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Autore: InsurgentMusketeer    21/02/2015    3 recensioni
- “Non intendevo offendervi”, replicò il moschettiere rispettosamente, “ma ognuno ha il suo posto nel mondo e, in tutta sincerità, non credo che quello dei moschettieri sia il vostro.”
- "Vi è mai successa una cosa come questa? Rifiutare il distacco da una persona cara, rifiutarlo al punto da non renderle neanche una visita. Ma lei sarebbe stata d'accordo. E' qui che preferisco ritrovarla.”
- “Con chi credi di parlare, brutto idiota?!” esplose la ragazza spingendolo indietro con tutta la sua forza. L'uomo dondolò all'indietro e cadde a terra come un sasso, lasciando al suo posto un rumore sordo e cupo.
Una ragazza, quattro moschettieri, una Parigi stretta nella morsa di mille segreti e strategie. Tra gli inganni orditi dal Cardinale Richelieu e il Conte di Rochefort, questa volta, i valorosi soldati di Tréville non saranno soli: il capitano ha ingaggiato per loro un aiuto molto, molto speciale.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando la principessa Maria Cristina udì in lontananza gli zoccoli rampanti dei cavalli che, rombando in gruppo, si facevano via via più nitidi e distinguibili, ebbe una stretta al cuore che in un primo, confuso momento, non seppe come interpretare. Poi si convinse del fatto che fosse semplice nostalgia: arrossiva ad ammetterlo, ma la vita fuori dalla corte non era poi così terribile, anzi.

Ripose la tenda davanti alla finestra dopo averla scostata e riunì le mani in grembo, pensierosa. Suo fratello Luigi le avrebbe chiesto conto di quei pochi giorni trascorsi lontano da casa e la sua famiglia doveva essere impegnata in ricerche affannose. Non aveva detto a nessuno che si sarebbe recata a Parigi e si sentì profondamente in colpa. Era molto legata a suo fratello maggiore, per qualche motivo era l'unico tra tutti i fratelli col quale avesse un legame più profondo, e perciò ne temeva la reazione. Si sentì di colpo come una bambina che aspetta la punizione, ma si giustificò presto: era stata vittima di un inganno ordito con astuzia, di cui neanche il più scaltro dei francesi sarebbe riuscito a raccapezzarsi. E quel povero Padre Alain, chissà quanto si stava struggendo per la sua scomparsa? Che buon uomo, pensò, voglia il Cielo che non sia troppo duro con se stesso per ciò che era accaduto.

Stringendo le labbra, finse di star risistemando alcune stoffe sul tavolo della cucina scaldata dal tiepido sole della stagione, quando i moschettieri entrarono in casa di Bonacieux. Il merciaio non era lì, ma Constance, quella donna così mite e materna che l'aveva accolta con benevolenza e calore corse alla porta senza negarle un sorriso. Maria Cristina, che non era il tipo di aristocratico che tratta con sufficienza e scanso il popolo, non confuse mai la sua premura con la devozione obbligata di un suddito.

Porthos, Aramis e D'Artagnan entrarono in casa con un'espressione neutra, ma solenne.

“Buongiorno, principessa”, salutò il bel giovane con i lunghi e folti baffi chiamato Aramis, sollevando il cappello, “siete entusiasta di tornare a palazzo?”
La giovane fece un sorriso imbarazzato e chinò il volto.

“Bè, ecco.. per certi versi, insomma.”
D'Artagnan fece un largo sorriso quando la principessa e Constance si scambiarono uno sguardo:
“Preparate i vostri effetti personali, se ne avete, dobbiamo incamminarci.”
La ragazza non era riuscita a recuperare nulla dal convento e i moschettieri colsero la sua espressione tesa.

“Qualcosa non va?” domandò Porthos.

“Oh, nulla, ho soltanto.. bè, ho soltanto i miei effetti al convento.”
“Faremo in modo di farveli avere al più presto, principessa.”
Un pensiero le affiorò alla mente.

