DEL
COME TOMO SCOPRE CHE IL TEOREMA DELLE
MAGLIETTE FORTUNATE FALLISCE NEL CINQUANTA PER CENTO DEI
CASI… O FORSE NO…
Tomo ce l’aveva fatta. Aveva passato in rassegna il novanta percento dei negozi cinesi di import-export, la quasi totalità delle bancarelle al mercato delle pulci, più della metà dei negozi che vendevano merchandising più o meno ufficiale, e alla fine, dopo oltre una settimana di ricerche, era riuscito nel suo intento. L’aveva trovata, convinto che gli avrebbe portato fortuna: era riuscito a scovare una maglietta dei FourLeafClover! Nera, con, ovviamente, un quadrifoglio rosso fosforescente stampato sul davanti. Una ennesima ciofeca ‘Made in China’, ad essere sinceri, dal costo di ben sette dollari, ma con quella addosso sicuramente avrebbe fatto colpo su Dana. Anzi: forse le avrebbe dato la ‘mazzata’ definitiva.
Pavoneggiandosi come se facesse una sfilata di moda, con la felpa nera non chiusa per mostrare meglio il suo trofeo, baffi, barba lunga e occhiali scuri per passare inosservato al concerto, l’uomo si presentò puntuale a casa di Dana la sera del concorso musicale, per accompagnarla e rimanere a vederla suonare col suo gruppo, per la prima volta.
Tomo
era
riuscito per un pelo ad evitare di andare con Tim a cena da Shannon, il
quale
si era messo in testa che, quel sabato, mentre Jared era impegnato
nell’ennesima festa per VIP, era la serata ideale per stare
seduti sul divano
ad ingurgitare chili di pizza, bere birra e guardare le finali del
baseball per
TV. Tomo aveva detto che aveva ben altro da fare e i Leto, allora,
impiccioni
come al solito, si erano messi ad interrogarlo sui suoi impegni, ma
nemmeno la
tortura cinese del solletico con una piuma sulla pianta del piede
avrebbe fatto
parlare il chitarrista, che, chiudendosi in uno sdegnoso silenzio,
aveva fatto
loro credere di avere un qualche impegno famigliare non ben
identificato al
quale non poteva mancare (il compleanno del gatto?)…
Ma
nulla è
casuale a questo mondo e quando Jane gli aprì la porta e lo
fece entrare
salutandolo con allegria e Tomo vide FirstLeaf scendere dalle scale
interne,
egli non potè fare a meno di pensare proprio a Shannon,
visto che la ragazza
indossava un kilt con lo stesso tartan a fantasia rossa indossato
qualche volta
dal loro batterista, ma almeno mezzo metro più corto, tanto
da non arrivarle
nemmeno a metà coscia! A Tomo mancò quasi il
fiato: la ragazza indossava anche
una maglietta nera aderente con tanti piccoli quadrifogli rossi
disegnati,
calze nere e stivali con il tacco, aveva i capelli raccolti in due code
alte
che le facevano ricadere una cascata di riccioli dai lati del viso,
occhi
truccati di nero e rossetto rosso sangue. Una bellezza da
copertina… copertina
del Kerrang, ovviamente!
Tomo si incantò a bocca aperta in mezzo al corridoio, mise al muro e fucilò seduta stante tutti i neuroni che avevano cominciato a scrivere una lunga lista di pensieri impuri su Dana e si limitò a dire: “Uaooooh… Sei bellissima…”
Invece
Dana si
mise a ridere alla vista della maglietta di Tomo dicendo:
“Oddio, ma ce ne sono
ancora di quegli obbrobri in giro? Ne avevamo fatte fare solo duecento,
due
anni fa, e ogni tanto ne salta fuori una…”
‘Sto giro a Tomo con la storia della maglietta non era andata proprio benissimo e l’uomo, un po’ deluso, tentò di glissare: “Sei pronta?”
“Certo.” Dana prese la sua giacchettina in pelle dall’attaccapanni, si infilò una borsetta nera a tracolla e si avviò alla porta. Non sembrava per nulla preoccupata.
Quasi quasi Tomo lo era per lei: “E la chitarra?”
