Serie TV > My Mad Fat Diary
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Autore: Apricot93    13/02/2015    5 recensioni
Dal Cap. 9:
«... E voglio una persona che non si aspetti sempre il peggio da me, Rae, perché non me lo merito».
Non voglio stare con te. Avrebbe potuto dirmi questo e non avrebbe fatto differenza.
Non posso neanche controbattere. Con cosa poi? Ha ragione su tutta la linea, io lo so che Finn merita tutto questo «e pensi che lei sia questa persona?».
Sorride, un sorriso amaro che gli deforma le labbra in una risatina canzonatoria «è l'unica parte del discorso che hai ascoltato?».
Dal Cap.10: (Finn's POV)
«Sei peggio di una bambina dell'asilo, Rae» e mi sei mancata per tutto il tempo in cui sei stata via «ma sei adorabile...» le avevo sussurrato all'orecchio avvicinandomi di un passo.
Le sue guance erano avvampate all'istante, immediate come l'allegria che aveva spazzato via il mio nervosismo.
Che mi fossi imbarazzato anch'io, però, non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archie, Chloe Harris, Finn Nelson, Kester, Rae Earl
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 8: Finn - Parte II

Leeds - 28 Novembre


Calma Rae, calma.
Da 20 minuti mi trascino da una parte all'altra della mia stanza come un automa, mentre l'ombra in movimento si distorce seguendo il ritmo dei passi.
Sono nel panico.
E sono un'idiota.
La sveglia segna le 3.30 e tra una manciata di secondi comincerò a farneticare da sola.
Personalità multipla, è questo il mio problema, sono la versione 2.0 rivisitata e corretta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
Una parte di me, sensata, collaborativa e tenace, ambisce alla stabilità emotiva, al benessere, e si impegna duramente per costruire e mantenere una parvenza di identità in questo folle mondo. L'altra, quella che prende spesso il sopravvento... beh... gestisce una ditta di demolizioni e pratica il suicidio assistito.
Quand'è che il mio cervello ha rinunciato definitivamente al concetto di sanità mentale?
Ma soprattutto, dov'ero quando Kester, nemmeno tre giorni fa, mi faceva promettere che non avrei fatto niente di stupido? Che avrei aspettato almeno qualche giorno di assestamento prima di buttarmi in situazioni emotivamente impegnative? Perché qui sono sull'orlo di un disastro annunciato su cui campeggiano cartelli extra-large con le scritte ansia e panico.
«Ok» ho risposto a Finn con nonchalance, e oserie dire anche con un certo grado di soddisfazione, quando mi ha proposto di accompagnarlo al matrimonio della madre. Una madre che detesta e con la quale si rifiuta di comunicare da anni, tra l'altro.
«Ok» mi ripeto inutilmente come un mantra, inspirando ed espirando vorticosamente.
"Ok" va bene se ti chiedono di andare a fare un giro al parco o a prendere un caffè, può funzionare per un invito al cinema o al Pub. Ma è già troppo semplicistico se ti invitano a un concerto, per esempio, andrebbe abbinato a qualcosa di più concreto come quanto costa il biglietto? Chi guida la macchina? Come torniamo a casa?
Ubriaca di idiozia ero così elettrizzata quando me l'ha chiesto, mi sono sentita importante per lui, considerata, apprezzata, stimata, perché non fai una richiesta del genere a un'amica qualunque, giusto? Se decidi di sotterrare l'ascia di guerra con una delle persone più importanti della tua vita vuoi avere vicino qualcuno a cui tieni, no? Una persona che può comunicarti un minimo di serenità e stabilità... e a fronte di questa considerazione avrei già dovuto capire che nemmeno tra un milione di anni avrei potuto essere io, ora, quella persona... qualcuno che ti sta particolarmente a cuore e con cui abbia senso condividere una parte così intima della tua vita... no?
Peccato mi sia temporaneamente sfuggita quella fase fondamentale nota come ragionamento. Avrei dovuto attivare a forza le mie sinapsi e approfondire la cosa. Mica teorie filosofiche eh, roba spiccia, tipo:
Sei sicuro che vuoi che venga con te?
A tua madre andrà bene? Nemmeno mi conosce...
Non si farà un'idea sbagliata di noi?
E noi? Non ci faremo un'idea sbagliata del nostro rapporto?
Siamo pronti per passare una giornata intera insieme dopo quello che è successo?
... mia madre mi darà il permesso?

E invece no. Sono rimasta completamente impantanata in una palude di sentimentimentalismi isterici con il cervello spento e un sorriso ebete stampato sulle labbra... Per poi crollare nella disperazione appena varcata la soglia di casa.
Un matrimonio.
Un'occasione elegante, oltretutto, e non ho nemmeno un accidenti di niente da indossare. Non ci avevo pensato all'inizio, del resto Miss sono la persona più importante dell'Universo per Finn era troppo impegnata a gongolare per occuparsi di simili quisquiglie.
C'è sempre il vestito del matrimonio di mia madre...
Certo Rae, ottimo ragionamento, applausi a scena aperta... peccato tu l'abbia indossato ad Agosto e che ci siano almeno una ventina di gradi in meno adesso.
Potrei sempre metterci un maglione sopra...
O magari una vestaglia... Potresti anche corredare il tutto con una stola di neuroni nuovi? Che dici?

Personalità multipla, come dicevo.
Ma tanto ormai il danno è fatto, subito dopo pranzo Finn passerà a prendermi e presenzieremo al matrimonio della Regina Madre, spero solo che i soliti noti, altresì conosciuti come ansia, panico e crollo del sistema nervoso non si imbuchino all'ultimo. In fin dei conti sono pur sempre uscita da una Clinica psichiatrica da un giorno.
Dio, Kester, ma che razza di gente reimmettete nella società?

* * * * * * *



Strade argentate dalla pioggia mattutina, odore di caffè nell'aria misto a una nota dolce di ciambelle, passeggio in mezzo a Chloe e Archie in tenuta da combattimento verso il negozio di abiti da cerimonia nel centro cittadino. Sono già le dieci, ma li ho buttati giù dal letto all'alba stamattina con due telefonate disperate in piena crisi da look e notte insonne. Un mix letale, probabilmente sono stati tentati entrambi di portarmi in dono una confezione di tranquillanti.
Non abbiamo proferito parola da quando sono passati a prendermi a casa, ma le occhiaie da guinness, unite all'irritabilità e al racconto della sera precedente, devono aver dato un'idea precisa ai due malcapitati del mio precario stato emotivo attuale.
L'arrivo nel tepore del negozio risveglia tutti e tre dalla breve passeggiata polare, e come da copione ci dividiamo i vari reparti alla disperata ricerca di qualcosa che mi faccia sembrare vagamente presentabile.
Chloe è già stata inghiottita da una valanga di bozzoli di cellophane, le custodie protettive dei vestiti, mentre Archie con sguardo vigile mi cammina accanto pensieroso «tua madre ti ha creato problemi per oggi?».
«Magari» sospiro abbattuta, «era felice come una pasqua, dice che si fida di Finn e che una giornata di svago mi farà bene. Pensa che mi ha lasciato i soldi per il vestito senza colpo ferire, anzi, mi ha suggerito di comprare anche un paio di scarpe».
Sono ancora piuttosto incredula della conversazione mattutina avuta con mia madre, pensavo che mi avrebbe diassuasa dal partire una giornata intera dopo essere appena tornata a casa, ma è bastata una parola, un nome per la precisione, Finn, per farla immediatamente capitolare rilassata, e saltellare da una parte all'altra della cucina mentre preparava la colazione «vai pure Rae, mi piace quel ragazzo, è in gamba» è stato il suo unico commento tra una raccomandazione e l'altra.
Vatti a fidare di una madre.
Archie mi osserva divertito prendendomi sottobraccio «lo immaginavo, quello che non capisco è perchè sei così nervosa. Abito a parte è una bella cosa, no? Guarda che per Finn è un passo gigantesco partecipare a questo matrimonio, e lo è altrettanto averti invitata. Dovresti sentirti al settimo cielo invece di avere questo muso lungo».
Piccolo, tenero Archie, eppure dovresti saperlo che la via per la mia agitazione è una superstrada sempre sgombra da traffico «ma infatti lì per lì quando me l'ha chiesto ero felicissima...».
«Ma...?».
Non è evidente? Com'è possibile che a tutti sfugga il quadro generale?
«Ma è proprio perché mi sono resa conto di quanto sia importante questa cosa per lui che sono agitata. E se combino qualche disastro? Se non sono pronta per stare di nuovo in mezzo alla gente? Se sua madre mi odia? Se non trovo un vestito e devo andare in jeans? E se i suoi parenti dovessero prendermi in antipatia? Lo sai che ci saranno anche i genitori di Barbie Stronza?» al solo pensiero rabbrividisco, se tanto mi dà tanto Serpe Senior Madre e Serpe Senior Padre non saranno meno sgradevoli di lei.
Archie mi blocca malizioso poggiandomi una mano sulla spalla «e se durante il matrimonio uno sbarco alieno vi tramutasse in statue?».
Che fai, sfotti? Ti sembra il momento?
Il mio sguardo simil minaccioso non sortisce alcun effetto sul mio ex migliore amico ex simpatico «Rae è solo una cerimonia, Finn ti ha invitata perché aveva bisogno di una presenza amica accanto. La tua per la precisione. Hai idea di quante volte sia io che suo padre l'abbiamo spronato a parlare con Eleonor? A non precludersi questa giornata per orgoglio? Quando mi hai telefonato stamattina per un attimo ho pensato che scherzassi, mi sembrava troppo strano che si fosse finalmente deciso. Lascia a casa le paranoie e stai vicina TU a LUI per una volta... ok?».
Eleonor. Quindi è questo il suo nome...
Ecco, maledetto Grillo Parlante che ha sempre ragione. Sono un'egoista di proporzioni epiche, è proprio vero, per una volta che è lui ad aver bisogno di me e non viceversa mi faccio sommergere dai deliri, ma quanto posso essere idiota? Certo che però avrebbero anche potuto parlarmene prima di tutta questa situazione, è vero che sono stata fuorimano per un po', ma mesi fa? Perché devo essere trattata come l'ultima degli estranei? Dov'ero mentre Finn si macerava nel rancore per sua madre?
«Hai ragione Arch» ammetto mestamente, «ma com'è che la detesta così tanto? Insomma... per negarsi con lei da anni dev'essere successo qualcosa di grosso» un tradimento magari, ma è un'idea che tengo per me, non voglio ficcare il naso in maniera così indelicata.
Lui sbuffa stropicciandosi gli occhi, come se gli avessi domandato la soluzione di un grattacapo «la verità? Non lo so bene nemmeno io. Conosci Finn, sai com'è fatto, è un testone orgoglioso e riservato. Quando i suoi si sono separati l'ha vissuta molto male. So che sua madre se n'è andata di casa e neanche un paio di mesi dopo aveva già un altro compagno, ma non credo sia solo questo, l'unica cosa che mi ha ripetuto spesso è che non ha più nessuna stima di lei».
Una sensazione, la delusione, che grazie a mio padre conosco fin troppo bene.
Eppure Finn mi è sempre sembrato un ragazzo forte e sereno, quante cose di lui mi sono persa concentrata com'ero sui miei dilemmi esistenziali da quattro soldi?

