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Autore: Amalie    19/02/2015    0 recensioni
Amava la Terra e i suoi colori. Eppure la odiava.
Lì era libera di fare quello che desiderava. Ma era sola.
Era quello che aveva sempre sognato. Ma era circondata da sangue e morte.
Da dietro le palpebre abbassate, solo l'oscurità le teneva compagnia.
Un'oscurità che assorbiva tutto, i suoi pensieri e le sue paure.
Perché a lei non era concesso aver paura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bellarke1 Sapeva bene che non era sicuro aggirarsi per i boschi, non quando i Terrestri avrebbero potuto avvicinarsi in un secondo ed ucciderla, ma non riusciva più a stare bloccata al campo. Aveva bisogno di respirare, di allontanarsi e non vedere tutte le responsabilità che si era trovata di fronte, comparse dal niente in uno schiocco di dita. Doveva essere una dei tanti, una dei cento, ed invece eccola lì a girare di tenda in tenda, di corpo in corpo, assicurandosi che tutti stessero bene. Correva quando la chiamavano, dava anima e corpo quando la pregavano di aiutare qualcuno, metteva sangue e sudore per tenere compatto quel gruppo di ragazzi troppo piccoli per quel luogo e al tempo stesso troppo grandi per definirsi incapaci di badare a se stessi. Non avevano alcuna scelta se non resistere e continuare a camminare, un passo dietro l'altro, per sopravvivere.

Clarke chiuse gli occhi, respirando profondamente e godendo di ogni profumo che giungeva ancora come nuovo ai suoi sensi. Non si era ancora abituata a quell'insieme di odori e le risultava sempre più difficile distinguerli mano a mano che altri si aggiungevano al tripudio di fragranze. L'erba, il terreno, gli alberi, ogni cosa era diversa dall'altra e ciascuna era composta da odori e sapori unici.

Amava la Terra e i suoi colori. Eppure la odiava.
Lì era libera di fare quello che desiderava. Ma era sola.
Era quello che aveva sempre sognato. Ma era circondata da sangue e morte.

Fece un respiro profondo e strinse i pugni lungo i fianchi, deglutendo per rimandar giù il singhiozzo che stava per nascere. Da dietro le palpebre abbassate, solo l'oscurità le teneva compagnia. Un'oscurità che assorbiva tutto, i suoi pensieri e le sue paure.

Perché lei non poteva aver paura.

Tutti contavano su di lei. In molti la odiavano, era chiaro ormai, ma quando c'era bisogno di qualcosa la chiamavano e lei non se la sentiva di abbandonarli a causa del suo orgoglio. Era cresciuta con degli insegnamenti e i suoi genitori avevano sempre cercato di farle capire cosa era giusto o sbagliato, e abbandonare delle persone in difficoltà non era solo sbagliato, era un crimine. E lei non era come sua madre.

Continuò a camminare in mezzo agli alberi, proseguendo sempre più nel fitto bosco. Intorno a lei il silenzio era smorzato solo dal cinguettare degli uccelli e dal fruscio degli alberi provocato dal vento, dai rami spezzati sotto i suoi piedi e dal respiro pesante che usciva dalle sue labbra. Non riusciva a pensare né ai Terrestri né tanto meno ai compagni lasciati alle sue spalle. Aveva bisogno di essere da sola, di allontanarsi da tutto e da tutti.
Aumentò il passo, poi accelerò, infine prese a correre anche se non era abituata a quel tipo di terreno. Sentiva le gambe bruciare e i polmoni prender fuoco, ma procedeva senza sosta, incurante del sudore che imperlava la sua fronte e del dolore alle ginocchia quando cadeva e si rialzava. Il vento sul suo viso l'aiutava a scacciar via i pensieri e tutto quello che la terrorizzava.
Quando si fermò, fu solo perché raggiunse il limitare del bosco. Non avevano mai esplorato oltre la radura che si estendeva di fronte ai suoi occhi, per questo ebbe il buon senso di non procedere ulteriormente. Era inoltre ben conscia della distanza che ora la divideva dal resto del gruppo, ma non le interessava, anzi, ne era felice.

