Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: daisyssins    12/02/2015    8 recensioni
"...Le sembrava quasi impossibile non dare “troppo peso” ad una persona come Luke Hemmings, perché certe persone, quando ti entrano dentro, non è che tu possa farci un granché. Lei lo odiava, non aveva mai odiato tanto una persona quanto lui, sapeva chi era, aveva paura di lui, una fottuta paura, perché le ricordava tutto quello da cui stava scappando."
__________
«Sei strana. E sei bellissima» sussurrò lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, facendo scorrere le dita tra i capelli corti della ragazza.
Phillis sbottò in una breve risata sarcastica, prima di «E tu sei matto.» rispondere divertita.
«Io sarò anche matto, ma tu resti strana. E bellissima.»
-
«Luke, ho paura, stai perdendo sangue..»
«Ancora non te l'hanno insegnato, Phillis? Il sangue è il problema minore. E' questo ciò che succede quando cadi a pezzi.»
________
La verità ha un peso che non tutti, e non sempre, hanno la forza di reggere.
Trailer Pieces: https://www.youtube.com/watch?v=vDjiY7tFH8U&feature=youtu.be
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic






11. In love with the wrong person


Sentiva la testa come annebbiata.
E forse era merito dell’alcool, forse del bacio, ma Phillis quella sera riuscì nel suo intento. Si allontanò dal viso del biondo con un sorriso, cercando di ignorare la testa che già un po’ pulsava.
“Sai, Luke…” biascicò. “Fa ridere questa situazione.”
Il biondo inarcò le sopracciglia, ma non smise di sorridere, come lei. “E perché?”
Phillis scrollò le spalle. “Perché io avevo paura di te… mi ricordo la prima volta che ti vidi, avevo dieci anni. Tu neanche ci facesti caso alla mia presenza, secondo me”.
Luke si irrigidii immediatamente, ripensando ad alcuni avvenimenti di quando anche lui era solo un bambino. “Quando mi vedesti per la prima volta?” domandò. E non ci sarebbe stato scudo capace di celare il leggero tremito della sua voce.
Phillis sospirò, portandosi due dita alle tempie. Era fastidioso ricordare, con quel dolore incessante alla testa. “Ero con mio padre, avevo avuto i complimenti della maestra e come premio lui mi portò a prendere un gelato, quello da due gusti con tanto di panna e noccioline. Era una gelateria che faceva angolo con l’entrata di un parco, era un po’ lontano dal centro ma noi ci andavamo sempre perché mio padre diceva che gli ricordava quando era bambino. Lui abitava lì, in periferia. Mentre tornavamo a casa sentimmo un rumore: solo dopo, ripensandoci, capii che era il rumore di uno sparo. Mi ricordo l’espressione sul viso di mio padre: lui non aveva paura, sembrava quasi… abituato a quel suono. No, la sua espressione non era spaventata: era arrabbiata. Si inginocchiò davanti a me e mi chiese di andare di nuovo in gelateria, di aspettarlo lì dentro al sicuro. Io non ubbidii. Aspettai che si allontanasse di poco e poi cominciai a seguirlo, piano, un passo alla volta. Fu allora che ti vidi. Eri in questo vicolo sudicio, che piangevi come un matto, e c’era qualcuno steso contro il muro della strada. Quello che non dimenticherò mai, però, fu il petto di quell’uomo, completamente zuppo di sangue. E le tue mani… Merda, Luke, lorde di sangue fino al gomito. Poi urlai, e mio padre si rese conto che ero lì. Non mi aveva mai picchiato, ma quel giorno ebbi il mio primo schiaffo. Per tutto il viaggio di ritorno a casa non spiccicò parola. Poi arrivammo, papà salutò la mamma, si sedette sul divano e fece finta di niente. Solo io non ci riuscii. Non ho mai dimenticato quella scena. Ed è stupido, lo so, ma appena ti ho rivisto mi sono scattati tipo, cento campanelli d’allarme. È per questo che avevo paura di te. È così strano pensare che adesso, invece, tu sia l’unico con cui mi sento ancora al sicuro.”
Luke abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Tremavano, le teneva salde contro le proprie gambe, ma il tremolio era evidente. Avrebbe dovuto dirle che no, con lui non era al sicuro; che si stavano cacciando in un guaio più grande di loro, e che avrebbe fatto bene ad andarsene, a tirarsi fuori da tutta quella situazione ora che non era ancora troppo tardi. Avrebbe dovuto dirlo, probabilmente, ma non ci riuscii. Tenne lo sguardo basso e le spalle inarcate, con le labbra tirate in una linea sottile.
“Era mio zio” disse poi, a bassa voce.
La ragazza lo guardò, confusa, e lui riprese.
“L’uomo che vedesti lì per terra… era mio zio. Il fratello di mia madre. Era come un secondo padre, per me. Da quando è morto le cose in famiglia sono precipitate: i miei genitori non si guardano neanche più in faccia, e mia madre mi detesta. Ha paura che io diventi come mio padre.” Le parole gli sfuggirono dalle labbra sottili come un fiume in piena, senza che lui potesse far nulla per fermarle: Phillis si ritrovò improvvisamente catapultata nella vita di Luke, e mai come allora lo sentì vicino. Erano solo due ragazzini che, in un modo o nell’altro, erano stati costretti a crescere troppo in fretta. Erano uguali da far schifo, loro, ma diversi in un piccolo particolare fondamentale: Phillis aveva compiuto da sé le sue scelte, avrebbe potuto cambiare idea e tornare indietro da un momento all’altro.
Luke no. Le decisioni più importanti le aveva prese qualcun altro per lui, e ormai era troppo tardi per tornare indietro.
“Mi dispiace Luke…” sospirò la bionda, cercando di sfiorare il ragazzo, che tremò quasi sotto il suo tocco.
Luke scrollò le spalle. “Tanto, domani mattina questo sarà solo un sogno per te.”

