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Autore: Prato_Azzurro    09/02/2015    4 recensioni
Ross Lynch sembra il solito secchione che si incontra a scuola, un po' sbadato ed allegro.
Dentro di sè, però, ha un mondo; dietro i suoi occhi si celano... demoni.
I tagli si sarebbero visti di certo. Anche con tutto il fondotinta immaginabile avrebbe comunque dovuto entrare in acqua e Rydel non ne aveva nessuno resistente ad essa. [...]
- Cos’è? - chiese, accigliato.
- Cos’è cosa? - [...]
- Quel segno… appena sopra il tuo orologio. Lì, sul polso sinistro.

--
Spero vi piaccia, se recensite mi fate taaaanto felice :3
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Ross Lynch, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Camminavano senza parlarsi per i corridoi del secondo piano, cercando con gli occhi l’aula di Arte. Ross quel giorno non era molto loquace e Zack non si era ancora svegliato del tutto dal suo lungo sonno mattutino.  Insomma, tutti e due non riuscivano o non volevano parlare e, quindi, le loro labbra rimanevano sigillate, le frasi non dette che volteggiavano silenziosamente nell’aria mattutina, che sapeva di caffè bevuti per non addormentarsi sul banco e baci all’ultimo minuto, quelli dati prima di scappare in classe.

Dopo qualche minuto videro la porta riportante la classica scritta ‘Art Class’, aprendola ed entrando dentro la stanza. C’erano già tutti i loro compagni, seduti e pronti per la lezione, mentre il professore non era ancora arrivato.

Alcuni ragazzi approfittavano del fatto che non ci fosse l’insegnante per mandare messaggi col cellulare, altri sembravano quasi dormire sul banco mentre altri ancora, le facce stravolte e le borse sotto gli occhi, si dovevano ancora riprendere dalla classica fase ‘prima ora di scuola? Ho sonno’ - come Zack, alla fine.

Il biondo era strano. Di solito entrava nella classe facendo qualche battuta sull’orario scolastico che impediva agli studenti di dormire oppure, comunque, aveva un gran sorriso sulle labbra. Quel giorno era entrato a scuola più in ritardo del solito, aveva a malapena salutato Zack e qualche altro ragazzo che frequentava i suoi corsi, aveva depositato i libri che non gli servivano nel suo armadietto distante pochi metri da quello del rosso e, insieme a quest’ultimo,  si era avviato verso la loro prima classe.

Tutto ciò con un’espressione la quale, se fosse stata più seria, non sarebbe potuta appartenere ad altro uomo se non a Leopardi, uno scrittore italiano che aveva studiato in uno dei suoi innumerevoli corsi.

- Ross, mi dici che hai? Di solito sei sempre allegro… in questi giorni sei sempre cupo e triste. C’è qualcosa che non va? Sei arrabbiato con me? - gli chiese, volendo sapere di più. Odiava quando non riusciva a capire qualcosa e, quel giorno, non comprendeva il comportamento del suo amico. Non che fosse uno di quei ragazzi burloni e sfacciati ma era quasi sempre allegro e pieno di vita…

- No, Zack, non sono arrabbiato con te. E non ho assolutamente nulla, va tutto… - Esitò. - bene. - Si sedette al suo solito banco in ultima fila, poggiando lì il suo album da disegno e l’astuccio con i pastelli e le matite, che gli sarebbero servite per la lezione di Arte, sopra di esso. Il rosso lo seguì, posizionandosi di fianco a lui. Nell’aula c’erano quattordici banchi, tutti posizionati a coppie. Ross stava nell’ultimo per non dare troppo nell’occhio e perché odiava essere osservato. Davanti ad essi troneggiava una cattedra rialzata di qualche centimetro da terra per mezzo di una pedana. Dietro di essa due lavagne: una tutta nera, fatta per essere scritta con del gesso che mancava ogni qual volta serviva, ed una multimediale. L’aula era ampia e le pareti colorate di un verde acqua spento; c’era anche un armadio addossato ad una parete dove gli studenti potevano lasciare pennelli, tempere, quadri e tutto ciò che occorreva loro per le lezioni. Ross non riponeva mai nulla lì dentro; più volte i suoi compagni avevano provato a rubargli qualche matita colorata o un foglio ruvido che mancava loro. Preferiva di gran lunga il suo armadietto che, essendo comunque più piccolo, non poteva essere aperto se non da lui.

