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Autore: Laylath    09/02/2015    2 recensioni
(spin off di Un anno per crescere)
Le storie romantiche decisamente non facevano per loro.
Ci si poteva immaginare belle e deliziose favole, ma alla fine la loro personalità era quella della gente di campagna. Rumorosa, divertente, poco raffinata, ma con solide basi che piantavano radici nella semplicità del mondo stesso.
Ed ecco l'ultimo spin off, ossia la famiglia Havoc
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heymas Breda, Jean Havoc, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 11.
1883. Un neonato in famiglia



Eeeghu!”
Immediatamente Angela scatto a sedere nel letto.
“Anche questa notte!” sospirò, mettendosi una mano in testa.
“Ci sta prendendo per i fondelli come tutte le altre volte – mormorò la voce di James accanto a lei – non ha bisogno di niente.”
“Ghaa… gha…uh…”
“Sei sveglio pure tu – gli fece notare la donna, accendendo la luce sul comodino ed alzandosi per andare alla culla di Jean – non fare il finto tonto.”
Come sbirciò all’interno della culla vide che Jean se ne stava beatamente sdraiato di fianco con gli occhi semiaperti, in uno strano stato di dormiveglia. Sorrideva soddisfatto e ad intervalli irregolari emetteva quei versetti che a quanto pare esprimevano tutta la sua approvazione per essere al caldo e con lo stomaco pieno.
Peccato che questi versetti avessero il potere di far svegliare i genitori praticamente ogni notte. Dall’alto del suo mese e mezza di vita Jean non si rendeva conto che la notte era un momento di riposo prezioso per chi doveva lavorare.
“Ehi, bestiolina – sussurrò Angela accarezzando i capelli biondi e sottili del piccolo – perché non ti addormenti del tutto e non ti svegli fino alla poppata delle sette? Su, da bravo, chiudi gli occhietti…”
Continuò a vezzeggiarlo in quel modo per diversi minuti non potendo fare a meno di sorridere nel rimirare suo figlio. Dovette trattenersi dal prenderlo in braccio: Jean l’avrebbe sicuramente presa come scusa per svegliarsi del tutto e allora sarebbe stato davvero difficile farlo riaddormentare. Se c’era una cosa che aveva imparato di suo figlio era che aveva svariate energie e il concetto di orari per dormire era abbastanza elastico.
Fortunatamente quella notte il bimbo si dimostrò collaborativo e nell’arco di poco, con un ultimo verso soddisfatto, stranamente simile a delle fusa, si abbandonò del tutto al sonno. Mettendogli il ciuccio in bocca, sperando che fosse un deterrente per nuovi versi notturni, Angela gli rimboccò meglio le copertine e tornò a letto.
“Sai che ore sono?” le chiese James con aria significativa.
“Ho paura di scoprirlo – sbadigliò lei – le due come ieri?”
“No, le tre e mezza – sbuffò l’uomo – sto iniziando a dimenticare l’ultima volta che ho dormito tutta la notte: capisco che pianga per mangiare o per essere cambiato… ma l’ultima poppata la fa alle undici e per come lo stai abituando regge fino alle sei e mezza o addirittura le sette. Ed ha il sonno così pesante che se ne frega altamente se se la fa addosso…”
“Beh, che cosa vorresti insinuare?”
“… niente. Solo che non è proprio bello stare all’erta per quei dannati versi! Diamine sembri una molla pronta a scattare.”
“E se il giorno che non scatto a vedere si tratterà proprio del rigurgito che lo soffocherà?”
“Quei versi non sono rigurgiti… sono un chiaro messaggio. Se vuoi te lo traduco. Ciao, cari genitori, anche stanotte voglio rompervi le scatole con i miei versi solo per il gusto di farlo.”
“Ha un mese e mezza!”
“Dannazione, non oso pensare a quando avrà l’uso della parola! Lasciamo stare che è meglio… domani c’è un sacco di lavoro da fare all’emporio e… ma che fai?”
Osservò con sorpresa la moglie che si alzava, si metteva la vestaglia, e recuperava Jean dalla culla, tenendolo ben avvolto nella copertina.
