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Autore: Blu_Polaris    19/02/2015    1 recensioni
Tito è un topolino con il sogno di volare e l' incubo di essere braccato dal Gufo. Tutto cambia quando, dopo una disavventura, incontra Diana, una meravigliosa gazza ladra che non sa volare ...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~~~~~Capitolo 6- Come petali di soffioni


Il sole tornò a splendere un po’ e con lui Tito e Ella decisero di uscire nuovamente. Diana si avviò con loro.
«Dove credi di andare tu?» chiese Saltabuche bloccandole la strada, i suoi ordini non potevano essere ignorati.
«TI prego, Saltaqualcosa… fammi andare. Non mi allenerò!».
La rana gracidò per il nervoso.
«Saltaqualcosa? Io sono Saltabuche... SALTABUCHE!».
«TI PREGO, SALTABUCHE!» chiese implorante all’ anfibio. La rana, che era di cuore tenero, le fece un cenno con la zampa palmata e viscida.
«Vai e divertiti!».
Diana fu così felice che afferrò Tito per il collo e se lo lanciò sulla schiena; stava per afferrare anche Ella ma questa, con un balzo, evitò la sua presa.
«Seguitemi!» esclamò iniziando a correre per il bosco. Diana riusciva a stargli dietro per miracolo ma corsero e corsero, saltarono grandi rami e superarono persino la quercia dove Diana era stata trovata la prima volta.
Oltrepassarono una roccia a forma di lupo che Tito non aveva mai visto.
Arrivarono di fronte a un bel salice piangente dal tronco nodoso e sghembo, i suoi lunghi rami ricadevano penduli su un prato stranamente verde. Dietro di esso, profondo come un abisso, c’era un gigantesco strapiombo. Diana ebbe un brivido osservando i cervi che brucavano quel po’ d’erba, da dove si trovava sembravano grosse formiche marroni.
«Qui c’è molto cibo! L’anno scorso ho trovato una bacca grande quanto la testa di Tito!» esclamò Ella immergendosi nel bel prato alto, poco lontano dal salice.
«Aspetta Ella! Che vuoi dire che era grande come la mia testa?» chiese Tito saltando giù da Diana e correndo verso l’amica.
«CHE HAI UNA TESTA ENORME, ecco cosa voglio dire!».
Diana zampettò allegra nell’erba mangiando semi e bacche secche, felice di poter mangiare qualcosa che non era razionata.
Tito ed Ella arrivarono alle pendici del bellissimo salice, la sua corteccia bianca sembrava voler luccicare.
«Wow, quant’è alto?» chiese Tito.
«Abbastanza»
«Abbastanza per cosa?»
«Per essere visto dall’ intero bosco…» Tito sentì quelle parole riecheggiargli nella testa e poi, con un brivido, gli toccarono il cuore: Erano le stesse identiche parole che, quasi tre mesi prima, gli aveva detto suo fratello alla base del grande e meraviglioso pino.
Il topino osservò l’amica.
«Scommetto che arrivo prima io in cima!».
Nella sua mente di topolino Tito pensava a suo fratello Ezio, tutto ciò che si erano detti adesso sembrava un vero e proprio percorso da seguire e lui l’avrebbe fatto!
Nella sua immaginazione Ezio era lì, in cima a quell’ albero pronto a dargli una risposta.
Tito si arrampicò con meno difficoltà del solito, forse quel correre e giocare per il bosco era servito a qualcosa? Ella correva veloce e leggiadra, sicura di dove mettere le zampe e, tra capriole e salti, riuscì a superare l’amico.
Quando fu a un paio di rami di distanza gli fece una linguaccia e saltò oltre le foglie e i rami più sottili, dove lo sguardo di Tito non arrivava.
«TITO! Vieni a vedere!» lo richiamò la topina bianca.
Il topo saltò con un po’ di difficoltà sui rami alti, con la coda riuscì a mantenere l’equilibrio e, con un piccolo passo verso l’alto, superò il muro di foglie che lo separava da Ella.
«Che succede?» chiese ma la topina non gli rispose, il suo sguardo era perso verso l’orizzonte oltre il crepaccio.
Tito osservò nella stessa direzione e rimase a bocca aperta.
C’era un mare di verde, giallo e marrone, mischiato in una miscela meravigliosa. Un cielo azzurro e con poche nuvole cotonate si dipingeva dolcemente nell’aria e, in quella stessa atmosfera, Tito vedeva meravigliosi uccelli colorati e sentiva il rumore di passi e cinguettii.
In quel momento si rese conto di essere ancora più piccolo di quanto già non era. Da lontano, piccolo piccolo, ad accogliere i raggi e il vento c’era un albero enorme: il pino!
Adesso che lo guardava bene si rese conto di quanto fosse verde e rigoglioso ma, soprattutto, di quanto fosse lontano.
«Wow … ma il pino è lontanissimo! È molto di più di un miglio! Riesco a malapena a vederlo!».
«Saltabuche Avrà sbagliato i conti, Tito… ho paura che se Diana non impara a fare il bravo pennuto tu non potrai mai tornare a casa … mi dispiace!». La solita voce di Ella, quella che diceva di non poter rischiare, riemerse dopo molto tempo.
«Diana imparerà. Vedrai!».