Dana si sistemò i capelli: “E’ passato SecondLeaf a prenderla mezzora fa, con il furgone dei Leaf, così non devo portarmela dietro. La trovo direttamente al concerto.”
Tomo annuì e poi indicò il librone di FirstLeaf appoggiato sul tavolino: ”E gli spartiti?”
Dana fece spallucce: “Non mi servono.”
“Ma non devi ripassare?”
“No, perché?”
A Tomo vennero in mente i pomeriggi in tourbus con Jared a ripassare i testi e gli accordi delle loro canzoni, mentre Tim, Shannon, Emma e il mondo intero li prendevano per il culo: “Niente, niente. Ma… ma non sei agitata?”
“No. Ormai quel che è fatto è fatto. Sono due settimane che proviamo, ormai me le sogno di notte queste tre canzoni…” Era vero. Anche Tomo le sapeva, ormai, visto che le aveva suonate anche lui. “Le conoscono anche i sassi del selciato qui fuori. Andiamo, dai…” Dana mise la mano sulla maniglia, dopo avere accettato gli ‘in-bocca-al-lupo’ di Jane, ma Tomo non era ancora convinto.
“Non prendi la mappa della città?”
“Per fare cosa?”
“Per vedere dov’è il posto…”
“So dov’é…”
“Ma se sbagliamo strada e non arriviamo in tempo…”
“Sono sempre arrivata in tempo ad un concerto, io… E poi il concerto inizia alle venti, tra più di un’ora, e noi suoniamo per quarti, cioè penultimi, tra almeno tre ore, quindi: vuoi che non facciamo in tempo?” Dana aprì la porta ed uscì nella splendida serata primaverile californiana, dicendo: “Vuoi che guidi io?”
“Ma, Dana…”
“Cristo Santo, Tomo, non ti pare di esagerare con tutte queste preoccupazioni? Mi sembri uno di quei mariti ansiosi ed agitati in sala parto. Continua così e allora sì che fai agitare anche me…”
L’uomo sospirò, prendendo le chiavi dell’auto dalla tasca: “Scusa, hai ragione.”
“E che tu dovresti essere abituato a suonare dal vivo, agli MTV Awards, al Live Aid, al PinkPop, davanti a folle oceaniche, con gente che grida e si azzuffa, no? Potresti darmi qualche consiglio, invece…”
Eh sì, come no? Consigli del tipo ‘Come scappare di corsa davanti a Jared imbufalito quando sbagli gli accordi’, per esempio? Oppure ‘Come sopravvivere ad una schiera di echelon che si tuffano sopra di te’? “Uhm… lasciamo perdere…” Tomo, quasi sbuffando, salì in auto, seguito dalla ragazza, e mise subito in moto, sperando che Dana non volesse altri consigli da lui e che, soprattutto, non lo stesse prendendo in giro.
Le indicazioni sulla strada date da Dana erano chiarissime e, in meno di mezzora, i due erano già dentro il piccolo e disordinato camerino dei FourLeafClover al locale dove si svolgeva la kermesse, un posto con già presenti un paio di migliaia di persone urlanti ed accalcate sotto il palco. Tomo sperò che nessuno lo riconoscesse, ma vide, quasi con rammarico, che la maggior parte dei rockettari che avevano incrociato dopo essere scesi dall’auto e che si dirigevano al locale, erano più interessati alla minigonna di Dana piuttosto che a lui: gli stava venendo voglia di inscatolare la ragazza dentro un burka in modo che non la vedesse nessuno, ma non poteva, ACCIDENTI!!
Allora masticava amaro, ancora di più quando Dana gli presentò SecondLeaf, che era proprio un bellissimo ragazzo e, dentro di sé, Tomo provò una punta di gelosia a vedere le confidenze che si prendeva con la sua Dana, tipo abbracciarla e tenerla stretta a sé per un lungo momento. Il ragazzo era più alto di Tomo, con lunghi capelli castani ondulati sciolti sulle spalle, un pizzetto biondo e due bellissimi occhi blu scuro; un tipico cantante rock, un misto tra James Hetfield, Joey Eppard e Chad Kroeger. Vestito di nero, con pantaloni e camicia semiaperta su dei bei pettorali scolpiti, in realtà si chiamava George, era un compagno di scuola di Dana dai tempi delle elementari e i due avevano la stessa età.
