Chiedo scusa, as always,
per il ritardo, ma la storia la finisco non temete! Capitolo di transizione,
dal prossimo si balla!
Amor onni cosa
vince
Parte
prima:
Raro cade, chi ben cammina.
Capitolo Quinto:
La tana delle maguste.
*
It's so quiet here
And I feel so cold
This house no longer
Feels like home.
(So Cold – Ben Clocks)
https://www.youtube.com/watch?v=ga94wVeFBac
29
Marzo 1478, Firenze
Festa
in onore dei Riario.
C’era un odore buono
nell’aria.
Doveva provenire dalle
cucine e risalendo repentino le scale, s’era insinuato nelle narici del conte
di Fontenera, inebriandolo.
Come da protocollo, Levi
sentì la pancia borbottare per la fame “Deve essere arrosto di vitello.”
Considerò ad alta voce, tanto per rendere partecipe il giovine accanto a lui,
che nemmeno alzò il capo per guardarlo “Quando le cuoche iniziano a spignattare
e portare le pietanze nella sala, significa solo una cosa. Siamo in ritardo.”
Le labbra di Raffaele
smisero di accarezzargli la pelle del collo, permettendo così al cardinale di
rispondere “Noi siamo sempre in ritardo, che sia per lussuria o per permetterti
di abbinare correttamente il cappello alla camicia.”
Levi roteò gli occhi,
indeciso se infastidirsi o lasciar perdere come ogni volta.
Alla fine, ovviamente,
lasciò stare.
Con un gesto fiacco,
scostò la trapunta lavorata ad arabeschi che lo copriva dalla vita in giù e si
alzò seduto, passandosi una mano sulla nuca.
Fuori era buio e loro
avevano oziato a letto tutto il giorno.
Non sapeva cosa gli fosse
passato per la testa, ma quando si voltò per chiederlo a Raffaele ci arrivò in
un istante; la pelle candida del cardinale romano si sposava alla perfezione
col bianco profumato delle lenzuola del baldacchino.
Senza pensarci due volte
si ributtò famelico sulle sue labbra, lambendole con baci sempre più sospirati
e sentiti, fino a che non fu lo stesso Riario-Sansoni a fermarlo.
Appoggiò entrambe le mani
sulle sue spalle, distanziandolo da sé per scrutarlo negli occhi, “Dici bene,
quando parli di ritardo, ma poi come tuo solito tergiversi. Dovremmo alzarci e
vestirci, non abbiamo il tempo per questo.” E senza attendere oltre gli buttò
la trapunta sul viso, alzandosi in piedi.
Quando Levi riabbassò i
lembi morbidi della coperta, Raffaele aveva già addosso una camiciola bianca.
Uno sbuffò contrariato e
un’imprecazione dopo e anche lui era in piedi, alla ricerca della sua camicia
rosso sanguinaccio e della giacca di broccato blu che si era fatto cucire prima
della partenza da Fontenera. Fonterossa.
Fontenera, suonava ancora
così male che il povero conte storse il naso.
Levi Bacci conte di
Fontenera e tante grazie Girolamo.
Doveva aggiungere una
postilla ai suoi titoli.
“Sono felice di rivedere
tuo cugino” disse con tono più ironico che altro Levi, “Non credo però sia
ricambiata, la mia cortesia.”
“Sì, figurati.” Rise
Raffaele, infilando una camicia a merletti e una giubba nera di broccato
orientale, prima di sistemarsi il caschetto castano che s’era spettinato circa
un’ora prima, mentre a quattro zampe pregava il Signore come il buon cristiano
che era “Girolamo non è contento di vedere nessuno. Nemmeno sé stesso.”
Il giovane conte
ridacchiò, prima di accorrere ad aiutare l’amante con i lacci della giubba.
Tornò quindi ai suoi calzoni bluastri, tirando un bel sospiro poco entusiasta mentre
li allacciava “Nemmeno una moglie e il primo erede l’hanno reso più dolce.”
“Nemmeno il Signore in
persona ci riuscirebbe.”
Un ultimo sguardo fugace,
poi Raffaele uscì dagli alloggi di Levi. Si sarebbero rivisti di lì a pochi
minuti, ma già bramava di poterlo riavere su di sé.
