Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: _Princess_    03/12/2008    33 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Vi!”

Lei lo ignorò.

“Vi, cazzo, rallenta, non è che se arriviamo prima aprono prima!”

Non aveva intenzione di dargli retta.

“VI!”

Vibeke aumentò il passo.

Tom poteva urlare e sgolarsi quanto voleva, lei non avrebbe di certo decelerato. Le avevano detto che avrebbe potuto vedere BJ all’apertura delle visite mattutine, alle otto e trenta in punto, e lei aveva tutta l’intenzione di essere là nel preciso istante in cui le porte si sarebbero aperte.

“Vi, cazzo!” sbottò Tom, arrancandole accanto con il fiatone. Era ovvio che non fosse abituato a camminare a passo così svelto.

Lei gli scoccò un impietoso sguardo obliquo e tirò dritto senza considerarlo.

Aveva aperto gli occhi appena cinque minuti prima, ma si sentiva più sveglia ed attiva che mai, anche se doveva riconoscere di avere un certo languorino. Si era svegliata stranamente serena, e in un primo momento non si era spiegata il perché, visto che nella sua testa turbinava ancora la preoccupazione per BJ, ma poi aveva battuto un paio di volte le palpebre, acquisendo coscienza, e si era resa conto di trovarsi comodamente adagiata sul torace di Tom, coperta dal suo giubbotto e dal suo profumo, circondata dalle sue braccia, cullata dal suo respiro.

‘Ho dormito con Kaulitz’ era stato il suo primo pensiero, e le era sembrato quasi buffo. Poi, però, un altro pensiero era subentrato a quello, e l’aveva fatta sentire strana: ‘Sto bene’.

Non aveva potuto fare a meno di ripensare alla prima volta che si era trovata in quell’auto, a quante cose fossero cambiate in quelle poche settimane, e a come sembrasse diverso, Tom, sdraiato lì con lei, addormentato, con quella tenerissima espressione beata che per lei era del tutto inedita.

Cosa non va, in me?, si chiese infastidita, mentre attraversava la strada senza nemmeno guardare. Perché sono così presa da questo ragazzino immaturo ed autocompiaciuto?

“Vi, ti prego, ti supplico, non riesco a starti dietro!” brontolò Tom, ansimando alle sue spalle.

Vibeke si morse un sorriso tra le labbra nel voltarsi a guardarlo mentre si fermava ad aspettarlo in cima alle scale che portavano all’ingresso dell’ospedale: aveva le guance arrossate dal freddo e dallo sforzo, la fascia calata sugli occhi, i larghi vestiti che sembravano pesargli addosso, rallentandolo.

Tom arrancò su per gli scalini e sollevò gli occhi verso di lei, scoccandole un’occhiataccia.

“Ti ringrazio per avermi dato retta solo dopo avermi ucciso di fatica,” berciò, chinandosi su di sé per riprendere fiato, le mani appoggiate alle ginocchia. “Apprezzo davvero la tua gentilezza!”

Lei rise, scuotendo il capo.

Quanto sai essere tenero, quando vuoi…

“Che carino che sei, tutto paonazzo,” lo prese in giro. “La fragile sensibilità estetica di tuo fratello resterebbe molto urtata, a vederti così.”

“Non essere così amabile, rischi di farmi sentire amato e rispettato!”

Lei rise di nuovo e gli pizzicò il naso, estorcendogli un gridolino di protesta.

Aveva sempre pensato che Tom avesse un bellissimo naso, proporzionato e fine, praticamente invidiabile, che non faceva altro che accrescere la già notevole avvenenza del suo viso, esaltando il luccichio beffardo degli occhi, valorizzando la curva morbida della bocca. Era tanto che non si soffermava ad osservarlo – forse non lo aveva mai nemmeno fatto – ma Tom era davvero un bel ragazzo, e fu quasi con inspiegabile orgoglio che si riscoprì a pensarlo.

“Sei un bravo Kaulitz,” gli disse con affetto, battendogli una mano sulla testa. “Una gran testa di cazzo, certe volte, ma pur sempre un bravo Kaulitz.”

Tom si rizzò in piedi, scacciandola indispettito.

“Giù le mani, ingrata!” si ritorse. “Non ti farò mai più un favore in vita mia!”

Vibeke aprì la porta ed entrò.

“Me ne farò una ragione.”

Si sentiva molto meglio, dopo qualche ora di riposo, tanto che stentava a crederci. Si sentiva ottimista e piena di vita, e non vedeva l’ora che BJ si svegliasse per poterlo abbracciare, baciare e magari sgridare un po’.

Alla reception chiesero informazioni e Vibeke fu costretta ad esibire un documento, per poi vedersi consegnare una specie di scontrino con segnate data, ora, piano e numero della stanza, infine Tom la seguì verso gli ascensori. Questa volta non aveva voglia di farsi le scale: sei piani a piedi portavano via troppo tempo, e lei voleva vedere BJ al più presto, senza contare che forse un briciolo di pietà per Tom alla fine la provava.

Salirono in pochi secondi, e Vibeke non attese che le porte si spalancassero del tutto: ci sgusciò in mezzo non appena furono abbastanza aperte da permetterle di passare. Ci mise un momento ad orientarsi nell’atrio: dovette strizzare un po’ gli occhi per mettere a fuoco i cartelli che introducevano ai vari reparti, e quando si mosse per raggiungere quello giusto, ebbe un violento capogiro, che la fece vacillare e la costrinse ad appoggiarsi alla parete per non perdere l’equilibrio.

Merda.

La testa le vorticava in modo insopportabile, se la sentiva vuota e leggera, ma in modo molto sgradevole.

“Vi!”

Sentì la familiare presa delle forti mani di Tom sorreggerla prontamente. Inspirò a fondo, tentando di riprendersi, e, lentamente, la vertigine passò.

“Qualcosa non va?” domandò un’anziana infermiera in camice rosa che passava di lì con un mucchio di cartelle tra le mani. “Cos’ha la signorina?” domandò allarmata a Tom, mentre Vibeke si risollevava con cautela.

“Sto bene,” le disse lei, alzando una mano. “Ho avuto solo un piccolo giramento di testa.”

Vide che Tom e l’infermiera si scambiavano uno sguardo dubbioso.

“Davvero, sto bene,” ripeté con più decisione. “È passato.”

“Forse è solo un calo di zuccheri,” ipotizzò la donna. “Dovrebbe mangiare qualcosa di dolce.”

“È da ieri sera che non mangia,” intervenne Tom, in tono di rimprovero. “Le ho detto che doveva mandare giù qualcosa, ma lei –”

“Oh, per carità!” sbottò Vibeke, sbrigativa. “Avrò tempo dopo per mangiare!”

L’infermiera assunse un cipiglio severo.

“Dia retta al suo ragazzo e mangi qualcosa, cara.” le intimò. Lei e Tom arrossirono e distolsero lo sguardo l’uno dall’altra.

Il suo ragazzo”?!, Vibeke si sottrasse scioccata alle mani di Tom che ancora la trattenevano. Ma non scherziamo, abbiamo forse l’aria di una coppietta in amore?!

“Vada al bar qui sotto e si prenda una bella cioccolata con panna e una brioche, vedrà che si sentirà meglio.”

Senza aggiungere altro, la donna se ne andò, lasciandoli a cuocere nel loro reciproco imbarazzo. Vibeke non lo avrebbe mai riconosciuto, a se stessa men che meno, e se qualcuno, per assurdo, glielo avesse chiesto, avrebbe negato spudoratamente, ma una minuscola porzione del suo cervello era rimasta bloccata su quel ‘il suo ragazzo’ e proprio non ne voleva sapere di smuoversi di lì. Ci girava intorno, ci giocava, lo sfiorava, lo accarezzava, lo attorcigliava tra un pensiero e l’altro, tingendolo di infinite sfumature differenti.

Suonava stranamente… Piacevole.

“Ehm,” Tom si schiarì la gola, le mani sprofondate nelle vaste tasche del giubbotto. “Vado io a prenderti qualche cosa al bar, va bene?” Si offrì. C’era un accenno di rossore sulle sue gote. “Tu va’ pure da BJ, io ti raggiungo.”