“Dov’è ThirdLeaf?”, chiese ad un certo punto Dana, truccando con la matita nera gli occhi di George, seduto di fronte a lei.
SecondLeaf indicò la porta del bagno, sorridendo: “Indovina.”
Dana si portò una mano alla fronte: “Oh nooo. E’ agitato?”
“Da morire. Ha bevuto sette camomille e ora gli stanno facendo effetto tutte assieme. E’ da dieci minuti che è in bagno.”
“Come ogni volta. Povero piccolo…”
Tomo si intromise: “Perché ‘povero piccolo’?”
“Ha vent’anni ed é molto emotivo. Sarebbe il miglior bassista al mondo se non fosse tanto ipersensibile. Fa così ogni santa volta. Prima di salire sul palco si calma, per fortuna… Quindi cerca di non farlo agitare anche tu…”
Quando, dopo un po’, la porta del bagno si aprì e ne uscì il ‘povero piccolo’ di ThirdLeaf, Tomo decise che QUELLO non era proprio il caso di farlo agitare: era un gigante di due metri, grande e grosso come un giocatore di rugby e con lo stesso cipiglio, con i capelli corti sparati in testa e colorati di rosso, camicia bianca e cravatta con la stessa fantasia della gonna di Dana. Data la possente massa corporea, era ovvio che sette camomille non gli avevano fatto niente! Forse nemmeno due boccette di Valium sarebbero potuto servire allo scopo. Una tanica? Forse…
Dana glielo presentò e ThirdLeaf, che in realtà si chiamava Tom, con un cordiale sorriso stritolò la mano di Tomo nel stringergliela, e lui non poté fare a meno di paragonarlo al loro bassista, alto sì ma che doveva pesare un quinto del personaggio che aveva davanti, visto che al confronto Tim era quasi trasparente.
All’appello mancava soltanto il batterista, che non tardò ad entrare dalla porta con il telefonino all’orecchio, mentre diceva: “No, mamma. Metti pure in forno, arrivo sul tardi. Le orecchiette al pesto? Sì, vanno bene, ma poi sai che voglio anche la cotoletta… uhm… sì sì con le patate al forno va bene… per dolce? COSA?? Cassata siciliana? Uaooooh!! Perfetta! Grazie mamma. Certo che ti voglio bene… Ciao-ciao.”
A Tomo, che non aveva cenato, venne una leggerissima acquolina in bocca al sentire tutta quella lista di cibi e FourthLeaf, dopo essere stato presentato da Dana, si affrettò subito a spiegargli che i suoi genitori avevano un ristorante sulla baia di San Francisco, che lui era di origini italiane e che si chiamava Carlo. E nonostante le abbuffate cui si sottoponeva, Carlo era magrissimo, con una coda di capelli neri lunga oltre metà schiena, baffetti e occhi neri e… un paio di pantaloni quadrettati del solito tartan rosso!
Ecco che Tomo, ora, con i ‘Leaf’ non aveva in comune solo Dana, ma pure quel dannato tartan rosso che lo perseguitava e anche un paio di genitori col Ristorante! Casi della vita!
Però in fondo si stava divertendo con quei personaggi, anche quando il concerto iniziò e si ritrovò nel backstage con i ‘Leaf’ ad ascoltare gli altri gruppi suonare. I gruppi erano cinque e ognuno doveva presentare tre cover, i cui titoli erano noti soltanto ai giudici, che erano in dieci, tra i quali Tomo riconobbe un giornalista di una testata musicale che l’aveva anche intervistato, una volta. Non c’era un presentatore ufficiale, ma i giudici si alternavano nel presentare i gruppi e le canzoni proposte.
A Tomo scappò una grossa risata quando il primo gruppo presentò “Phase 1-Fortification” dei 30 Seconds to Mars come seconda canzone, anche se gli fecero impressione gli sguardi dubbiosi dei ‘Leaf’ che si chiedevano di chi fosse quel pezzo che loro non avevano mai sentito!