Beatrice dormiva in quelle
che erano le stanze di quando era bambina.
Lo ripeteva sempre a
Raffaele, che amava quel luogo perché le dava serenità, riportandole alla mente
tanti dolci ricordi.
Quella sera, però,
Beatrice pareva tutto men che serena.
Il cardinale bussò alla
porta e quando ebbe licenza entrò, trovandosi di fronte la contessa di Forlì,
che mai prima dall’allora l’era sembrata tanto bella.
Addosso aveva un abito
abbastanza semplice, di un tessuto chiaro dei colori dei raggi della luna. Un argento
particolare, appena lucido e opalescente, che le donava molto visto l’incarnato
delicato della giovane donna. La gonna era liscia, con un leggero strascico
dietro, e puntellata qua e la di rose gialle che dovevano essere state cucite
quella sera stessa visto quanto parevano vive e fresce. Il bustino era stretto
ed evidenziava la vita esile e, seppur i fianchi paressero più larghi da quando
aveva dato alla luce Alessandro, non pareva esser mai stata gravida.
La ragazza gli dedicò un
sorriso tenue, alzando la mano per salutarlo e Raffaele vide sbucare quella
piccola e delicata meraviglia da sotto alla manica di pizzo, larga e lunga più del normale, ma che non
stonava affatto con le linee dell’abito. A contornare il tutto, le spalle magre
della contessa spuntavano dalla scollatura, delicate anch’esse e pallide.
Sembravano morbide.
Raffaele, se fosse stato
un uomo dedito a certi piaceri, si sarebbe innamorato di Beatrice.
Si chiedeva come fosse
possibile non farlo, visto che non era solo bella, ma dotata di una certa
astuzia, mista a tanto buonsenso che mancava a tutti, in quell’ultimo periodo.
Come accennato prima,
però, non pareva affatto felice.
“Cosa ti atterrisce,
cugina? Sei così bella stasera che farai di certo invidia alla luna. Se poi
sorriderai, nemmeno il sole del mattino potrebbe oscurarti.”
La Contessa sorrise tenue,
ritrovando un po’ di colore alle guance. “Chiudi la porta, cugino. Devo dirti
una cosa.”
Velocemente, Raffaele
esaudì quel desiderio, andando poi a sedersi sul fondo del letto il più vicino
possibile a Beatrice, che sedeva allo scrittoio.
“Che accade, dunque? Girolamo
ne ha fatta un'altra delle sue?”
La ragazza sospirò,
scuotendo il capo “No, Girolamo per una volta non c’entra.” Abbassando la voce,
la contessa iniziò a spiegare “Mio fratello Lorenzo è in collera con me e
Giuliano perché insiste nel dire che mi ha rivelato dettagli importanti circa….
Beh, qualcosa di cui non posso parlarti ora.”
“L’ingegnere bellico?” si
informò il cardinale, suscitando lo stupore di Beatrice “Ne parlano tutti a
corte. Se mio cugino voleva far vedere che è ben informato senza metter te nei
pasticci, doveva solo aspettare un paio di ore. Ne parlano pure le cuoche nelle
cucine.”
“Il fatto, comunque, non
cambia di gravità; Giuliano mi ha taciuto una cosa importante e Lorenzo non mi
crede!” insistette Beatrice, prima di portare una mano alla fronte “Io non sono
stupida, dannazione. Son bene di esser donna, ma non mi limita sul piano
politico. Se Forlì è florida è grazie a me, è così complesso capirlo?”
Raffaele avrebbe voluto
dire che no, non lo era, ma così facendo avrebbe posto in pessima luce i
fratelli de’Medici, come se essi non conoscessero affatto la sorella minore o
non la considerassero abbastanza.
Si limitò a fissare i
merletti del baldacchio, con interesse. “Questo
è broccato veneziano?” chiese con un filo di voce, non ricevendo ovviamente
risposta.
L’arrivo di Girolamo fu
poi provvidenziale.
Entrò senza bussare,
guardando il cugino seduto sul letto e salutandolo con un cenno del capo. Aprì la
bocca per parlare, ma Beatrice lo aggredì con una domanda quindi la richiuse
piano.
“Dove sei stato??”