“Ma certo, domani c’è tanto lavoro da fare – dichiarò con sguardo irato – se ti disturba che io pensi a mio figlio allora è meglio che vada a dormire in una delle stanze libere. Così il tuo prezioso sonno non verrà disturbato…”
“Eh dai, non volevo dire che… oh, senti, fai come vuoi! Buonanotte!”
“Buonanotte!” esclamò la donna chiaramente trattenendosi dal sbattere la porta giusto per non svegliare il bambino.
 
Quando Angela aveva ammesso di essere incinta, sicuramente nella coppia era stato James quello più felice, anzi addirittura entusiasta. Per tutti i mesi della gravidanza non aveva fatto altro che parlare di quanto sarebbe stato fantastico il loro bambino e si era lanciato a capofitto nella sistemazione della camera e nel preparare la casa per l’arrivo di un neonato.
Dopo quasi tre mesi dalla nascita di Jean, tuttavia, sembrava che questo entusiasmo fosse in buona parte scemato, al contrario di quello di Angela che era andato alle stelle. Non c’era attimo che la donna non passasse con il bambino ed era estasiata da ogni verso, gesto o quanto altro che l’infante compisse.
A far da supporto a questo entusiasmo c’era ovviamente anche il nonno.
Sì, perché adesso Jean Havoc senior amava definirsi come nonno del piccolo Jean. Se non era Angela a tenere in braccio il bambino lo faceva lui e non perdeva occasione di vezzeggiarlo e coccolarlo.
E, paradossalmente, in tutta quella situazione James si sentiva leggermente escluso.
“No, ma che fai? Non prenderlo così!” gli disse Angela una sera che lui aveva preso il bimbo dalla culla con l’intenzione di farlo giocare.
“E dai che si diverte! – protesto – Vero, marmocchio? Come si sta a testa in giù, eh?”
“Ha appena finito di prendere il latte, glielo fai risalire!”
“Per l’amor del cielo, Angela, e fallo divertire questo benedetto bambino. Lo culli, lo allatti, lo cambi, lo lavi… farlo giocare decentemente no? Second… oh, cavolo!”
Effettivamente mettere a testa in giù un piccolo di tre mesi che ha appena finito la poppata non è molto produttivo, a meno che l’obbiettivo non sia fargli risalire tutto il pasto. E quell’obbiettivo fu centrato appieno con un rigetto di dimensioni davvero mastodontiche per un bambino così piccolo e immediato pianto di protesta.
“Oh no, cucciolo – sospirò Angela recuperando Jean e cullandolo – cosa è successo, eh? Quell’idiota di tuo padre ti ha fatto vomitare tutto… sssh, dai che passa tutto…”
“Quell’idiota… ah, ora sarei un idiota?”
“Vuoi essere insignito del titolo di padre dell’anno dopo questo colpo di genio? Lo vuoi capire che a tre mesi è ancora piccolo per certi stupidi giochi… specie dopo mangiato!”
“Ehi ehi – Jean senior entrò in cucina attratto da quelle urla – che è successo? Che ha da piangere il mio adorato nipotino?”
“Grazie, papà, se lo tieni pulisco il disastro. James Havoc, mettiti in testa che ancora per un po’ certi giochi li puoi evitare, tante grazie.”
“Dannazione, ma la casa deve proprio ruotare attorno al bambino?”
Sbottò all’improvviso, sfogando finalmente gli ultimi mesi di frustrazione crescente che aveva vissuto. Forse, anzi di sicuro, era infantile sentirsi messo in secondo piano rispetto ad un neonato, ma non ne poteva fare a meno. Sembrava che quel marmocchio avesse la precedenza su tutto e che lui fosse l’ultima persona che doveva averci a che fare
“E dai, figliolo – lo riprese bonariamente Jean senior cullando il piccolo con esperienza e riuscendo a chetarlo del tutto – non dire determinate cose.”
“Lasciamo stare che è meglio – commentò con aria offesa l’uomo, mettendosi le mani in tasca – io torno in magazzino. Si vede che maneggiare il marmocchio non rientra nelle attività di un padre.”
 
Come l’uomo fu uscito Jean senior fissò con curiosità la nuora che terminava di pulire dove il bimbo aveva rigettato. Lo sguardo di Angela era indispettito, ma vi si poteva scorgere una piccola componente di delusione: certamente l’atteggiamento del marito non le aveva fatto piacere.
“Non vai a parlare con lui?”