«Allora, si batte la fiacca?» sopraggiunge Chloe... o meglio, Chloe versione Material Girl sepolta da strati di seta, tulle e taffetà, «ho trovato qualche abito che potrebbe fare al caso nostro» nostro, perchè ormai siamo una squadra.
Occupiamo per intero tutto lo spazio vitale del camerino e un vestito dopo l'altro comincia la sfilata... sfilata poi, diciamo che incedo molto poco elegantemente per il negozio suscitando opinioni riluttanti. Perché ha scelto dei colori così vivaci? Alcuni vengono scartati a priori a giudizio insindacabile della sottoscritta, ma l'ennesimo rosso mi viene calzato praticamente a forza dalla mia democratica amica «oh Rae, questo secondo me ti sta d'incanto, immaginati con questo addosso, un lento nella sala decorata armoniosamente da rose bianche e calle, tu e Finn che ballate vicini...».
Una boa di segnalazione.
Con Finn vicino sembraremmo un naufrago attaccato a una boa di segnalazione.
È raccapricciante il solo pensiero.
Piuttosto vado nuda.
Ma dov'è il mio secondo giudice, quello sano di mente?
Scelgo la linea soft, in fin dei conti so che le sue intenzioni sono lodevoli, peccato mi abbia proposto vestiti perfetti per lei... ma io non sono lei. «Ca... carino sì» mento spudoratamente, «ma forse non è proprio il mio genere. Magarai prima di decidere mi faccio un giro da sola così posso dare un'altra sbirciatina» sussurro dal camerino liberandomi della boa e lanciando un SOS silenzioso ad Archie, che però non coglie visto che è praticamente spiaggiato esausto nel camerino vicino al mio.
Perché devo avere la stazza di Moby Dick? Ma soprattutto... perchè mi è venuta la fissazione con i paragoni marittimi oggi?
Ciondolo da una parte all'altra del negozio lanciando occhiatine furtive ai vestiti accuratamente incellophanati, sono allo stremo e sta scadendo anche il tempo disponibile visto che è quasi mezzogiorno, ma vedo solo modelli inadeguati per il mio fisico inadeguato.
«Rae guarda questo!» mi raggiunge Chloe, con gli occhi lucidi e la risatina del killer porgendomi un vestito... Chiudo gli occhi terrorizzata: arancione, rosso o fucsia stavolta?
Verde scuro.
Un angolino di stoffa lucida, probabilmente taffetà, fa capolino dal suo nascondiglio rivelandosi tremendamente passabile. Forse stavolta la Santa Protettrice dei naugraghi ci ha preso davvero.
Mi rifuggo nel camerino richiudendomi la tenda impalpabile color panna alle spalle.
Fa che mi entri, fa che mi entri, fa che mi entri mi ripeto provando ad indossarlo. È un modello molto semplice ma elegante, con le maniche a tre quarti, una scollatura discreta e la gonna ampia longuette che si posa poco sotto alle ginocchia. Il tutto completato da una cintura sottile nera da chiudere appena sotto al seno. Quando la lampo arriva finalmente a destinazione mi volto di scatto e mi osservo allo specchio. Perfetto. È davvero perfetto e mi trasforma quasi in una ragazza. Sembro quasi... femminile.
«Rae ti sta d'incanto!».
«Rae stai benissimo!» commentano in sincrono i ragazzi rabbonendomi un po'. Archie ha il colorito di un cadavere appena tumulato, il risultato di due ore tra i vestiti con i ritmi di Chloe.
Osservo ancora la mia immagine nello specchio centrale del salottino prova e mi trovo quasi... quasi è la parola chiave della mia vita ormai... carina. Beh almeno non dovrò fare il mio ingresso trionfale in jeans, la pessima figura stilistica è scongiurata.
Usciamo dal negozio con i trofei nei sacchetti, ho aggiunto all'abito anche una stola dello stesso colore nel caso in cui facesse particolarmente freddo, e un paio di decolleté nere dal tacco appena accennato, giusto per evitare le solite scarpe comode.
«Trucco e parrucco!» grida Chloe in mezzo alla strada.
Perchè mi sa tanto di minaccia?
Sento che Archie si volatilizzerà nel giro di cinque secondi... ti prego portami con te!

* * * * * * *



Alle due del pomeriggio sono tesa come una corda di violino.
Le orecchie all'attenzione della porta, il borsone straripante chiuso a terra per miracolo, un rimasuglio di rossetto sulle labbra. Chloe ha voluto a tutti i costi sottopormi a una sessione estenuante di prova-trucco nonostante le avessi più volte manifestato l'inutilità della cosa. La cerimonia avrà luogo alle cinque del pomeriggio, ed io e Finn ci prepareremo una volta arrivati a destinazione a casa di sua madre, visto che lei passerà l'intera giornata in una stanza riservatale nella villa in cui si sposerà.
«Ma il trucco non si improvvisa!» è stata la sua replica stizzita, ed io non ho avuto scampo. Mi ha dipinto il viso con attenzione un paio di volte, per poi lasciarmi un astuccetto con i prodotti finali approvati.
Ma non è finita qui, perché a quanto pare nemmeno i capelli vanno lasciati in balia dell'improvvisazione «e quelli puoi tranquillamente acconciarli anche adesso, vedrai, quando avrò finito sembrerai una diva degli anni '50!».
E mai promessa è stata più verosimilmente mantenuta. Non so in cos'abbia trafficato esattamente nella mezz'ora di libertà che le ho concesso tra i miei capelli, ma la pettinatura che ne è venuta fuori è effettivamente notevole. Elegante e raffinata, ma niente di eccessivo, legati sul davanti da un vecchio fermaglio di mia madre con una farfallina dalle pietre verdognole, e vaporosi e ondulati dietro. Adatta al vestito, peccato mi abbia impiantato le forcine fin dentro al cervello, stasera più che sciogliere i capelli poggerò lo scalpo su un manichino.
Sobbalzo al rumore del campanello.
Ci siamo.
Apro la porta con cautela e Finn fa capolino nella stanza. Non l'ho nemmeno visto ancora e mi sento già le guance in fiamme, ma com'è possibile?
Indossa un paio di jeans chiarissimi e un maglione color panna con la giacca di pelle sopra, è semplicemente... stupendo, sì. Si avvicina e sorridendo mi stampa un bacio sulla guancia, vengo investita dal suo profumo e da un desiderio impellente di un tranquillante via endovenosa. Come diavolo ci arrivo a stasera se cominciamo così?
Osserva la mia reazione divertito per poi raccogliere da terra il mio bagaglio «devo preoccuparmi?» domanda indicando il carico di mattoni che tiene tra le mani.
Ah ah ah. Lo so, parliamo di nemmeno un giorno fuori, ma vuoi mettere gli imprevisti? Si tratta di me, il mio secondo nome è Imprevisto, mi sono portata giusto lo stretto necessario corredato da un paio di cosette «simpatico, solo generi di prima necessità, quando avrai bisogno di lucido da scarpe e mi implorerai di prestartelo ne riparleremo» borbotto stizzita.
Esco di casa seguita dalla sua risata cristallina e una volta sistemati i borsoni ci accomodiamo sui sedili, non siamo ancora partiti eppure mi sento già stravolta, tra l'ansia da matrimonio, la ricerca del vestito perfetto e Chloe rischio di cadere in fase REM alla prima vibrazione della macchina «spero che i tuoi gusti musicali siano rimasti lontani da certa robaccia perché avrò bisogno di qualcosa di forte per tenere gli occhi aperti fino a stasera».
L'occhiataccia saccente e maliziosa che ricevo di rimando non mi rassicura affatto «vedremo», mi ammonisce premendo play.
No. Siamo decisamente ancora spiriti affini, mi sistemo sul sedile e comincio a canticchiare gesticolando furentemente mentre le note di "Whole Lotta Love" dei Led Zeppelin saturano l'abitacolo della macchina.

