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Autore: pewdiekairy    08/02/2015    2 recensioni
Tutti conosciamo la storia terrificante di Slenderman,un mostro che rapisce i bambini per poi ucciderli. Ethany ha solo 13 anni,ha la strana facoltà di vedere le anime perdute e porta su di sè un terribile destino:incontrerà il mostro e la natura del loro rapporto sarà in mano alla ragazza. Potrà salvarlo,ucciderlo,ignorarlo... ma questo lo scoprirete solo leggendo.
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Slender man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi scuso se non ho pubblicato questa settimana ma la fine del quadrimestre mi ha esaurita T_T continua la storia di Ethany in modo abbastanza normale ma sempre sotto l’occhio vigile di zio Slendy ...
 

Capitolo 2: Vita di tutti i giorni … o quasi

Ethany navigò su internet per un’ora, ma non trovò niente. Le solite leggende metropolitane, dettagli assurdi sulla dieta del Bigfoot e nemmeno. Una. Parola. Su. Slenderman. Niente che spiegasse la sua profezia, almeno. Ethany aveva trovato solo un sito di invasati che ipotizzavano in quale parte del mondo si potesse nascondere senza venirne a capo, perché era comparso in almeno mezzo mondo. Ethany sospirò. Forse la sua domanda era destinata a rimanere senza risposta. Sbadigliando cominciò a vestirsi, rabbrividendo per il freddo. Era novembre, e nessuno si spiegava perchè quella cappa di freddo sembrava durare da un anno. Anche l’estate era stata abbastanza fresca. “Io lo so”, aveva pensato Ethany quando i meteorologi si erano interpellati a vicenda per ottenere una teoria valida, senza ovviamente cavarne un ragno dal buco. “Ma se lo dicessi non mi crederebbero mai”, aveva concluso, dato che gli adulti davano poca retta a quello che esce dalle bocche dei ragazzi. Sempre con la testa tra le nuvole continuò a vestirsi, e fece talmente poco caso a quello che stava indossando che si ritrovò a uscire dalla sua stanza con un paio di pantaloni viola fluo e un maglioncino di cachemire rosa cipria. Ridacchiando, cambiò i pantaloni con un più appropriato paio di jeans, afferrò la sciarpa blu e il cappotto, si allacciò le scarpe e si diresse in cucina, chiudendo piano la porta. Attraversò il salotto con i mobili in pelle chiara e i lampadari minimalisti e si diresse in cucina. Questa era molto accogliente, con il suo tavolo di legno chiaro e la cucina che sembrava un rompicapo, tanti erano gli scaffali e le credenze sopra e a fianco dei fornelli. Su queste mensole Ethany aveva allineato i suoi lavori di quando era bambina: la coccinella di cartapesta fatta all’asilo, un rametto mezzo segato, ricordo di quando si era messa in testa di fare il falegname, e varie piccole opere che contenevano ricordi felici o meno. Una gliel’aveva regalata suo padre, poco prima di morire. Sua madre era al lavoro come sempre e lei la mattina non la vedeva mai perchè si recava al tribunale prestissimo per svolgere il suo lavoro di avvocato. Ethany vide che erano già le sette e decise di bere un po’ di cioccolata riscaldata al microonde. Poi uscì di casa, chiuse a chiave e la ripose nello zaino insieme alle cuffie. Si diresse verso la fermata dell’autobus imbiancata di neve e intanto avviò una playlist a caso. Mentre una canzone famosa partiva a tutto volume, Ethany vide che oltre alle persone normali alla fermata gironzolavano anche delle figure evanescenti, che si confondevano con l’aria. Ethany evitò di fissarle troppo. Da quel giorno malaugurato aveva cominciato a vederle dappertutto. Erano semplicemente anime, e dopo qualche tempo in quella condizione si erano abituati a non essere visti da nessuno, perciò, se lei li avesse fissati, rischiava che si accorgessero di lei e che cominciassero ad assillarla di richieste assurde: ”Il mio orsetto di peluche, ci ero tanto affezionato. Potresti portarmelo?”, le aveva chiesto una volta un’anima con le sembianze di un nonnetto di cinquant’anni. Ethany non lo aveva mandato a quel paese solo perché era educata. E anche perchè le facevano pena, e potevano diventare vendicativi se non ti comportavi bene. Una volta si era ritrovata legata al letto, ed era riuscita a liberarsi solo perchè il tizio che l’aveva impacchettata non era abile con i nodi. Mentre era assorta in queste riflessioni, una mano le diede una pacca sulla spalla e la fece sobbalzare. Si tolse le cuffie ed apostrofò il nuovo arrivato: ”ZACK!! Mi vuoi far morire di paura?”, lui sghignazzò. “Come se non sapessi che ci vuole ben altro per spaventarti”, ma Ethany non si lasciò distrarre: ”E se fosse stato LUI? Avrei avuto ragione a spaventarmi!!”