Si appoggiò con la schiena ad un albero e si lasciò cadere a terra, affondando con le mani nei capelli prima di mordersi il labbro inferiore e scoppiare a piangere.

Adesso poteva farlo.

Poteva abbandonare tutte le lacrime che si erano celate dietro i suoi occhi in attesa di mostrarsi, far fuoriuscire ciò che invece doveva nascondere di fronte agli altri per non mostrarsi debole e succube di quel mondo spaventoso a cui non era abituata. Doveva lasciarsi andare ora che poteva, perché una volta tornata indietro avrebbe dovuto di nuovo indossare la maschera della forte Clarke Griffin.
Quando fece per alzare gli occhi al cielo però, incrociò il suo sguardo con un altro a lei ben noto, e non poté fare a meno di rimanere immobilizzata e inerme.

«Bellamy»

Bellamy Blake, in piedi di fronte a lei, la guardava impassibile. Teneva le mani dentro le tasche della giacca, osservando in silenzio quello che per lui doveva sicuramente essere uno spettacolo pietoso.
Da quanto tempo era lì? L'aveva vista al campo? Eppure non si era resa conto di essere seguita, stava sempre attenta a non farsi vedere quando si allontanava.

«Da quanto tempo mi stai seguendo?»

Bellamy scrollò appena le spalle e distolse momentaneamente lo sguardo per posarlo sulla radura poco più avanti, quindi si leccò le labbra come se non riuscisse a trovare le parole e stesse riflettendo su cosa dire.

«Ero in giro a perlustrare la zona e ti ho vista camminare tra gli alberi, poi ti ho vista correre e ho pensato che qualcuno ti stesse inseguendo»
«Quindi hai ben pensato di seguirmi a tua volta»
«Ehi, volevo solo assicurarmi che non ci fossero Terrestri nei paraggi» Il suo tono divenne più duro, ma poi si schiarì la gola prima di avvicinarsi a Clarke e sedersi accanto a lei.

Lei non si preoccupò neanche di asciugarsi le lacrime dato che ormai Bellamy l'aveva vista piangere, e di certo non poteva inventarsi delle scuse. Semplicemente si portò le gambe al petto e le cinse con le braccia, rannicchiandosi su se stessa prima di appoggiare la fronte sulle ginocchia e nascondere così il viso all'altro.
Dal canto suo, Bellamy accostò la schiena all'albero e poi lasciò cadere anche la testa all'indietro, in modo da poter scrutare il cielo che, grazie ai pochi rami, era chiaro e luminoso sopra di loro. Non disse niente, sapeva quando ad una persona serviva spazio e sapeva anche quando era il caso di evitare domande inutili. Lui stesso preferiva starsene per i fatti suoi, capiva Clarke, ma non poteva lasciarla da sola in balia di tutto ciò che in quel momento poteva essere lì ad osservarli.
La ragazza sospirò e alzò gli occhi ora privi di lacrime verso di lui, ma non parlò.
Fu solo quando Bellamy davvero non poté più sopportare lo sguardo fisso su di sé che decise di prendere parola.

«Che hai da fissare?»
«Stavo solo pensando a come sfrutterai il fatto di avermi vista piangere per i tuoi scopi personali»

Bellamy accennò un ghigno, ma scosse appena la testa.