Il conte la guardò,
sospirando e sopportando, prima di avvicinarsi a lei per appoggiarle le mani
sulle spalle, scostando i capelli acconciati da esse “Parlavo con Lupo, nulla
di che. Dobbiamo scendere alla festa. Sei pronta?”
“Si, lo sono.”
“Anche io, per la cronaca.”
Si intromise Raffaele, strappando un altro sorriso a Beatrice e alzandosi dal
letto, porgendole con eleganza il braccio. “Volete farmi la cortesia di
accompagnarmi, madonna?” domandò con tono cencioso, strappando un piccolo
sorrisetto anche a Girolamo.
Beatrice accettò,
appoggiando una mano sul suo braccio e tirandosi su, mentre il profumo delle
rose si sporgeva nell’aria attorno a loro.
Beatrice pensava di essere
una persona molto tollerante, visto che al mondo non sopportava la vista solo
di tre personalità poco apprezzabili.
La prima era Porpora di
Vallesanta, ma di lei non si sapeva più nulla da un pezzo. Dopo ciò che era
successo ad Orso –che non appena messo piede alla festa, iniziò a mancare a
Beatrice, visto che l’aveva incontrato ben due volte in quelle ricorrenze a
corte- era sparita dalla scena.
Un'altra era il Papa, ma
fin qui nulla di sorprendente. In pochi adoravano Sua Santità e essi si
potevano contare sul palmo di una mano aperta. Compreso il diretto interessato,
ovviamente.
La terza persona le era
appena passata d’innanzi, salutandola con un sorriso di circostanza e una
profonda riverenza, prima di sparire nella folla a braccetto con suo marito.
“Lucrezia Donati.” Aveva detto
Raffaele, sussurrandole nell’orecchio, mentre gli occhi della contessa
fissavano la schiena delle fiorentina. “L’amante di tuo fratello.”
“La sua puttana, intendi?”
domandò Beatrice stringendo appena i denti. Lucrezia aveva poco più di
quattordici anni, un paio di più lei, quando era entrata nelle grazie di
Lorenzo. Le scriveva poemetti, poesie e odi. Poi si sa, Lucrezia era sbocciata
e allora s’era fatta più furba, aprendo le gambe per aprirsi più porte.
“Odio quando una donna usa
ciò che ha fra le gamba per ottenere quello che desidera.”
Il cardinale ridacchiò,
sentendo la mano di Beatrice stringersi attorno al suo braccio “Si beh… Tu non
l’hai mai fatto?”
La contessa sbuffò “Girolamo
è troppo intelligente per cedere a certe cose. Lo renderei solo di buon umore,
ma non otterei niente di più di quello che potrei ottenere a parole.”
“Anche la bocca vuole la
sua parte, dopotutto.” Ridacchiò Raffaele, ricevendo un buffetto sulla spalla e
una risata da Beatrice.
A loro si unirono anche
Levi di Fontenera e la famosa Bianca Ordelaffi, che Raffaele aveva chiamato ‘la
tardona’ per tutto il pomeriggio.
Non sprizzava energia ne
intelligenza, dopotutto. Il nomigliolo le calzava bene, anche se fu un’ospite
squisita con cui parlare.
Molto più della Donati, la
quale si era attaccata a Leonardo da Vinci non appena esso aveva messo piede
nella sala. Beatrice si perse un attimo a guardarlo scribacchiare sul suo
quadernino, con quella gatta morta a ridacchiare e cinguettargli attorno.
Non era gelosia, quella
che la contessa provava.
Solo, le mancava la sua
spada.
“Vorrei salutare messer da
Vinci, ma ha una mosca appoggiata sulla spalla.”
Raffaele e Levi colsero
subito, mentre sul viso di Bianca si dipinse un’espressione confusa. Comunque sia
non chiese.
“Vai e cacciala.” Disse con
semplicità Raffaele, passando casualmente la mano sul braccio di Bacci, che era
così tanto vicino al prelato da non riuscire a capire dove iniziasse uno e
finisse l’altro.
Beatrice non avrebbe mai
fatto una cosa del genere, perché così facendo avrebbe dato alla Donati un’importanza
che non aveva.
Lei e Leonardo, però, si
scambiarono diversi sguardi e un paio di sorrisi.