A mezz'ora dalla partenza mi sento decisamente rinvigorita, Finn ed io ci siamo dedicati a una sessione straordinaria di canto come due anime rock consumate, e adesso riposando le corde vocali posso finalmente cominciare a godere dei pasaggi che attraversiamo.
In sottofondo passano spesso canzoni che hanno fatto da colonna sonora ai nostri momenti più belli come coppia, nelle note di "To The End" dei Blur, "Champagne Superneva" degli Oasis e "There is a light that never goes out" degli Smiths, rivedo i nostri primi approcci, la sua prima dichiarazione importante, i nostri momenti di serenità e intimità.
Arrossisco violentemente pregando di passare inosservata, ma ora che ha smesso di cantare anche lui e tamburella nervosamente con le dita sul volante mi viene il dubbio che, forse... forse non sia stata una scelta così casuale.
Vuoi dirmi qualcosa, Finn?
È così semplice stargli accanto. Non ho mai capito come riesca a tranquillizzarmi e rasserenarmi anche soltanto la sua presenza silenziosa come ora. Mi basta guardarlo, sapere di averlo vicino per sentirmi felice. Tra noi non ci sono mai stati grandi discorsi importanti o dichiarazioni gonfie di parole, ma il suo affetto per me circonda ogni gesto e ogni sguardo che mi rivolge da sempre.
Ho commesso un errore madornale scappando, avrei dovuto fidarmi di lui, avrei dovuto permettergli di aiutarmi, di starmi accanto, a parti inverse io sarei impazzita. Ma solo adesso vedo con chiarezza il reale impatto dei miei gesti avventati su di lui, perchè Finn è sempre stato la mia roccia ma non è una roccia, mai come in questi ultimi due giorni ho visto davvero quanta fragilità si nasconda nei suoi occhi, anche se è sotterrata da strati e strati di orgoglio e determinazione.
Starmi accanto faceva sentire meglio anche te, non è vero?
«Allora...» provo a spezzare il silenzio intimidita «raccontami qualcosa di tua madre, non l'ho mai vista e non so cosa aspettarmi, che tipo è?».
Elude la domanda per qualche istante rimamendo concentrato sulla strada, non ho bisogno di vederlo per intuire quanto la presa sul volante si sia fatta improvvisamente più decisa. D'altronde sto per conoscerla, che senso ha ignorare ancora l'argomento?
«Eleonor. Mia madre si chiama Eleonor, e... probabilmente ti chiederà di darle del tu prima ancora di salutarla».
Una persona diretta e cortese, quantomeno, o una di quelle donne ossessionate dall'età che si sentono vecchie davanti a un giovane che le dà del lei?
«Non... non saprei cosa dirti, non c'è molto da raccontare su di lei, la sua vita è il suo lavoro, è sempre stato così. È un avvocato, nel suo campo bisogna avere una gran faccia tosta e l'arte del bluff nel sangue. Credo... credo che abbia portato entrambe le cose anche a casa per anni».
È inusuale e difficile da credere che questo tono di voce provenga dalle labbra di Finn, è duro, teso, nervoso, sarcastico, e sapere che è a sua madre che si riferisce rende tutto ancora più surreale. Deve averla combinata grossa per meritarsi tanto astio, e se seguissi il mio istinto lo pregherei di raccontarmi tutto, ma mai nella vita lo metterei consapevolmente in difficoltà. Quindi torno alla mia attuale occupazione, lo spettatore passivo di paesaggi da automobile.
Per fortuna però è proprio nel silenzio discreto del viaggio che mi arrivano nuove parole pochi minuti dopo, stranamente addolcite stavolta «non fare quella faccia dispiaciuta, non sono cresciuto con un mostro in casa. Volevo... volevo davvero molto bene a mia madre» ammette candidamente, ma non mi sfugge l'uso del tempo al passato, «è sempre stata presissima dal lavoro, è vero, ma era... è... anche una persona estremamente affettuosa, simpatica, spiritosa, una gran chiacchierona. Per certi versi mi ricorda te».
È terribilmente serio, e l'intensità del suo sguardo viene recepita dal mio cuore ancora prima che me ne accorga cominciando a battere furiosamente.
Dio, perché devo sempre reagire in questo modo, un po' di contegno Rae!
Contrariata dalle reazioni fisiologiche del mio stupido corpo sfrutto un motto più unico che raro di orgoglio femminile ferito, e sfodero la mia migliore linguaccia stizzita incrociando le braccia al petto. In teoria avrei voluto irritarlo, nella realtà credo stia per lacrimare dalle risate «sei una permalosona Rae! Stavo scherzando... e poi lo sai che mi sono sempre piaciute queste cose di te... lingua lunga compresa».
Ok.
Sono l'unica ad averci letto un doppio senso?
Questo è un colpo basso però.
Mi rigiro verso il finestrino fintamente oltraggiata in modalità peperone maturo, e gonfio le guance come una bambina capricciosa, ma non potrei reprimere un sorrisetto compiaciuto neanche volendo mentre lo sento sghignazzare accanto a me.
No, decisamente non sono l'unica ad aver bisogno di questi momenti di spensieratezza tra noi, anche lui è più sereno con me, più rilassato, se fosse possibile sarebbe perfino più bello.
«Dicevo sul serio comunque» prosegue teneramente, e sembra così indifeso da stringermi il cuore «io e mia madre siamo stati molto, molto legati finché abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto. Lei era esattamente tutto quello che avrei voluto diventare, eravamo inseparabili, sempre complici, quasi una persona sola. Ma le cose cambiano... suppongo. E io adesso sono... io e basta».
E io ti amo, e basta.