Da sotto le radici dell’albero la giovane gazza si stava cibando di grossi vermi viscidi. Da molto tempo non vedeva tanto verde e tanto cibo, simbolo che, in un modo o nell’ altro, tutto era ancora lì ma sopito, ad attendere la primavera.
Trovò un grosso masso e la coda piccola e sottile di un enorme verme. Un verme così grosso non l’aveva mai visto!
Con il suo becco l’afferrò e tirò con tutta la sua forza. Il grosso verme si girò e mostrò le sue vere sembianze: era una grossa biscia sopita per il freddo. I lunghi denti si allungarono, la brutta bocca violacea si spalancò e si avvicinò spaventosamente a Diana che, con un salto e una potente beccata tra gli occhi del serpente, l’allontanò.
La biscia salì velocemente sul salice.
«TITO! ELLA! SCENDETE! SCENDETE ORA!» gracchiò sbattendo forte l’unica ala buona ma, dall’alto del grosso albero, i topini non la sentivano. «RAGAZZI! SERPENTE!» continuò ma niente.
A quel punto il grosso rettile era a pochi centimetri dai due topini.
Ella si girò appena in tempo, con un urlo e un balzo corse via alla base del salice, afferrata al volo dalla gazza. «Dov’è Tito?» chiese.
«Lì su! Diana andiamo via!».
«NO!» e con un salto enorme arrivò su un ramo. Afferrò la coda del serpente e lo tirò via ma l’animale non cedette, aveva intrappolato Tito contro il tronco bianco del salice. Diana si mise tra i due, afferrò Tito e se lo mise sulla schiena.
Il serpente attaccò rapido ma la gazza gli saltò sul muso.
Il rettile si dimenò e riuscì a girarsi velocemente. Diana e Tito si ritrovarono su un ramo gracile, sotto di loro c’era il vuoto del precipizio. Tito poté vedere i cervi piccoli come formiche.
Il serpente si lanciò di nuovo all’ attacco ma Diana fu più veloce: saltò in alto facendo cadere il serpente nel precipizio.
 La sua inesorabile caduta fu una gioia per i due amici.
«AH! Ti ho fregato!» disse Diana atterrando sul ramo che, appena ricevette il peso, si spezzò.
Caddero.
«NON POTEVI STARTI ZITTA, VERO?» le urlò Tito stringendosi alle piume del collo.
Caddero in un turbinio di giravolte sconnesse e capriole mal ferme.
«TOGLIMI LA BENDA!» ordinò la gazza e Tito, con i piccoli denti appuntiti si allungò e morse forte la fasciatura improvvisata. Diana la vide volare verso l’alto in mille piccoli pezzi, come i petali dei soffioni.
«FATTO!».
La gazza inarcò la schiena e si mise dritta, parallela alla parete scoscesa. Quando vide che ormai i cervi che pascolavano erano diventati grandi e grossi, aprì le ali che si gonfiarono d’aria. 
Quelle ali che avevano appena imparato a destreggiarsi nel volo sembravano solcare i cieli da sempre.
Le piume nere e bianche si spiegavano e si adattavano al vento e la coda, lunga e nera, adesso sembrava emanare riflessi verdi e blu ad ogni raggio di sole che ne colpiva la superficie. Il volo continuò soave, le ali aperte accoglievano il vento e, a intervalli regolari, battevano con un fruscio lieve.
Tito non poteva credere a ciò che vedeva. Stava volando su, nel cielo, oltre le fronde degl’alberi. Sotto di lui correvano via erba e pozzanghere ma anche i suoi pensieri.
Essere un uccello doveva essere magnifico!
Tito pensò a quando lui e Ezio erano stati sui rami più alti del pino e avevano immaginato di volare. Questo però era differente, era lasciare tutto, persino la gravità stessa, e seguire il cuore.
Diana volò per tutta la parete del precipizio poi, dopo aver volato sopra al grande salice e oltre la quercia, scese di quota e, quando fu vicino al terreno, allungò le zampe e atterrò con grazia.
Tito non scese, con il fiatone per l’emozione.
  «Rifacciamolo!».
«EI! Io non sono un aereo! Sbottò Diana, le piume si erano arruffate tutte.
«Cos’è un aereo?» chiese Tito.
Diana rimase sorpresa e per una manciata di secondi pensò a come spiegare all’ amico cosa fosse effettivamente.
«Un aereo è un grosso uccello di metallo, lo usano gli umani per volare. Lontano; oltre le nuvole e le terre».
«Sì! Li ho visti! Migrano lontano e volano in alto molto più di qualunque altro uccello».
«Beh, forse per questa volta, potrei fare un eccezione. Dai, è troppo bello! Sali!».
Dall’ alto, oltre il casolare, c’era un mondo da vedere.
Tito osservò da lì il pino gigantesco. Potrà aspettare, pensò. E volò, oltre, nelle grandi, gigantesche valli.

 


Allora, capitolo 6! Mai e poi mai avrei creduto di riuscire ad avere tutte queste visite. Ovviamente il nostro piccolo Tito è ormai pronto a spiccare il volo nel grande cielo. Riuscirà a tornare a casa? Si arrenderà? … ok, sembra una trovata pubblicitaria! Grazie dell’appoggio e delle meravigliose recensioni!
Curiosità: la storia è ambientata verso la fine degl’anni 50 quando le piccole zone boscose non erano ancora state bonificate del tutto. Può non avere senso ma prima che iniziassi a scrivere mi pareva un idea valida XD

   
 
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