**




Casa Turner era sempre così fottutamente silenziosa.
C’era quel cancello, quell’enorme barriera in metallo grigio scuro, che circondava l’intera abitazione, il suo giardino, il cortile.
“Serve a tenere fuori i cattivi”, le diceva sua madre quando era piccola.
A volte, però, si era chiesta se non fosse il contrario. I cattivi non erano quelli che venivano chiusi fuori dal cancello: i veri mostri erano bloccati all’interno.
Lo aveva capito quando aveva guardato negli occhi di sua madre e, per la prima volta, ci aveva visto la tristezza, quella vera. In quei momenti guardava quella donna e Dio solo sapeva se non avrebbe voluto urlarle contro e farla smuovere, ma si tratteneva. Che non ce l’aveva mai vista tanta tristezza, negli occhi di sua madre, però la capiva. La loro famiglia a brandelli probabilmente pesava più a lei che a Phillis stessa. Lei ci si era abituata. Faceva solo un po’ male, ogni giorno un po’ di più, ma ci si era abituata. Sua madre no. Era dura vedere la persona che ami scivolarti via dalle mani, scomparire sempre lentamente senza poter fare nulla per tenerla accanto a te. Era il rapporto che avevano sua madre e suo padre. Ogni volta che lui tornava la speranza riprendeva a cantare, a dire “sì, magari questa è la volta buona. Magari ricominciamo”. Ma era come aspettare di riavere indietro qualcosa portato via dal mare: magari un giorno, fra chissà quanto tempo, le onde ti restituiranno un pezzo, ma non sarà mai l’oggetto che hai perso. Quello non lo riavrai più indietro.
 