Il secondo gruppo arrischiò una ‘Kashmir’ dei Led Zeppelin che risultò piuttosto zoppicante a causa della debolezza vocale del frontman e, come aveva previsto Tomo, che per un momento pensò di darsi alla chiromanzia applicata, sia il secondo che il terzo gruppo suonarono ‘Smoke on the Water’ dei Deep Purple, la prima canzone che si impara con la chitarra elettrica. Da non credere. Qualcuno tentò una cover di ‘Unforgettable Fire’ degli U2 e qualcun altro ‘Bitter End’ dei Placebo, poi furono suonate ‘Basket Case’ dei Green Day, ‘Californication’ dei Red Hot Chili Peppers e ‘Whisky in the jar’ dei Metallica.
Il livello dei musicisti non era male, a parte qualche eccezione, ma Tomo pensò che se i FourLeafClover avessero suonato come sapevano fare, avrebbero sicuramente vinto, vista anche la complessità dei pezzi presentati.
Ma poi gli venne un dubbio improvviso…
Come suonavano i FourLeafClover?
LUI non li aveva mai sentiti, in realtà!
Aveva sentito soltanto Dana, gli era parsa brava, sicuramente superiore a tutti chitarristi che aveva visto quella sera, ma… gli altri?
Quasi gli venne un attacco di panico.
Guardò subito SecondLeaf, seduto per terra vicino a lui, già con una Fender Stratocaster nera e bianca al collo e che giochicchiava con il plettro: ma era vero che aveva una gran bella voce? Che riusciva a cantare come Bixler-Zavala e Myles Kennedy? E ThirdLeaf, che ora stava tranquillamente chiedendo al tecnico dei microfoni di metterne uno anche per lui, era davvero un gran bassista? O era Dana ad essersi presa un abbaglio? Tomo girò la testa fino a trovare FourthLeaf, appollaiato su una sedia con un panino in mano, la bocca in movimento e lo sguardo perso nel vuoto: quel tipo lì era andato a lezione da Travis Barker, da tutti riconosciuto come uno dei più grandi batteristi viventi? Ma che avesse imparato qualcosa o Barker gli aveva fatto portare via la spazzatura?
Infine si mise a fissare FirstLeaf, lontana da lui una decina di metri, appoggiata al muro con la sua Ibanez vicino, apparentemente tranquilla, intenta a studiare il chitarrista del terzo gruppo che suonava l’assolo dell’ultima canzone e si chiese cosa stesse pensando. Aveva ancora in mente il suo professorino o in quel momento la Fisica era fortemente relegata in un angolino del suo cervello? Se quella sera i FourLeafClover avessero vinto, sarebbe rimasta negli Stati Uniti o sarebbe andata comunque via? Tomo si sentì rimescolare il sangue dalla frustrazione all’idea di Dana che se ne andava… Non poteva essere… La ragazza si girò quasi subito a guardarlo, come se avesse sentito quello sguardo puntato su di sé, e gli sorrise dolcemente, facendogli l’occhietto.
Tomo ricambiò lo sguardo e sorrise ma poi staccò gli occhi da Dana in tempo per vedere un tecnico del locale passare tra di loro con in mano una grancassa con un quadrifoglio rosso disegnato. Il chitarrista sobbalzò, senza volerlo: era ora.
Tra
poco
sarebbe toccato ai FourLeafClover visto che il terzo gruppo stava
rientrando e
uno dei giudici stava uscendo per presentarli e i
‘Leaf’ si stavano muovendo.
Per
una forma
di delicatezza tra musicisti, non si avvicinò a loro, ma
rimase in disparte:
sapeva che, come tutti i gruppi prima di un concerto, dovevano trovare
la
giusta concentrazione e definire le ultime intese. FirstLeaf si
infilò la
Ibanez, SecondLeaf si alzò e le si avvicinò,
ThirdLeaf si mise al collo il
basso (uno Spector ReBop4 dello stesso colore dei suoi capelli!) e
FourthLeaf,
con un paio di bacchette in mano, si unì al gruppo. Alcuni
tecnici del suono
cominciarono a piazzare le cuffiette e gli amplificatori radio addosso
ai
componenti del gruppo e sulle chitarre, mentre i Leaf si scambiavano
sguardi, parole e
cenni che Tomo non
capiva.