“Va bene. Grazie.” farfugliò Vibeke, annuendo.

“Bene. Vado, allora.”

“Ok.”

Tom la occhieggiò brevemente, poi pigiò il bottone di chiamata dell’ascensore, che si aprì in pochi secondi, e lui entrò

“A dopo.”

Vibeke rimase a guardare le porte metalliche che scorsero l’una sull’altra fino a farlo scomparire dalla sua vista, poi si lasciò scappare un mezzo sorriso.

Sei davvero un bravo Kaulitz.

Non le fu difficile trovare la stanza di BJ, in fondo ad un corridoio semideserto, ma le fu difficile non stupirsi quando un uomo in uniforme le chiese se avesse il permesso di stare lì dentro. Solo allora Vibeke si rese conto che quello doveva essere una specie di reparto riservato alle celebrità e che il biglietto che le era stato dato all’ingresso doveva essere una specie di pass. Lo mostrò all’uomo, che lo esaminò con attenzione prima di restituirglielo con un grugnito di assenso, ed infine se ne andò a fare la guardia all’ingresso. Vibeke si ritrovò così in piedi di fronte ad una porta chiusa. Protese la mano verso la maniglia, la afferrò, ma non riuscì a girarla.

Di punto in bianco aveva paura.

Paura, forse, di non saper affrontare quello che avrebbe trovato una volta oltrepassata quella soglia, o forse, più semplicemente, paura di vedere.

Ricordava ancora le condizioni di BJ di quella notte, il suo aspetto provato e tutto quel nauseante odore di ferro, tutto quel rosso, il suo viso tirato ed esangue, e non le piaceva la prospettiva di rivedere quello spettacolo che le aveva fatto stringere il cuore. Però voleva vedere BJ, e non ce la faceva ad aspettare di non avere più paura.

Un movimento determinato, e la porta fu aperta. Vibeke si fece avanti timorosamente, e la prima cosa che avvertì fu un acuto bip intermittente e regolare, accompagnato da una temperatura decisamente calda. Dovevano esserci almeno venticinque gradi, là dentro.

Quando la porta fu chiusa dietro di lei, finalmente Vibeke si fece coraggio e si voltò verso l’unico letto che occupava la stanza spaziosa illuminata da uno sbiadito sole mattutino. Il suo sguardo risalì dalla trapunta verde dall’aspetto nuovo di zecca e finì per posarsi su una mano pallida rivolta verso l’alto, un ago collegato ad un paio di flebo infilato nel polso, poi ancora su, lungo il braccio nudo, ed infine sul viso, e lì si fermò con un brivido.

Fratello…

BJ sembrava pacificamente e profondamente addormentato, ed anche se la sua cera era notevolmente migliorata, aveva ancora quell’aria malata e debole che a Vibeke non piaceva per niente. Il bip insistente proveniva da uno dei tre macchinari che lo monitoravano, collegati da elettrodi al suo petto. Aveva dei tubicini sottili e trasparenti nel naso, che Vibeke suppose dovessero aiutarlo a respirare. Tutto sommato, era già una cosa buona che non avesse cose strane ed invasive infilate in gola.

Si andò a sedere sul bordo del letto, sentendo qualcosa di caldo ed umido che le si raccoglieva agli angoli degli occhi.

Sta bene, le disse la propria testa, mentre lei gli accarezzava la fronte.

Sì, sta bene, si intromise una seconda voce, ma per un soffio.

Avrebbe dovuto sentirsi orgogliosa di lui per quello che aveva fatto, per aver difeso quella ragazza da quegli uomini, ma il suo egoismo non cessava mai di ricordarle che nessun nobile gesto di altruismo avrebbe potuto giustificare l’eventuale perdita del proprio fratello. Era orribile da pensare, e Vibeke si vergognava ad ammetterlo, ma non le importava degli altri, era solo grata che BJ fosse vivo e vegeto, lì con lei.

Un singhiozzo silenzioso le scosse la spalle, mentre una singola lacrima cadeva sulla mano di BJ, stretta tra le sue. Era un momento così surreale e delicato che, ora che era lì, avrebbe voluto non essere da sola, ma, d’altro canto, la presenza di Tom probabilmente avrebbe di nuovo innescato il suo meccanismo di repressione, ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.

Doveva sfogarsi, e c’era una sola persona che al momento avrebbe tanto voluto vedere.

 

***

 

“Fisicamente il recupero sarà lungo e duro, dovremo trattenerlo in ricovero per almeno tre settimane e sarà costretto a prendere qualche farmaco per un po’, ma a parte questo, il signor Wolner non ha nulla di cui temere.”

Gustav ascoltò con crescente sollievo le parole del medico, rincuorato di sentirsi confermare da una voce autorevole qualcosa che in fondo già sapeva. Gli era stato parecchio difficile riuscire a parlare con qualcuno che sapesse qualcosa. Non essendo un parente di BJ, era stato costretto a raccontare alla donna della reception praticamente tutta la travagliata storia dei gemelli Wolner, compreso il dettaglio che non avessero parenti in Germania che potessero venire in visita, ma solo cari amici, tra i quali lui. Aveva già perso le speranze, quando la donna si era finalmente decisa a contattare il chirurgo che aveva operato BJ d’urgenza solo una manciata di ore prima.

“Era quello che speravo di sentire,” commentò, rasserenato, poi chiese titubante: “Crede sia possibile per me vederlo?”

“Credo ci sia già sua sorella, con lui.” Rispose l’uomo, corrugando le sopracciglia.

Gustav sorrise affabilmente.

“È proprio per questo che vorrei essere là.”

Trovava strano che avesse detto solo ‘sua sorella’, visto che Tom avrebbe dovuto essere con lei. Veniva spontaneo chiedersi cosa potesse essere successo in quella notte così bizzarra, per diversi motivi, primo fra tutti l’improbabile prolungata convivenza a stretto contatto tra quei due. Chissà che cos’era successo, durante quella lunga nottata, se qualcosa, in un’occasione così cruciale, si era smosso tra di loro.

Perché Tom non è con lei? Perché mai l’ha lasciata sola?

Che fossero riusciti a scannarsi anche nel bisogno?

“D’accordo, allora,” concesse il medico, rivolgendogli uno sguardo complice. “Mi segua, le faccio strada.”

Gustav intuì che c’era stato un malinteso, e che l’uomo aveva male interpretato la sua frase, ma non era il momento di sprecarsi in sottilizzazioni superflue, quindi lasciò correre. Si fece scortare fino all’ingresso di un ampio corridoio luminoso, dove una guardia vigilava chiunque entrasse ed uscisse.

“Dovrebbero arrivare anche un altro paio di amici, a breve…” disse Gustav, mentre passavano indisturbati, preoccupato che la sorveglianza potesse impedire ai ragazzi di entrare.

Il dottore annuì.

“Dirò di lasciarli passare, a patto che non stanchiate il mio paziente.”

“Non si preoccupi,” lo rassicurò Gustav con lo sguardo più serio che gli riuscì. “Siamo gente tranquilla.”

Era una bugia grossa come una casa, ma non c’era bisogno che il dottore lo sapesse. Ci avrebbe pensato lui, entro i limiti del possibile, a tenere a bada Bill.

Giunto alla fine del lungo corridoio, l’uomo si fermò di fronte all’ultima porta, che recava un targhetta con inciso sopra il numero giusto.

“Questa è la stanza privata del signor Wolner,” lo informò. “L’orario delle visite termina a mezzogiorno, ma, in caso fosse già sveglio, rinnovo il mio invito a lasciare il mio paziente il più tranquillo possibile, comprenderà il perché, signor Schäfer.”

“Naturalmente.”

“Molto bene. Se non ha altre domande, io avrei qualche scartoffia da riempire.”

“Non la trattengo,” Gustav gli strinse cordialmente la mano. “La ringrazio per avermi dedicato del tempo prezioso.”

Lui sollevò una mano, schermendosi.

“È stato un piacere,” gli disse, avviandosi verso l’uscita del corridoio. “Informerò la guardia del reparto dell’arrivo dei suoi amici, così non avranno difficoltà a passare.”