“No, proprio no – rispose lei stizzita – se pensa di avere ragione si sbaglia di grosso.”
“Non dico che abbia ragione… però forse c’è qualcosa che non va se si comporta così.”
“Sì che c’è qualcosa che non va – Angela si accostò all’uomo e si mise nella classica posa a gambe larghe e mani sui fianchi – quello non ha ancora capito che ha a che fare con un bimbo piccolo. Se pensava di poter già giocare alla lotta con lui forse non ha fatto i conti con le fasi della crescita.”
“Beh, non è che tu gli lasci fare molte cose con Jean, eh…”
“Ma non ne è capace… insomma, Jean piange per come lo tiene in braccio, vuole sempre fare cose troppo irruente con lui e poi…”
“… e poi quando tornate a dormire assieme? E’ tre mesi che dormi nella camera degli ospiti con il piccolo.”
“E’ che Jean di notte si sveglia e può dare fastidio a James…”
“Senti, cara – sospirò Jean senior passandole con gentilezza il figlio – capisco che sia molto apprensiva e pronta a scattare come una molla per qualsiasi cosa riguardi Jean, ed è più che giusto. Ma se tu sai bene come comportarti con un piccolo di quest’età James invece ancora non ha avuto occasione di capirlo appieno. Però… se gli neghi qualsiasi possibilità come potrà mai imparare?”
“Dovrei fargli manipolare il mio bambino come poco fa?”
“No… però se glielo fai tenere in braccio più di adesso sarebbe un bene. Jean adesso prende il latte anche dal biberon, perché ogni tanto non lo fai dare pure a James? Coinvolgilo di più, suvvia…”
“Non sono cose da uomini, sono sicura che tirerebbe fuori una cosa simile e…”
“No, non credo, forse è solo spaventato all’idea. Ma diamine, figliola, il piccolo ha sia una madre che un padre oltre, ovviamente, a un nonno che lo adora.”
“Mmmh…” Angela sbuffò.
Quando suo suocero si lanciava in simili discorsi sapeva bene che aveva ragione. Però le dava fastidio ammettere di avere in parte torto, ma soprattutto la turbava l’idea di concedere a James di avere a che fare in maniera troppo stretta con il bambino.
 
Quella sera James si stava preparando per la notte quando Angela entrò con il bambino tra le braccia.
“Ehilà, mamma dell’anno – la salutò con ironia – hai bisogno di qualcosa?”
“Sì – ammise lei senza scomporsi – devi riportare qui la culla di Jean.”
A quella risposta James si girò a guardarla con sospetto, chiedendosi dove fosse il trucco. Forse Angela aveva intenzione di riprendere possesso della camera matrimoniale cacciando via lui. Beh, in questo caso si sarebbe accorta che c’erano determinati limiti anche se c’era un bimbo di mezzo.
“Io di qui non mi sposto, sia ben chiaro.”
“Nessuno te lo chiede, infatti.”
“Ah.” la guardò di nuovo. Una simile risposta pacifica non se la sarebbe mai aspettata.
Ancora una volta lei sembrava assolutamente tranquilla, non che la cosa dissipasse tutti i dubbi. Però, non avendo altro da obbiettare, James annuì e andò nella camera degli ospiti a recuperare la culla di legno che lui stesso aveva riparato dopo che per anni ed anni era rimasta chiusa in soffitta.
Mentre la riportava nella camera matrimoniale pensò a tutte le ore di lavoro che ci aveva messo, pensando a quanto sarebbe stato bello vederla occupata da un bambino. All’epoca non pensava che la situazione gli sfuggisse così di mano: Jean gli sembrava per la maggior parte del tempo una creatura a lui completamente ostile, pronta a piangere alla minima occasione.
“Ecco qua – dichiarò, posizionando la culla proprio dove stava in principio – altro?”
“Ora siediti qui vicino a me: il bimbo deve prendere il biberon.”
“E io che c’entro?”
“Glielo dai tu, chiaro, no?” spiegò lei, posando il bimbo sul lettone.
“Mi devo preoccupare? A che gioco stai giocando?”
“Nessun gioco – sospirò la donna con aria paziente – ma tuo padre ha ragione: è ovvio che non imparerai mai a fare il padre se io non ti concedo di stare a contatto con il piccolo. Coraggio, prendilo.”
“Sai bene che non gli piace stare in braccio a me.”