* * * * * * *



Arrivare a Leeds per chi vive in una piccola città come la mia è un po' come sbarcare sulla luna. Il traffico discreto lascia spazio a infiniti lombrichi in movimento, a cui si aggiungono il cicaleccio impazzito dei clacson, gente ammassata sui marciapiedi del centro e una percezione degli spazi completamente alterata. Qui bisogna alzare lo sguardo per vedere timidi spicchi di cielo sepolti tra i palazzi. Eppure c'è una nota di bellezza lo stesso, nella luce ambrata delle cinque del pomeriggio che posandosi su ogni superficie riflettente rende l'atmosfera più calda e delicata.
La Regina Madre, a discapito del nome altisonante, vive in un piccolo appartamento alla periferia ovest della città, un quartiere residenziale delizioso circondato da piccoli giardini ben curati e a pochi passi dal fiume Aire. In effetti mi ricorda un po' casa mia, sembra che nel trasferimento abbia cercato tanti piccoli riferimenti che le ricordassero sempre l'aria di casa, dev'essere un'anima più romantica di quanto avessi immaginato.
Finn ed io ci catapultiamo nell'appartamente in clamoroso ritardo dividendoci gli spazi esattamente a metà. Grazie alla pettinatura già perfettamente sistemata me la cavo con un quarto d'ora scarso di preparativi, saltando a piè pari tutta la routine cosmetica di Chloe, solo un po' di ombretto argentato sulle palpebre, un velo di lucidalabbra, e sono pronta.
E sono la prima.
Finn dopo tre ore di viaggio ha optato per una doccia veloce, e adesso lo sento canticchiare nervosamente mentre finisce di prepararsi.
Ne approfitto per curiosare in giro, l'appartamento è un delizioso attico di una palazzina a tre piani, si affaccia sull' Aire e ha una vista splendida, tutto qui parla il linguaggio dell'ordine e della sobrietà, non c'è un capello fuori posto e ogni cosa ha la sua precisa collocazione. Però ci sono anche tante foto in giro, attaccate alle pareti o incorniciate sui mobili, quindi sull'animo romantico non mi sono sbagliata a quanto pare.
Mentre prima salivamo le scale Finn mi ha raccontato di non essere stato in questa casa più di un paio di volte, eppure sembra essere ovunque, sorride in mille attimi di vita catturati dagli scatti, e ha sempre il solito meraviglioso sguardo limpido. È un ragazzino però, non ci sono foto recenti... come ha avuto la forza di tagliare fuori dalla sua vita una persona così importante per lui? Mi spaventa questa capacità di tenere le distanze dall'affetto, se un giorno mettesse in pratica lo stesso trattamento anche con me ne morirei.
«Sei... stai...» Finn dietro di me, appena uscito dal bagno, borbotta imbarazzato «... dai andiamo» taglia corto scompigliandosi i capelli ancora umidi con una mano. Era il tentativo di un complimento quello? Per rimanere nella parte arrossisco in ogni caso, tanto ci ho fatto l'abitudine, e poi in effetti è la prima volta in cui mi sento vagamente carina sul serio, ho persino una piccola borsetta nera già presa d'assalto dalle chiave della macchina e dall'accendino di Finn, e se non fosse per queste scomodissime scarpe semi eleganti sarebbe tutto perfetto. Forse stavolta riuscirò a non farlo sfigurare.
Finn invece è... lui è...
Oh ti prego Rae, smettila di sbavare e riprenditi! Mi intimo ripetutamente.
Perché deve essere sempre così... così... una visione, ecco. Se oggi non avessi avuto mille prove delle sua agitazione giurerei di avere davanti una persona assolutamente a suo agio, di sicuro l'arte del bluff l'ha ereditata dalla madre. In ogni caso nella sua semplicità è elegantissimo. La camicia bianca con le maniche sapientemente arrotolate fin sui gomiti mette in evidenza le spalle larghe, e i pantaloni scuri gli calzano come un guanto, ma è nello sguardo adorabilmente imbarazzato che mi sta rivolgendo proprio in questo momento che sta tutta la sua bellezza.
Ritrovarsi in zona nuvole è un attimo. Come sempre.

«Va tutto bene, Finn?».
Siamo in macchina davanti alla villa, appena fuori Leeds, in cui si tiene la cerimonia, già iniziata da almeno un quarto d'ora oltretutto, ma lui non si decide a schiodarsi dal sedile. Sono le sei e ormai siamo completamente avvolti dall'oscurità, ci siamo scapicollati per arrivare in tempo ma abbiamo preso residenza in macchina da mezz'ora.
Non fa che guardarsi intorno e tamburellare nervosamente sul volante «sì... sì... dammi un minuto».
Un minuto, come no, come dieci minuti fa.
«Senti Finn... io capisco che non sia facile per te ma...».
«No che non capisci» mi interrompe voltandosi bruscamente «ho bisogno di qualche altro momento».
Credo di non averlo mai visto così agitato da quando lo conosco «ehi» mi rivolgo dolcemente alla sua nuca accarezzandogli un braccio «guarda che non devi fare niente di niente se non te la senti, possiamo rimanere qui anche tutta la sera, se vuoi. Però... ormai ci siamo, no? Non vuoi provare a fare gli ultimi metri? Entriamo, salutiamo e ce ne andiamo se non vuoi restare».
«Forse» risponde, secco.
Qui non va affatto bene, è troppo teso, vorrei fare qualcosa per aiutarlo ma non ho la più pallida idea di come muovermi. Tra l'altro siamo praticamente in mezzo al nulla escludendo l'isola luminosa decorata a festa davanti a noi. Abbiamo fatto la radiografia a tutti gli invitati da mezz'ora a questa parte, mi sono dedicata alla sottile arte del pettegolezzo interpretando look e stili delle signore infagottate nei loro cappotti eleganti, il tutto per cercare di distrarlo. Ma è chiaro che ho fallito miseramente, e ormai sono quasi convinta che sarebbe davvero capace di restare qui fino a stanotte.
Pensa Rae, pensa.
Alla fine opto per la cosa che so fare meglio. Provare a convincerlo non è servito a niente, a malapena mi ascolta, però magari virando il discorso su tutt'altro potrei sfinirlo di chiacchiere e scioglierlo un po'. Casualmente ho anche uno spunto interessante.
«Sai che prima, in città, ho visto in giro le locandine del tour dei Blur? Suoneranno proprio a Leeds tra una decina di giorni, non sarebbe incredibilmente divertente andarci? Potremmo dirlo agli altri e organizzarci tutti insieme, che dici?».
«Mh» è tutta la sua risposta.
Ma non demordo «certo, per arrivare qui c'è parecchia strada da fare, ma potremmo portarci le tende e campeggiare per una notte da qualche parte». Oddio, in effetti sarebbe bellissimo davvero, appunto mentalmente questo sfolgorante momento di genialità e la mia idea.
«I biglietti saranno esauriti ormai».
Positività a palate «non fare il disfattista, magari no. E poi sarebbe l'occasione per rifarmi del concerto degli Oasis che mi sono persa».
La parola Oasis sembra scuoterlo appena dal torpore «mi hai dato buca quella volta» mi lancia una stoccatina maliziosa.
«Beh avevo... i miei ottimi motivi».
«Certo, come sempre, motivi che non sono tenuto a conoscere naturalmente. Parte del gigantesco Rae-Mondo nascosco».
Ok. Quand'è che la mia inoffensiva tecnica di distrazione è diventata un tiro al bersaglio?
Questa è la dimostrazione palese del fatto che avremo molto di cui discutere quando sarà il momento. Intanto però la china presa dalla conversazione non mi piace nemmeno un po' «fammi capire, vuoi metterti a litigare con me... adesso? Ti pare il momento?».
Mi osserva incuriosito qualche istante con un sopracciglio alzato, come se stesse valutando seriamente l'idea, ma alla fine scoppia in una sonora risata «no, Rae, anche perché non potrei vederti arrossire con questo buio, non c'è gusto» mi stuzzica pizzicandomi un fianco «dai muoviamoci, altrimenti non faremo in tempo nemmeno per la torta... poi parleremo anche del concerto... ammesso che non fosse tutta una finta» dice sorridendo teneramente.
Beccata subito!
Entro nella modalità pomodoro maturo un secondo prima di scendere dalla macchina, sperando che i pochi metri che ci separano dalle luci della festa bastino a smorzare il rossore intenso delle guance. Speranza che, però, crolla miseramente nel momento in cui registro il timido tentativo di Finn di prendermi per mano. Mi volto a guardarlo imbambolata mentre camminiamo fianco a fianco: le spalle incassate e una mano che passa freneticamente dalla tasca dei pantaloni ai capelli esprimono tutto l'imbarazzo e il disagio che sta provando. E allora 'fanculo la timidezza, afferro io la sua mano intrecciando le mie dita con le sue, sorprendendo sia me che lui e pregando che non mi allontani. Ma non lo fa e, anzi, stringe ulteriormente la presa senza proferire parola.
Però sorride, e il mio cuore ricomincia a correre.

* * * * * * *



Eleganza.
Non c'è un altro aggettivo che definisca più adeguatamente Eleonor Stevens.
Figura sottile, capelli biondo scuro sapientemente acconciati, postura da ballerina classica e sguardo fiero, nel suo meraviglioso vestito impalpabile color crema è semplicemente splendida, delicata, e sorride al suo futuro marito con la stessa aria tenera di Finn. In effetti si somigliano moltissimo, ma soprattutto hanno gli stessi luminosissimi occhi nocciola e non fatico per niente a immaginarmeli insieme, complici.
Alla fine siamo riusciti a non perderci almeno le promesse nuziali, ci siamo intrufolati cautamente nella sala della cerimonia e sistemati in una delle ultime panche libere. Finn è ancora piuttosto nervoso anche se ha perso almeno gli occhi spauriti di poco fa, e al momento giochicchia distrattamente con le dita della mia mano ancora intrecciata alla sua, dedicandole carezze leggere.
Per quanto mi riguarda potremmo restare qui tutto il resto della serata.
Lo sposo è ancora un'incognita, l'unica cosa che so di lui è che si chiama Thomas Leech e che ha una cascata di riccioli scuri su una faccia simpatica. Finn si è limitato a spiegarmi che è un architetto, che sta insieme a sua madre da un paio d'anni e che è una persona perbene, anche se lui stesso l'avrà visto al massimo due o tre volte.
Non me ne sono resa conto da fuori, ma ci sono parecchi invitati seduti ordinatamente tra le panche, saranno almeno un centinaio di persone, tutti vestiti in maniera impeccabile, perfettamente intonati al lusso dell'ambiente e alle delicate composizioni di rose bianche e peonie che decorano la stanza. L'atmosfera però è un po' troppo impettita per i miei gusti. Se penso alla Macarena ballata al Pub da mia madre e Karim mi viene da sorridere, è proprio vero che le persone giuste intorno fanno la differenza, non scambierei quell'allegria e quel calore con tutta la pomposità di questo mondo.