“Grazie.”

Gustav restò per un po’ in ascolto, cercando di capire se ci potesse essere una conversazione in corso o qualche segno che all’interno stesse succedendo qualcosa, ma non udì alcunché. Appoggiò appena la mano sulla porta e questa si mosse quasi autonomamente, senza rumore, aprendosi su una spaziosa stanza bianca che profumava di disinfettante al limone, un odore buono, ma che sapeva fin troppo di clinica. Trovò Vibeke seduta su un lato del letto in cui giaceva BJ, profondamente addormentato, monitorato da tre macchinari diversi che emettevano degli inquietanti suoni regolari. Di Tom, come preannunciato, nemmeno la benché minima traccia.

Non ci credo che ha mollato qui la sua Vi tutta sola, si disse Gustav, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.

Lei era immobile, ma le sua spalle fremevano impercettibilmente. Ci mise un po’ ad accorgersi che c’era qualcun altro nella stanza: era talmente assorta nella contemplazione del proprio fratello che, quando lui si schiarì leggermente la voce e lei si voltò verso la porta, tutto ciò che fece nello scorgere Gustav fu dischiudere di un millimetro le labbra insolitamente pallide con espressione sollevata.

“Gud…” mormorò tremante.

Lui le sorrise

“Ciao, norvegese,” Le si avvicinò tentennante e le posò una mano sulla nuca, accarezzandole i capelli con dolcezza. “Come stai?” le chiese, sedendole accanto.

Vibeke lo guardò fisso per qualche secondo, gli occhi sbarrati e lucidi, senza muoversi di un millimetro, poi, tutt’un tratto, gli gettò le braccia al collo ed affondò il proprio viso nel suo collo, cominciando a singhiozzare sommessamente. Gustav avvertì le sue lacrime calde bagnargli la pelle.

Per un attimo si sentì spiazzato. Aveva ovviamente previsto che la avrebbe trovata sconvolta, aveva imparato a conoscere la sua sensibilità recondita, a capirla, ma non si sarebbe mai immaginato di poterla conoscere così da vicino. Senza la sua armatura di gelido cinismo, Vibeke era così fragile da spaventarlo.

Non ce la facevi con Tom, vero?, pensò, cullandola rassicurante, mentre gettava uno sguardo di compassione a BJ, bianco come un lenzuolo ed altrettanto sciupato. A guardarlo, sembrava davvero un miracolo che fosse vivo. Ancora non ce la fate ad affrontarvi disarmati…

“Ti sei presa un bello spavento, eh?” le mormorò in un orecchio mentre le sfiorava i capelli.

Riusciva quasi a vederla, costretta nel suo atteggiamento da donna adulta ed indipendente, determinata a fare la dura anche quando tutto sembrava andare in pezzi, e Tom lì con lei, a guardare da vicino senza sapere cosa fare, come comportarsi. Avevano entrambi ancora un bel po’ di strada da fare prima di potersi veramente affidare l’uno all’altra.

Vibeke non fiatava. Lo stringeva, scossa dai singhiozzi, e piangeva, mentre lì accanto suo fratello dormiva placidamente, il petto glabro coperto solamente da una pesante fasciatura sulla cui parte sinistra si intravedevano poche minuscole macchioline di sangue.

Gustav ebbe un brivido nel pensare che chiunque, al posto di BJ, sarebbe morto per quella ferita, ma un miracolo aveva voluto proteggerlo, concedendogli il peculiare dono di un cuore dalla parte sbagliata rispetto al disegno originale, un errore di trascrizione che si era rivelato provvidenziale, stavolta, perché lui era vivo, e le probabilità erano state tutte contro di lui, fino all’ultimo.

“Scusami,” farfugliò Vibeke ad un tratto, lasciandolo andare per portarsi le mani al viso. “Sto facendo la figura della bambina impaurita.”

Gustav volse gli occhi al soffitto con paziente indulgenza.

“Bee, per dirla alla Tom: non dire minchiate,” Le diede un pizzicotto su una guancia, strappandole l’abbozzo di un sorriso. “La devi piantare di cercare di essere sempre una statua di marmo, perché sarai anche bella, te lo concedo, ma non sei di pietra.”

Una risatina convulsa animò Vibeke, impegnata a sfregarsi gli occhi e il viso per cancellare ogni traccia del proprio pianto.

Gustav si alzò ed aggirò il letto per raggiungere il comodino di legno chiaro che stava dal lato opposto e sfilò un fazzolettino dalla confezione che vi era posata sopra.

“Si usano questi, barbara.” la canzonò, tornando da lei per porgerglielo.

“Grazie.” Farfugliò lei, soffiandosi il naso arrossato.

Per un paio di minuti Gustav andò avanti e indietro per la stanza, aspettando che lei si fosse completamente calmata, poi le domandò:

“Tom che fine ha fatto, per curiosità?”

“Ah, Tom…” fece lei, come se non ricordasse bene. “Lui è…”

Ad un tratto si sentì una specie di gemito sommesso. Dapprima Vibeke sgranò gli occhi, poi, una frazione di secondo più tardi, si voltò di scatto verso il letto: BJ si era svegliato e batteva faticosamente le palpebre alla luce intensa del sole

“Bjørn!” esclamò lei, quasi lanciandoglisi incontro.

Lui si voltò e la guardò un po’ stranito.

“Vibeke,” sussurrò con voce roca e frastornata. “Perché hai quella faccia orrenda?”

Ci fu un istante di silenzio tombale, poi Vibeke esplose:
“Per te ho questa faccia, cretino!” sbottò contro al proprio fratello, stringendosi le lenzuola tra le dita.

Era evidente che BJ non fosse nemmeno remotamente cosciente della situazione.

“Mi fa male la spalla,” disse sofferente, poi cercò di guardarsi il petto, meravigliato. “Che cos’è successo?” domandò quindi, sempre più confuso.

Vibeke saltò in piedi:

“È successo che quello scemo di mio fratello ama fare il grande eroe e ci ha quasi rimesso la pelle per farsi bello agli occhi di qualche smorfiosa provocatrice!” sbraitò come una furia, gli occhi lampeggianti.

BJ si voltò verso Gustav con un’espressione smarrita.

“Ti prego, traduci.” Lo supplicò.

Gustav sorrise, facendosi avanti.

“Diciamo che hai avuto una nottata piuttosto intensa.”

BJ batté le ciglia, guardandosi un po’ attorno.

“Dove siamo?”

“In ospedale, mi pare ovvio!” scattò Vibeke, ma Gustav la trattenne e le fece cenno di sedersi. Certe volte con lei una camicia di forza non avrebbe guastato.

“Bee, calmati, non lo agitare,” le consigliò, mentre lei si lasciava spingere sul morbido materasso. “Ma soprattutto non ti agitare tu. Sta bene, il dottore l’ha detto che probabilmente avrebbe avuto qualche lacuna.”

Lei deglutì ed annuì, poi tornò a rivolgersi a BJ:

“Ieri sera eri al Cavendish ed hai avuto la brillante idea di metterti a fare Superman con due tizi che probabilmente erano grossi otto volte te perché stavano importunando qualche ochetta esibizionista. E la vuoi sapere una cosa molto divertente? Ci stavi rimettendo le tue cazzo di bionde penne!”

A giudicare dall’espressione di BJ, il pittoresco riassunto non aveva risvegliato alcun ricordo nella sua mente, ma forse era anche meglio così. Non ricordare la sensazione di ricevere un colpo di pistola in pieno torace era sicuramente un vantaggio per la sua salute.

“Mi sta prendendo in giro?” chiese scettico a Gustav, ma lui dovette negare.

“Temo proprio che sia ciò che è veramente successo, lo hanno detto praticamente in ogni notiziario esistente.”

BJ stava per dire qualcosa, ma fu interrotto da un bussare improvviso alla porta.

“Avanti.”

La porta si spalancò lentamente e sulla soglia apparvero Benjamin ed un altro ragazzo alto e magro che Gustav non aveva mai visto.

“Disturbiamo?” disse lo sconosciuto, sorridendo a Vibeke e BJ.