“La ragazza che mi portò qui quella sera.. Non è con voi?”
Aramis sorrise:
“Oh, bè, lei è.. Impegnata su altri fronti, al momento. Ma ha promesso che farà il possibile per portarvi un saluto.”
La principessa annuì felice e con gli occhi vispi:

“Mi ha detto di non essere un moschettiere.”
“Oh, no, lei detesta essere chiamata moschettiere”, rise D'Artagnan.
“Non sono ancora riuscita a ringraziarla come conviene.”

Aramis annuì.
“Mi ha pregato di dirvi di non allontanarvi più da casa senza notizie certe. Parigi può diventare pericolosa.”
“Già”, rispose a voce bassa, tornando con la mente a quella terribile e afosa notte in taverna, “ha davvero ragione.”
“Fate buon viaggio, principessa”, le disse Constance adagiandole una mantella leggera sulle spalle, “e abbiate cura di voi.”
Maria Cristina le sorrise commossa e l'abbracciò con vigore. Qualche minuto più tardi, lasciava casa dei Bonacieux insieme ai moschettieri.

 

 

 

 

 

La folla sembrava più attiva che mai per le strade della città. Gente senza sosta brulicava a destra e a manca perduta nei più contorti pensieri. L'aria era calda e foriera di buone nuove, sembrava quasi arrivata la primavera e il sole si era fatto largo tra le nuvole candide e pigre in un cielo blu senza sbavature di maltempo e grigiori. Athos ed Elly s'incamminavano senza dare troppo nell'occhio, venendo sistematicamente travolti da una serie di passanti a gran velocità.

“Ma che hanno tutti, oggi?” chiese Elly infastidita, senza risparmiarsi di restituire gomitate.

“Una piccola festa popolare tra qualche ora”, rispose Athos, lo spallaccio che s'impigliava sulle mantelle delle donne di passaggio, “balli, canti e confusione. Tra poco la bolgia s'ingrandirà a dismisura, dobbiamo sbrigarci.”
Elly ripensava al mercenario morto nella cantina con un ribollire impetuoso di rabbia e pentimento. Gli si era rivolta così male, l'ultima volta, che quasi pensò di non essere in pace con la sua anima ormai assopita nella penombra in cui lei e Athos lo avevano trovato. Ebbe una fitta di rimorsi così palpabile e umana che le affiorò su un labbro che si contorse in una smorfia pensierosa.

Athos coglieva ogni dettaglio dei suoi movimenti sinuosi e fluenti, da donna, semplici ma decisi. Si distraeva con piacere ad inspirare il profumo che la ragazza aveva addosso e si chiese come fosse possibile che in mezzo a tanta folla, gli unici corpi che non erano ancora riusciti a sfiorarsi fossero proprio i loro.

All'incrocio fra la Rue du Cheval e una piccola bottega davanti la cui entrata una giovane donna ramazzava energicamente, Athos riconobbe la figura alta e sconnessa di Padre Alain che s'insinuava disperdendosi in mezzo al mare di folla. Sentendosi un brivido trapassargli le tempie, afferrò la mano di Elly che ebbe un sussulto.

“Che c'è?” chiese la ragazza aggrottando le sopracciglia scure.

Athos le fece cenno con la testa nella direzione in cui il prete camminava spedito e frettoloso. Elly fece uno scatto in avanti, ma il moschettiere la trattenne.

“Dobbiamo procedere con cautela.”
“Ma ce lo faremo scappare!”
Athos scosse la testa.

“Dobbiamo scoprire se c'è qualcuno che collabora con lui. In silenzio.
Elly sbuffò annoiata e si sentì ridicola quando in mezzo alla folla brulicante, lei e il moschettiere si mossero lenti e camaleontici come due ladri verso l'incrocio.

