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Autore: Cygnus_X1    18/02/2015    1 recensioni
Un trono usurpato. Una ragazza in cerca di se stessa. Una maledizione mortale.
~~~
Myrindar ha diciassette anni e un marchio nero sul petto. Una maledizione che l'accompagna da sempre, che le dà il potere di uccidere con il solo tocco. Salvata dal Cavaliere Errante Jahrien dai bassifondi di una città sconvolta dalla guerra, Myrindar ha vissuto in pace per cinque anni, dimenticandosi dei conflitti, con una famiglia che l'ha accolta con amore.
Tutto cambia quando nel villaggio dove abita giungono i guerrieri dell'Usurpatore a cercarla. Myrindar è costretta a fuggire, guidata da una misteriosa voce che le parla nei sogni, alla ricerca dell'esercito dei Reami Liberi e dei Cavalieri Erranti. Ma il nemico più pericoloso non è l'Usurpatore, né il suo misterioso braccio destro; è la maledizione che la consuma ogni giorno di più e rischia di sopraffarla.
Tra inganni, tradimenti e segreti del passato, tra creature magiche e luoghi incantati, Myrindar si ritroverà in un gioco molto più vasto di quanto potesse immaginare; perché non è solo una guerra per la libertà, quella che sconvolge i Regni dell'Ovest. Non quando antiche forze muovono le loro pedine sul campo di battaglia.
[High Fantasy]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 14

Addestramento



 

N



ero.
Buio vuoto, imperscrutabile, congelato in un silenzio di pietra.
L’abisso la attendeva, pericoloso e allettante insieme, e lei ne scrutava i recessi incuriosita e terrorizzata. Le dicevano di dominarlo, di concentrarsi, di imbrigliarne quella potenza elettrica che faceva crepitare l’aria intorno a lei; ma lei aveva questa netta impressione di non essere abbastanza, lei sentiva che al minimo errore quell’elettricità l’avrebbe sopraffatta, sconfitta, dominata senza scampo.
Un passo avanti, verso la voragine. Una ventata ribelle le scompigliò la chioma nera, e sembrò attirarla ancora di più nell’oscurità.
Devo controllarlo.
Si sforzò di respirare con un ritmo regolare, sporgendosi sempre più avanti. Se fosse caduta, sarebbe tutto finito, ma doveva dominare quel potere, per impedire che danneggiasse le persone intorno a lei.
Doveva provarci.
Un altro passo. Ora sentiva più forte quella pressione che le impediva di respirare, che la opprimeva. Era la magia che voleva uscire e prendere il controllo.
Di nuovo un passo. Era davvero difficile mantenere la concentrazione, ora. Il potere le scivolava dalle mani; per quanto tentasse di riafferrarlo, continuava a sfuggirle dividendosi in migliaia di rivoli, inafferrabile come l’acqua.
Non ce la faceva. Con tutta la forza che le era rimasta nell’anima mosse un ultimo passo avanti, e il potere si ribellò definitivamente, trascinandola con sé nel suo vortice.

 
***

Riemerse dalla visione gridando.
Il suo insegnante, un Elythra dall’età indefinibile e gli occhi bui, le stava tenendo la spalla. Doveva averla scossa, forse proprio per questo si era svegliata.
Riprese il controllo del proprio respiro ansante, cercando contemporaneamente di smettere di rabbrividire. La sensazione era stata terribile, stavolta: più si addentrava nei meandri illusori e ambigui del potere, più l’ansia cresceva. Non dormiva sonni tranquilli da quasi un mese, da quando era arrivata nella città nascosta degli Elythra, nel cuore delle invalicabili montagne Cyrithah, lassù al nord.
«Myrindar» la riprese. La ragazza spostò l’attenzione su di lui, e cercò di normalizzare il respiro. «Tu hai troppa paura. Il tuo problema è questo: temi il tuo potere, ti senti inferiore a lui. Non riuscirai mai a sovrastarlo e imbrigliarlo finché diffidi di lui.»
Lei abbassò lo sguardo. Era sempre la stessa storia. Ma Eeshiv non capiva quanto quel terrore era radicato in lei; aveva vissuto per anni sotto la sua ombra, aveva rinunciato ai suoi desideri a causa di quel potere, e anche se ora era diverso la paura restava, irrazionale e profondamente radicata.
Eeshiv si alzò dal tappeto su cui era seduto, molto lentamente, come tutti gli Elythra.
«Per oggi abbiamo finito. Non avrebbe senso proseguire, non finché la paura ti domina. Hai fatto molti progressi rispetto a un mese fa, non lo nego. Ti manca solo un gradino per raggiungere il tuo obbiettivo, ma non ti nascondo che sarà il più duro.»
Myrindar lo osservò andarsene silenziosamente. Stava per chiudere la porta quando si voltò un’ultima volta a fissarla.
«Non credere che non capisca cosa stai attraversando. Ma è un lavoro che devi fare tu. Io ora non posso più aiutarti.»