. Zack rise, ma poi si fece subito serio: ”Allora in questo momento non avrei più un’amica”. Ethany sbuffò. Zack era l’unica persona al mondo in assoluto a sapere che cosa era successo un anno prima. Si erano conosciuti dopo le vacanze di Natale, quando lei si era appena ripresa da quell’esperienza traumatica. Zack era scuro di capelli e stranamente più alto di lei, dato che nessuno nella loro classe poteva guardarla dall’alto in basso. I suoi occhi verdemare lo avevano reso famoso tra quelle della loro classe, che per dirla in termini socialmente accettabili erano ragazze di alquanto facili costumi. Lei era la più taciturna e tutti tendevano ad evitarla, a prescindere da quello che era successo. Nessuno poteva sapere, perchè tutti si erano dimenticati dei suoi amici. Fu proprio grazie a questo atteggiamento dei suoi compagni che potè avere Zack come compagno di banco. Infatti l’unico banco libero in classe era quello accanto al suo, e fu proprio a quello che si sedette Zack, su invito della prof. Non sembrò dargli fastidio che tutti lo subissassero di domande impedendo lo svolgimento della lezione, ma il ragazzo che era nel banco davanti al suo gli disse di stare attento, perchè stando con lei gli sarebbe successo qualcosa di brutto. Ethany aveva smesso già da tempo di ascoltare. Era l’unico modo. Non ascoltare per dimenticare. Tuttavia Zack non aveva dato peso alle parole del suo vicino. Aveva sorriso e annuito, ma quando si era voltato verso di lei aveva l’espressione dubbiosa di chi non sa cosa pensare, non il terrore di vedere capitare qualcosa di orribile. Durante l’intervallo aveva cercato di smuoverla dal suo mutismo, ma con scarsi risultati. Nei giorni successivi passavano l’intervallo a guardarsi e Zack rideva, ma lei si chiedeva cosa c’era da ridere. Lei non era esattamente di compagnia. Ma a poco a poco lui la conquistò. La aiutava con i compiti, la difendeva dai bulli, e proprio da lui Ethany aveva imparato a difendersi da sola. Un giorno di primavera aveva preso il coraggio a due mani e gli aveva raccontato tutto. “Ecco, ora sai di chi sei amico”, aveva concluso, quasi piangendo. Ma lui, sconvolto, l’aveva abbracciata e aveva cominciato a carezzarle la testa. Lei lo aveva spinto indietro, rossa in volto. Erano in un posto riparato del cortile della scuola, ma se qualcuno di avesse visti allora Ethany era sicura che avrebbero preso in giro Zack per il resto della vita, e non voleva che qualcun altro avesse la vita rovinata. Aveva già causato troppe vittime. D’altronde, lui se l’era cercata. Ethany, dopo essersi assicurata che nessuno li avesse visti, aveva sentito montare la rabbia. Lo schiaffo era arrivato, lasciando sulla guancia di Zack un segno rosso ben visibile. Ad Ethany era mancato il respiro. Poi si era resa conto di quanto era stupido quello che aveva fatto. “Oddio, Zack io … scusami, non so cosa mi sia preso …”, aveva bisbigliato mortificata. Aveva ferito Zack, l’unico che avesse mai cercato di fare amicizia con lei dopo quella terribile esperienza di cui aveva sentito il racconto senza battere ciglio. Le aveva creduto subito e aveva cercato di consolarla nell’unico modo che conosceva, e lei lo aveva ferito. Lui strinse le labbra. “Me lo dovevo aspettare. Scusami, non lo farò mai più, se questo ti turba”. Ma dalla sua voce si capiva che era arrabbiato. Era stato il turno di Ethany di abbracciarlo, singhiozzando e premendo il volto contro la sua maglietta. “Sono stata una stupida, mi dispiace … non andare via, ti prego …”. Zack aveva ricambiato l’abbraccio, ma in quel momento di era udito un verso di scherno e una torma di ragazzini aveva fatto irruzione nel cortile. “Guarda un po’ chi si vede. Allora non ascolti i consigli di chi ne sa più di te, vero?”, disse il capo, quello che aveva avvertito Zack. “Ascoltare i consigli e seguirli sono due cose diverse”, aveva risposto lui. Ethany intanto si era staccata frettolosamente da lui e si era asciugata le lacrime. Erano usciti piuttosto male dalla rissa, ma niente ossa rotte o ferite irreparabili. Avevano detto ai genitori che erano caduti dalla bici mentre lui la riportava a casa, e da quel giorno avevano trascorso molto tempo insieme. L’autobus arrivò, distogliendo l’attenzione di Ethany. Salì con Zack e si sistemò in fondo. Per tutto il tragitto rimasero in silenzio, e quando scesero dall’autobus diretti a scuola Ethany si voltò per guardare Zack che era rimasto indietro. Il suo cuore mancò un battito. Nella vicina macchia di alberi, una figura alta la osservava, immobile.

*Angolo dell’autrice*

Terzo capitolo *-* mi dispiace se non ho pubblicato mercoledì  scorso ma non ho avuto proprio tempo :( questo capitolo è stato scritto di fretta proprio mercoledì scorso, ma non ho voluto pubblicarlo perchè volevo rivederlo :) spero che la parte dei ricordi di Ethany non sia troppo pesante e sono cosciente che la storia presente va a rilento, ma secondo me è importantissimo definire il passato per basarsi sul futuro ;) ho cambiato il rating in parte perchè pensavo che non fosse così cruento e in parte per DarkInk, che voleva leggerla ma è minorenne :D

   
 
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