Nonostante il sole splendente, il buio avvolgeva l'interno del vicolo in cui il sacerdote si era introdotto. Procedettero con calma riuscendo ad attutire al massimo consentito l'impatto tra gli stivali e la strada. Senza perdere di vista Padre Alain che si avviava verso l'uscita che dava in uno sterminato campo di grano, Athos ed Elly trattenevano il respiro chiedendosi se gli altri fossero già arrivati a Palazzo.

Sorreggendo il peso dei propri pensieri e mantenendo in tensione i fili argentei delle sue trappole, Milady De Winter osservava da non troppo lontano la distanza coperta fra Padre Alain, Elly e Athos. Dalla posizione che occupava riusciva a percepire solo il proprio respiro e si considerò, ancora una volta, una privilegiata. Tre destini nelle sue mani, con la certezza assoluta di quelli da intralciare. Su cui decidere.

La ragazza era incredibilmente sopravvissuta al curaro. Padre Alain, oltre a essere un cultore delle religioni e un nativo turco trapiantato sapientemente a Parigi da anni, aveva sviluppato un enorme interesse per i veleni. Era uno dei più esperti in circolazione e l'identità che si occupava di quella strana passione non era certo quella del prete. Godeva della possibilità di mirabolanti travestimenti e altrettanti nomi, diventava persone diverse nei più diversi momenti della giornata. Chissà, forse nessuno di quelli di cui usufruiva era il suo vero nome. Era anche per quella sua versatilità che il Cardinale lo aveva ingaggiato per molti compiti delicati: non avrebbe potuto affidarsi a una persona migliore. Eppure, i moschettieri ne erano usciti ancora una volta in maniera esemplare, come in un salto fuori dalle fiamme di una casa incendiata. Cercò a lungo di provare qualcosa in fondo al cuore, osservando la complicità di Athos e Elly muoversi come un'unica persona, qualcosa in più del vuoto che avvolgeva ormai da tempo il nome di colui che un tempo era stato suo marito. Non un battito in più, non l'ombra di un'indignazione: solo una grande distesa di sabbia che eclissava i pensieri, i ricordi, il passato.

Avanzò in direzione di Padre Alain notando le ombre dei due in avvicinamento. Sfiorò impercettibilmente la sua tunica e il sacerdote voltò di scatto la faccia ossuta verso di lei.

“Cosa ci fate, qui?”
Milady allargò le labbra carnose in un sorriso soddisfatto.

“Vi salvo la vita, padre.
L'uomo si accigliò senza capire.

“Che cosa..”
“Stanno arrivando i moschettieri e la ragazza è sopravvissuta. È opportuno correre ai ripari.”

Le pupille di Padre Alain si espansero fino a coprire l'iride chiaro e slavato in un moto di stupore. Non rispose nulla e prestò fede alle parole della donna.

Dalla sua postazione, Athos riusciva a vedere con fatica il corpo fermo del prete in lontananza. Strinse gli occhi per metterlo meglio a fuoco, eppure non riuscì a capire perchè fosse fermo in quell'angolo da qualche minuto.

“Sta parlando con qualcuno?”, gli sussurrò Elly sul collo, facendogli fiorire qualche brivido.

“Non c'è nessuno con lui. Forse sta solo aspettando qualcuno. O qualcosa.”

Elly strinse le labbra, in attesa.

Padre Alain diede un paio di passi e la ragazza afferrò la casacca pesante del moschettiere, rimettendolo in moto. La distanza si stava accorciando impercettibilmente o forse era Athos a immaginarla più ristretta. La sintesi dello spazio si faceva più confusa ad ogni avanzamento e si convinse che i sospetti di Elly erano più che fondati: non l'avrebbe mai ammesso con lei, ma quell'uomo era misterioso. Forse troppo.

Elly si sentì appesantita all'improvviso: per un lungo lasso di tempo attribuì la colpa all'agitazione e al troppo silenzio del vicolo che strideva contro il vociare insistente della piazza, fino a quando l'aria dietro di lei si mosse in maniera sospetta.

