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Autore: Selhen    14/02/2015    1 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'Accademia dei tiratori scelti era un posto piuttosto inospitale per Selhen, e pullulava di tanti Daeva più forti di lei, talvolta boriosi e narcisisti, che esibivano le abilità apprese con i nuovi arrivati approfittando per fare sentire quelli come lei inutili e incapaci.
Se non fosse stato per la presenza di Dahnael, la ragazza avrebbe perfino rinunciato alla sua natura divina, a quei tempi. Non era un tipo che amava le novità, e quando la sua natura era risultata apprezzabile al dio Aion, che le aveva concesso il dono dell'immortalità, un vero abisso le si era spalancato davanti.
Selhen era nata umana. Sia lei che Dahnael avevano aspirato, un po' come tutti gli umani, ad essere dei buoni guerrieri. A difendere Atreia con il loro sangue. Ma da lì ad essere una Daeva Asmodiana la strada era lunga, forse anche impercorribile.
Eppure, quel giorno era arrivato. Ed era arrivato a ben poca distanza da quello di Dahnael.
La fatidica Ascensione era sopraggiunta. E così, avrebbe avuto anche Selhen un bel paio di ali nere! Avrebbe avuto vita infinita e forza divina!
Con quei pensieri la giovane Daeva era intenta a triturare lo spezzatino di poma nel suo piatto. Si trovava all'Apellbine, stremata da una lunga giornata di allenamento per niente piacevole.
Le dita le dolevano e quasi a sfiorarle, poteva sentire già i primi calli irruvidirle la pelle liscia e delicata.
Era una Daeva ancora inesperta, e le legioni disponibili ad ospitare degli apprendisti erano poche.
Aveva cominciato a far parte di una legione da poco e di certo, la loro, era stata un'accoglienza gioviale, ma a Selhen non piacevano tanto le missioni in compagnia, soprattutto se nel gruppo ci stavano degli sconosciuti superiori a lei in capacità. 
Non facevano altro che esibirsi nelle loro esilaranti performance facendo sentire i legionari inesperti totalmente inutili.
Quel giorno era stata selezionata in un grande gruppo per andare a ripulire la palude di Tiamaranta da fastidiose creature che ostacolavano ai Daeva più esperti le loro scampagnate verso l'occhio.
Era compito delle reclute fare i lavori meno piacevoli e più noiosi e così, revolver alle mani, Selhen aveva iniziato a massacrare Gurr, mostriciattoli dalle sembianze di ranocchi bipedi, cercando di mettere in atto tutto ciò che aveva imparato dal mentore che la aveva accompagnata.
Con lei era presente una manciata di compagni. Ridevano e scherzavano, perfettamente a loro agio, mentre lei, e il suo migliore amico Dahnael, che per l'occasione si era offerto volontario per quella missione, camminavano a debita distanza dandosi una mano a vicenda.
 "Non riuscirò mai ad essere come loro", aveva mormorato sconsolata mentre osservava uno dei suoi compagni tiratori massacrare di colpi una delle creature più pericolose sotto gli sguardi entusiasti e gli schiamazzi dei compagni di legione.
Il ragazzo stava abilmente riuscendo a trattenere a debita distanza la creatura, utilizzando tutte le tecniche di stordimento e rallentamento che erano possibili al tiratore, quando per un accidente la spada dell'avversario lo sfiorò facendogli cadere di mano un revolver. A quel punto, il rosso, fu svelto nell'utilizzare una tecnica magica imparata proprio quel pomeriggio. Il colpo del succhia anime. La sua mano si strinse a pugno e risucchiò la salute del nemico. In quella maniera sia l'abilià magica che la salute del giovane tiratore si ripristinarono risanando all'istante la ferita che il mostro gli aveva appena inferto.
"Grande!", aveva esclamato il mentore di cui Selhen non ricordava neanche il nome. Sembrava a dir poco entusiasta della performance del tiratore che si era appena guadagnato una promozione ad un livello superiore di missioni.
Araziel, si chiamava. Aveva l'espressione del classico Daeva un po' montato per le sue doti innate e lo sguardo da duro. I capelli erano corti, accuratamente raccolti dietro la nuca con due treccine e la fronte era in parte coperta da un generoso ciuffo rosso.
Selhen rivolse i suoi occhi scarlatti su quel Daeva, il quale, uscito fuori dalla melma della palude si stava ripulendo il viso dagli schizzi con una manica. La ragazza dovette ammettere che era veramente bravo a centrare i suoi bersagli in moivimento.