I loro occhi erano
calamitati, ma nessuno dei due cercò mai di raggiungere l’altro, così Beatrice
rimandò la chiaccherata. Si limitò a
prendere un calice di vino, quando Levi glielo porse, cercando con gli occhi il
marito che si aggirava per la sala, guardando tutti quanti dall’alto in basso e
studiando in modo particolare proprio l’artista del momento.
Beatrice guardò curiosa il
modo in cui Girolamo non levava gli occhi di dosso a Leonardo e iniziò a farsi
delle domande…
Mentre, impensierita,
osservava quella scena, qualcuno di sua conoscenza ma che non doveva trovarsi lì
attirò la sua attenzione.
Per poco non si versò il
vino addosso per lo stupore.
“Con permesso.” Disse agli
amici e a Bianca, congedandosi e camminando a piccoli passi verso quell’inusuale
ospite. Quando arrivò da lui, notò che sul viso aveva una maschera di penne
nere, ma gli occhi erano assolutamente inconfondibili “Sei vestito da corvo…. Non
credi di essere caduto nel banale?”
Il giovane le sorrise,
facendo una bella riverenza e mostrando anche il mantello, anch’esso ricoperto
di lucenti penne corvine “Non mi trovi nel personaggio?”
“Ho visto di meglio,
Corax. Poi se tutti avessimo avuto l’obbligo di rispettare il personaggio, ci
sarebbero più porci e cagne che cervi e lupi a questa festa.” I due si
scambiarono un sorriso complice, poi si scostarono verso uno degli ingressi,
così da non attirare su di loro gli sguardi delle persone che li circondavano,
presi dallo sfarzo della festa. “Come mai sei qui? Anzi, come sei entrato, per
iniziare.”
Corax alzò le spalle,
appoggiandosi con una mano allo stipite della porta “Mi ha fatto entrare il
Conte di Fontenera. Basta solo solleticarlo nel punto giusto.” Sussurrò
lascivo, ricevendo una pacca sul petto come ricompensa.
“Se il cardinale Riario
Sansoni dovesse venirlo a sapere…”
“Io non voglio rovinar
idilio alcuno. Volevo solo entrare ad una festa dei de’Medici. Biasimami pure, se
lo desideri, ma mi è sempre piaciuta la corte fiorentina.” Nella voce del
giovane c’era una certa malinconia, che subito Beatrice colse.
“C’eri già stato?”
“Sì, ma mi ricordo Lorenzo
diverso…”
Mistero, sempre mistero
nella voce di quello strano fanciullo, dalla cadenza romagnola ma che a quanto
pare aveva visitato sia l’Urbe che la bella Fiorenza.
Beatrice non chiese altro perché
sapere che non avrebbe scoperto altro. Ormai aveva fatto il callo con Corax;
quando non intendeva più rispondere alle sue domande smetteva semplicemente di
guardare nella sua direzione.
Così si misero
semplicemente a guardarsi attorno, studiando i visi degli invitati sotto alle
maschere animali.
Leonardo si voltò a
guardarli, interessato a Corax, il quale alzò il calice per salutarlo,
ricevendo un cenno di risposta.
“Lo conosci?” chiese
interessata Beatrice.
Il ragazzo sbuffò una
risata “Quello è Leonardo da Vinci. Non vi sarà persona che non conoscerà il
suo nome.” Rispose con la solita supponenza, prima di tirar su col naso e
passare il peso da un piede all’altro “Mi piace quel tizio.”
La contessa sorrise, prima
di abbassare un istante gli occhi “Anche a me.”
Lo sguardo che le lanciò
Corax fu…. Intraducibile.
Avrebbe voluto domandargli
perché era lì di nuovo e perché la controllava da vicino, ma non ne ebbe la
costanza ne il tempo.
Lorenzo richiamò l’attenzione
di tutti con l’aiuto di Giuliano e la contessa fu invitata a ricongiungersi al
marito “Non sparire.” Sussurrò a Corax prima di lasciargli in mano il calice
ormai vuoto.
Lui rispose con una
leggerissima riverenza del capo, prima di guardarla sparire in quella
moltitudine di abiti eccessivamente colorati.