Lei e Athos fecero in tempo soltanto a sentire una sferzata sibilante. Elly si girò di scatto e col cuore in gola incontrò una faccia gretta e aggressiva che puntava la sua testa con un martello scheggiato e avvolto dalla ruggine. Rimase paralizzata dalla paura, mescolando nella testa l'incredulità di non essersi accorta di quella presenza ingombrante e la paura che l'immobilizzava. L'uomo emise un ringhio e caricò il martello in avanti con entrambe le mani grosse chiuse attorno al manico. Athos si piantonò fra lei e il misterioso aggressore e lo fermò in quella posizione, trapassandogli lo spesso addome con la spada in una manciata di secondi. L'uomo sbarrò gli occhi e dietro di lui lasciò cadere il martello. Cadde all'indietro con un silenzio inquietante e il sangue brillò sulla lama lucente di Athos.

“E..e questo chi accidenti era?” articolò Elly, il fiato corto e il cuore che pulsava impazzito ai lati del collo.

“Non ne ho idea. Ma sarà meglio che..”

La frase gli morì in gola. Due poderose braccia gli cinsero il collo e le spalle trattenendogli con forza le spalle e la testa. Per una frazione di secondo gli sembrò che un colpo l'avesse paralizzato.

“Athos!” sentì gridare Elly che si avventò contro l'uomo con forza e lo feriva sulle braccia con la spada per fargli lasciare la presa. Quando l'uomo liberò Athos dalla stretta, il moschettiere vide arrivare in corsa altri quattro uomini in preda alle urla ed armati con i più improbabili degli oggetti. Rastrelli, piccoli coltelli, pietre. Nell'attimo prima dello scontro, Athos asciugò via il sudore dalla fronte e si rese conto che Padre Alain si era accorto della loro presenza. Ma i suoi complici erano tutt'altro rispetto a ciò che si sarebbe mai aspettato da un uomo astuto e pronto a tutto come lui.

Si scambiò una veloce occhiata con la ragazza, che parve leggergli nel pensiero.

“Ci faranno a pezzi.”
“Li faremo a pezzi noi per primi.”
“Noi? Io e te?”
“Che c'è, non ti fidi?”
“Athos, guardali!”

Per tutta risposta, il moschettiere tirò fuori il pugnale e lo incrociò alla spada, poi si lanciò verso gli aggressori lasciando Elly in preda al terrore.

“Tu sei pazzo, hai capito? Sei pazzo!”

Senza attendere la sua risposta, lo seguì in corsa e attaccò con tutte le sue forze. Gli uomini che li avevano aggrediti urlando erano tanti, grossi e infuriati senza un preciso motivo, ma dopo appena un minuto, da tanti divennero troppi. Elly e Athos si difesero a colpi di spada senza demordere mai tra le mura rabbuiate e coperte di muschio del vicolo, abbatterono con facilità e agilità i primi, aggredirono con pugni, calci, sferzate di spada, pugnalate e testate, ma la fatica prese il sopravvento su di loro mescolandosi al terrore, quando in lontananza si stagliarono altri uomini, tutti grossi, alti e incredibilmente veloci. Elly respirava a fatica e si affiancò al moschettiere indietreggiando.

“Athos, corriamo”, disse, “raggiungiamo Padre Alain, ci stanno soltanto distraendo.”