È impagabile osservare la felicità che si dipinge negli occhi della Regina Madre non appena individua suo figlio tra gli invitati, a ceremonia conclusa. Si perde appena in un paio di minuti di convenevoli con amici e parenti, poi svicola e si dirige a passo svelto verso di noi.
Quando se ne accorge Finn diventa una gigantesta, unica, lastra di marmo.
Lascio la sua mano accarezzandogli appena la schiena per spronarlo ad andarle incontro, e quando si ritrovano uno davanti all'altra hanno lo stesso sollievo elettrizzato negli occhi. Se fosse per Finn probabilmente starebbero lì a fissarsi da qui all'eternità, ma Eleonor lo circonda in un abbraccio dolcissimo sussurrandogli qualcosa all'orecchio che fa sorridere anche lui. Hanno gli occhi lucidi entrambi, sono bellissimi.
Io mi tengo discretamente in disparte, osservo la scena emozionata ben sapendo cosa significhi per lui, ma non ho nessuna intenzione di intromettermi in un momento così intimo, è Finn ad indicarmi a sua madre sciogliendosi dall'abbraccio, e in pochi passi sono davanti a me.
«Rae... giusto? Io sono Eleonor» mi porge la mano con nonchalance e un sorriso sibillino «mi fa molto piacere conoscerti, sono felice che Finn abbia deciso di non fare questo viaggio da solo. Che te ne pare del posto?».
Sono imbarazzatissima, dev'essere il corredo genetico di Finn che mi fa questo effetto «io... piacere mio. Congratulazioni, è tutto... splendido. Davvero splendido, ha scelto un posto bellissimo per la cerimonia».
«Grazie Rae, ma dammi del tu, cara, non mi piacciono le formalità».
Come volevasi dimostrare, almeno a questo ero preparata.
«Ci proverò» borbotto avvampando.
Ci lascia al flusso degli ospiti diretti alla sala del buffet congendandosi con la promessa di presentarci Tom, il novello sposo, quanto prima, e mi sussurra un inaspettato «grazie» affiancandomi appena mentre riguadagna il centro della scena.
Cerco il viso di Finn per capire l'impatto che questo incontro ha avuto su di lui, e quando finalmente lo trovo non posso che leggerci serenità mista a un pizzico di apprensione, ma soprattutto sollievo e... sorpresa. Come se non si aspettasse lui stesso una reazione così positiva davanti alla madre, come se fosse abituato, quasi, a non aspettarsi più nulla da lei.
«Ne è valsa la pena, allora?» gli domando.
«Saprò dirtelo sulla strada di casa» mi risponde cingendomi le spalle con un braccio, verso la seconda parte della serata.

Mi serve un dizionario. Ora.
NouvelleCuisine-CiboVero e CiboVero-NouvelleCuisine.
Ora, io sicuramente non sono una creatura al massimo dell'estrosità, mi manca il "palato" per i vini e vari gradi di raffinatezza, ma quando sono corsa affamata al tavolo delle tartine mi aspettavo di trovarci qualcosa di commestibile o umanamente comprensibile. E invece no.
Nell'ordine: 1)Insalata di granchio su Lemon Blini (?), 2)Uova di quaglia con sale aromatizzato al sedano (?), 3)Involtino di formaggio di capra con noci caramellate (?).
Mi sarei diretta al tavolo dei secondi se non avessi osservato che poche cibarie appartenenti a questo Pianeta anche lì. Non capirò mai, MAI, la ragione che spinge persone teoricamente dotate di buonsenso a scegliere volontariamente di privarsi dei piaceri della cucina normale. E nessuno riuscirà mai a convincermi dell'esistenza di estimatori di questa robaccia informe, piuttosto scelgo di credere agli unicorni.
Perlomeno tutto il resto non mi dispiace, lieve musica di sottofondo in attesa del primo ballo degli sposi, peonie delicate a decorazione dei tavoli, candele bianche a argentate ovunque. E Finn, ovviamente, che finora non ha fatto altro che intervallare sorrisi a presentazioni restandomi sempre vicino.
Abbiamo scambiato due parole con Tom, lo sposo, e soprattutto con il fratello della sposa, lo zio che ha ospitato Finn nel periodo in cui è stato qui, William Stevens, un uomo estremamente simpatico e alla mano che gestisce un'impresa edile e che ci ha spiegato dettagliatamente l'antica arte dei ponteggi.
Alla seconda personalità della mia ormai conclamata patologia, quella della ditta di demolizioni per capirci, potrà tornare sicuramente molto utile in futuro.
Dopo un'ora di noiosissime pubbliche relazioni l'allestimento del tavolo con i dolci è l'equivalente di un'oasi nel deserto nella mia serata di stenti, mi avvio in solitaria con la speranza nel cuore e una voragine nello stomaco pregando di trovare qualcosa di commestibile, e finalmente vengo accontentata.
Arraffo con poca cortesia qualche bignè costringendomi a limitarmi, voglio evitare di essere scambiata per una sorta di Moby Dick versione cacciatrice, e mi sistemo in un angolino defilato della sala per mangiare in santa pace.
Finn non c'è, da qualche minuto è sparito alla mia attenzione insieme ad Eleonor che gli ha chiesto insistentemente di parlare un po' con lei. Non avrebbe voluto piantarmi in asso, ma ho insistito sfoderando la mia migliore faccia "te lo ordino e non si discute", e alla fine ha ceduto. Spero solo che vada tutto bene, quella donna mi lascia una strana sensazione addosso, come una calma fittizia.
«Abbiamo avuto la stessa idea, Signorina» sobbalzo accorgendomi della presenza silenziosa alle mie spalle, un uomo alto e distinto con il mio stesso identico piatto tra le mani, un altro reduce incompreso come me «queste cene sono esteticamente meravigliose ma hanno ben poca sostanza».
«Non potrei essere più d'accordo» sorrido solidale.
«John, eccoti finalmente!» una vocina petulante e fastidiosa interrompe l'inedito idillio appena creato «ti ho cercato dappertutto ed eri qui a ingozzarti, che razza di figura mi fai fare?» ulula oltraggiata lanciando anche a me un'occhiataccia.
Va bene, a volte forse soffro un po' di manie di persecuzione, ma questa donnetta dai capelli fluenti biondo platino, il fisico che gronda palestra da ogni poro e l'aria inutilmente scazzosa somiglia tanto, ma proprio tanto a...
«Stavo solo scambiando due chiacchiere, Emma, l'ho vista parlare col ragazzo di Eleonor prima, magari conosce anche la nostra St...».
Stronza? Strega? Stupida oca?
Avrebbe voluto finire la frase il malcapitato, non che non avessi già intuito, ma viene interrotto dall'ennesimo trillo nefasto della mogliettina «ma ti pare che devi metterti ad attaccare bottone con chiunque? La ragazza stava mangiando, non disturbarla, ma... se posso darle un suggerimento... non esagerare cara» dice indicando il mio piatto.
Carina.
Decisamente tale madre tale figlia.
Stessa reazione allergica, tra l'altro.
Respira Rae, respira...
«Ehi» una mano a circondarmi i fianchi «salve Signor Stringfellow, Emma» Finn saluta cordialmente la serpe rubandomi un dolcetto dal piatto.
Chissà se a questa donna e a sua figlia hanno inserito nel DNA il gene della stronzite, in ogni caso la vicinanza di Finn è una buona medicina per tutto, continua a stringere la presa accarezzandomi un fianco con la mano trasformandomi in un unico lunghissimo brivido.
Ci allontaniamo dalla genitrice di Barbie Demonio con un saluto, devo dire che le attenzioni di Finn per la sottoscritta l'hanno lasciata di stucco, non prima però di aver regalato uno sguardo di compassione e condoglianze all'unico Ken di casa.
«Allora, non tenermi sulle spine!» prego Finn avvicinandomi appena, «com'è andata con tua madre?».
Sembra tranquillo, ma ho imparato che Finn è fin troppo bravo a dissimulare delusione e frustrazione «abbiamo scambiato quattro chiacchiere...».
«E...?» lo afferro mentalmente per le spalle scuotendolo con forza, e quindi? E quindi?.
«È andata. Io e lei abbiamo parecchie cose da recuperare, ho anche un patrigno nuovo di zecca da conoscere però... non so, forse stavolta possiamo avere una seconda possibilità» ammette timidamente, sorridendomi.
Sono così felice che vorrei stritolarlo in un mego abbraccio, ma considerata la situazione mi limito ad una versione più soft del mio progetto e gli poggio semplicemente il mento su una spalla, sussurrandogli all'orecchio «sono felice per te».
Eppure quando Eleonor ci passa accanto ha un'aria terribilmente stanca, preoccupata... ho un brutto presentimento.

