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Autore: serClizia    10/02/2015    3 recensioni
Raccolta di flashfic - che dovevano essere drabble - scritte per vari Events, promossi dal gruppo facebook "We are out for prompt."
1 - AU no monster. Derek ha origini italiane e ogni tanto Stiles lo sente parlare con i suoi parenti in Italia. La cosa lo eccita ogni volta.
2 - Stiles e Scott hanno una crisi sulla loro identità sessuale nella stessa settimana. Danny (su richiesta di Jackson che è stufo di quei due), cerca di risolvere la situazione.
3 - Omega!verse ispirata ad Animals dei Maroon 5. (Con eventuale mating bond.) Stiles vorrebbe negare la sua relazione con Derek, ma a volte gli è impossibile.
4 - Derek non ha nemmeno trenta anni, è divorziato, appena tornato da mesi di missione come volontario per le Nazioni Unite con una brutta cicatrice alla spalla a ricordarglielo e non sa cosa fare della sua vita. Poi incontra Stiles, il cassiere del piccolo supermercato vicino casa sua.
5 - Stiles cerca di convincere Derek che la loro relazione può funzionare
6 - Derek racconta a Stiles di un sogno che ha fatto. "E poi cosa è successo?" "Sei morto e io non potevo accettarlo"
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Isaac Lahey, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alcool e Spalti

Fandom: Teen Wolf
Pairing: Sterek
Prompt: Stiles cerca di convincere Derek che la loro relazione può funzionare
Titolo: “I saw that.” “Shut up.”
Parole: 949 (ops)

Il divano è freddo, brutto, scomodo, e queste cose non gli hanno comunque impedito di addormentarsi.

