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Autore: daisyssins    06/02/2015    11 recensioni
"...Le sembrava quasi impossibile non dare “troppo peso” ad una persona come Luke Hemmings, perché certe persone, quando ti entrano dentro, non è che tu possa farci un granché. Lei lo odiava, non aveva mai odiato tanto una persona quanto lui, sapeva chi era, aveva paura di lui, una fottuta paura, perché le ricordava tutto quello da cui stava scappando."
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«Sei strana. E sei bellissima» sussurrò lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, facendo scorrere le dita tra i capelli corti della ragazza.
Phillis sbottò in una breve risata sarcastica, prima di «E tu sei matto.» rispondere divertita.
«Io sarò anche matto, ma tu resti strana. E bellissima.»
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«Luke, ho paura, stai perdendo sangue..»
«Ancora non te l'hanno insegnato, Phillis? Il sangue è il problema minore. E' questo ciò che succede quando cadi a pezzi.»
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La verità ha un peso che non tutti, e non sempre, hanno la forza di reggere.
Trailer Pieces: https://www.youtube.com/watch?v=vDjiY7tFH8U&feature=youtu.be
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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10. Try to Forget


Il locale era esattamente come ci si aspetta che sia un pub per ragazzi nel centro di Sydney: musica, fumo, alcol. Era così banale da sembrare quasi scontato ma, effettivamente, quello era esattamente ciò di cui Phillis aveva bisogno. Si sforzò di fare un sorriso a Calum, lasciò che l’amico le stringesse la mano, sperando che almeno quel gesto le desse la forza necessaria ad entrare e, per una sera, dimenticare.
Il moro la guidò tra i corpi sudati delle persone, che si affollavano al bar o in pista. Poche erano sedute attorno ai tavolini, sui divanetti in pelle bianca. Tra queste, c’era il gruppo che loro cercavano.
“Hey, ragazzi.” Salutò Calum tutti con un cenno, spingendo Phillis avanti a sé. Il primo a notarla fu Ashton, che sorrise a trentadue denti.
“Ma guarda chi c’è, la piccola Turner! Cosa ci fa qui una ragazzina?” la prese in giro, sapendo di irritarla. Lo avevano capito tutti, ormai, che fare leva sul suo orgoglio era il modo per “accendere” Phillis; quella sera, però, lei non rispose. I suoi occhi rimasero vacui mentre ricambiava il saluto, le labbra non si sforzarono più di tanto di piegarsi in un sorriso. La bionda fece scorrere lo sguardo sui presenti e, non appena i suoi occhi si fermarono in quelli di Luke, sentì davvero che sarebbe potuta anche morire lì e adesso, in quell’istante.
Era arrabbiato. Lo vedeva, percepiva la fredda accusa dietro lo scudo azzurro del suo sguardo impenetrabile, che però lei aveva imparato a scavalcare. Era fondamentalmente lì il problema di Luke, lì, in quegli occhi così azzurri e così freddi: era lì il suo scudo, lì la sua protezione. E una volta che superavi quel muro, che riuscivi a leggere più in profondità… nessuno avrebbe più potuto impedirti di farlo.
Fu lui stesso a distogliere lo sguardo, pochi attimi dopo, perché non ce l’avrebbe fatta a fingere anche davanti ai suoi amici, perché, per una sera, sarebbe stato solo un ragazzo normale.
Non salutò Phillis, non fece niente di simile. Si limitò a spostare l’attenzione su Michael che, dopo un cenno alla ragazza, aveva ripreso a discutere con Ashton di qualcosa che, con tutta probabilità, a Luke non interessava.
Mentre Phillis si sedeva, però, anche lui riuscì a notare il guizzo sul viso del suo amico, il nervosismo palpabile di Michael. Lo sapeva anche lui. Turner era in città, e loro stavano giocando con il fuoco.
Solo che, quella volta, il fuoco non era rosso vivo, non ti bruciava: per una volta il fuoco aveva il colore del ghiaccio, e ti congelava con una sola occhiata. Quel fuoco che portava il nome della ragazza seduta tra di loro.
“Io vado a prendermi da bere.” Annunciò Calum pochi attimi dopo. “Volete qualcosa?”
Phillis si alzò, affiancando il moro. “Vengo anche io”.
“Noi siamo apposto. Abbiamo appena ordinato” parlò Ashton per tutti, prima di tornare alla conversazione. La serata stava prendendo la piega di una purga, aveva effetto tranquillante, ma non era quello l’effetto che Phillis cercava.