"Tanto avrei saputo fare meglio", aveva schiamazzato un altro ragazzo dalla voce profonda. Il tizio in questione aveva una pesante armatura nera e un ponderoso spadone assicurato alla schiena. Non riuscì a vederlo di spalle ma dalla voce sembrava dover essere un bel ragazzone robusto.
"Zitto, idiota, sappiamo tutti che non saresti neanche in grado di ferire un Elrok! ", aveva risposto il rosso in tono giocoso.
Il templare dai capelli bianchi parlò sguainando lo spadone. "Vie' qui che ti apro!", disse in tono di sfida allungando un passo verso il tiratore.
"Al massimo io apro te, pollo!", aveva schiamazzato l'altro sguainando i revolver e afferrandoli in un'acrobazia per puntarli addosso al templare.
Dal tono con cui si rivolgevano la parola a Selhen parve fossero piuttosto in confidenza.
"Cane, che c'è, hai paura?", aveva continuato a insultarlo per gioco il templare stuzzicandolo sulla giubba in pelle con la punta affilata della sua spada a due mani.
"Paura io? Amico, caschi male", aveva dichiarato il rosso con un ghigno complice mettendosi in posizione. "Quello che dovrebbe farsela sotto per le mie letali pallottole sei tu...".
"Ma sentilo, letali pallottole, ma se non sai nemmeno cosa significa la parola elisiano, figurarsi se sai farli fuori... e pretendi di avere qualche possibilità col sottoscritto", continuò il ragazzo in armatura, canzonatorio.
"Eh no... amico, adesso ti spacco il sedere e poi vediamo chi non sa come spennare certi angioletti gay!".
Selhen, che intanto era rimasta a fissarli con un sorrisino divertito, si stava godendo tutto il teatrino dal fianco di Dahnael. Il duello tra i due era terminato con una disfatta del templare che era finito a farsi curare dal mentore con una serie di pozioni curative che accelerassero la guarigione delle sue ferite.
Araziel intanto aveva battuto amichevolmente la spalla dell'amico, esibendosi in una specie di balletto di scherno che gli aveva fatto guadagnare un bel pugno di gran lunga poco delicato all'altezza dello sterno.
"Così mi ammazzi, fratello, piano la prossima volta!".
Il templare sorrise osservandosi la ferita che lentamente si rimarginava.
"La prossima volta sarà la volta buona che ti sotterro!".

...

"Araz, credo che andrò via di legione", Selhen era nel grande ingresso del sottosuolo del Katalam. Aveva imparato da poco a trovare nei meandri di quel posto di massacri, gli oggetti che gli shugo richiedevano in cambio di monete antiche, e visto che preferiva non avventurarsi mai da sola da quelle parti aveva chiesto ad Araziel di accompagnarla.
Da un paio di giorni a quella parte si erano ritrovati a parlare del più e del meno, e spesso Selhen si era ritrovata a chiedergli, come cortese favore, una mano con le sue missioni in sottosuolo. Per quanto fosse un tipetto tutto pepe che difficilmente acconsentiva ad aiutare le reclute inesperte come lei, Araziel non aveva detto di no. 
Più volte Selhen, incontratolo nel grande atrio per caso, si ritrovava quindi ad andare a zonzo per le scure e selvagge strade del sottosuolo del Katalam in sua compagnia.
Si conoscevano quel tanto che forse, avrebbe potuto confidarsi con lui sui disaccordi che in quei giorni aveva avuto con un membro della legione.
"Perchè?", aveva chiesto lui voltandosi a guardarla con più attenzione nel momento in cui si accingeva a salire la grande scalinata colma di elisiani pronti a massacrare l'ignaro nemico che avrebbe attraversato la linea di confine tra territorio conteso e neutrale.
"Mashi", aveva detto Selhen crucciata. "Non riusciamo più ad andare d'accordo e... forse è il caso che io cambi clan, ero solo intenzionata a dirtelo. Parlerò col capo stasera stessa per comunicare la mia uscita".
"Ma no sciocca, parlerò io a Mashi, lo rimetterò in riga".
"No davvero, ho già deciso, Araziel".
Il ragazzo aveva scrollato le spalle. "Non posso fare altro, se non provare a dirgli due parole ", aveva dichiarato a malincuore, "ma se sei decisa...".
Selhen aveva annuito. "Posso... posso chiamarti se, quando sarò senza legione, avrò bisogno di una mano?".
Araziel aveva annuito distrattamente, e i suoi rassicuranti occhi verdi avevano percorso i lineamenti del suo viso.
"Grazie", aveva terminato Selhen in un sorriso timido tirando fuori dalla tasca una pergamena per Pandemonium.