“Ciao, Patrick,” lo salutò Vibeke, poi passò a Benjamin. “Ciao, Benji.”

“Chi non muore si rivede, eh?” scherzò Patrick, sorridendo malizioso a BJ.

BJ lo imitò.

“L’erba marcia non muore mai, lo sai.”

 “Allora, come si sente il nostro paladino della giustizia?”

“Come se mi avessero sparato.” Replicò BJ, serafico.

Patrick si fece una bella risata. Non sembrava granché turbato, ma effettivamente non pareva esserci alcun motivo per esserlo.

Era un ragazzo sui trenta, poco più basso di Benjamin, dal fisico asciutto, con un viso aguzzo e un paio di vispi occhi neri che scintillavano dietro ad un paio di occhiali dalla montatura blu.

“Avevamo paura che non ci facessero passare,” intervenne Benjamin, sorridente. “Ma Pat ha sfoderato il suo biglietto da visita e ci hanno praticamente steso un tappeto rosso davanti.”

BJ tentò di ridere, ma immediatamente strizzò gli occhi con un’espressione di dolore. Quella ferita doveva fare piuttosto male.

Dopo aver scambiato l’ennesima occhiatina impacciata con Patrick, Gustav guardò Vibeke con aria interrogativa.

“Oh, sì, che stupida!” esclamò lei, portandosi una mano alla fronte. “Gud, lui è Patrick, il manager di BJ, e, Patrick, lui è Gustav, il –”

“Favoloso biondo batterista dei Tokio Hotel,” La precedette lui, stringendo energicamente la mano di Gustav. “Sapessi, Gustav,” gli disse in tono confidenziale. “Parla così tanto di voi, che ormai potrei scrivere un libro su ciascuno dei quattro!”

Gustav rise, sia per la battuta, che per la faccia indignata di Vibeke.

Constatò subito che sia lei che BJ mostravano una discreta confidenza verso Patrick: lui e BJ, soprattutto, dovevano essere ottimi amici, sia entro che al di fuori dell’ambito professionale, anche se doveva esserci qualche anno di differenza tra le loro età, ma quello non era mai stato un problema, e nessuno meglio di Gustav stesso poteva saperlo: lui e gli altri avevano sempre trattato Benjamin, David e gli altri membri del loro staff come loro pari (esclusi certi capricci pretenziosi ed irragionevoli di Bill, episodi tutt’altro che rari anche in ambito domestico).

Decise che Patrick gli piaceva, indipendentemente dalla forse eccessiva spigliatezza e dai vestiti sobri ma eleganti. In quanto a stile di vestiario, in effetti, lui e BJ facevano senz’altro a pugni l’uno con l’altro.

“Scusate, ma Georg e Bill dove sono?” domandò ad un tratto Benjamin.

Gustav si morse la lingua. Spiegare quella parte non era contemplato nei suoi piani, avrebbe di gran lunga preferito che fossero i diretti interessati a farsene carico, uno dei due in particolare.

“Be’, siamo usciti di casa insieme,” disse vago. “Ma poi –”

“Toc toc, è permesso?”

Con suo infinito sollievo, alla porta ancora aperta si era affacciata la figura di Bill, che li scrutava curioso uno per uno, con indosso uno dei suoi cappotti lunghi sopra ad una banalissima tuta. Era in tenuta molto casalinga, i capelli lisci e morbidi, senza trucco, e, nonostante il brio, aveva un aspetto stanco, come se non avesse dormito.

“Bill!” gioì la voce affaticata di BJ, mentre anche Georg faceva capolino all’interno della stanza. Lui sembrava un po’ più curato, ma in quanto a stanchezza non aveva nulla da invidiare a Bill.

“Hey!”

“Come stai?” volle subito sapere Bill, precipitandosi al capezzale di BJ, una busta nera patinata che gli pendeva da un braccio. “Ti trattano bene, qui? Ti serve qualcosa?”

BJ dovette soffocare una risata sul nascere.

“Diciamo che sono stato meglio,” dichiarò. “Ma, da quel che ho capito, poteva andare peggio, no?”

“Eccome!” concordò Patrick con veemenza. “Avresti potuto lasciarmi disoccupato!”

Tutti quanti scoppiarono a ridere, eccetto BJ, che si limitò a fargli un occhiolino.

Dopo che furono fatte le presentazioni mancanti, tutti quanti fissavano il misterioso sacchetto chic (che recava la firma di una delle boutiques più famose della città) che Bill aveva con sé.

“Che hai lì dentro?” indagò Vibeke, allungando il collo nel tentativo di sbirciarne il contenuto, ma Bill glielo sottrasse dalla vista, quasi ne fosse geloso.

“Non è roba per te!”

Vibeke si volse allora verso Georg, ma lui si tirò indietro:

“Credimi, non lo vuoi sapere.”

“Ma…”

“È stata un’idea sua,” premise lui, additando Bill. “Gli do credito di tutto quanto, ogni merito è suo e suo soltanto.”

Gustav cominciava a sentirsi molto incuriosito, come del resto anche gli altri. Tutto ciò che sapeva era che si era voluto fermare in centro per comprare qualcosa, ma cosa fosse quel qualcosa non lo sapeva. Si era affrettato ad appioppare a Georg l’onere di accompagnarlo, e lui aveva proseguito per conto proprio, affrontando coraggiosamente a piedi il chilometro che gli restava da percorrere per raggiungere l’ospedale. Per sua fortuna era un comune giorno feriale e non c’erano in giro ragazze in età puberale che potessero dargli noia, anche se aveva fatto caso agli sguardi insistenti di certe donne che gli erano passate accanto.

“Insomma, che cosa c’è lì dentro?” s’impuntò Vibeke, facendo per afferrare la busta, ma Bill gliela sottrasse per un soffio.

“Va bene, va bene, a cuccia, Wolner!”

Bill trafficò per districare i cordoncini dei manici che si erano incastrati tra le cinghie che penzolavano dalla manica della sua giacca, poi infilò una mano all’interno della borsa e ne tirò fuori un involto in carta velina blu notte, tutto soddisfatto.

“Che roba è?” si interrogò Vibeke, mentre Bill scostava la carta con cura.

“Un pigiama per BJ!” Rispose fieramente, dispiegando goffamente un paio di pantaloni con una mano. Sembravano di tessuto pregiato, di un verde molto scuro a sottilissime righe color crema, e la camicia, ancora piegata, sembrava identica. Gustav non poté fare a meno di constatare che il buongusto di Bill sembrava essere ampiamente condiviso da BJ, il quale mostrò di apprezzare molto il pensiero.

“Pura seta, fatto a mano in Italia, firmato Ferragamo!” spiegò Bill pomposo, mostrando i due pezzi a BJ da ogni possibile angolazione. “Così non sarai costretto a metterti quelle schifezze sintetiche che hanno qui!”

Gustav avrebbe voluto ridere, soprattutto per via del silenzio esterrefatto che era piombato nella stanza. Nessuno diceva niente, e Bill si guardava intorno un po’ avvilito.

“Non vi piace?”

“Francamente mi sembra un po’ troppo sciccoso per uno che porta delle pantofole a forma di coniglio.” Commentò Vibeke.

“Non badarci,” esclamò BJ, per niente toccato. “Lei non sa cosa significa essere il gemello bello e sexy, non può capire.”

Bill si illuminò come una lampadina.

“So esattamente cosa intendi!”

Gustav fu costretto a rimangiarsi l’ennesima risatina: quei due erano proprio sulla stessa lunghezza d’onda. Aveva perso il conto di tutte le volte che Bill aveva rinfacciato a Tom di essere il gemello sciatto e privo di raffinatezza.

“Per curiosità,” Vibeke scrutò Bill incerta. “Quanto hai pagato quest’umile straccetto?”

Lui le sorrise modesto.

“Oh, una sciocchezza.”

Lei roteò gli occhi e si rivolse al proprio fratello:

“Almeno si intona bene con quello rosa con gli orsacchiotti, no?”

“Assolutamente!” fece BJ, entusiasta, poi tornò a guardare Bill con un sorriso abbagliante. “Grazie, Bill, sei un tesoro!”

