui, per l'aggiornamento del lunedì! 
Non so se siamo ancora nel periodo della Merla, però fa un freddo atroce... ieri sera ha nevischiato dalle mie parti mentre nei monti vicini c'era uno strato di neve che sembrava cotone *_*
Bello. Bello ma fastidioso... spero domani non ci siano fastidi, più che altro per andare e tornare dal lavoro.
La settimana è stata molto meno produttiva del solito, colpa della mia passione per, ehm, i videogiochi (si, alla mia età!) che mi ha tenuta incollata a mandare avanti Dragon Age.
Ma questi sono dettagli, no? ^^'
Proprio per questo motivo preferisco sempre scrivere e corregge le storie prima di pubblicarle: conosco la mia mente farfallona, sono capace di non scrivere per mesi e riprendere da dove avevo lasciato così, come se avessi finito mezz'ora prima.
Che dire? Ringrazio _Fedra_ che mi segue dall'inizio, da prima di pubblicare. La mia unica sostenitrice, al momento, eheh!
Buona settimana!

- A.

 
   
 
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