“Con chi parlavi?” le
domandò Girolamo, quando lei lo prese a braccetto.
“Un cugino.” Fu la
risposta secca della contessa che non ammetteva ulteriori repliche.
Si scambiarono un lungo
sguardo, mentre Giuliano continuava a richiere l’attenzione, agitando le
braccia e rivelando a tutti un panciotto dorato che Beatrice non trovò
esattamente di buon gusto.
Dio, come si stava
riducendo per colpa di Girolamo…
Non era più abituata a
vedere uomini che indossavano colori differenti dal nero.
Lo stesso Lorenzo, dentro
alla sua bella casacca rossa damascata, le parve un pugno nell’occhio. L’intera
sala addobbata lo era.
Presò attenzione al
fratello maggiore quando questi prese a parlare; “Do il benvenuto a tutti voi a
uno dei banchetti di Firenze” iniziò con fierezza, guardando i suoi ospiti con
lo stesso sguardo di un padre coi figli. Era sempre stato carismatico e
convincente, ma agli occhi di Beatrice ormai sembrava solo un millantatore di
folle come molti altri. Sapeva vendersi e per quanto lei lo adorasse, sul suo
viso lesse una certa falsità “Così piena di vita e di persone vivaci!”
Proseguì, beandosi degli applausi della piccola folla che si era radunata nel
salone. “Come il Giardino dell’Eden pieno di frutti rigogliosi, pieno di
animali e giochi, pieno della grazia della natura.”
Era tutto così pacchiano
che Beatrice non riuscì a non sorridere eccitata. Era tutto così famigliare….
I Medici erano sempre
stati incredibilmente teatrali in tutto quello che facevano.
Le maschere, i giochi, le
rappresentazioni ludiche…
Era il loro vanto e il
loro pregio, saper imbastire con poco meravigliosi ed indimenticabili feste.
Ovviamente, però, Lorenzo
non mancò di rovinare quella bella atmosfera, andando al centro della
rappresentazione e prendendo in mano il serpente “Quindi come l’eden, ma ovviamente l’Eden
aveva degli ospiti… così come noi.” Un coretto di risa si alzò e andò
amplificandosi quando Lorenzo aggiunse; “È pur vero che i nostri sono un
pochino più piacevoli del serpente in effetti”.
Beatrice perse del tutto
il sorriso, quando comprese, così come ogni altra persona presente che il
padrone di casa si stava rivolgendo a suo marito.
Istintivamente, si strinse
di più al braccio di Girolamo che non solo non si scompose, ma tirò anche un
tagliente sorriso, affilato come una minaccia.
Lorenzo doveva sempre
esagerare, qualsiasi cosa facesse.
“Lasciate quindi che dia
il benvenuto al conte Girolamo Riario, inviato da Roma e alla sua bellissima
moglie, mia sorella Beatrice, contessa di Forlì, al nostro Eden, la nostra
amatissima firenze.”
Con quel discorso, Lorenzo
riuscì non solo a sottolineare che Beatrice e Girolamo non erano lì per il
medesimo motivo, ma anche a prendere le distanze da lei che fra quelle mura ci
era cresciuta esattamente come lui.
Ferita, nuovamente, tenne
lo sguardo basso.
Farla sentire una
straniera in casa sua era divenuta una moda alquanto sgradevole.
Grazie al cielo fu
annunciata la cena e senza più nulla da aggiungere andò al tavolo del marito.
Quest’offesa non l’avrebbe
rimossa dal cuore facilmente…
Lei e Girolamo non erano
nell’Eden.
Erano finiti nella tana
delle manguste.
La cena non fu esattamente
piacevole.
Riuscì a litigare sia con
il marito, che come ebbe il coraggio di dirgli doveva solamente tacere dopo
tutte quelle macchinazione, che con entrambi i fratelli.
Giuliano se ne tirò fuori,
dicendo che non era il paroliera di Lorenzo, il quale le disse che dovevano
aver frainteso il discorso.
“Non sono stupida, anche
se sono donna! Se ti sentisse il nonno vi prenderebbe a schiaffi per ricordarvi
come si ci costuma a corte!”
Non si fece grandi
problemi, quando l’intera sala la sentì dire quelle parole. Lorenzo divenne
rosso, mentre Clarice portava il calice al viso per non mostrare il sorrisetto
divertito.