Bill restituì il sorriso, amplificandolo di qualche migliaio di volte, arrossendo un po’ sulle guance.

Chiacchierarono per un po’. Vibeke spiegò a BJ e agli altri cosa fosse successo e quale fosse la prognosi prevista, e a BJ non piacque affatto sentire che sarebbe stato costretto in quel letto per almeno tre settimane.

“Io ci ammuffisco qui dentro!” protestò, disperato.

Gustav ormai lo conosceva abbastanza da sapere che era un tipo troppo iperattivo per non soffrire di una costrizione simile, e gli dispiaceva per lui: BJ era una bella persona, solare ed espansivo, sempre gentile, in apparenza così diverso da Vibeke, la quale preferiva un approccio più distaccato e freddo.

“Farò in modo che tu abbia di che distrarti,” Lo confortò Vibeke, senza farsi impietosire. “Ti porto qualcosa da casa, va bene?”

BJ ci pensò su.

“Il pigiama ce l’ho,” rispose, scoccando a Bill un sorrisetto felino. “Mi servirebbero l’iPod, il portatile, il Blackberry, i libri che ho sul comodino, gli occhiali, un sacco da minimo dieci chili di marshmallows…” Rifletté ancora un po’, poi aggiunse: “Magari dentifricio, spazzolino e quella roba da bagno di prima necessità…”

Vibeke inarcò un sopracciglio.

“Sì, magari…”

“Dici che mi lascerebbero tenere qui Godiva?”

“Godiva?” fecero tutti, guardano ora l’uno ora l’altra, perplessi.

“È la sua cincillà,” sbuffò Vibeke. “E no, BJ, non puoi tenere quella palletta di lardo e pelliccia qui dentro, così come non puoi tenerci il portatile e il Blackberry. Per quanto riguarda il resto, sarò più che lieta di portarti tutto domani. Eccetto i marshmallows.”

“Perché no?!” piagnucolò lui.

“Sei convalescente, cretino, non puoi mangiare quella robaccia!”

“E chi lo dice?”

“I dottori.”

“Sai quanto me ne importa dei dottori!”

“Sai quanto me ne importa di quello che importa a te!”

“Ma sono deperito, non vedi?!” le fece notare BJ, sollevando a fatica il pallido e magro avambraccio in cui erano infilati gli aghi delle flebo. “Non posso sopravvivere a pappette e minestrine!”

“Fratello, chiudi quella fornace e rilassati,” gli intimò lei, categorica. “La tua amabile personcina è stata bistrattata a sufficienza nelle ultime ore.”

A quel punto a BJ non restò altro che imbronciarsi all’ennesima potenza e rassegnarsi.

Gustav sorrise fra sé e sé: gli piacevano quelle scenate tra gemelli, gli ricordavano sempre quanta complicità ci potesse essere tra due persone così legate. E, a proposito di gemelli, ancora non sapeva cosa ne fosse stato di quello che mancava all’appello.

 

***

 

Il lato positivo di trovarsi al bar di un ospedale in un giorno qualunque della settimana era la totale assenza di potenziali molestatrici appiccicose. Il lato negativo, tuttavia, era che la quantità di fancazzisti di diversa estrazione era allucinante. Benché il locale fosse tutt’altro che piccolo, l’affollamento era notevole: medici ed infermieri in pausa caffè, pazienti in vestaglia che chiacchieravano davanti ad un cappuccino, visitatori che si fermavano ad acquistare qualche pensiero per parenti o amici ricoverati.

Tom avrebbe sborsato senza problemi qualche centinaio di euro pur di poter passare davanti a tutta quella gente, ma se avesse fatto troppo in fretta, sarebbe stato tutto inutile.

In fin dei conti, la colazione era stata solo una scusa molto valida per poter lasciare a Vibeke l’occasione di stare un po’ sola con BJ.

Alla fine ci aveva messo quasi venti minuti per ottenere una squallida cioccolata annacquata e un croissant alla crema, che come minimo sarebbe finito in qualche cestino dei rifiuti, dato che lei odiava la crema, ma quello era tutto ciò che era stato in grado di rimediare, quindi almeno un ‘grazie’ se lo meritava, senza contare che era quasi stato costretto a supplicare in ginocchio la guardia che sorvegliava l’entrata al reparto per poter passare. Fortunatamente l’anziana infermiera di poco prima era intervenuta in suo soccorso, altrimenti sarebbe stato ancora là fuori a litigare con quell’ottuso.

La cioccolata bollente in una mano, la brioche nell’altra, Tom percorse il corridoio a passo svelto, ascoltando lo scricchiolio echeggiante che le proprie scarpe provocavano in tutta quella quiete innaturale. Fu solo quando era a pochi metri dall’ultima stanza che udì delle risate. Parecchie risate.

Accigliato, raggiunse la porta, trovandola socchiusa. Riconobbe quasi tutte le voci – tra cui, per il suo sollievo, quella di BJ – che si sovrapponevano l’una all’altra in un chiacchiericcio allegro, eccetto una, maschile e giovane.

Sembrava che si stessero tutti quanti divertendo un mondo.

Cos’è, un festino?

Dopo aver educatamente bussato, Tom spinse la porta. Al suo ingresso, in un attimo ogni vocio si spense.

A ridosso della parete alla sua destra c’erano Georg e Benjamin con un terzo ragazzo dal’aspetto simpatico; sulla sinistra, Vibeke sedeva al fondo del letto in cui giaceva BJ, vispo ma visibilmente spossato, e, in piedi accanto a lei, Gustav, a braccia conserte.

Tom si sentiva un po’ stupido a starsene lì in quel modo a farsi fissare, tanto più che non era così che aveva immaginato sarebbe stato quel momento. Si era figurato Vibeke seduta accanto a BJ che gli teneva la mano silenziosa e un po’ melanconica, pronta ad illuminarsi un poco nel momento in cui lui sarebbe arrivato a portarle da mangiare. Allora Tom le avrebbe detto di bere la cioccolata prima che si raffreddasse, e lei avrebbe replicato che non ne aveva voglia, costringendolo così ad insistere, per poi ringraziarlo con un sorriso.

E invece no, non ci sarebbero stati sguardi comunicativi, tra loro, né altri abbracci confortevoli, e nemmeno un briciolo di intimità: dopo una notte in una dimensione tutta loro, erano tornati al mondo reale, in mezzo a tutti gli altri, di nuovo due individui che si cercavano in mezzo a una massa, spesso senza riuscire a raggiungersi veramente.

“Eccolo qui!” esordì Vibeke, frizzante. “Mancavi solo tu!”

Questo è poco ma sicuro, pensò lui, squadrandola in tralice. Era decisamente più rilassata di come l’aveva lasciata, e gli fece piacere apprendere che andava davvero tutto bene. Era stato preoccupato per lei quasi quanto lo era stato per BJ.

“Ciao,” Rivolse un cenno generico a tutti, fino a fermarsi a BJ: “Tutto bene?” si sincerò.

“Divinamente,” rispose lui vivacemente. “Hai visto?” proseguì, indicandosi il torace con la mano sinistra. “Ho una presa d’aria extra!”

Tom ridacchiò. Gli era sempre piaciuto l’umorismo di quel ragazzo.

“Non le fanno di serie, eh?”

“No, e in optional costano care. Valgono praticamente un polmone, direi.”

“Dateci un taglio con questa ironia macabra, voi due!” li zittì Vibeke. “C’è poco da scherzare!”

Nessuno dei due, però, volle darle corda.

“È forse cibo quello che hai lì?” domandò BJ speranzoso, adocchiando avidamente gli acquisti che Tom reggeva.

“Be’, veramente…”

“Grazie, Kaulitz, sei un amore di maggiordomo,” si intromise Vibeke, alzandosi per appropriarsi di ciò che le spettava. “Quanto ti devo?”

Tom sogghignò.

“Tre euro per la cioccolata, uno e cinquanta per la brioche e quaranta di commissione.”

Vibeke gli rispose con un gesto non troppo garbato. Nessuno commentò: si erano tutti saggiamente sposatati a conversare attorno a BJ, lasciandoli soli ai piedi del letto.