* * * * * * *



Le note di "At Last" di Etta James volano nell'aria e incantano la sala con il primo ballo degli sposi.
Sono felice, la serata si è rivelata estremamente piacevole e malgrado la sfortunata parentesi demoniaca al tavolo dei dolci tutto procede nel migliore dei modi. Eleonor ha proposto a Finn di trascorrere la notte a casa sua per evitare il viaggio notturno con i postumi della serata, e mia madre contro ogni infausta previsione ha accettato senza battere ciglia, ma, ehi, è Finn, di lui si fida... di lui.
Sulla pista da ballo lentamente molte coppie si uniscono alla danza degli sposi e a me tornano in mente le parole di Chloe della mattina:
Immaginati con questo addosso, un lento nella sala decorata armoniosamente da rose bianche e calle, tu e Finn che ballate vicini...
La scena che mi prefiguro è idilliaca, ma viene bruscamente interrotta dal ricordo della boa di segnalazione, Dio, un giorno o l'altro dovrò chiederle come le sia potuto venire in mente di propormi quella specie di semaforo come vestito.
«Mi concede questo ballo?» una mano tesa invade il mio campo visivo e alzando gli occhi incontro quelli limpidi di Finn che mi sorride compiaciuto.
Come se potessi mai negargli qualcosa «certo» rispondo posando la mia mano sulla sua.
Guadagniamo il centro della sala e ci avviciniamo l'un l'altro imbarazzati, lui mi circonda la vita con le braccia posando le sue mani sui miei fianchi, mentre le mie cercano il suo collo e sfiorano la sua pelle calda.
È la scena idilliaca di poco fa che si trasforma in realtà, e non c'è nessun altro posto al mondo in cui vorrei essere.
Finn si avvicina delicatamente al mio viso sussurrando qualcosa all'orecchio che sono troppo agitata per comprendere davvero, ma che suona più o meno come «ti stai divertendo?».
«Mh... sì» mugugno a fatica.
La verità è che tutta la mia attenzione è puntata alle sue mani che mi stringono e alle sue labbra pericolosamente vicine alle mie, da fuori potremmo essere scambiati per una coppia? Fino a pochissimo tempo fa lo eravamo davvero, e forse lo saremmo ancora se una pazza psicopatica non avesse rovinato tutto, non so se farmi sorprendere dall'ennesima scossa di calore o urlare dalla frustrazione.
Nel dubbio mi stringo al mio cavaliere ancora un po', finchè la sua voce mi riporta alla realtà «come ti sembra mia madre?».
«Diversa» rispondo di getto.
«Diversa?».
«Sì. Sai... conosco tuo padre e lui è una persona alla mano, gentile, discreto, pensavo che tua madre gli somigliasse e invece è completamente diversa».
Parlo quasi sovrappensiero, ma appeno nomino suo padre Finn si irrigidisce «già» risponde, secco.
«Scusami, non volevo tirare in ballo tuo padre».
Quanto posso essere idiota? Eppure lo so che è un argomento da trattare con le molle.
«Non preoccuparti» mi rassicura, lo sento distintamente sorridere rilassato sui miei capelli «non mi hai spiegato cosa intendi per "diversa" però... costruita?».
«Ma no! Che c'entra?» replico con una punta di acidità, «no... È una donna estremamente elegante e raffinata, gentile, molto cortese, ma... in certi momenti sembra quasi appartenere a un'altra epoca».
Sarebbe perfetta per l'epoca vittoriana, tutta pizzi, merletti, malizia e cortesie, ma evito accuratamente di dirlo.
«Beh, ti assicuro che è un'impressione molto meno fantasiosa di quanto pensi, mia madre vive in un mondo tutto suo, per lei l'apparenza è fondamentale. Potrebbe rinunciare a qualunque cosa, qualunque...» ammette amaramente, come se si sentisse parte integrante di quell'ultima parola, «... ma non all'immagine che si è creata con tanta fatica, alla sua posizione, è ciò che più le interessa da sempre... Solo che prima lo nascondeva meglio».
Sto per ribattere a quell'ultima affermazione ma veniamo interrotti da una delle zie di Finn che reclama un ballo con il nipote. Mi congedo borbottando tra me e me guastafeste, e dopo averli osservati ballare vicini, intenti in una fitta conversazione, guadagno una delle porte-finestre per una sana boccata d'aria fresca.

La porzione di villa in cui ci troviamo al momento è circondata su un lato da una lunghissima veranda. È buio pesto fuori ma non gelido quanto immaginassi, anzi, l'aria frizzantina è un vero toccasana per le mie guance accaldate. Riesco a distinguere una fila ben allineata di vasi di ceramica decorata, violette forse, ma non c'è abbastanza luce per esserne certa, e più in là qualche poltroncina di vimini e un dondolo. Pensavo non ci fosse nessuno, ma ora che gli occhi si sono abituati all'oscurità vedo la sagoma di una donna lievemente poggiata sulla ringhiera.
Eleonor.
Non si è accorta di me, dev'essere assorta in qualche piacevole pensiero, perché sorride teneramente e si accarezza il ventre con movimenti circolari. In un'altra occasione non ci avrei nemmeno fatto caso, ma ho ancora bene in mente mia madre intenta negli stessi gesti lenti e trasognati appena pochi mesi fa.
«Tutto bene?» le chiedo, discreta.
Si volta di scatto nella mia direzione, colta di sorpresa «Rae?... sei qui da molto? Sei terribilmente silenziosa».
«Solo un paio di minuti» ammetto imbarazzata, «dentro adesso c'è un gran caldo».
«Già».
Fatti gli affari tuoi Rae, fatti i dannatissimi affaracci tuoi.
Sei ancora in tempo per evitare figure di merda.