L’uomo non riusciva a staccare gli occhi da Dana, in realtà: la ragazza appariva determinata e concentrata, le sopracciglia leggermente aggrottate, lo sguardo severo. Controllando la lunghezza della cinghia che teneva la chitarra, Dana si tolse una ciocca di capelli che era finita sotto la stessa cinghia, sulla spalla, il plettro tra le labbra. Si sistemò la maglietta e la gonna, si passò una mano sul viso, strinse la cravatta di Tom e gli diede un buffetto sulla guancia. Ad un tratto FirstLeaf si girò a cercare Tomo con gli occhi e, quando lo vide, gli sorrise nuovamente e poi, con convinzione, gli fece il segno dei metallari con la mano sinistra, quindi, senza aspettare che Tomo rispondesse, uscì sul palco dietro a SecondLeaf, seguita dagli altri, accolti da un boato della folla.
Tomo si spostò subito da dietro le quinte verso il lato del proscenio, da dove poteva vedere bene il palco.
I
ragazzi,
dopo aver salutato la folla, si piazzarono tutti davanti alla grancassa
di
FourthLeaf, mentre Carlo prendeva posto sullo sgabello. Poi, dopo un
lungo
attimo in cui i ‘Leaf’ si guardavano negli occhi
per cercare il momento giusto,
FourthLeaf diede il via battendo le bacchette tra di loro:
“One-two-three-four…”
Dana
alzò il
braccio e attaccò l’accordo iniziale di
“Viscera eyes” in un modo tale che a
Tomo scorse un involontario brivido sulla schiena: subito la ragazza si
spostò verso
la gente accalcata sotto il palco. Nel modo in cui la suonava, la
Ibanez
sembrava mandare onde di energia lungo tutto il locale, specialmente
quando
Dana si portò nel bel mezzo del palco, sopra una pedana
sporgente e rialzata
verso il pubblico.
La
folla
sembrava ondeggiare e Tomo vide uno dei giudici a bocca aperta,
incantato dai
movimenti di Dana che muoveva anche il bacino mentre suonava, ad occhi
chiusi e
bocca socchiusa, sembrava far l’amore con la chitarra.
Tomo
in quel
momento realizzò che se, quella sera, c’era una
dea della chitarra elettrica
scesa dal cielo per deliziare il pubblico, quella era FirstLeaf, che
teneva
legati alle note che si espandevano dal suo strumento un paio di
migliaia di
persone, incredule ed incantate.
Una
maga degli
accordi e degli arpeggi…
Una
madonna
degli assoli…
Una
strega del
plettro…
Una
santa
peccatrice che era diventata una cosa sola con la sua
chitarra…
Per
un momento
Tomo chiuse gli occhi e si immedesimò in quello che stava
suonando Dana… vide
le note passargli per la mente, gli parve di suonare lui. Ma no, non
poteva
essere. Riaprì gli occhi di scatto. No. Lui non era
così bravo… non avrebbe
potuto mai…
Poi
SecondLeaf
cominciò a cantare e Dana si spostò per lasciarlo
davanti al pubblico, in
evidenza.
“Por quando te vi infermo con mentiras este
ladron cuenta se dio trapa mal hecho de trampas te
lo juro que yo ti se mato…”
Tomo
spalancò
gli occhi: in effetti la voce di SecondLeaf era simile a quella di
Bixler-Zavala, anche se George ci metteva del suo, stava
personalizzando
l’interpretazione, così come
l’accompagnamento di FirstLeaf era diverso da
quello di Rodriguez-Lopez, perfetto nell’esecuzione ma
differente. E visto che
non c’era nessun percussionista che li accompagnasse, i
‘Leaf’ avevano
trasformato quella canzone in modo da renderla meno
“etnica” e più rock. Una
meraviglia comunque.
E
poi Dana e
Tom non erano statici sul palco: presi dal ritmo e
dall’energia della canzone
si spostavano continuamente, si incrociavano dietro SecondLeaf,
muovevano testa
e gambe. Erano uno spettacolo, con tutte quelle luci quasi
psichedeliche che si
accendevano e spegnevano e gettavano strane ombre sul palco e sui visi
dei
ragazzi.