...

L'uscita dalla legione non aveva fatto altro se non unirli ancora di più.
"Vieni qui..." stava dicendo Araziel divertito dopo aver riposto le due pistole dentro i foderi.
Vestiva con un piumino nero e una maglietta a maniche corte sotto di esso. Selhen si chiese come facesse a non morire di freddo nel clima rigido di Beluslan. Era vero, erano Asmodiani, ma anche per loro non era tanto conveniente sfidare le gelide temperature di Asmodae.
"Aspetta", aveva arrancato lei tra la neve quando lui l'aveva tirata per un polso. "Dov'è che vuoi andare?".
"Voglio mostrarti un bel posto...", aveva detto col solito mezzo sorriso troppo sicuro di sè. "E sentiti onorata.. sei la prima che ci porto".
Avevano camminato fino alla grande statua che permetteva l'accesso al grande palazzo subacqueo di Alukina.
"Ma qui non è quel posto dove dimorano tutte quelle orribili Seiren?".
"Non sono così orribili", l'aveva interrotta lui indirizzandole un occhiolino prima di leggere la formula d'accesso e sparirle di davanti. 
Selehn sospirò, se non voleva restare sotto la neve di Beluslan, sola, a morire assiderata o a trasformarsi in un ghiacciolo di Daeva vivente, era il caso di seguirlo.
Lesse ad alta voce la formula incisa sulla grande statua di pietra. Il potere etereo che animava quel grande colosso di pietra la fece smaterializzare per accompagnarla esattamente al fianco di Araziel che per l'occasione si era accucciato in un angolo ad attenderla.
"Ce ne hai messo di tempo", le aveva detto tornando in piedi a levitare sullo strano marchingegno sotto le sue scarpe che aveva acquistato da poco: la levitazione. 
"Apri le ali e vola in alto, oltre la coltre d'acqua", aveva cominciato lui spalancando due immense ali nere.
"E... e le seiren?", aveva domandato Selhen perplessa.
"Non faranno neanche in tempo a notarci", l'aveva rassicurata lui librandosi nel vuoto.
Alla ragazza non restò che imitarlo, seguendo la luce dei revolver nel semibuio di quel pozzo d'acqua incorporea. Volarono per un po', puntando verso l'alto, finchè quella che doveva essere la superficie non venne spezzata dalle loro ali prepotenti.
Araziel volteggiò per qualche altro momento cercando il punto più congeniale in cui atterrare e infine poggiò i piedi sul terreno che circondava il palazzo di Alukina.
"Non ero mai stata qui", mormorò la Daeva richiudendo le rosee ali e poggiando leggera i piedi sul terreno.
Si guardò intorno. Avanti a loro, esattamente poco distante, una grande piscina d'acqua eterea che era il punto da cui erano appena arrivati, sbatacchiava ai bordi di quel lembo di terra. Tutto intorno a loro, invece, si poteva scorgere solo il cielo infinito... un cielo al tramonto fin troppo luminoso. Aldilà di esso una pesante coltre di nuvole che non permetteva di vedere altro sotto di esse, sembrava essere un ammasso di soffice panna montata.
"E' stupendo!".
"Questo è il sole di Asmodae", le aveva detto lui raggiungendola alle spalle.
Gli occhi della Daeva, non abituati a tanta luce, bruciarono. "Egoiste le seiren, che non vogliono condividere una tale bellezza con nessuno", aveva ironizzato lei voltando lo sguardo dalla parte del tiratore.
Araziel la fissò in silenzio per qualche istante, qualche istante in cui sembrò perso in chissà quali pensieri, poi afferrò la mano di lei dopo essersi esibito in un teatrale inchino.
"Volete concedermi questo salto nel vuoto, Daeva?", aveva domandato trascinandola sull'orlo dell'apparente piscina.
"Selhen corrugò la fronte: "mi... mi stai chiedendo di tuffarmi lì dentro e finire sulla testa di qualche Seiren poco amichevole?".
Araziel rise di gusto. "Ti sto solo chiedendo di saltare e aprire le ali".
"D'accordo siamo morti...", mormorò lei sinceramente perplessa.
"Al mio tre...", aveva continuato lui senza ascoltarla, sfilandosi via il giubbino per simulare un tuffo in piena regola.
"Uno... ",
"Due... ",
"Tre...".

....

Il mare si stendeva burrascoso avanti a loro. Le acqua agitate e il cielo grigio presagivano l'arrivo di un imminente temporale.
Quel giorno Araziel le aveva chiesto di andare con lui a Pernon. Era la loro giornata libera, e per questo avevano temporaneamente abbandonato le loro missioni per fare un giro nella cittadina più pacifica di Asmodae.