Ma non sono mai stata brava a seguire i buoni consigli, nemmeno quando sono io stessa a darmeli, quindi mi avvicino di qualche passo a lei e prendo il coraggio a quattro mani «posso chiederle una cosa?».
Eleonor mi osserva incuriosita poi scoppia in una fragorosa risata «non avevamo detto di darci del tu? Comunque... dimmi pure».
Se non fosse così buio probabilmente mi scambierebbe per una prugna matura. Questa donna continua a darmi sentimenti contrastanti, mi piace e mi incuriosisce, ma ho come la strana sensazione che mi sfugga sempre qualcosa, che si comporti in un certo modo spinta più dalle circostanze che da reale volontà. Forse era semplicemente a disagio perché...
«È incinta?».
Bene, devo essere veramente impazzita, come diavolo mi è uscita? L'indiscrezione fatta persona, una gaffe in piena regola che, forse, posso ancora arginare un minimo dandole una minuscola giustificazione «sa... sai... mia madre ha avuto un'altra figlia pochissimi mesi fa e... tu me la ricordi molto in quel periodo».
Vorrei sprofondare esattamente in questo punto, il più velocemente possibile e senza testimoni.
Eppure lei, al di là di ogni tragica aspettativa, mi risponde con un orgoglioso ma timido «sì» secco, «di quattro mesi oggi... Ho scelto questo abito sperando di dissimulare la cosa... pensavo di esserci riuscita finora».
«Oh sì, non te l'ho chiesto perché me ne sono accorta, stai... benissimo con questo vestito» e in effetti è vero, solo adesso noto la linea morbida dell'abito in contrapposizione al suo fisico longilineo, ma potrebbe tranquillamente passare come una scelta di stile.
«Congratulazioni comunque, Finn non me l'aveva det...».
Le ultime sillabe muoino nell'aria «perché non lo sa ancora. Volevo dirglielo prima, ma poi non mi sembrava vero di averlo qui e non ho voluto rovinare tutto».
Rovinare tutto? Che sciocchezza, se conosco bene Finn sarebbe felicissimo di saperlo, oltretutto è stato proprio lui a convincermi che sarei stata un'ottima sorella maggiore. Gongolo al pensiero di quei ricordi e sto per renderne partecipe anche Eleonor, ma vengo interrota da un ghigno.
«Ma che bel quadretto, com'è che si dice? Congratulazioni?».
Io ed Eleonor ci voltiamo in sincrono verso Finn, che discreto quasi quanto me poco fa guarda sua madre dalla porta a vetri. Ha le mani strette a pugno, la mascella tesa e gli occhi liquidi di rabbia. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma questa non è la reazione alla notizia che ho appena appreso.
«Non ce la fai proprio eh? A essere sincera una volta, UNA. Devo sempre fare la figura del povero idiota».
Eleonor è gelata, si stacca a fatica dalla ringhiera e avanza un primo passo, ma un gesto stizzito di Finn la blocca sul posto «aspetta, fammi spiegare».
Parole al vento, lui non la sta nemmeno a sentire e a quel tentativo disperato ride di gusto. Non sembra nemmeno la stessa persona che ho conosciuto finora, vuole deliberatamente ferirla, ma la scintilla di sofferenza che gli corre negli occhi racconta tutta un'altra storia.
«Ma spiegare cosa? Che mi devi spiegare? Eravamo insieme tre quarti d'ora fa oppure no? Quando me l'avresti detto? Ai suoi primi passi? Avresti mandato qualcuno del tuo studio come messaggero? Tom? Una bella letterina sentita delle tue? Lo sai... mamma... pensavo di essere arrivato a un limite massimo di delusione con te, e invece no, stasera mi hai insegnato un'altra cosa, hai visto?... Ti auguro di non commettere lo stesso errore anche con lei, o lui, perché per me basta così».
Ha sputato la parola mamma come un insulto, con una rabbia mista a rassegnazione che mi ha gelato il sangue. Non concede nemmeno una possibilità di replica prima di fuggire via. Sia io che sua madre siamo basite, due statue di sale, ma quando realizzo cos'è successo e mi appresto a seguirlo lei mi trattiene per un braccio «aspetta» dice scuotendo la testa, «lascialo sbollire, parlarci ora sarebbe inutile».
Non mi volto nemmeno a guardarla, l'unica cosa che mi interessa è raggiungere Finn e assicurarmi che stia bene. Tutta questa situazione di cui non so praticamente nulla è sfociata in disastro proprio perché invece di affrontarsi hanno preferito aspettare e sperare.
«Ha già aspettato abbastanza» le rispondo lasciandola sola.

* * * * * * *



Sono così preoccupata che non capisco più cosa sto facendo, trotterello senza meta tra le sale della villa messe a disposizione per il matrimonio, ma Finn sembra essersi volatilizzato. Dove diavolo è sparito?
Se voleva sbollire la rabbia forse è uscito fuori, in giardino, ma è buio pesto e fa un freddo cane, possibile?
Ritiro le giacche dal guardaroba diretta alla porta, se è lì fuori in camicia rischia come minimo una polmonite. Maledetta me e la mia curiosità, se non avessi fatto quella domanda a Eleonor non sarebbe successo niente. Anche lei però, perché nascondere la gravidanza? Quanto diavolo sono strani in quella famiglia?
Trovarlo si rivela più difficile di quanto pensassi, anche volendo ignorare il gelo che mi ha riempito il cappotto è comunque buio pesto e non si vede a un palmo dal naso.
Ma dove sei?
Dopo mezz'ora di passeggiata nel nulla mi sono allontanata così tanto che i rumori della festa non sono che sussurri trasportati dal vento. Di Finn non c'è traccia, d'altronde suppongo che se ce l'avessi anche a un metro non me ne accorgerei. Ripercorro la strada al contrario verso il parcheggio, magari è tornato alla macchina... O magari è ancora dentro da qualche parte e non l'ho visto.
Contrariata continuo a borbottare tra me e me frasi sconnesse, finchè non sbatto dritta contro qualcosa di duro.
«E adesso che c'è?» impreco alla sagoma che mi impedisce il passaggio.
Disteso davanti a me si allunga un massiccio tronco d'albero intagliato, ce ne sono parecchi sparsi nella tenuta della villa, li ho visti quando siamo arrivati, di sicuro si intonano al paesaggio molto più di quanto non farebbero delle classiche panchine.
Ma è un altro il dettaglio che attira finalmente la mia attenzione.
Seduto sul tronco, con i gomiti puntati sulle gambe e la testa tra le mani, Finn si trova esattamente a due passi da me.
Non voglio disturbarlo e non voglio nemmeno essere invadente, l'unica cosa che mi interessa è evitargli un malanno e fargli capire che ci sono a prescindere. Mi avvicino lentamente posandogli la giacca sulle spalle, è letteralmente congelato, eppure non si muove di un millimetro e continua a fissare le sue scarpe in silenzio. Gli siedo accanto ignorando i battiti impazziti del mio cuore per il sollievo e l'emozione, vorrei abbracciarlo e sussurrargli che andarà tutto bene, e invece rimango in silenzio, ma è proprio in qual momento che si accorge di me.
La sua mano raggiunge rapidamente la mia arpionandola come se fosse un appiglio irrinunciabile, e per un quarto d'ora rimaniamo semplicemente così, seduti in silenzio l'uno accanto all'altra.