Lei aveva bisogno di caos, caos che colora i pensieri, che li cancella; caos che ti occupa la mente, caos che ti slega dai tuoi obblighi, caos che prende il sopravvento su di te. Aveva bisogno di quel caos che le avrebbe permesso, per quella sera, di ballare senza un motivo, di cantare perché sì, di fare tutto e niente semplicemente in base al proprio gusto. Aveva bisogno di sentirsi viva.
“Cosa vi porto, ragazzi?” il barman, un uomo sulla trentina affascinante e brizzolato, rivolse loro l’attenzione dopo dieci minuti di attesa. I suoi occhi, però, erano fissi su Phillis in un modo che lei avrebbe giudicato inquietante, se ci avesse fatto caso.
“Per me una Tennent’s” ordinò Calum. “E per lei…”
“Un tris di vodka e red bull” completò Phillis.
Il moro le lanciò un’occhiata preoccupata. “Ma hai almeno mangiato qualcosa?”
“Anche se non fosse?” Phillis scrollò le spalle. “Più mi farà male, meglio mi sentirò” sputò fuori affranta, senza rendersi conto di star lasciando involontariamente trapelare più di quanto realmente volesse. Calum osservò la figura minuta e longilinea dell’amica, e si chiese davvero cosa potesse essere successo per spegnerla così totalmente e improvvisamente, dall’oggi al domani. Non riusciva a collegare con nulla quella situazione, se non con il ritorno di Andrew Turner.
La ragione principale dei loro problemi.
La ragione per cui Luke era così com’era.
La ragione per cui, prima o poi, anche Phillis sarebbe diventata come lui: un fiore appassito. Forse il più bello di tutto il giardino, certo, ma comunque appassito e privo di vita. Così morto che neanche la bella stagione lo avrebbe risvegliato.
Arrivò la sua birra a distoglierlo dai suoi pensieri, e nel tempo che il barman la stappò e gliela consegnò, Phillis aveva già buttato giù metà del suo drink.
“Non è abbastanza” mormorò tra sé e sé la bionda.
Calum inarcò le sopracciglia. “Che stai dicendo, Phillis?”
La ragazza spalancò gli occhi, come se si fosse ricordata improvvisamente di non essere sola, poi scosse la testa. “Niente. Niente di importante” mormorò con una scrollata di spalle, prima di finire il suo drink.
“Posso averne un altro?” urlò al barman, che per tutta risposta le fece un cenno di assenso. Phillis ridacchiò ed appoggiò il viso al palmo aperto della mano, con il gomito appoggiato contro il bancone.
“Hai in mente di andare in coma etilico, oggi?”
“Se la fai lunga, Cal! Sono solo due drink” la ragazza si difese mettendo su un ridicolo broncio. Il moro alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
“Senti, Phil. Io detesto fare la parte di quello serio, non mi riesce nemmeno bene. Ma non capisco che cazzo hai, anche se forse un’idea ce l’ho, visto che sei arrivata e Luke neanche ti ha salutata. Solo non capisco cosa…”
“Okay, okay, alt.” Phillis si affrettò a bloccare il fiume di parole dell’amico, portando l’indice affusolato sulle sue labbra. “Respira. Anche se non sembrerebbe, Cal, io un padre già ce l’ho.” Il viso della ragazza si contorse in una smorfia, mentre pronunciava quelle parole nelle quali, nonostante tutto, non credeva neanche lei.
Arrivò anche il suo secondo drink, e anche quello, come il primo, sparì in un baleno.
“Sai che ti dico? Fai come vuoi. Io non ci resto qui a guardarti mentre compi una cazzata del genere” e, detto ciò, sbatté la bottiglia di birra sul bancone e senza un’altra parola si allontanò. Phillis sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Avrebbe voluto che Calum capisse ma, ovviamente, lui non poteva capire.
E lei di sicuro non avrebbe saputo spiegare.
Come si spiegava ad una persona nata cieca il calore del sole, o l’azzurro del mare?
Come si spiegava ad un sordo la bellezza della musica, o il suono di una risata?
Come si spiegava il sentirsi a pezzi, a chi un cuore ce lo aveva ancora integro, saldo nel petto?
Lei non lo sapeva. Non avrebbe mai saputo dare voce a quei sentimenti perché, semplicemente, le parole non sarebbero bastate. E poteva spiegare la felicità, poteva spiegare la gioia, la tristezza: ma il caos che sentiva in testa, e il vuoto che sentiva nel petto, quelli non avrebbe saputo spiegarli mai.
I drink si susseguivano uno dopo l’altro e, finalmente, era riuscita ad ottenere l’effetto desiderato: disconnettere i pensieri, staccare la spina, lasciare la presa sulla realtà. Sarebbe andata avanti in quel modo, se un paio di braccia magre ma forti non l’avessero trascinata via di lì, caricandola in spalla di peso.