Alla
fine
delle strofe che componevano la prima parte della canzone, venne il
momento del
primo assolo di FirstLeaf: SecondLeaf si spostò verso la
batteria e le lasciò
spazio. La ragazza avanzò verso la gente e, piazzatasi di
nuovo sul rialzo,
venne inquadrata da un faro, cominciò l’assolo
e… Tomo in quel momento credette
di impazzire, i brividi che gli correvano lungo la schiena, la testa
che
sembrava scoppiargli: rispetto alla versione che aveva provato con lui
per due
settimane, Dana aveva cambiato tutto.
Non
stava
eseguendo la partitura.
Stava
improvvisando.
Stava
facendo
la cosa che solo i chitarristi più in gamba riuscivano a
fare. Mark Knopfler,
Eric Clapton, Jimi Hendrix, Omar Rodriguez-Lopez… non
suonavano mai la stessa
cosa due volte di seguito. Tutti gli altri si limitavano a seguire
quanto
fedelmente scritto. Tomo per primo, che, nelle canzoni che suonava con
i 30
Seconds To Mars non aveva poi chissà che assoli nemmeno per
provarci. Invece
solo i più bravi potevano “comporre” al
momento, avendo in mente soltanto la
tessitura musicale di accompagnamento.
Tomo
era
sconvolto, a bocca aperta.
E
subito si
rese conto che aveva trovato la donna della sua vita. Mai e poi mai
avrebbe
potuto lasciarsi scappare una creatura come quella. Era lei.
L’aveva trovata,
finalmente. Non aveva mai sentito niente del genere per nessuna donna,
un
calore che gli scaldava il cuore come non aveva mai provato, un
sentimento di
adorazione sconfinato.
Dana
finì
l’assolo e ritornò a suonare gli accordi base,
SecondLeaf cantò il breve
ritornello che tagliava a metà la canzone e poi si
fermò, lasciando che Dana
facesse un’arpeggio e poi...
Tomo,
concentrato com’era su FirstLeaf, non aveva fatto tanto caso
a FourthLeaf e
alla sua parte ritmica. L’aveva sottovalutato. Sbagliando. Il
ragazzo,
accompagnato da ThirdLeaf, iniziò un assolo di batteria che
avrebbe fatto
impallidire Shannon: Carlo batteva così velocemente su
timpano, rullante, sui
tom e sui vari piatti attorno a lui, che Tomo faticava a vedere le
bacchette.
Era velocissimo. L’assolo di Carlo si concluse con un cambio
di ritmo della
canzone, che divenne più veloce, e venne seguito da un
secondo assolo, ancora
improvvisato e ancora più spedito del primo, di FirstLeaf,
inginocchiata per
terra in mezzo al palco, con i capelli che sembravano dotati di vita
propria,
come Medusa, e gli occhi chiusi, mentre le note di una chitarra quasi
piangente
si spandevano nell’aria.
Tomo
concluse
che i FourLeafClover erano bravissimi e che avrebbero vinto
sicuramente. E
questo poteva anche significare che Dana avrebbe forse rivisto i suoi
piani
futuri.
La
ragazza,
con il viso sudato, si rialzò per eseguire
l’ultimo pezzo dell’accompagnamento
mentre SecondLeaf cantava l’ultima strofa, ma
improvvisamente… Dana si bloccò
guardando ad occhi spalancati tra il pubblico, dalla parte destra del
locale, e
a Tomo sembrò impallidire. Poi di scatto girò le
spalle al pubblico e si avviò
verso la batteria, ma era chiaro che non lo faceva per fare spettacolo.
Sembrava all’improvviso impaurita, aveva perso la sua
freddezza, il suo
desiderio di stare sul palco era scemato.
La
canzone
finì.
Dana
chiuse
l’ultima battuta e poi, senza ringraziare il pubblico che la
applaudiva, si
precipitò dietro le quinte, quasi franando addosso a Tomo.
Si tolse subito la
chitarra, la infilò attorno al collo dell’uomo e
gli disse: “Devi suonare tu al
posto mio, SUBITO…”