Il risveglio è brusco quando sente il portone del loft cigolare e aprirsi con quel baccano infernale.
Derek lo guarda dilatando le narici. Ha aperto sapendo che lui fosse lì ed è già arrabbiato. Tipico.
“Vai a casa, Stiles.”
“Secondo alcuni punti di vista, e non sto dicendo che sia necessariamente il mio punto di vista, ma secondo alcuni, questa è casa mia.”
“No, non lo è.” Derek butta la giacca sul tavolo lungo vicino alla vetrata, appoggiandovi sopra i palmi. Non vuole guardarlo. Brutto inizio.
Stiles si stiracchia e si mette a sedere. “Certo che lo è. Ci sono dei miei vestiti, uno spazzolino e i miei libri di scuola. Passo qui la maggior parte del tempo e non. Importa. A. Nessuno.”
Scandisce bene le parole, sperando che filtrino bene nel cervello di un qualche lupo cocciuto a caso.
“A me importa. Vai da tuo padre.”
“Nope.”
“Non voglio trovarti qui ogni volta che torno a casa, Stiles. Vai via.”
“La risposta è sempre no.”
“Dio!” Derek si volta bruscamente verso di lui. “Cos’hai che non va? Perché vuoi rimanere? Perché non puoi andare a fare quello che fanno tutti gli adolescenti iperattivi come te e toglierti di torno?”
Stiles quasi scoppia a ridere, e comincia a giocherellare con le dita per tenersi impegnato.
“È buffo che tu me lo chieda, perché mi sono chiesto la stessa cosa per settimane. Che cos’ho che non va? Probabilmente la risposta è ‘tu’. Tu sei quello che ho che non va. Ci hai mai pensato?”
Derek si contrae tutto in una smorfia, per un solo secondo. Il massimo dell’espressività che i suoi muscoli facciali vogliono concederli. In realtà è facile sapere cosa prova, basta guardarlo negli occhi. Quelli non riesce a controllarli. Ci vuole un po’ di pratica, ma ormai Stiles conosce tutti i tic delle sopracciglia e tutte le dilatazioni delle pupille e annebbiamenti delle iridi. Dilatazione uguale eccitamento o rabbia. Annebbiamento uguale forte emozione che cerca di contenere. Ma quale?
Stiles vorrebbe avvicinarsi per guardarlo, per sapere, ma sa che è una cattiva idea. Non lo lascerebbe avvicinare, non adesso.
Non adesso che sta controllando la respirazione; malamente, visto che le spalle si alzano e si abbassano furiosamente. E difatti Derek si volta di nuovo verso il tavolo. Di nuovo evita il contatto visivo.
“Vai a casa, Stiles.”
“No. Se vuoi te lo dico in francese: non. In tedesco: nein. Ci insegnano parecchie lingue a scuola, dovresti essere grato al sistema scolastico americ…”
Derek interrompe la frase con un ringhio. Un ringhio e denti e artigli e zanne. Almeno lo sta di nuovo guardando, però, è il triste pensiero che passa per la testa di Stiles.
“Vattene a casa!”
Stiles scatta in piedi. “Avrò finito le lingue in cui dirtelo ma la risposta non cambia! Smettila di mandarmi via!”
“Te l’ho detto, non ti voglio qui!”
“Perché!”
Derek sembra intontito per un attimo e i suoi occhi tornano normali.
“Il perché non riesci a dirlo, eh? Che sorpresa. Beh, io ti dico perché non me ne vado. Perché resto qui ogni dannatissimo giorno ad aspettarti su un divano che, per tua informazione, è la cosa più scomoda che un essere umano o lupo mannaro abbia mai potuto inventarsi nella storia degli esseri umani o lupi mannari. No, sul serio, sei ricco, e dovresti farti un paio di domande sulla scelta dell’arredamento domestico.”
Derek sospira. “Stiles…”
“Non ho finito!” Non si trattiene dal puntare un indice accusatore. “Tu sei il motivo per cui continuo a spezzarmi la schiena su quel dannato coso, ed è perché so che questo è il posto dove ci sono le tue cose, così se decidi di andartene di nuovo, questa volta non potrai farlo senza salutare!”
Il silenzio e l’espressione di Derek sarebbero esilaranti, se lui non fosse quello da cui dipende la sua paura di essere abbandonato.
Stiles apre i palmi in segno di resa. “Ecco. L’ho detto. Probabilmente non avrei dovuto, data la comica situazione di disagio che si sta creando ma beh…” Derek continua a fissarlo senza parlare. “Sarebbe bello se avessi un po’ di feedback, qui…” Ancora niente. “Non lo so, un battito di ciglia non sarebbe male. Giusto per sapere che sei ancora vivo.” Palle di fieno che rotolano. “Derek? Puoi farmi un cenno per assicurarmi che stai respirando?”
Prova a fare un passo in avanti. Due, tre. Adesso li separa un metro di distanza. Derek lo ha seguito con lo sguardo, allacciato ai suoi occhi come un magnete.
Ha sia le pupille dilatate che le iridi annebbiate.
“Derek…?”
Lo sente inalare improvvisamente un soffio d’aria dalla bocca. “Ok.”
Stiles batte più volte le ciglia. “Ok… cosa?”
“Puoi rimanere.”
“Oh, grazie a Dio. Cioè, sarei rimasto lo stesso, ovviamente, come sempre. Ma riuscire per una volta a farti ammettere che la cosa non dispiace nemmeno a te, è un deciso passo avanti verso…”
“Chiudi la bocca, adesso.”
“Chiusa. Chiusissima. Non un’altra parola esce da questa bocca. Da queste labbra. Sigillate.”
Derek vorrebbe mascherare il mini-arricciamento dell’angolo delle labbra in un mini-sorrisino, ma Stiles lo vede comunque. Ha mesi di allenamento alle spalle su questo genere di cose.
E sorride anche lui, apertamente, mentre guarda Derek voltarsi di nuovo, stavolta per avviarsi verso il letto, segno che è tempo di (spogliarsi) andare a letto.
“E comunque, Stiles?”
“Sì?” Tanto ormai è abituato a parlare con la schiena di Derek. Non prova nemmeno un minimo di dispiacere per sé stesso, è una gran bella schiena.
“La prossima volta che decido di andarmene, verrai con me.”
Stiles non riesce a trattenersi dallo stringere il pugno in segno di vittoria.

( “Guarda che ti ho visto.” “Sta’ zitto.” )

  
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