“Luke? Luke, mollami!” urlò la bionda infastidita, la voce resa più acuta a causa dell’alcol. Il ragazzo non diede segno di averla sentita: continuò a camminare spedito verso l’uscita posteriore del locale, fin quando non si trovarono in un vicolo illuminato male, totalmente spoglio a parte qualche cassonetto, e completamente vuoto.
“Mettimi giù!” ripeté Phillis, stavolta più debolmente, continuando però a scalciare e dimenarsi. E fu in quel momento che Luke sembrò decidere di darle ascolto, perché si arrestò di colpo e la adagiò sui gradini un po’ sudici e sicuramente freddi davanti all’entrata posteriore del locale.
Non appena Phillis cercò di mettersi in piedi, tentando maldestramente di allontanarsi, il ragazzo la congelò con un’occhiata, bloccandola lì al suo posto.
“Mi spieghi che cazzo ti è preso?” sbottò duramente, senza guardarla in faccia. Forse, semplicemente, non ce l’avrebbe fatta a guardare i suoi occhi chiari e vederli privi del solito spirito guerrigliero.
Forse aveva paura di quel vuoto che si stava impossessando di Phillis. Forse, ma tanto lui non l’avrebbe ammesso mai.
“Che cazzo mi è preso quando?” ribatté la ragazza accavallando tra loro le parole, trascinandole come solo un ubriaco può fare.
Luke sospirò, passandosi una mano sul viso pallido. “Oggi…”
Phillis scoppiò a ridere e “Austin è tornato, sai, Luke?” e rise di nuovo. Non notò la mascella del biondo irrigidirsi, non notò i suoi pugni stringersi.
“Chi è Austin?”
“Austin è… il mio ragazzo? Non lo so, dimmelo tu Luke. Si era trasferito in America con suo padre… e poi oggi l’ho rivisto! Ma non è tornato da me, no. “ Phillis fece una pausa, continuando a ridere. “Era con una ragazza… era bella, sai? Con i capelli rossi. E tu sai cosa si dice delle rosse, vero? Cioè, io lo capisco comunque, eh. Tanti anni a costruire un rapporto… ma va bene, va bene. Chi preferirebbe una come me ad una rossa come quella?” e, all’improvviso, le sue risate si trasformarono in singhiozzi. Le lacrime ripresero a scendere sul viso della ragazza, mentre le sue spalle venivano scosse dai singhiozzi. Luke le si sedette vicino e, un po’ incerto, circondò le spalle minute della ragazza con un braccio.
“Phillis. Ascoltami.” Le parlò con un tono tranquillo, come si fa con i bambini molto piccoli. Cercò di non far trasparire tutta la sua frustrazione, il risentimento, e neanche quell’altra cosa, un sentimento che neanche lui aveva ancora definito del tutto. “Non so chi sia Austin, e non so cosa sia successo. Ma tu… sei bellissima. Dovresti vederti quando ti arrabbi e ti fai tutta rossa, e stringi le labbra. O quando ridi e arricci il naso, e ti si forma una fossetta all’angolo destro delle labbra. O anche adesso, mentre piangi. Sei sempre così bella…”
Probabilmente Luke avrebbe continuato il discorso, se non fosse stato per Phillis che, in quel momento, bloccò il suo flusso di parole con le proprie labbra. Successe tutto in un attimo, così velocemente che Luke neanche se ne accorse. Così velocemente che neanche Phillis riuscì a collegare ciò che stava facendo. Tenne il viso del biondo fermo tra le mani, mentre le loro labbra continuavano a muoversi insieme e le loro lingue continuavano a cercarsi, a scoprirsi, ad urlare in un grido senza parole quel sentimento che entrambi si rifiutavano di accettare.


**

... Sì, sono davvero io.
Dopo tanto tempo ho ripreso a scrivere Pieces, chissà perché, poi? Avevo bisogno dello stato d'animo giusto, dico io. "Pieces" è una storia che segue moltissimo il mio stato d'animo, e negli ultimi tempi davvero non riuscivo a scrivere, mi veniva un groppo in gola se pensavo a questa fanfiction, e a ciò che mi aveva dettato i suoi capitoli, alle emozioni che me l'avevano ispirata, per così dire. Però adesso ci sono. Ci sono di nuovo e, prometto solennemente, non voglio abbandonarla.
Spero solo voi possiate scusarmi.çç
Grazie a chi c'è sempre stato, a chi si è interessato, a chi non mi ha ancora abbandonata ma anche a chi l'ha fatto. Grazie a chiunque abbia mai incontrato - anche solo casualmente - Pieces.
Alla prossima, Ida.x
  
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