 
***

Gli ultimi discendenti delle Fate vivevano nei sotterranei delle montagne, in un dedalo di cunicoli contorti e labirintici, perennemente in penombra dato che l’unica illuminazione proveniva dai cristalli luminescenti che spuntavano qua e là nei luoghi più impensabili. Myrindar ricordava ancora l’immenso stupore che l’aveva pervasa quando Jahrien, di fronte a una spoglia parete di roccia, aveva pronunciato la parola chiave nella lingua delle Fate, la pietra si era scostata come una tenda e i due ragazzi erano scesi nel cuore delle montagne.
I primi Elythra che avevano incontrato erano state due guardie ai due lati di un altissimo arco inciso che indicava l’ingresso alla città. La ragazza sulle prime aveva pensato fossero statue scolpite in quegli strani cristalli lattiginosi: alti quasi tre metri e longilinei, dalla pelle biancastra, luminescente e quasi traslucida e i capelli liscissimi lunghi fin quasi a terra e neri. Indossavano vesti così eteree da sembrare fatte di luce e stavano perfettamente immobili. Quando li avevano apostrofati in quella loro strana lingua echeggiante e li avevano fissati con due enormi occhi a mandorla completamente neri, Myrindar ne era stata terrorizzata.
Sulle prime la giovane non riusciva a distinguerli tra di loro. Le sembravano tutti uguali: uomini e donne, vecchi e giovani, ricchi e poveri. Anche dopo aver ottenuto un’udienza dalla Regina, che abitava in una grotta più luminosa e intarsiata delle altre, la quale aveva concesso loro di restare dopo aver sentito le loro ragioni e aveva fornito loro uno dei più validi studiosi, la giovane aveva avuto serie difficoltà a capire chi avesse davanti quando le parlavano.
Ci aveva messo qualche giorno, ma poi aveva cominciato a notare dettagli. La ricchezza di dettagli delle vesti, per quanto eteree, distingueva i nobili dal popolo; le donne erano se possibile ancora più sottili ed evanescenti degli uomini, e il solo guardarle riempiva Myrindar di invidia. La Regina aveva disposto per loro una grotta, faceva portare loro tutti i giorni del cibo e aveva donato loro alcuni dei vestiti del suo popolo, visto che loro possedevano solo gli abiti che avevano indossato durante il viaggio.
Inutile dire quanto la ragazza si sentisse grottesca con quelle vesti così meravigliose indosso.
Il suo maestro era un uomo dai lineamenti affilati e il volto sfuggente, misterioso come tutti gli Elythra. Myrindar aveva impiegato qualche giorno per intuire che dovesse essere già in un’età avanzata: più gli Elythra erano giovani, più la luce che emanavano era bianca e vivida. L’aura di Eeshiv invece era azzurrina, morbida, quasi soffice.
Da quanto aveva intuito, era uno studioso che aveva dedicato l’intera vita alla conoscenza. La giovane non poteva impedirsi di chiedersi quanto a lungo vivessero gli Elythra, ma le sembrava scortese chiederlo.
Grazie a Eeshiv, Myrindar aveva finalmente imparato a manifestare il suo potere a comando, a controllarne l’intensità e a spegnerlo quando voleva, ma riusciva nell’impresa soltanto quando era tranquilla: non aveva dubbi che nella prima situazione di pericolo il potere sarebbe esploso come quella notte nella caverna. Per questo il maestro le aveva affidato il compito di dominare quell’abisso: solo quando fosse riuscita sarebbe stata pronta. E lei si sentiva ancora in alto mare.

 
***

«Com’è andata oggi?» la accolse Jahrien con un abbraccio quando rientrò nella loro grotta. Gli Elythra non usavano porte, ma tende intrecciate ricavate da quella loro strana stoffa luminescente. Myrindar si era rassegnata da tempo all’idea che una qualsiasi comprensione degli eredi delle Fate da parte delle creature della terra, Umani o Elfi che fossero, risultasse impossibile.
«Non benissimo» sospirò lei, osservandolo. Il giovane mezzelfo indossava una curiosa accozzaglia di abiti umani e fatati che lo faceva sembrare buffo; aveva smesso da tempo, su consiglio di Myrindar, di tingersi i capelli, che ora erano biondi, chiarissimi, soltanto la parte finale della treccia mostrava ancora una sfumatura dorata, residuo della tinta.
La ragazza sorrise, soltanto vederlo conciato in quel modo le aveva risollevato l’umore. «Ti rassegnerai mai ai loro abiti?»
Lui scrollò le spalle con indifferenza. «Non posso certo allenarmi con la spada vestito con tuniche lunghe fino ai piedi, non trovi?»
La ragazza scoppiò a ridere. Jahrien la strinse forte a sé, giocherellando con i suoi capelli. Lei invece in quel momento indossava una tunica fatata, che ovviamente gli Elythra avevano adattato – dubitava seriamente di poter entrare in una di quelle normali.