“Va' avanti tu”, le disse in un soffio, “io li trattengo ancora per un po'.”
“Scordatelo, non ti lascio solo.”
“Non abbiamo scelta.”
“Sì che ce l'abbiamo! Se seguo Padre Alain da sola avrò comunque la possibilità che almeno due di loro mi inseguano. Sono troppi!”
Athos e la ragazza si scambiarono un'occhiata intensa e le urla degli aggressori si fecero più nitide. Con un balzo, Athos saltò indietro e corse fino all'angolo dietro cui era sparito Padre Alain rimasto immobile fino a qualche minuto prima. Si guardarono indietro per il tempo necessario a osservare la distanza messa tra loro e gli uomini misteriosi, quando qualcosa si interpose violentemente tra loro e Padre Alain, sempre più lontano da loro. Altri uomini dei quali non distinse i lineamenti bloccarono Athos ed Elly con violenza senza lasciare loro scampo. Elly si contorse con rabbia tra le braccia del carceriere e l'uomo grosso e coi capelli unti attaccati alla fronte che sfioravano i capelli non ebbe nessuna cura nello strattonarla con forza. La ragazza urlò di dolore.

Athos ringhiò a quel richiamo che gli bruciò sotto la pelle e scattò in avanti liberandosi della stretta dei due uomini che lo tenevano. Si avvicinò con un balzo all'uomo che tratteneva Elly e senza che neanche se ne accorgesse, gli scaricò un pugno alla velocità della luce in pieno naso.

“Non azzardarti a toccarla!”

Elly si coprì la spalla dolorante con l'altra mano e non fece in tempo a guardare gli occhi furibondi di Athos che ancora una volta era intervenuto per lei, che entrambi furono invasi da una marea incontenibile di uomini armati ancora una volta con le munizioni più improbabili, si opposero finchè le forze non vennero a mancare e, con le braccia trattenute dietro la schiena, i misteriosi aggressori decretarono la loro resa.

“Lasciami, bastardo!” ringhiava Elly tra i denti, gli occhi accesi in un vortice di rabbia incontenibile.

“Per chi lavorate?” domandò Athos a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti loro. Capì troppo tardi che molti di loro erano probabilmente turchi come il loro prigioniero, addestrati solo a massacrare a comando senza comprendere una sola parola di francese.

Camminarono in silenzio marcati stretti dai loro silenziosi carcerieri per molti metri. Non riuscirono a scambiarsi una sola occhiata e tutto ciò che avevano davanti agli occhi era un'enorme distesa di erba alta e malcurata. Stavano uscendo dalla città attraverso un passaggio che nessuno di loro due aveva mai considerato in tutta Parigi. Padre Alain doveva conoscere davvero bene i maledetti buchi che gli erano serviti per i suoi colpi di stato. Chissà, pensò Elly con un brivido arrampicato su per la schiena, in quante altre maledette trappole era implicato quell'uomo senza una vera identità. Aveva imparato a temere gli uomini che non si possono collocare in nessuna categoria: erano quelli che potevano essere tutto e niente allo stesso tempo, difficili da agguantare e ancor più complicati da incastrare, scivolosi come olio tra le dita.

Con i polsi stretti nelle mani grosse dei tirapiedi di Padre Alain, Elly cominciò ad avvertire dolore nello stesso momento in cui davanti a loro si stagliò un vecchio castello di modeste proporzioni. La marcia monotona dei passi degli uomini misteriosi le aveva dato soltanto il tempo di maledirsi per la mancata organizzazione di cui lei e Athos avevano peccato, ma si perdonò poco dopo, perchè forse non avrebbero sopraffatto gli aggressori nemmeno con Aramis, Porthos e D'Artagnan al fianco. Erano troppi, troppo aggressivi e troppo grossi e nessuno di loro due aveva potuto sparargli. Troppo vicini al centro e troppo alto il rischio di sommosse che avrebbero favorito ancora di più la dispersione delle tracce del prete. O qualsiasi cosa lui fosse.

Athos incrociò gli occhi di Elly che nel frattempo cercò di capire quanto fossero lontani dalla città. Un groppo in gola le complicò la deglutizione e si accorse che Athos era in procinto di farsi la stessa domanda. Il castello doveva essere appartenuto a una qualche casata caduta in bassa fortuna, le crepe erano enormi ed evidenti e tutt'intorno il silenzio lo rendeva ancora più inquietante e solitario.