“Guarda che è quello che vale il mio tempo!” si difese lui. “È stato stimato che in media ciascuno di noi quattro guadagna centoventi euro all’ora!”

“Hai ragione, ti chiedo scusa, non ho messo in conto l’immane fatica che devi aver fatto per sfilarti un centone dal portafogli!”

Con una mossa fulminea, Tom staccò un pezzo del croissant che lei aveva in mano e se lo ficcò in bocca.

“Tieniti i tuoi quarantaquattro euro e cinquanta centesimi,” mugugnò, masticando. “Così non potrai più dirmi che non so cosa sia la galanteria.”

Vibeke fece per addentare il resto della brioche senza staccargli gli occhi di dosso, ma appena prima che le sue labbra entrassero in contatto con la pasta, si fermò ed abbassò sospettosamente lo sguardo.

“Kaulitz, mi hai preso un cornetto alla crema!”

“Era l’unico tipo che avevano.” Spiegò lui, con insolita pazienza.

Lei arricciò in naso schifata.

“Tieni,” gli disse, allungandogli la brioche verso la bocca. “Fai ‘Aaah’…”

Lui indugiò, cercando di valutare se volesse giocargli qualche scherzetto o se avesse semplicemente voglia, per una volta, di essere gentile con lui. Il suo viso sembrava rinfrescato, più luminoso, e Tom si fidava di quelle lievissime arricciature che vedeva agli angoli delle sue labbra.

Tom finì per assecondarla: si chinò in avanti e spalancò la bocca:

“Aaah…”

In un baleno si ritrovò la sfoglia dolce del croissant tra i denti, con Vibeke davanti a lui che rideva. Staccò un morso, lo deglutì e si prese il resto tra le dita, leccandosi i baffi.

“Non capisci un cazzo, lasciatelo dire,” La accusò, puntandole contro l’ultimo pezzetto di brioche, che poi fece rapidamente sparire. “Almeno in quanto a cibo,” Rettificò subito dopo, avvicinandosi per sussurrarle all’orecchio: “Di quello che conta davvero, capisci decisamente molto di più.”

Non sapeva nemmeno lui da dove gli fosse uscita quella frase così stupida. Si stava già aspettando una replica stizzita, quando sentì bussare alla porta. Si voltò, e con lui tutti gli altri: la porta si era aperta e ne era entrata un’infermiera giovanissima con lunghi capelli biondi e ricci, che ora se ne stava lì impalata a fissarli tutti con la mandibola cadente. A quanto pareva la concentrazione testosteronica nell’aria doveva essere troppo elevata, per lei.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette, Tom contò divertito i fascinosi elementi maschili presenti, seguendo lo sguardo della ragazza. Immagino sia destabilizzante, se non te lo aspetti, rifletté compiaciuto.

“S – scusate,” balbettò la giovane, i cui pomelli erano vicini all’incandescenza. “Mi hanno chiesto di – di invitarvi a congedarvi dal paziente, sta per passare il dottor Leven a visitarlo.”

Stando all’ilarità che traspariva da ciascuno di loro, stavano tutti morendo dalla voglia di scoppiare a ridere, ma non sarebbe stato molto carino nei confronti della povera malcapitata, perciò si limitarono ad assentire in un coro di borbottii.

“Togliamo subito il disturbo,” le assicurò Benjamin, già accanto alla porta. “Ce lo lasci un minuto per salutare?”

La ragazza avvampò fino alle orecchie ed emise una specie di stridulo squittio che Tom prese per un ‘Sì’, quindi uscì, mancando per poco di inciampare nei suoi stessi piedi.

“Bene, ragazzaccio,” disse Patrick a BJ, stringendogli amichevolmente una mano sulla spalla. “Ti lasciamo al riposo forzato, sei contento?”

“Come una fan dei Tokio Hotel senza gli occhi.” Fece BJ, tetro. Tutti quanti risero.

“Stacci bene,” si raccomandò Gustav, mentre tutti si accodavano verso la porta, salutando. “Ti porteremo noi qualche marshmallow di straforo.”

“L’ho sempre detto che sei un grande, Gustav!” lo ringraziò BJ, sventolando debolmente la mano.

Tom lo seguì, ma all’ultimo momento vide che Vibeke non accennava a muoversi da dove stava.

“Andate avanti,” gli disse lei, intercettando il suo sguardo. “Arrivo subito.”

Tom non attese oltre: rivolse un ultimo cenno di congedo a BJ ed uscì, chiudendo la porta.

Quei due meritavano un minuto solo per loro.

 

***

 

Una volta che non rimase più nessuno al di fuori di loro due, Vibeke e BJ presero a fissarsi reciprocamente negli occhi, senza parlarsi, semplicemente ascoltando il loro silenzio. Lei non desiderava altro che quello, che essere lì e basta, solo perché lui c’era – c’era ancora – ed era bello saperlo di nuovo con sicurezza.

Ad un certo punto BJ tentò, invano di tirarsi su a sedere. Vibeke gli diede una mano, sistemandogli i cuscini dietro alla schiena, il cuore che le si stringeva nel vederlo contorcere il volto in una smorfia sofferente. Dopo aver inspirato lentamente per un paio di volte, BJ la ringraziò e la fece sedere più vicina a lui.

“Volevi parlarmi di qualcosa in particolare?” buttò lì poi, con casualità.

Lei spostò la propria attenzione da lui al paesaggio che si apriva fuori dalla finestra.

“No,” mentì. “Niente.”

Ad essere sincera, non sapeva bene nemmeno lei perché aveva voluto lasciare andare gli altri e fermarsi lì con lui. Aveva una gran voglia di parlare, in effetti, ma aveva talmente tante cose da dire che nemmeno sapeva da dove cominciare, e, anche sapendolo, non avrebbero avuto il tempo di discuterne.

“Vuoi altro, da casa, oltre a quello che mi hai già detto?” gli chiese, prima che potesse essere preceduta.

Lui alzò le spalle.

“La mia consolle ci starà qui dentro?”

“Perché non tutto l’appartamento, allora?”

“Sii seria, Bee,” le rispose BJ, imperturbabile. “L’appartamento in questo buco non ci entra di sicuro!”

Vibeke gli diede un pugno insignificante su una gamba.

“Dico sul serio, idiota.”

“Sei tu quella con il senso pratico, di solito,” disse lui. “Cosa mi potrebbe servire?”

Gli occhi di Vibeke si posarono sul mucchietto di seta verde scuro che giaceva in una nuvola di candida carta velina sul comodino.

“Ti dovrò portare un pigiama di ricambio,” disse. “E della biancheria. Hai preferenze circa la fantasia dei boxer?”

“Fai tu.” Le concesse lui, studiandola con un’espressione strana e indagatrice.

Se adesso fa osservazioni cretine sullo stato in cui versa la mia immagine pubblica, giuro che lo strozzo, brontolò lei con se stessa, cominciando a fare congetture, ma la domanda che BJ le pose saltò fuori dal nulla, imprevedibile:

“Dove sono finiti i tuoi piercing, sorella?”

Vibeke non avrebbe voluto ammutolire in quel modo patetico, ma si era trovata non poco impreparata su quell’argomento. Aveva dato ormai per scontato che fosse una questione chiusa: non se ne era più parlato, dopo quella volta a casa dei ragazzi, e non si sarebbe certo sognata che una cosa così irrilevante sarebbe potuta riemergere proprio adesso.

“Nel cofanetto in camera mia.” Mentì ancora, sostenuta. Il fatto era che non riusciva a ricordare dove li aveva lasciati. Sulla mensola in bagno, forse, o magari nel cassetto.

BJ annuì pensoso.

“È un po’ che stanno là dentro…”

“Qualche giorno.” Puntualizzò lei, che cominciava a percepire la piega indesiderata che stava assumendo la conversazione.

“Strano che tu non te li sia più rimessa, visto che li adori.”

“Mi è sempre passato di mente.”

Doveva smetterla di rispondere in quel modo frettoloso, o lui avrebbe capito che c’era qualcosa sotto. Sempre ammesso, ovviamente, che non lo avesse già capito da un pezzo.