“Invece del troppo entusiasmo usa un pochino di dolcezza… forza, la testa sostienila con il braccio: deve stare un po’ alzato altrimenti ha difficoltà a mangiare.”
Effettivamente tenere un bambino senza tutto l’involucro delle coperte a fare un bozzolo protettivo era una questione complessa. E già il piccolo Jean lo fissava con occhi dubbiosi, chiedendosi sicuramente se sarebbe stato bravo o gli avrebbe solo procurato fastidio. Per quanto fosse un neonato particolarmente vivace non apprezzava essere sballottato come un sonaglino.
Ma se forse padre e figlio nutrivano dei sospetti reciproci, Angela invece si era decisa a far funzionare quello strano esperimento. Aiutò il marito a sistemarsi il bambino tra le braccia e poi gli passò il biberon, invitandolo a metterlo tra le labbra del figlio.
“Non aver paura di spingere un poco… schiude le labbra da solo.”
James seguì quelle istruzioni e, incredibilmente, il piccolo collaborò senza troppi problemi. Era strano vederlo così tranquillo tra le sue braccia.
“Senti – mormorò Angela – è troppo piccolo per certe cose, capisci? Ma ne puoi fare altre con lui, davvero. Forse dargli il latte non è così entusiasmante, però create un legame, no?”
“Sto tenendo in braccio mio figlio e lui non piange. Come fai a dire che non è entusiasmante? – riuscì a sorridere lui, trattenendo la commozione perché sentiva che per la prima volta Jean si stava affidando completamente a lui – Non sai quanto stavo invidiando te e papà che riuscivate e maneggiarlo senza nessun problema.”
“Maneggiarlo… ma che verbo usi per un bambino? – lo prese in giro lei, baciandolo sulla guancia – Tenerlo in braccio è molto più indicato. E vedrai che impari pure tu.”
“Prometto che farò attenzione ai versi che farà durante la notte.”
“Ah, non ne fa molti, almeno da una quindicina di giorni: pare che adesso si addormenti pesantemente. Evidentemente era solo una fase iniziale.”
“Da quindici giorni – si sorprese James – e perché non…”
Non terminò la frase perché si accorse dell’occhiata mortificata che lei gli aveva lanciato.
“Oh, vabbè, lascia stare – scosse il capo – facciamo finta di niente.”
 
A volte basta semplicemente avere la buona volontà di iniziare e le cose vengono da sé.
Bastarono poche settimane che James diventasse il più premuroso dei padri e che il piccolo Jean instaurasse con lui il medesimo rapporto che aveva con la madre e con il nonno.
E così, si arrivò ad ovvie conseguenze…
“Daaaah aah..aaaghuu!”
“Vuole te – sbadigliò Angela, girandosi verso James e dandogli un colpo con il braccio – dai… vai…”
“Me? – le chiese lui ancora assonnato – ma no… è ora della poppata, lo sai…”
“No, per quella piange… vuole solo che lo prenda in braccio, dai… magari ha perso il ciuccio e non lo riesce a trovare.”
“Stupido ciuccio – sbottò James, alzandosi al buio, conoscendo a memoria il percorso verso la culla – senti, Jean, lo sai che ore sono? Sono le quattro e mezza… e sai come lo so? Perché ormai riconosco le sfumature di luce notturna in camera da quante volte ci svegli. Perché dopo un mese di pausa hai ripreso con queste follie?”
“Gha!” rispose il bambino mentre veniva preso in braccio e sgambettava felice.
“Dai, cullalo che si riaddormenta.”
“Certo, certo – sbuffò James recuperando il ciuccio a tastoni e mettendolo in bocca al bambino – senti… facciamo così, infame: per stanotte dormi tra mamma e papà, ma che non diventi un vizio, sia ben chiaro.”
“James, non puoi risolverla ogni volta così – protestò la donna, accogliendo però il piccolo in mezzo a loro e accarezzandogli il pancino – questo è già viziato… a cinque mesi…”
“Sei viziato, Jean?”
“Mmgggh!” mugugnò il piccolo intento a ciucciare con tranquillità.
“No, non lo è… buonanotte.”
“Oh, al diavolo, ho troppo sonno – sospirò Angela finendo di drappeggiare la coperta sopra il piccolo – buonanotte.”
  
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