- Sicuro? - chiese ancora, indagatore.

- Sì, Zack. Sicurissimo.

- Non me la racconti giusta - asserì, dubbioso. - Secondo me c’è qualcosa che cerchi di nascondermi. Sono il tuo migliore amico, puoi…

- E da quando?

Zack si mise a ridacchiare. - Da quando ti sopporto, ovvio.

Le labbra del biondo si piegarono in un sorriso mentre scuoteva la testa, divertito.

- Ma smettila! - Gli tirò giocosamente un pugno sulla spalla.

Si avvicinò loro un ragazzo alto e moro, insieme a lui quella che, a quanto aveva saputo Ross, doveva essere la sua ragazza. Guardarono la porta, accertandosi che il professore non fosse arrivato.

- Ehi James, Lynch. Allora, voi venite in piscina sabato?

- Sì! - Ross lanciò un’occhiata in tralice all’amico che, senza suo consenso, aveva appena risposto.

- In realtà, - specificò il biondo. - io non vengo.

Il moro lo guardò, un’espressione non molto stupita in viso. - Okay. James, ci vediamo verso le tre, va bene?

Zack sussultò. - Okay, ma… posso cercare di convincere Ross e…

- Vabbè dai, se non vuol venire non forzarlo - si intromise la ragazza, ridacchiando leggermente. Si avvicinò all’orecchio del ragazzo, sussurrandogli qualcosa e facendolo ridere a sua volta. Ross capì solamente che stessero parlando di lui e gli bastò per infastidirsi.

- Andiamo, Laila, mica che poi entra Philips e sclera vedendoci in piedi.

Se ne andarono e Ross, che stava stringendo i denti per il nervoso, cercò di rilassarsi. Impresa ardua.

In quel momento entrò il professore, la borsa di cuoio in spalla ed il giaccone nero in mano. Tutti gli alunni, inclusi Ross e Zack, si alzarono, come loro solito. Ad un cenno del professore si risedettero ai loro posti, in attesa di una qualche consegna del professore, che non tardò ad arrivare.

- Allora, ragazzi. - Poggiò la sua borsa a terra, vicino alla cattedra, mettendo il giaccone sulla sedia per poi lisciare la sua camicia verde e bianca a quadri. - Oggi lavoreremo solo con la matita.

Alcuni ragazzi si lamentarono: usare i colori era per loro molto più divertente e creativo. Inoltre pensavano quasi tutti che si potessero esprimere più emozioni con il rosso, il giallo, il blu… il chiaro scuro era una tecnica difficile, quasi più della pittura con le tempere. Preferivano quasi la teoria, che facevano il lunedì, al suo posto.

Per Ross non era così. Pensava che con troppi colori si rischiasse solamente di consegnare troppi pensieri che non avevano alcun tipo di legame tra loro. Non che non gli piacesse dipingere con le tempere - era una delle sue tecniche preferite! - ma pensava che con una matita si potesse riuscire ad esprimere di più. Linee decise o sfumate che si mescolavano insieme armoniosamente perché dello stesso tipo. Aveva sempre adorato la matita perché riusciva ad essere delicato e, nel contempo, riuscire a dare un tono calcato e scuro ma senza eccedere. Come un pianoforte, pensò; poteva suonare melodie come un’aria inglese ed altre come valzer spagnoli. Il tutto con un solo strumento.

- Uffa - si lamentò un ragazzo in seconda fila, dando voce a tutti i pensieri e le lamentele deli altri. - Prof, per forza?

- Certo - rispose lui, gesticolando lievemente con le mani. - Ho una buona notizia, però. Avete libero arbitrio. Potete scegliere di disegnare qualunque cosa e, ovviamente, persona, a vostra completa discrezione. Avete quest’ora di tempo e, se non finite… anzi, mi correggo, portatelo anche a casa. Voglio dei disegni così belli che in un’ora di tempo non si possono realizzare! Voglio poter vedere capolavori con ore ed ore di lavoro dietro di essi.

Una mano si alzò e, appena il professore la vide, diede la parola al ragazzo che l’aveva diligentemente sollevata.

- Dà il voto?

