Fandom: Teen Wolf
Pairing: Sterek
Prompt: Stiles cerca di convincere Derek che la loro relazione può funzionare
Titolo: “I saw that.” “Shut up.”
Parole: 949 (ops)
Il divano è freddo, brutto, scomodo, e queste cose non gli hanno comunque
impedito di addormentarsi.
Il risveglio è brusco quando sente il portone del loft cigolare e aprirsi con
quel baccano infernale.
Derek lo guarda dilatando le narici. Ha aperto sapendo che lui fosse lì ed è
già arrabbiato. Tipico.
“Vai a casa, Stiles.”
“Secondo alcuni punti di vista, e non sto dicendo che sia necessariamente il
mio punto di vista, ma secondo alcuni, questa è casa mia.”
“No, non lo è.” Derek butta la giacca sul tavolo lungo vicino alla vetrata,
appoggiandovi sopra i palmi. Non vuole guardarlo. Brutto inizio.
Stiles si stiracchia e si mette a sedere. “Certo che lo è. Ci sono dei miei
vestiti, uno spazzolino e i miei libri di scuola. Passo qui la maggior parte
del tempo e non. Importa. A. Nessuno.”
Scandisce bene le parole, sperando che filtrino bene nel cervello di un qualche
lupo cocciuto a caso.
“A me importa. Vai da tuo padre.”
“Nope.”
“Non voglio trovarti qui ogni volta che torno a casa, Stiles. Vai via.”
“La risposta è sempre no.”
“Dio!” Derek si volta bruscamente verso di lui. “Cos’hai che non va? Perché
vuoi rimanere? Perché non puoi andare a fare quello che fanno tutti gli
adolescenti iperattivi come te e toglierti di torno?”
Stiles quasi scoppia a ridere, e comincia a giocherellare con le dita per
tenersi impegnato.
“È buffo che tu me lo chieda, perché mi sono chiesto la stessa cosa per
settimane. Che cos’ho che non va? Probabilmente la risposta è ‘tu’. Tu sei
quello che ho che non va. Ci hai mai pensato?”
Derek si contrae tutto in una smorfia, per un solo secondo. Il massimo
dell’espressività che i suoi muscoli facciali vogliono concederli. In realtà è
facile sapere cosa prova, basta guardarlo negli occhi. Quelli non riesce a
controllarli. Ci vuole un po’ di pratica, ma ormai Stiles conosce tutti i tic
delle sopracciglia e tutte le dilatazioni delle pupille e annebbiamenti delle
iridi. Dilatazione uguale eccitamento o rabbia. Annebbiamento uguale forte
emozione che cerca di contenere. Ma quale?
Stiles vorrebbe avvicinarsi per guardarlo, per sapere, ma sa che è una cattiva
idea. Non lo lascerebbe avvicinare, non adesso.
Non adesso che sta controllando la respirazione; malamente, visto che le spalle
si alzano e si abbassano furiosamente. E difatti Derek si volta di nuovo verso
il tavolo. Di nuovo evita il contatto visivo.
“Vai a casa, Stiles.”
“No. Se vuoi te lo dico in francese: non. In tedesco: nein. Ci insegnano
parecchie lingue a scuola, dovresti essere grato al sistema scolastico americ…”
Derek interrompe la frase con un ringhio. Un ringhio e denti e artigli e zanne.
Almeno lo sta di nuovo guardando, però, è il triste pensiero che passa per la
testa di Stiles.
“Vattene a casa!”
Stiles scatta in piedi. “Avrò finito le lingue in cui dirtelo ma la risposta
non cambia! Smettila di mandarmi via!”
“Te l’ho detto, non ti voglio qui!”
“Perché!”
Derek sembra intontito per un attimo e i suoi occhi tornano normali.
“Il perché non riesci a dirlo, eh? Che sorpresa. Beh, io ti dico perché non me
ne vado. Perché resto qui ogni dannatissimo giorno ad aspettarti su un divano
che, per tua informazione, è la cosa più scomoda che un essere umano o lupo
mannaro abbia mai potuto inventarsi nella storia degli esseri umani o lupi
mannari. No, sul serio, sei ricco, e dovresti farti un paio di domande sulla
scelta dell’arredamento domestico.”
Derek sospira. “Stiles…”
“Non ho finito!” Non si trattiene dal puntare un indice accusatore. “Tu sei il
motivo per cui continuo a spezzarmi la schiena su quel dannato coso, ed è
perché so che questo è il posto dove ci sono le tue cose, così se decidi di
andartene di nuovo, questa volta non potrai farlo senza salutare!”
Il silenzio e l’espressione di Derek sarebbero esilaranti, se lui non fosse
quello da cui dipende la sua paura di essere abbandonato.
Stiles apre i palmi in segno di resa. “Ecco. L’ho detto. Probabilmente non
avrei dovuto, data la comica situazione di disagio che si sta creando ma beh…”
Derek continua a fissarlo senza parlare. “Sarebbe bello se avessi un po’ di
feedback, qui…” Ancora niente. “Non lo so, un battito di ciglia non sarebbe
male. Giusto per sapere che sei ancora vivo.” Palle di fieno che rotolano.
“Derek? Puoi farmi un cenno per assicurarmi che stai respirando?”
Prova a fare un passo in avanti. Due, tre. Adesso li separa un metro di
distanza. Derek lo ha seguito con lo sguardo, allacciato ai suoi occhi come un
magnete.
Ha sia le pupille dilatate che le iridi annebbiate.
“Derek…?”
Lo sente inalare improvvisamente un soffio d’aria dalla bocca. “Ok.”
Stiles batte più volte le ciglia. “Ok… cosa?”
“Puoi rimanere.”
“Oh, grazie a Dio. Cioè, sarei rimasto lo stesso, ovviamente, come sempre. Ma
riuscire per una volta a farti ammettere che la cosa non dispiace nemmeno a te,
è un deciso passo avanti verso…”
“Chiudi la bocca, adesso.”
“Chiusa. Chiusissima. Non un’altra parola esce da questa bocca. Da queste
labbra. Sigillate.”
Derek vorrebbe mascherare il mini-arricciamento dell’angolo delle labbra in un
mini-sorrisino, ma Stiles lo vede comunque. Ha mesi di allenamento alle spalle
su questo genere di cose.
E sorride anche lui, apertamente, mentre guarda Derek voltarsi di nuovo, stavolta
per avviarsi verso il letto, segno che è tempo di (spogliarsi) andare a letto.
“E comunque, Stiles?”
“Sì?” Tanto ormai è abituato a parlare con la schiena di Derek. Non prova
nemmeno un minimo di dispiacere per sé stesso, è una gran bella schiena.
“La prossima volta che decido di andarmene, verrai con me.”
Stiles non riesce a trattenersi dallo stringere il pugno in segno di vittoria.
( “Guarda che ti ho visto.” “Sta’ zitto.” )