“Sai,” riprese BJ, inarrestabile. “Prima stavo pensando che, con quel piercing sulla lingua, se Bill baciasse qualcuno che ha a sua volta un piercing alla lingua, potrebbe incontrare una serie di difficoltà tecniche piuttosto seccanti…”

“Molto profonda come riflessione.”

“Poi mi sono ricordato che anche Tom ha un piercing,” Incalzò lui, con un tono sottilmente allusivo che diceva chiaro e tondo che aveva capito eccome quello che c’era da capire. “Per la precisione, un piercing alla sinistra del labbro inferiore che, per una buffa coincidenza, finirebbe per incontrare il tuo anellino di destra, se per ipotesi doveste baciarvi.”

“Per ipotesi.” Rimarcò Vibeke, incrociando le braccia.

BJ annuì condiscendente.

“Naturalmente.”

“Dove vuoi arrivare?”

“Lui ti piace, no?”

Lei si accigliò.

“Chi, Kaulitz?” domandò scioccamente.

“No, il principe Carlo, Vibeke!” sbottò lui, esasperato.

Arrendersi era l’unica mossa che le restava: era stanca di girarci intorno, e comunque sarebbe stato inutile. Se era di Tom che BJ voleva parlare, allora che parlassero, una volta per tutte.

“Diciamo che ha dei lati molto sottili e restii ad emergere che potrebbero, in extremis, salvarlo dall’inceneritore.” Ammise diplomaticamente. Si preoccupò però di omettere piccoli, irrilevanti particolari, quali ‘Bacia da dio’, ‘Scopa da dio’, ‘È bellissimo’, ‘La sua voce fa venire i brividi’ e un’altra discreta serie di quella tipologia.

“Ti fidi di lui?” le chiese BJ a bruciapelo, strappandola bruscamente ai propri pensieri. Lei non capì il senso di quell’interrogativo.

“Cosa c’entra tutto questo con i tuoi boxer?” controbatté fulminea, essendosi resa conto di non essere poi così brava a gestire quel punto semidolente.

“Sarei potuto morire.”

Una pulsazione di Vibeke si smarrì nell’eco di quella frase terribile.

“Non dirlo nemmeno!” sibilò, raggelando.

“Poteva succedere,” BJ la trafisse con uno sguardo di metallica durezza. “Può ancora succedere.”

“Smettila!”

“È la verità.”

“Ho detto smettila, Bjørn!” strillò lei, scattando in piedi, le mani strette in pugni lividi.

Perché le faceva questo? Perché la torturava così? Non gli era bastato tutto il resto?

Ma lui restava serio e tranquillo, e non vacillava di un millimetro.

“Voglio che tu impari a fidarti di qualcuno che non sia io, Vibeke,” Le disse con assoluta pacatezza. “Voglio che tu sia pronta ad andare avanti senza di me, se dovesse capitare di nuovo.”

Mi fai male, BJ, gli diceva lei, interiormente, mi fai male, e io non ci voglio pensare!

“Che cosa diavolo ti prende?”

Lui sospirò e si voltò verso la finestra, abbandonando la testa contro il cuscino.

“Non puoi vivere solo perché vivo io, non lo capisci?” Mormorò. “Devi imparare a vivere e basta, a trovare qualcos’altro per cui valga la pena dire ‘Ho qualcosa per cui andare avanti’, altrimenti finirai per perderti per strada un sacco di cose che hai già sotto al naso.” Chiuse gli occhi, prendendo un lungo respiro, poi li riaprì per incrociare quelli di lei: “Devi imparare a fidarti delle persone, Bee, ed imparare ad accettare i rischi che questo comporta. Non puoi sempre farti bloccare dal terrore di farti male. La mamma ci ha abbandonati… E allora?” Accennò un sorriso, uno un po’ triste, ma immensamente sereno. “Solo perché lo ha fatto lei, non significa che lo faranno anche tutti gli altri.”

Vibeke non sapeva più cosa dire, cosa inventarsi. Lui aveva ragione, lo sapeva, e lei aveva tentato tante volte di lasciarsi andare, con tante persone diverse, ma non aveva mai funzionato. Alla fine c’era sempre qualcosa che le impediva di oltrepassare un certo confine.

“Perché vuoi parlarne proprio adesso che fa così male, si può sapere?” gli domandò, ferita da quell’attacco in un momento di tale vulnerabilità.

BJ però, anziché accanirsi ulteriormente, si ammorbidì senza un apparente motivo, e le sorrise indulgente.

“Perché se ti sei tolta quei piercing per il motivo che credo io, forse ti sei già decisa a lasciar cambiare qualcosa.”

 

 

-----------------------------------------------------------------------------------

 

Note: non ci credete nemmeno voi, non è così? Scommetto che siete tutte lì a dirvi ‘Ma no, è una fregatura, non può avere aggiornato davvero!’, ma vi sbagliate, perché non solo ho aggiornato, ma questo non è uno scherzo: quanto precede queste note è veramente il capitolo numero diciassette di questa storia. Lo dico perché, in tutta onestà, non è che soddisfi proprio pienamente le mie aspettative… Non solo le vostre. Mi sembra troppo ingarbugliato, troppo freddo, troppo scarno, troppo tutto. Non so, come al solito spero che mi vorrete contraddire, tanto per cambiare. XD Comunque, è mio sacrosanto dovere comunicarvi che il titolo del capitolo, Shoot Me Again, è tratto dall’omonima canzone dei sacerrimi Metallica, ed ogni merito appartiene a loro. ^^

Per questo capitolo devo ringraziare specialmente tre persone, che mi hanno sopportata nei miei dubbi infiniti (che parzialmente permangono tuttora XD), e cioè CowgirlSara, Lady Vibeke e la luce dei miei occhi Camilla85. Vi liebo, ragazze! <3 XD

E ora, come di consueto, l’angolo delle risposte alle recensioni!

 

_Ellie_: ti ho già detto tutto il dicibile in MSN, quindi aggiungo una cosa sola: continua a leggermi nel pensiero, fammi felice! *___*

Vitto_LF: Innanzitutto ti ringrazio per aver deciso di leggere e recensire, è una cosa che apprezzo sempre, significa molto per me, perché sono del parere che non vada escluso nulla a prescindere, bisogna sempre dare una possibilità, indipendentemente dal fatto che poi potrà o meno valerne la pena. Non posso certo dire che la tua recensione mi abbia rallegrata, ovviamente, ma non ci sono nemmeno rimasta male. Per quanto riguarda Lullaby, sono io la prima a ritenere che avrebbe potuto essere una storia molto migliore di quello che già è stata, più curata in certi dettagli e più sentita, ma è stata la mia storia d’esordio su questo sito, nonché il mio ”esperimento” sui Tokio Hotel, che all’epoca del primo capitolo conoscevo relativamente poco, e sono stata molto lieta di vedere il successo che ha riscosso, non tanto per il numero delle recensioni e delle aggiunte tra i preferiti, ma piuttosto per l’approvazione che ha ottenuto da quelle autrici che “professionalmente” stimo di più. Stessa cosa per The Truth, anche se mi sembra una storia stilisticamente migliore, rispetto alla prima, poi c’è chi può essere d’accordo, chi meno, quello è inevitabile. Mi dispiace che tu non sia riuscita a trarre alcuna emozione da ciò che scrivo, ma l’emotività è un fattore molto soggettivo, non si può pretendere che solo perché la tendenza va da una parte, allora tutti la seguano, perché non funziona così: ciascuno è diverso e diverse sono le rispettive percezioni, inutile cercare di trovare una regola fissa, in determinati casi, perché non esiste. Ad esempio conosco persone che si sono emozionate moltissimo nel leggere certi libri, ed altre che hanno invece trovato quegli stessi libri noiosi, o stucchevoli, o illeggibili, quindi non mi stupisce né rattrista più di tanto se tu sei l’eccezione alla “regola”, se così la vogliamo chiamare. Allo stesso modo comprendo il motivo per cui a te possano risultare poco “comunicative” le mie storie: ho dato un’occhiata ai tuoi preferiti e ho notato che come gusti siamo abbastanza divergenti, abbiamo palesemente parametri di giudizio differenti, per cui mi sembra anche comprensibile che possiamo farci emozionare da contesti, approcci e stili diversi. Come ho detto, a me basta sapere che a qualcuno qualcosa di significativo l’ho comunicato. In qualità di autrice, non pretendo che tutti mi apprezzino, ma finché qualcuno ci sarà, potrò ritenermi soddisfatta.