«Mi dispiace Rae, non è così che sarebbe dovuta andare la serata» sussurra all'improvviso, gli occhi sempre rivolti a terra.
«Non dirlo nemmeno per scherzo».
Sembra spaesato e sospira rumorosamente, come se volesse prendere la rincorsa per dirmi qualcosa che non vuol saperne di uscire, ma alla fine solleva la testa, allenta appena la presa sulla mia mano e riempie il silenzio con la sua voce.
«Certe persone non dovrebbero mai sposarsi. Non dovrebbero... semplicemente stare insieme, in realtà. Mia madre e mio padre hanno sempre avuto uno stile di vita e delle priorità molto diverse, lei voleva farsi una posizione, una carriera degna di questo nome, a lui invece bastava viverle accanto, avere una vita serena, un lavoro sicuro, cose così. Due anni fa...» si interrompe con uno strano sorrisetto sulle labbra, come se trovasse anche dell'ironia in quello che sta raccontando, «... ha avuto una relazione con un collega del suo studio. Il classico pescecane, ambizioso quanto lei. Il divorzio è stato la diretta conseguenza di questo fatto».
Questo l'avevo già più o meno intuito, ma... due anni fa? «Ma i tuoi genitori non si sono separati da molto più tempo?».
«Certo, quasi quattro anni fa ormai, inconsciamente però per me è quella la tempistica, perché è due anni fa che io l'ho scoperto» ammette di nuovo, serio, «io avevo un rapporto splendido con mia madre, lei è sempre stata molto presa dal lavoro, questo sì, ma con me, a casa, si trasformava completamente, eravamo complici, affiatati, lei era il mio punto di riferimento più grande. Pensa come posso essermi sentito quando all'improvviso se n'è andata via di casa trasferendosi qui, lasciandomi solo con mio padre, per giunta... Lui a quel tempo viaggiava spessissimo per lavoro, a casa non c'era mai, lo conoscevo appena e... per me era tutta colpa sua».
Mi si accartoccia il cuore a vederlo così indifeso, addirittura sembra quasi terribilmente... mortificato? Ma perché?
«Prima che mia madre andasse via c'è stato un periodo in cui le liti erano all'ordine del giorno, mio padre all'epoca sapeva già tutto, sicuramente litigavano per questo ma io non potevo saperlo. E mi accanivo contro di lui, sempre, perché la lasciasse in pace. Gli ho vomitato in faccia talmente tanto disprezzo in quei mesi Rae... se ci penso ancora adesso mi faccio schifo» ammette con voce tremolante.
Continuo a restare in silenzio, ma mi avvicino più che posso e lo abbraccio con tutte le mie forze.
«Ho vissuto l'essere lasciato solo con lui come una punizione, all'inizio, per me non aveva il minimo senso perché per quel che potevo saperne mia madre non si sarebbe mai separata da me. Non di sua iniziativa, almeno. Ho pensato addirittura di aver fatto qualcosa di male io, chissà quale terribile sbaglio, e allora mi incazzavo ancora di più. Era una lite continua, un monologo, in realtà, visto che da parte di mio padre non c'era una reazione vera e propria. Del resto a me non avevano spiegato niente, quindi per me il colpevole era lui che l'aveva cacciata di casa... Capisci? Io facevo il diavolo a quattro con lui, offendendolo anche pesantemente, e poi mi rifuggiavo da lei pregandola di riprendermi con sé... Lei... che mi diceva di essere paziente, di perdonare mio padre... una vittima, ti rendi conto di che faccia tosta? LEI mi chiedeva di perdonare LUI! Quanto devo esserle sembrato ridicolo?» domanda più a sé stesso che a me.
Non eri ridicolo Finn, purtroppo sei capitato in una situazione più grande di te.
«Questa storia è andata avanti quasi un anno e mezzo, poi un pomeriggio a casa di un compagno di classe ho scoperto tutto, per puro caso, ne parlavano tra loro i suoi genitori credendoci fuori. Mia madre conviveva già con un altro, sempre qui a Leeds, e non mi aveva detto un cazzo di niente. Io avevo distrutto mio padre, preso le colpe di fatti inesistenti, e lei era passata sopra a tutto come se niente fosse. Capito, la mammina? Palle su balle, bugie su bugie, una cazzata dietro l'altra. Per lei non eravamo abbastanza».
Non avrei mai, mai potuto immaginare che le cose fossero complicate a questi livelli. Il mio Finn, perché non mi ha mai detto niente? Come ha fatto a starmi sempre accanto senza lasciar trasparire nulla? Senza parlarne con nessuno? Non so come aiutarlo, mi sento inutile.
«Forse... forse non te l'hanno detto perché...».
«Forse un cazzo, Rae. Ero un ragazzino, forse sì, ma non uno stupido, avrei capito. Mi sarei incazzato ma sarebbe sempre stata mia madre, prima o poi mi sarebbe passata. Ma non così. Si è parata il culo non per il mio bene, ma per il suo, perché lo sapeva che sarebbe stata detestata da me, e odiava l'idea che smettessi di guardarla come un esempio, che smettessi di portarla su un palmo di mano. Avevamo un rapporto completamente falsato che sarebbe sparito se avessi scoperto la verità. E mio padre poi... Le ha tenuto il gioco per tutelare me, lui sì, perché sapeva che se avesse distrutto mia madre ai miei occhi non mi sarebbe rimasto nient'altro. E io sono stato così coglione da prendermela con lui».
A queste parole si libera dal mio abbraccio e si alza di scatto camminando avanti e indietro su un paio di metri quadri di prato, come un leone in gabbia. Non sono mai stata tanto grata al buio come adesso, se avessi la possibilità di guardarlo in faccia probabilmente non riuscirei a sopportarlo.
«Comunque dopo quel giorno non le ho più rivolto la parola per mesi, ero troppo deluso, troppo incazzato, confuso. L'ho rivista solo in occasione di qualche festa comandata prima di oggi. Poi ho cercato di farmi perdonare da mio padre, per quanto fosse possibile, di creare un rapporto con lui».
«E ci siete riusciti, Finn. Vi ho visti insieme, lui ti vuole un bene dell'anima e anche tu» e ne sono realmente convinta.
«Forse, ma certe cose non si possono dimenticare Rae, io lo so bene, e mio padre è una brava persona ma non è un Santo. Spero almeno che sappia quanto lo rispetto adesso».
Mi alzo in piedi di fianco a lui, infreddoliti e tremanti cominciamo a camminare silenziosi verso la macchina finché non esplode in una risata storta, come se avesse appena ricordato qualcosa di amaro ed esilarante.
«E adesso quest'altra notizia! L'ennesima ipocrisia di mia madre. Sai che hanno litigato per anni perché mio padre voleva un altro figlio e lei no? Si stava facendo strada nello studio legale e non poteva permettersi un'altra gravidanza... così diceva, ma lo sapevo che era solo un'altra stronzata» dice continuando a scuotere la testa, esausto, «ma non è questo il problema. Il fatto è che avevamo parlato mezz'ora prima e avrebbe potuto dirmelo, ma ha scelto di nascondermi una cosa importante ancora una volta. Evidentemente il passato non le ha insegnato niente».
Adesso si spiega la reazione stizzita che ha avuto prima, come dargli torto, quella donna si è praticamente messa in scacco da sola «magari te l'avrebbe detto in un'altra occasione, voleva stare un po' con te in santa pace stavolta».
«Ma che cazzo pretende da me?» grida bloccandosi sul posto, affondando le mani tra i capelli, «io mi sono stancato Rae di provare a capirla, tutti mi dicono sempre "prova a capirla Finn, mettiti nei suoi panni", ma lei si è mai messa nei miei? Io non ho fatto un passo verso di lei, è vero, ma lei è mai venuta da me? Pensi che l'avrei cacciata se si fosse presentata alla porta di casa nostra chidendomi di trovare insieme una soluzione?... No. No Rae. Si è limitata a quattro letterine piene di stronzate. Ha preferito sguazzare nella sua nuova vita perfetta, con un marito affermato, la carriera avviata e la casa grande. Quindi per me adesso è così che può rimanere» e non c'è un pizzico di esitazione nella sua voce che possa farmi credere il contrario.

Arriviamo in macchina esausti e infreddoliti, di passare a casa di Eleonor non se ne parla neanche, quindi raggiungiamo una piazzola sulla strada del ritorno e ci fermiamo lì a riposare. Tutti e due seduti sui sedili posteriori, vicini, con le giacche addosso e una coperta di lana sulle spalle a coprire entrambi. Affonda il viso nella mia giacca provando a calmarsi, e io lo abbraccio con tutto l'affetto di cui sono capace, ignorando le lacrime che sento rigarmi le guance e... che rigano anche le sue.
Dopo il litigio con Eleonor e la sua confessione dev'essere distrutto, non fa che tremare come una foglia e nascondersi il viso con le mani.
Voglio stargli accanto con tutte le mie forze, soprattutto adesso che mi ha aperto una finestrella sulle sue debolezze per la prima volta. Non so cosa succederà tra noi quando torneremo a casa, non so cosa vorrà fare lui, non so nemmeno come reagirò a mente fredda a tutte queste novità, ma una cosa la so, ed è che mai come adesso sono sicura che farò qualunque cosa per tenerlo con me.
Non permetterò a nessuno di portarmelo via, nemmeno a Elle.

E siccome non mi sono dilungata già abbastanza... le NOTE!
(Sa un po' di minaccia, vero?)
Eccoci di nuovo qui, stavolta non sono poi troppo in ritardo dai :)
Questo capitolo è stato un vero e proprio parto plurigemellare da scrivere, l'ho rimaneggiato tante volte, fatto alcuni tagli (col senno di poi forse sarebbe stato meglio farne tre parti invece di due), e questo è il risultato finale.
Avrei potuto evitare di dilungarmi in alcuni punti, me ne rendo perfettamente conto, ma My Mad Fat Diary per me è anche momenti sciocchi di allegria, considerazione di Rae su ciò che la circonda, e insomma alla fine ho chiuso gli occhi e deciso di pubblicare così. Mi auguro che vi siate approcciate alla lettura con generi di prima necessità al seguito, a qualcuna l'ho anche consigliato, e che non vi abbia fatte annoiare.
Rendere decentemente il personaggio di Finn per me è estremamente complicato, ogni volta che scrivo di lui o dal suo punto di vista mi incarto da morire, riesco più o meno bene a destreggiarmi nei meandri della testolina di Rae, ma con lui è più dura. Un po' perché anche nella serie è stato approfondito pochissimo, un po' perché comunicare principalmente con il linguaggio del corpo piuttosto che con le parole non è facile, io l'ho fatto diventare un pochino più loquace, probabilmente leggermente out of character, ma avevo il disperato bisogno di fargli dire alcune cose.
Tornerà anche un suo Pov, forse due, devo ancora capire bene a che punto sono, in questi ultimi due capitoli ho aggiunto parecchia carne al fuoco e inserito varie cosine che ritroveremo anche dopo (Eleonor compresa), quindi il mio progetto iniziale è andato bellamente alle ortiche e devo rifare il punto della situazione.

Nel prossimo capitolo ci sarà un bel casino. Ve lo dico già da ora, avevo premesso nelle note del primissimo capitolo che ci sarebbe stato parecchio da patire, ebbene così sarà, e tornerà anche Elle. Lo so, è odiata all'unanimità, ma a me serve per creare un'alternativa "normale" per Finn, che non sia il classico clichè della rivale bambolina o stronzetta, quindi ce la terremo ancora un po'.
Finn NON si comporterà benissimo con la nostra Rae, e non mi riferisco solo a Elle, anzi...

E niente, stavolta sono riuscita a dilungarmi anche nelle note finali, sono un caso disperato di logorrea, voglio ringraziare chiunque abbia dedicato anche solo cinque minuti a questa storia, e chi ha avuto la gentilezza di lasciarmi le sue opinioni in proposito, francamente quando ho cominciato a scriverla ero sicura che me la sarei suonata e cantata da sola (non sono una megalomane, giuro, ma MMFD non è esattamente una serie seguitissima purtroppo) e invece sono rimasta piacevolmente sorpresa, quindi grazie.
Ogni segnalazione di errori varie ed eventuali nel testo è ampiamente gradita.
Al prossimo capitolo, che arriverà tra una decina di giorni più o meno :)
   
 
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