Il sole trafiggeva le pietre mancanti nell'arcata dell'ingresso e qualche pianta selvatica spuntava a ciuffi dal rudere in disuso. Per terra alcuni sassi cadevano sordi lasciando una gran polvere al loro posto e un paio di spaventati piccoli serpenti strisciava sibilando da un lato all'altro del cortile del castello, lasciando per terra solchi ondulati e precisi.

Elly strattonò forte i polsi per liberarsi dalla stretta e aspettando una minuscola distrazione dell'uomo che la marcava stretta, tirò indietro la testa con violenza e la sbattè contro la fronte di lui. Lui mugolò dolorante e quando la ragazza si fu sciolta dalla presa posò istintivamente la mano sul fianco sinistro alla ricerca della spada. Col terrore che si propagava in tutto il corpo, realizzò di averla lasciata nel vicolo, per terra, al momento dell'aggressione confusa. Athos disarmò l'uomo che lo teneva stretto e lo colpì con il dorso della mano sulla giugulare, lasciandolo crollare a terra senza un solo lamento. Vennero riagguantati con vigore dagli altri cinque uomini dietro di loro e l'uomo col naso sanguinante e violaceo dopo la testata di Elly, grugnì rabbioso brandendo una mano aperta contro il suo viso. Le afferrò la mandibola con vigore ed Elly avvertì un dolore acuto e martellante. Con le ultime forze che le erano rimaste, azzannò il bruto con tutta la forza che riuscì a mettere nei denti mentre Athos si dimenava con poderosi calci senza riuscire a scansare le strette dei tre uomini possenti che lo avevano accerchiato.

Il misterioso aggressore urlò di dolore dopo il morso della ragazza ma non fece in tempo ad aggredirla nuovamente, che una voce conosciuta in un tono e in un'occasione diversa da quella, riempì l'aria circostante.

“Neanche il curaro ti ha fatto abbassare quella cresta presuntuosa, non è vero, ragazza?”
Padre Alain sfoggiava di fronte a loro il suo sorriso più tronfio e vittorioso. Era così diverso dal sacerdote mite che lasciava tremare il rosario tra le dita qualche giorno prima, alla guarnigione. La ragazza sputò ai suoi piedi in un moto di rabbia:
“Ci vuole molto più di una misera dose del tuo vomitevole veleno, per mettermi al tappeto, sporco traditore.”
Lui sghignazzò.

“Già, mi sono subito accorto di dovermi guardare le spalle da quella tua lingua odiosa.”
“Dovrai guardarti le spalle dalla mia spada, quando riuscirò a metterti le mani addosso, cane rognoso.”
Il sacerdote sciolse le braccia strette in petto e fece una smorfia infastidita.

“Non sono affatto incline ad accettare certe espressioni da una donna.
La ragazza scattò in avanti come un toro infuriato e l'uomo dietro di lei la trattenne.

“Mi fai schifo. Sei un lurido traditore della Corona e morirai per questo.”

Scandì le ultime parole con dovizia e crudeltà. Athos tirò un calcio poderoso dietro di sé senza smettere di rimanere affascinato dalle parole della ragazza. Quando fu libero dalla presa, parlò al prete.

“Arrendetevi, chiunque voi siate. Non avete scampo, qui a Parigi.”
L'uomo, con la faccia più scavata del solito, durante una risata rispose con calma.