Mi auguro anch’io che prima o poi troverai qualche mio scritto che ti faccia provare qualcosa, ma per ora grazie di avermi dedicato quei due minuti del tuo tempo per questa recensione. Nel bene o nel male, è sempre un gesto gradito.

mask92: eccotelo, il seguito! Grazie infinite dei complimenti e benvenuta nel club di coloro che vorrebbero prendere quei due a mazzate nella speranza che aprano gli occhi! ;)

kikka_tokietta: grazie di aver commentato anche se ti sentivi psicologicamente impossibilitata a ragionare! XD Sono una frana con le frecce, sappilo, ma se ho fatto centro, non può che farmi piacere! ^^

Debry91: chiunque sia l’amica che ti ha condotta a me, ringraziala da parte mia per averlo fatto, è un piacere accoglierti tra i miei lettori! Sono felice anche che apprezzi le mie infinite fatiche, e spero non cambierai idea dopo questo capitolo. XD

Ladynotorius: milady! Il tuo Tom non si smentisce mai, vedi? E nemmeno tu ti smentisci mai. Grazie, davvero.

growlitha: anche tu sei una benvenutissima new entry del gruppo! Ho fatto più in fretta che potevo, sei ancora lì ad aspettare? ;)

RubyChubb: liebe! Sull’altro capitolo mi stavi male per l’ansia, qui mi sa che mi starai male per l’indecenza qualitativa. XD

_no sense_: ecco una di quelle recensioni che tornerò a rileggermi per tutta la vita, beata e felice e quant’altro. Le vostre parole sono sogni trascritti in una recensione, mi avete davvero resa la donna più contenta del mondo, non so come ringraziarvi! ^^

ninacri: anche per te, stesso discorso che ho fatto sopra. Mi sono lasciata un po’ viziare dalle tue lodi, ma ogni tanto si può fare, vero? Solo un pochino, giusto per affrontare con più grinta il capitolo a venire. XD Grazie infinte anche a te!

_Kaay: di pochissime parole, stavolta, eh? ;) Ma va bene così, ci sei sempre, mi basta.

Fashion_Girl: abbiamo pareri molto simili verso il nostro caro Sex Gott: fa il duro, ma in realtà (moooolto in fondo) è così tenero che si taglia con un grissimo!

Lady Vibeke: ti voglio santa subito! XD Sia per esserti sorbita le mie invettive contro la tua connessione ballerina, sia per aver pazientemente dissipato i miei dubbi a suon di imprecazioni, botte virtuali e qualche rara rassicurazione dolce. XD A proposito: congratulazioni per la graduatoria del concorso del Goethe! Vai e torna vincitrice, mi raccomando!

Berenice: anche per te, stesso discorso già fatto in merito a recensioni che sanno farti brillare anche la giornata più nera e storta. Spero ce ne saranno altre, se riterrai ne valga la pena. ^^

_ToMSiMo_: mi fai arrossire, se dici così! E sono mi sembri affatto pazza, ma semmai umana e sensibile! E, in caso tu volessi entrare a far parte di coloro che mi “conoscono”, il mio contatto di MSN lo trovi nel mio profilo. ;)

Purple Bullet: immagino che la mamma adorata sia io! *__* Mi sa che devo avvisare una certa persona (sento già qualcuno che salta su urlando “Lo so io chi è! Lo so io chi è!” XD) che abbiamo una figlia non proprio legittima. XD Una figlioletta adorabile che fa sempre regali stupendi alla sua mamma, tipo recensioni come questa. :)

juliet_: non so se posso considerarmi una persona fantastica, ma sai che ti dico? Non mi importa. XD Mi basta sapere che esistono persone come te che amano il mio lavoro e ci tengono a ricordarmelo in ogni momento. È per voi, al di sopra di tutto il resto, che mi piace così tanto scrivere.

winTh: hey, bentornata! È una gioia riaverti tra noi! I “veri” Vi e Tom stanno emergendo, zitti zitti, ma sono come le tartarughe: alla prima avvisaglia di pericolo si ritraggono subito!

loryherm: carissima! Per te non ho più parole… Ti accontenti di un GRAZIE pentitissimo e affezionatissimo? <3

hyena_: breve e concisa, ma hai detto quello che spero sempre di sentirmi dire quando scrivo capitoli così importanti. Grazie!

vivihotel: se trovi Tom reale, non potevi farmi un complimento migliore! Ci tenevo che fosse credibile e in sintonia con il carattere originale, quindi tiro un sospiro di sollievo nel sapere che approvate. ^^

elenoire: mi commuovi, anche tu! “È lui”, commenti, e io gioisco di sollievo se lo trovi un Tom riuscito! Lui e Vi sono… Lui e Vi. ^^ Teste dure che adorano cozzare l’una contro l’altra. XD Ma noi li amiamo così, no?

pIkKoLa_EmO: Gustav come Orsetto Pooh personalmente non ce lo vedo, ma sarà colpa dei miei filtri ottici a luci rosse. XD È una ragazzo che ispira dolcezza, quando e se sorride, ma ha una sensualità molto forte, almeno per quel che percepisco io. La nostra coppietta (in)felice, invece, continua a sbandare di qua e di là un po’ allo sbaraglio… Dove arriveranno mai?

MARINA KAULITZ: mi spiace se le tematiche del capitolo precedente hanno toccato corde delicate, per te, ma al contempo ti ringrazio per le tue belle parole e per il tuo costante sostegno. Per quanto riguarda i miei scritti in libreria… Ci spero sempre! ^^

kit2007: ciao, bionda! Come ho appreso, il tuo compleanno sarebbe stato stupendo anche senza il capitolo, ma… Tanto meglio, mi piace fare regali inattesi! XD

lady dumbledore: il lato dolce di Tom si è già eclissato per bene (o quasi), mentre la perfezione… Be’, lasciamo stare. XD Grazie mille!

NeraLuna: eheheh, i nostri tre cucciolini in macchina sono davvero un bel quadretto, vero? Hai proprio ragione, Tom e Vi sono molto goffi insieme, non hanno nessunissima confidenza con ciò che provano e quindi incespicano nei loro stessi sentimenti. Gustav e Fiona… Mmm, non mi posso sbottonare. ;)

 ruka88: sssh! Se Tom e Vi ti sentono dire che si dovrebbero sposare, scappano uno su Marte e uno su Plutone! XD Sappiamo bene che ufficialmente non provano niente di niente l’uno per l’altra! XD

picchia: accidenti, anche a te ho toccato tasti dolenti! Che faccio, mi punisco? Mi faccio legare e frustare da Georg? No, aspetta… Altro che punizione! XD

CowgirlSara: sua santità! XD Non ci fossi tu, io dove sarei? A cancellare ogni cosa che scrivo, temo. Grazie. Grazie davvero di cuore, per tutto. E W I FILMINI! <3

LadyCassandra: condivido ogni tua singola sillaba, soprattutto l’Augusto Georg! XD Lui è un po’ il fratellone del gruppo, deve occuparsi dei piccoli… E lo fa in modo così dolce e sexy, che lo vorrei anch’io un fratellone così! XD Grazie millissime anche a te!

 

Ora che ho finito (penso) con le singole persone (fatemelo notare se ho sciaguratamente tralasciato qualche pia anima), vi saluto e vado a fare gli ultimi preparativi pre-settimana bianca! Voi statemi bene, e, se un po’ di bene me lo volete, lasciatemi pure in segreteria (o in recensione XD) la vostra opinione su questo capitolo. Capirò se non sarete del tutto entusiasti. Come ho detto, non lo sono nemmeno io. ^^

 

Bis bald, leute!

   
 
Leggi le 33 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: _Princess_