Asserì con la testa. - Certamente. - Si alzò nuovamente un coro di lamentele. - Ragazzi, mettetevi al lavoro invece di lamentarvi.

Sbuffando, si misero tutti quanti a pensare cosa disegnare, schizzando linee sul foglio che avevano preparato davanti a loro senza un’idea precisa.

Ross cercò tranquillamente una matita dal suo astuccio, prendendo un foglio dall’album di disegno. Non aveva bisogno di pensare a cosa disegnare, aveva già un idea ben formata in mente.

 

//

 

- Domani ci sono i colloqui con i professori.

Ross si strinse nelle spalle, Rydel sbuffò e Ryland sbadigliò.

- Quanto siete entusiasti, ragazzi! - rise Stormie. - Niente da dire?

- Cosa dovremmo dirti? - chiese il più piccolo, prendendo tra le mani il suo bicchiere pieno di coca cola per poi portarlo alle labbra. La cena a tema messicano che aveva preparato la madre gli stava facendo bere più del previsto. Probabilmente sarebbe rimasto a dormire sul water la notte, per ogni evenienza.

- Non so… avete fatto qualcosa che devo sapere? Prima che i vostri professori mi dicano che avete combinato qualcosa ed io non so niente…

Rydel storse le labbra, pulendosi successivamente la bocca con il tovagliolo e scostando leggermente da sé il piatto vuoto, contenente ancora qualche piccolo residuo del burrito che aveva consumato. Sempre lo stesso discorso ogni volta che c’era un colloquio con i professori. Ogni santa volta! Ryland aveva assunto la stessa smorfia infastidita di sua sorella, stufo delle solite domande della madre. Ross invece continuò silenziosamente a mangiare, senza dire o fare nulla, come se tutto quello che stesse avvenendo non gli riguardasse.

- Non è successo nulla - disse Rydel.

- Non ci dite mai niente - sbottò Mark, con tono da rimprovero. - Non sappiamo come va a scuola, se vi trovate bene, se è tutto a posto… è come se foste degli estranei! Rydel, Ross, so che non è da tanto tempo che ci conosciamo. - Ross fermò il braccio a mezz’aria, per poi continuare ad allungarlo verso la bottiglia d’acqua.

- Sarà l’adolescenza, e vi capisco - si intromise la moglie, capendo che quello fosse un tasto che Ross non voleva venisse toccato. - Però potreste dirci qualcosa… non dico tutto, nemmeno io dicevo tutto ai miei alla vostra età, ma qualcosina… come dice vostro padre, per noi due diventate quasi come estranei. Non sappiamo niente sul vostro mondo: se siete felici, tristi, arrabbiati…

Ryland smise di mangiare, alzando gli occhi al cielo. - Mamma, non ti verrò mai a dire i particolari della mia vita! E’ la mia, non la tua. Cosa ti potrebbe interessare?

- Siete i miei figli! - esplose lei. - Voglio sapere cosa vi passa per la testa!

Ross continuava a mangiare, senza preoccuparsi minimamente della conversazione che iniziava a diventare più seria. Era  lì, seduto di fianco al fratellino e, senza emettere suoni, ascoltava attentamente la discussione che era cominciata. Certo, capiva che i suoi genitori volessero fare parte della vita sua e dei suoi fratelli, ma… non avrebbe mai detto loro che fosse quello che era. Lo avrebbero mandato da uno psicologo o, peggio ancora, in manicomio. In più, si immaginava sempre sua madre in lacrime, “Perché ho un figlio così?”, il padre che l’abbracciava, “E’ pazzo!”. E loro che spendevano soldi per farlo andare da uno strizzacervelli gli faceva stringere il cuore.

Avrebbe rovinato la sua famiglia, anzi, l’aveva già rovinata nascendo… nascendo in quel giorno piovoso poco dopo Natale.

- Rydel, dove stai andando? - Si era distratto e non era riuscito a capire cosa fosse successo ma lo poteva immaginare. Come al solito, Rydel e sua madre avevano cominciato a litigare e suo sorella, irritata, si era alzata da tavola per andarsene in stanza sua ad ascoltare musica o messaggiare con qualche sua amica. E, ovviamente, sua madre non voleva che se ne andasse nel bel mezzo di una discussione.

- In stanza mia!