Avevano raggiunto il mare con l'aiuto dell'aerotrasporto e con un'altra breve camminata si erano ritrovati nei pressi di un belvedere che dava accesso alla spiaggia tramite una piccola scalinata.
"Ehi tiratore, rallenta!", lo aveva chiamato lei aggrappandosi alla ringhiera e affondando gli stivali nella morbida sabbia fresca.
Araziel arrestò il passo e tornò da lei per darle una mano a scendere e permetterle di aggrapparsi al suo braccio. 
"Grazie", aveva detto trafelata, soffermandosi per un attimo con lo sguardo alle labbra di lui.
Fu solo un momento, poi battè le palpebre e distolse lo sguardo per spostarlo all'orizzonte. Una coppia di delfini era emersa balzando dalle acque per sprofondare nuovamente nel mare grigio.
Lo scroscio era forte e penetrante, il rombo continuo e rassicurante di quell'immensa massa d'acqua li aveva accolti mentre la spuma di mare si infrangeva sugli scogli di quel piccolo golfo.
"Perchè siamo qui, oggi?", chiese Selhen tranquilla, mentre si accomodava su un tavolino deserto sistemato in quella spiaggia solitaria in attesa di un'estate che non sarebbe mai arrivata.
Aveva snobbato chiaramente le sedie. I modi più assurdi di sedersi erano per lei i più congeniali.
"Perchè sta per piovere", aveva detto lui chinandosi a sfiorarle un orecchio con le labbra, sovrastando il rumore del vento in un sussurro.
Selhen aveva annuito divertita. "Oh, è un altro dei tuoi colpi di genio?".
Nei giorni precedenti tra lei e Araziel qualsiasi residuo di timidezza si era completamente estinto e per Selhen stare in sua compagnia era divenuto così naturale e piacevole che iniziava a sentire la sua mancanza quando non sapeva dove si trovasse o cosa facesse.
Araziel le si era parato di fronte piegando il capo da una parte per studiarla. 
Selhen indossava un elegante vestito blu, corto, come una casacca che le cascava morbida sui fianchi stringendosi poi all'altezza delle cosce. Le lunghe gambe bianche erano fasciate da delle raffinate calze scintillanti e delle scarpe a stivaletto, che si era momentaneamente sfilata, completavano il suo accurato abbinamento. Niente pelle, per quel giorno.  
 La Daeva parve per un momento a disagio per quello sguardo, qualcosa si agitò nel suo stomaco ma quella volta non volle distogliere lo sguardo.
Araziel intanto si era avvicinato a lei, sempre di più, e aveva poggiato le mani ai lati delle sue gambe per sporgersi verso di lei portando un dito guantato a scostarle delicato, con l'artiglio, i candidi capelli che il vento le aveva spinto sul viso.
"Perchè ti piace la pioggia?", mormorò Selhen così vicina a lui da sentire su di sè il suo respiro profumato.
Il dito di Araziel era scivolato giù, fino a sollevarle il mento, delicato, mentre i suoi occhi verdi le fissavano intensi le labbra.
"Perchè mi rilassa... e perchè certe cose si vedono solo quando piove, lo sapevi?".
Selhen deglutì, appoggiando leggera le mani sul giubbino di lui, accarezzandone le cuciture distratta. Il cuore le si era agitato nel petto al tono giovane e carezzevole di lui. 
Il suo viso era sempre più vicino, e le sue labbra più invitanti quando si schiusero nel momento in cui Selhen sentì le dita di lui attraversare i suoi capelli all'altezza della nuca per farle abbreviare la distanza tra loro.
Poi le loro labbra si incontrarono. C'era poco di gentile in quel bacio eppure a Selhen parve essere il più bello del mondo.
Chiuse le palpebre lasciandosi trasportare dal calore e dalla morbidezza di quelle labbra e in quel momento un rombo lontano annunciò l'imminente arrivo del temporale.
Ad un tratto una fredda goccia d'acqua si infranse sul viso di lei mentre il mare si agitava sotto la pioggia che diveniva pian piano battente. Il loro bacio si protrasse nel tempo e la pioggia scrosciante iniziò a inzuppare loro i vestiti, insinuandosi tra quelle labbra e tracciando con timide gocce il profilo dei loro visi.
Quando Araziel si allontanò da lei sfiorando il contorno del suo labbro inferiore con un dito, Selhen abbozzò un sorriso stringendo le dita sul piumino morbido di lui.