Persino la Donati parve
prendere parte a quel giubilio femminile, ma la contessa ne aveva già piene le
tasche.
Se ne sarebbe tornata nei
suoi alloggi, da Alessandro, se Raffaele non l’avesse fermata. Rimase tutta la
sera col cugino, dimenticandosi anche di Corax e danzando con lui.
Raffaele aveva un effetto
calmante su di lei. L’aiutava a rilassarsi e trovare un po’ di pace, grazie al
cielo.
Il suo matrimonio era una
farsa, il Turco non le aveva più fatto sapere cosa fare e i suoi fratelli
mortificavano la sua famiglia ad ogni occasione.
Non era davvero in vena di
festeggiamenti, così si mise al tavolo, insieme a Bianca, Levi e il cugino,
godendosi la loro compagnia fino a che Raffaele e l’amante non sparirono
misteriosamente.
Rimasta sola con Bianca,
si persero a parlare di Forlì, anche se la rossa non sembrava aver colto che
Beatrice le aveva ucciso il parente per poter prendere quella città.
Tanto di guadagnato, chi
non capisce non può odiare. Chi odia senza capire non è abbastanza furbo da
essere una minaccia.
Il tedio finì con l’arrivo
di Corax, che la invitò a danzare.
Lei non aveva una gran
voglia, ma sempre meglio di sentire come Bianca si fosse ferita da giovane
mentre cercava di catturare una rana.
Si congedò dalla rossa con
rispetto, afferrando la mano ruvida del corvo e seguendolo al centro della
sala.
“L’ultima persona che ha
provato ad attirare le mie attenzioni è finita sulla ruota.” Disse Beatrice,
mentre iniziavano a danzare fra gli altri “Non farti vedere da Girolamo.”
“Saprei gestirlo.” Si difese
Corax, muovendosi aggraziato, mentre Beatrice rideva.
“Nessuno sa gestirlo,
nemmeno io.”
Il giovane non replicò,
limitandosi a guardarla da dietro la
mascherina ricca di piume. Corax aveva degli occhi unici, di un azzurro strano,
screziato di verde e oro. Beatrice non aveva mai visto uno sguardo più
magnetico e particolare.
Danzarono sorridendosi per
diversi minuti, poi lui riprese a parlare, con tono basso, come se le stesse
per svelare un segreto “Mio padre è seriamente convinto che io non troverò mai una
brava moglie. Critica il mio modo di pormi col gentil sesso…. Quando nemmeno
lui sa farlo. L’essere in un determinato modo è anche indicativo delle nostre
origini.”
“Stai cercando di dirmi
che sono come Lorenzo? Perché se è così ti zittirò con un ceffone.” Lo riprese
bonaria Beatrice, prima di guardarlo divertita “Poi mi pare d’aver inteso che
non sei particolarmente attratto dalle dame…”
“Quello è un discorso a
parte.”
Risero insieme, applaudendo
all’orchestra quando la musica terminò.
Beatrice stava per
congedarsi, dispiaciuta di non aver salutato Levi e Raffaele, ma pronta a
tornare dal suo bambino, quando notò un certo fermento.
Vide Lorenzo e Giuliano
fissare un punto sulle scale con intensità, così si congedò da Corax, andando
anch’ella e vedere cosa mai stesse succedendo.
Aveva un pessimo
presentimento, che si materializzò quando vide l’oggetto di tanta inquietudine.
Ovviamente c’era Girolamo,
su quelle scale.
Non era solo, però.
Stava parlando con
Leonardo da Vinci e il modo in cui gli toccò la spalla, prima di strizzargli l’occhiolino
come per sancire un patto non piacque a nessuno dei tre de’Medici.
Specialmente a Beatrice.
“Cosa diavolo sta
architettando quel folle di tuo marito?” chiese Giuliano, prendendole il
braccio, quando Lorenzo se ne fu andato con l’amaro in bocca.
Beatrice lo guardò negli
occhi, prima d’esser così sincera che le credette immediatamente.
“Non lo so. Non lo so, ma
ho paura…”
Oh,you
can't hear me cry
See my
dreams all die
From
where you're standing
On your
own