«Effettivamente è una scena che mi terrò stretto... Sai, vedere la Principessa piangere è stata una cosa a dir poco inusuale e voglio conservare il ricordo» Lo disse con tono divertito, ma prima che Clarke potesse ribattere riprese parola. «Ma non sfrutterei mai questa cosa» Stavolta si fece serio, incrociando i loro sguardi. «So cosa significa dover essere forti per qualcun altro e dover soffocare le proprie debolezze»

Clarke lo osservò, le labbra dischiuse per la sorpresa. Avrebbe desiderato chiedergli che cosa intendesse, perché sembrava sapere cosa lei stesse provando, ma non volle indagare. Chiedere dei crimini commessi era un tabù tra i ragazzi e capiva che in qualche modo c'entrava con la cosa, ma forzare qualcuno a confessarsi non era giusto.
Deglutì e inspirò, annuendo appena prima che altre lacrime scendessero dai suoi occhi. Stavolta provò ad asciugarle subito, ma si scoprì di nuovo a piangere con più foga di prima, mentre i singhiozzi ormai avevano preso il sopravvento.
Bellamy rimase al suo fianco senza dire una parola, continuando ad osservare colei che, odiava ammetterlo, riusciva a mantenere unito e in vita quel gruppo di ragazzini. Sapeva che senza Clarke molti di loro sarebbero morti nei primi giorni e anche che senza di lei non sarebbero riusciti ad affrontare ciò che avrebbero incontrato in futuro. Era preziosa per tutti loro... ma non lo era solo perché capace e disponibile verso tutti, almeno non per lui.
Distolse lo sguardo da lei e tornò a scrutare gli alberi, ormai abituato a controllare i dintorni. Per fortuna, l'unica cosa che ancora rompeva il silenzio della foresta era il pianto sempre più sommesso di lei.

«E odio quando mi chiami Principessa»

Bellamy rise nel sentire dal nulla quell'affermazione.
Si alzò e si ripulì i pantaloni, quindi allungò una mano in direzione dell'altra per aiutarla a mettersi in piedi, ma Clarke fece tutto da sola. In un attimo si scosse di dosso il terriccio e si pulì come meglio poté le mani sugli abiti, quindi si assicurò di essersi asciutta le guance anche se gli occhi rimanevano un po' arrossati.
Per un istante si era dimenticato che anche se aveva pianto, Clarke rimaneva comunque tra tutti una delle più forti.

«Sai, pensavo tu fossi un'idiota senza cuore»

Bellamy si risentì un po' per quell'affermazione, ma non riuscì a contraddirla. Aveva dato quell'impressione proprio come aveva fatto Clarke, dimostrarsi forte. Era ovvio che lo pensasse, ed era meglio se continuava a farlo così come facevano gli altri. Non se la sentiva ancora di mostrare il suo vero io a persone sconosciute, soprattutto quando neanche riponeva fiducia nella maggior parte di quel gruppo, ma se c'era qualcuno di cui iniziava a fidarsi, era proprio quella ragazza... ma era ancora presto, troppo presto per lasciar cadere la maschera.

«Tranquilla, nel momento esatto in cui metteremo piede al campo, tornerò ad essere il tuo idiota senza cuore... Principessa» Fece un inchino teatrale e le accennò un sorrisetto.

Nello stesso momento, sulla labbra di lei si formò un sorriso aperto, sincero, come mai le aveva visto fare. Sentì il cuore perdere un battito e i suoi occhi soffermarsi sulla figura di lei che aveva ripreso a camminare, dandogli così le spalle. Per un attimo, la sua mente si era svuotata di ogni pensiero, e la cosa lo spaventava. Doveva smettere o sarebbe stato difficile continuare, non poteva mettere tra le mani di una ragazzina un potere così grande. L'aveva vista in lacrime, nascosta agli occhi di tutti, e l'immagine di una piccola Octavia si era sovrapposta a quella di Clarke per un attimo. Ma quella che vedeva adesso non era Octavia.
Era solo la ragazza che, dal giorno in cui erano atterrati, era irrotta nel suo mondo, frantumato ogni sicurezza e iniziato a distruggere ogni suo lato razionale.


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Piccola One-Shot scritta di getto su una coppia che ultimamente mi sta portando alla pazzia (in senso buono!). Un'idea nata dal niente, la voglia di scrivere su questi due ha fatto il tutto! Spero sia piaciuta e che sia stata una piacevole lettura! c:
  
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