Lui la guardò camminare fino al minuscolo tavolo su cui erano posate due ciotole di minestra fumante, la loro cena.
«Sembri una principessa con quel vestito.»
«Intendi dire la caricatura goffa e imbranata di una principessa?» rise lei. In quel momento si sentiva improvvisamente serena.
«So quello che ho detto, Myrindar» sorrise lui. «Ora però dimmi» riprese, serio. «Cosa c’è che non va nel tuo addestramento?»
Lei sospirò. «Lo sai. Non riesco a uscire dalla paura di fare del male a qualcuno... è questo che mi frena, secondo Eeshiv. Solo che è qualcosa che non posso controllare, la paura mi assale e non riesco più a riprendermi.»
«Posso aiutarti in qualche modo?»
Myrindar abbassò gli occhi sulla minestra. Le era passata la fame. «No. È qualcosa che solo io posso fare... vorrei solo fidarmi delle mie capacità quanto fai tu...»
«Sei migliorata tantissimo ultimamente. Sono certo che ci riuscirai.»
La ragazza sorrise triste. «Vorrei esserlo anche io.»

 
***

La casa-grotta che la Regina aveva disposto per i due ragazzi si trovava a pochi cunicoli dalla zona centrale della città sotterranea ma un po’ in disparte. Era piccola, composta da una grotta più larga che era usata come sala principale in cui si aprivano le due piccole camere da letto. Le pareti erano completamente incise, e la loro luce lievissima era l’unica fonte di illuminazione che restava quando i due ragazzi buttavano delle coperte sopra ai cristalli per riuscire a dormire.
Erano proprio quelle spirali che Myrindar stava fissando, distesa sul letto fin troppo grande per lei, mentre tentava senza successo di addormentarsi. Sospirò per la terza volta in pochi minuti e si decise ad alzarsi: prese la veste fatata e fece per indossarla, poi cambiò idea e si vesti con i suoi cari, vecchi abiti umani.
Uscì di casa silenziosa come sempre per non svegliare il compagno di viaggio che dormiva nell’altra stanza. I corridoi della città erano perfettamente identici a due ore prima, con l’unica differenza che erano deserti. La ragazza cominciava a mal sopportare la monotonia di quella vita sotterranea. Come facevano gli Elythra a vivere senza aver mai visto il sole o le stelle o la pioggia? Le mancava il mondo esterno, la brezza sul viso, le tempeste e i tramonti.
Le sue gambe la portarono al fiume sotterraneo dove gli Elythra andavano a prendere l’acqua. Il cunicolo era buio, ma l’acqua limpida lasciava trasparire la luce degli onnipresenti cristalli che si trovavano sul fondale, i riflessi sulle pareti erano meravigliosi. Myrindar andava spesso là, durante la notte – o meglio, il periodo della giornata che lei credeva fosse la notte –, quando non c’era nessuno e non riusciva a dormire.
Si sedette sui gradini che dal corridoio conducevano alla piccola spiaggia, la testa appoggiata alla parete di roccia che si trovava al suo fianco.
Si sforzò di rallentare il respiro e di concentrarsi. Chiuse gli occhi e si addentrò nei meandri del suo potere, dentro Aleestrya, fino a raggiungere nuovamente il baratro senza fondo. Una sottile inquietudine cominciò a farsi strada dentro di lei, ma la ignorò, la tagliò fuori dalla sua mente e la rinchiuse in un angolo.
Evocò l’immagine del viso di Jahrien nella sua mente e cominciò ad avanzare.
Lui che le diceva che si fidava di lei, lui mentre rideva e la prendeva in giro, i suoi occhi neri.
Mosse un altro passo avanti con decisione. Il vento fischiava e la spingeva verso l’abisso.
Lui quando l’aveva salvata dalle strade di Antya, lui che la portava fuori dalle prigioni dell’Usurpatore. Il suo sorriso luminoso, la sua espressione concentrata quando combatteva con la spada.
Il terrore gridava furioso e si dibatteva tentando di sopraffarla, ma lei non glielo permise. Jahrien si fidava di lei, sapeva che ce l’avrebbe fatta.
Il vento era diventato un uragano e infuriava intorno a lei. Era vicina, molto. Il vuoto era davanti a lei ora.
Stava perdendo la concentrazione. Doveva pensare a Jahrien, doveva controllarsi, dannazione!
Bastò quell’attimo, quell’istantaneo, minuscolo sbilanciamento, e l’abisso la trascinò giù.
Rinvenne gridando.
Le sue urla ancora riecheggiavano nel corridoio. Prese due respiri profondi per calmarsi. Non ci era riuscita, ma era andata vicina, lo sentiva.




 
******* Famigerato Angolino Buio *******
OMG non ci credo nemmeno io.
L'ho aggiornata.
Non ci speravo quasi più ^^
Non so se ci sia ancora qualche buona anima che segue questa cosa... in tal caso, vi abbraccio tutti. Meritate una vagonata di muffin e un monumento, come minimo.
A presto!! (Spero)

Vy
   
 
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