- No, tu resti qui - disse il padre, sbattendo una mano sul tavolo e facendolo tremare. Ross sospirò: si sarebbe messa male, ne era certo. - Rydel, torna subito qui o non potrai più usare cellulare, computer, televisione…

La bionda tornò al tavolo, sedendoci e sbuffando. Sapeva bene che non fosse affatto conveniente mettersi contro il padre: era calmo e simpatico ma quando si arrabbiava… Sbuffò, guardando i fornelli ed evitando gli sguardi dei suoi genitori.

- Rydel, noi vi vogliamo bene ma a volte ci chiediamo se voi vogliate bene a noi… non ce lo dimostrate per niente. - Stormie, al contrario, era molto più tranquilla del marito. Certo, se voleva sapere diventare aggressiva, ma solitamente non lo era.

- Mamma, dai - sospirò Ryland. - Sei nostra madre!

- Ma non sembra!

Ross, stufo di stare ad ascoltare i suoi parenti litigare, si alzò.

- Ross - lo richiamò il padre, ancora arrabbiato. - Dove stai andando? Rimettiti seduto.

- Non c’entro in questa conversazione - rispose il biondo, scuotendo leggermente la testa. - Me ne vado in stanza.

Se ne andò senza far caso alle urla del padre, che gli ordinava di tornare indietro. Erano così le persone: se si arrabbiavano con qualcuno cominciavano a covare rabbia anche dentro e, con le persone con cui potevano sfogarsi senza passare per maleducati, si svuotavano, scaricando loro addosso tutta l’ira.

Ross non lo sopportava. Per niente.

Ryland aveva appena finito di mangiare e, senza dire una parola, si alzò per seguire il fratello.

Sapeva cosa gli stesse passando per la testa: aveva dei segreti che nemmeno i suoi genitori potevano immaginare. In effetti, sapere la vera natura di suo fratello lo rendeva strano. Da una parte era spaventato perché, come ben sapeva, custodire un segreto comportava anche rischi e pericoli. Soprattutto un segreto così… Non avrebbe dovuto dirlo a nessuno, non avrebbe dovuto farsi terrorizzare.

E queste responsabilità un po’ lo spaventavano perché lui non era un adulto, era un semplice ragazzino di quasi quattordici anni. Non era un adulto, uno di quelli forti e che sapeva sempre cosa fare in tutte le situazioni. Per certi versi era ancora un bambino ed era davvero impaurito.

Da un altro lato, invece, pensava che essere l’unico a sapere qualcosa di più su Ross fosse per lui quasi… un essere speciale. Sì, pensava che lo rendesse diverso; che era destino che lo sapesse lui e non i suoi oppure Rydel. Solitamente erano i più saggi e i leader che sapevano tutto, quella volta non era così. Era proprio lui, Ryland Michael Lynch, il più piccolo della famiglia, a poter aggiustare la vita di suoi fratello. Si sentiva importante.

Finalmente poteva fare qualcosa di utile ma avrebbe dovuto fare in fretta.

I demoni avrebbero potuto colpire in qualunque momento…

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Yay gente, eccomi.

In questo capitolo ho voluto mettere in luce il fatto che i genitori non sempre si sbaciucchiano con i figli, soprattutto nell’età dell’adolescenza. Leggo, nei libri, di genitori così perfetti e magari qualche difetto ci vuole, no?

Vabbè.

Spero che il capitolo via sia piaciuto perché tra poco arriva my compleanno (che è il 27 febbraio) e… e niente. È una giornata come le altre se non con compagne che fanno finta di interessarsi di colpo a te dandoti qualche regalo di Natale che non piaceva loro, riciclato.

Sì, non sono mai una persona troppo ottimista, I know XD

Vabbè, niente da dire, ho fame (?) e mi sto incavolando con gli accenti gravi e quelli acuti. Ma perché esistono due tipi di “è”? >.<

Ho postato oggi perché domani devo andare a suonare a teatro e nulla… ho paura.

In bocca al lupo e sperem!

Scusate se ci sono errori ma sono appena tornata da Musica e ora devo fare la doccia, ripassare Letteratura, Algebra, Inglese e Spagnolo.

*il mio migliore amico insegna dialetto milanese, se qualcuno ha bisogno di ripetizioni XD*

Prato_Azzurro

  
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