Araziel non disse nulla, si voltò soltanto, dandole momentaneamente le spalle, poi una mano di lui le circondò il polso guidandola fin sopra il bagnasciuga dove la spuma di mare si infrangeva sulla sabbia.
"Guarda là", aveva mormorato Araziel indicando l'orizzonte. L'imponente figura di Pandemonium, con le sue guglie alte che graffiavano le nubi, era emersa dal grigio del cielo.
Era una visione stupenda e singolare. Pandemonium era lontana, così lontana che da quel punto era quasi impossibile vederla con le belle giornate. Eppure la pioggia ne definiva i suoi contorni, la delineava mettendone in risalto le luci e il nero delle sue rocce.
Appoggiò il capo alla spalla di Araziel, ignorando totalmente l'acqua piovana che iniziava ad inzupparle i capelli, poi il tiratore le circondò un fianco con un braccio deponendole un bacio tra i capelli.
"Andiamo a casa, bimba?", le aveva mormorato ad un orecchio in attesa di una sua risposta.
Selhen sussultò al tono della sua voce. "Come mi hai chiamata?" domandò.
Araziel abbozzò un sorriso. "Bimba", le disse divertito mentre evocava il portale che li avrebbe condotti verso casa sua.
I loro vestiti erano ormai zuppi e forse il calore di un camino in quel momento a Selhen non sarebbe dispiaciuto.
Senza pensare fu lei a gettarsi contro la superficie eterea del portale attraversandola prima di lui. I suoi piedi si posarono saldi sul parquet noce della casa di Araziel.
Selhen l'aveva visitata un paio di volte. Quando Araziel aveva avuto bisogno di passare a prendere delle munizioni prima di qualche missione più impegnativa.
"Benvenuta a casa, jang!", l'aveva accolta lo shugo servitore di Araziel strisciando quasi il naso sul pavimento in un profondo inchino.
Selhen gli indirizzò un cenno del capo e un sorriso cordiale ricambiando il saluto, poi Araziel era comparso alle sue spalle, fradicio, frizionandosi con una mano i capelli zuppi.
"Benvenuto a casa, jang jang!", aveva ripetuto lo shugo all'arrivo del proprio padrone. Sembrava quasi non conoscesse altre parole.
"Sì, sì, d'accordo Trerinerk, adesso vai a lavorare, sù". Lo aveva apostrofato simpaticamente Araziel, facendogli palesemente capire che era il caso che si togliesse di torno.
Lo shugo non se lo fece ripetere due volte, e zampettando timidamente era scomparso oltre la soglia della porta di casa.
"Poverino, non dovresti trattarlo così".
Araziel sorrise sghembo. "Non lo tratto male, ma io e Trerinerk ci intendiamo alla perfezione, ecco perchè quando gli ho detto così lui è stato ben contento di eseguire i miei ordini".
Selhen si accigliò senza capire, cosa che suscitò in Araziel una sonora risata.
"Lascia perdere, bimba", aveva terminato accorciando le distanze tra loro. Un nuovo bacio più travolgente del primo la sorprese e stavolta la sua fu una reazione più impacciata.
Non sapeva come sarebbe potuta finire con Araziel. Si conoscevano da poco, dopotutto, e questo non le permetteva di conoscere al meglio le sue intenzioni.
Si chiese se ne sarebbe valsa la pena. Avrebbe dovuto interrompere quella relazione ancor prima di nascere o avrebbe dovuto affidarsi completamente a lui?
Azzerò i suoi pensieri, ogni dubbio svanì quando le braccia di lui le circondarono i fianchi per stringerla maggiormente a sè. 
Araziel fece scivolare la mano sul fianco zuppo del vestito di lei arricciandoglielo mentre serrava la presa delle dita artigliate su di esso, ma senza farle male.
Selhen gli gettò le braccia alle spalle intrecciandole alla sua nuca. Si abbandonò totalmente a quei baci.
"Resti con me?", lo sentì mormorare sulle sue labbra.
La Daeva fu colta alla sprovvista da quella domanda che non pensava gli avrebbe mai sentito proferire. Sorrise, restando comunque ad occhi chiusi e sporgendo il mento a cercare ancora le labbra di lui.
"Sì, e tu, resti con me?", gli aveva mormorato di rimando.
Ci fu un momento di silenzio. Un momento in cui le infinite possibilità di una risposta negativa la fecero sprofondare nel dubbio. Poi quella risposta arrivò, e fu la sensazione più bella che Selhen avesse mai provato in vita sua.
"Sempre". 

 
[E questo era il mio regalo per San Valentino, per voi e per Araziel, a cui lo dedico... Ciao bimbo <3]
  
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