“Phillis?” la testa di sua madre fece capolino dalla porta, affacciandosi appena. I capelli chiari erano legati in una treccia sul lato, sembrava più giovane.
“Dimmi.” La risposta meccanica e disinteressata arrivò quasi subito. Non aveva più parlato con sua madre dal pomeriggio precedente, ma neanche le andava troppo. Meno la vedeva, di solito, e meglio si sentiva.
La donna sospirò prima di entrare definitivamente, chiudendosi la porta alle spalle. Osservò il corpo magro di sua figlia, accovacciato sul letto con lo sguardo puntato al soffitto; quel soffitto fatto di stelle, alcune anche spente, altre cadute prima che la ragazza riuscisse anche solo ad esprimere un desiderio.
Guardò quella figlia che aveva sempre sentito distante, e vide per la prima volta con chiarezza le dimensioni del muro d’incomprensione che, negli anni, era stato eretto dalle mille discussioni che si erano frapposte tra loro. Lo vide per la prima volta, e per la prima volta decise che avrebbe provato a superarlo. Avrebbe distrutto il muro, per sua figlia.
“Tesoro, dobbiamo parlare” esalò lentamente, andandosi a sedere sul letto accanto alla ragazza che, dal suo canto, continuava a non guardarla.
Phillis si lasciò scappare una risatina sarcastica. “Di cosa vorresti parlare, esattamente?” ribatté cinicamente. Strizzò gli occhi non appena un’improvvisa ed acuta fitta le trapassò la testa, portandosi di scatto due dita alle tempie. Avrebbe continuato a maledirsi per tutta la vita, per la cazzata della sera prima. Anche perché, da quando l’alcool aveva cominciato a fare effetto, lei non ricordava nulla. Una cosa, però, la ricordava. Ma sperava di sbagliarsi con tutta sé stessa.
La madre sospirò passandosi una mano sul viso, era stanca, segnata, ma pur sempre bella. “Mi dispiace. Mi dispiace per ieri, per le parole che ti ho rivolto. Io ti voglio bene, sai. È che a volte mi fai arrabbiare. Ti vedo commettere i miei stessi errori e questa cosa mi fa innervosire, allora mi allontano ancora di più da te invece che starti accanto. Credevo che se non te ne avessi parlato, tu non avresti commesso gli errori che avevo fatto io. E invece li ripeti tutti e siamo di nuovo punto e da capo.”
Phillis si mise a sedere, guardando finalmente negli occhi sua madre, confusa.
“Dimmi solo una cosa, mamma.” La interruppe lentamente. “Sposare papà… è stato un errore anche quello?”
Aveva colto nel segno.
Aveva una strana abilità, Phillis, nel toccare le corde più dolenti, i nervi scoperti delle persone: e di solito lo faceva con brutalità totale, senza alcuna cura. Era convinta che sbattere le cose in faccia in un unico colpo, fosse meglio che indorare la pillola e parlare attraverso perifrasi. La verità o la si diceva così com’era, – pensava – o non la si diceva per niente.
Fu sua madre a distogliere lo sguardo, a quel punto. Lo portò su una foto di parecchi anni prima, incorniciata ed in bella mostra su una mensola: ritraeva lei, Phillis ed il padre quando ancora erano una famiglia. Le fece male.
“Non è stato un errore sposare tuo padre, Phillis. Lo è stato innamorarmi della persona sbagliata, e poi avergli anche dato il potere di ferirmi. L’errore più grande di tutti, però, è stato non averlo tenuto vicino a me quando ne avevo la possibilità.”
La bionda sentì che il respiro le si bloccava in gola, non appena sua madre finì di parlare. Le parole da lei appena pronunciate vibrarono nell’aria, si bloccarono lì, nello spazio tra i loro corpi, quello spazio così piccolo ma separato da tanti anni di lontananza.
“Innamorarsi della persona sbagliata”.
Phillis guardò sua madre, e nei suoi occhi lesse il rammarico.
La donna, dal canto suo, scrutò le iridi chiare della figlia e sospirò: era troppo tardi per dirle di non commettere il suo stesso errore.

**

Hello there!
Sono tornata di giovedì con l'aggiornamento settimanale perché il giovedì è sempre stato il mio giorno, quindi ho pensato di riprendere le vecchie abitudini. (:
Okay, cosa posso dire del capitolo? Mh... ad essere sincera non lo so neanche io. E' abbastanza noioso, lo ammetto, per questo motivo non l'ho allungato ancora di più e ho deciso di terminarlo così. Mi sembrava la fine che meritava, mi sembrava che ci stesse bene.
L'unica cosa che mi sento di commentare è la parte iniziale: vi ho fatto penare un po' (okay, forse più di un po' ahah) ma finalmente sappiamo i "precedenti" tra Phillis e Luke. Ho voluto svelare così il motivo della paura iniziale della bionda, e spero che nessuno sia stato troppo deluso.
Detto ciò ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero S_V_A_G, Uncool_Princess, McPaola, Lizzie_Lannister, oak, willbefearless, Fifi_97 e Letizia25.
Mi fate felice.çwç
Alla prossima!
Ida.x
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: daisyssins