“Davvero credete che io abbia intenzione di rimanere a Parigi, conte De La Fére?”
Athos aggrottò la fronte, colto di sorpresa di fronte a quell'appellativo. Come faceva a sapere?
“Questo posto salterà in aria fra qualche ora”, proseguì Alain indicando maestosamente le mura che li circondavano, “un grosso carico di polvere da sparo è posizionato proprio in questo rudere. Ah, non cercate di rintracciarlo, non ci riuscireste mai. Io raggiungerò il Palazzo Reale in tutta tranquillità e coglierò di sorpresa il Re, la Regina e la principessa Maria Cristina. Oh, quel magnifico uomo che è il Cardinale, mi ha fornito le piante più dettagliate che potessi desiderare. Un eccellente pianificatore, il migliore. Ho passato mesi a studiare quelle piante. E dopo che la famiglia reale sarà stata spazzata via, nessuno saprà più nulla del mite Padre Alain, scomparso misteriosamente dopo una sommossa.”
Fece una piccola pausa.

“..Neppure i moschettieri, di cui due saranno tragicamente morti sotto le macerie di un castello malandato e gli altri tre periti valorosamente in battaglia, contro miriadi di ribelli insoddisfatti dal regime.”

Elly si sentì invadere dalla paura. Guardò Athos che parlò senza rifletterci neppure un attimo su.

“Lasciatela andare. Penserò io a sistemare la questione, lei non c'entra.”
“Athos!”
“Lei non è un moschettiere. Lasciatela fuori da tutto questo.”
“Athos, piantala!”
“Sarete anche un capace stratega, Alain, ma come uomo lasciate molto a desiderare. Lasciate libera la ragazza, e io cambierò idea sul vostro conto. Da uomo a uomo.”

Alain lasciò correre lo sguardo da Elly ad Athos e mentre il silenzio riempiva i varchi vuoti, Milady affiancava il prete con la solita, eterea eleganza.

“Tu..” sussurrò Athos quando i loro sguardi s'incrociarono senza lasciar emergere alcun sentimento, “me l'aspettavo.”
“Ne ero certa”, commentò quella che un tempo era stata sua moglie, “non è certo la prima volta, che ci incontriamo.”
“Credevo avessi toccato il fondo molto tempo fa. Ma mi sbagliavo.”

Lei fece un sorriso mite:
“Solo gli stolti possono credere che ci sia un fondo da toccare.”
“Ha ragione”, intervenne Elly avanzando piano verso di lei, lasciandosi aggredire dalla furia covata sin dal loro primo incontro, “ci sono così tanti di quei fondi da toccare che nemmeno lei può vantarsi d'aver completato la lista.”
Milady piantò gli occhi nei suoi, blu, profondi, così tondi e rabbiosi. Sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori e diede un'occhiata fugace al braccio che le aveva colpito. Era avvolto da una fasciatura stretta e bianca come la pelle di quella giovane donna, così minuta eppure avvolta da infiniti e scoppiettanti fasci d'energia inesauribile. Non nascose a se stessa che un fremito violento le trapassò la schiena, quando la ragazza l'affrontò con quell'astio.

“Vi trovo bene, Elly cara.”
“Non va certo a vostro vantaggio. Abbiamo un conto da regolare, noi due.”

Milady inspirò:
“Sicura di non ripensarci?”
“Vi avevo messa in guardia, ma la vostra stoltezza vi ha portata a sfidarmi. Adesso non avrete che da perderci.”
“Avete retto bene il veleno. Sono ammirata.”

Elly fece una smorfia:
“Potete star certa che avrei corso molti più rischi di morire se mi aveste morsa, piuttosto che con quel po' di curaro.”

Milady non rispose al sibilo rabbioso e sarcastico della ragazza e fece soltanto un cenno ad Alain che l'afferrò per un braccio. La ragazza scattò come una lepre e piantò con violenza uno schiaffo in piena faccia al prete che rimase con il volto contorto per qualche secondo. Quando si risollevò dall'impatto, fece per afferrare i capelli della ragazza, ma Athos intervenne bloccando il suo polso con una stretta che fece storcere di dolore il labbro al prete. Gli ringhiò in faccia ed Elly rimase a fissare la sua schiena con un sussulto. Odiava i suoi modi di fare, odiava che non la stesse mai a sentire, ma ad ogni schizzo lucente di odio, senza sapere come, s'innamorava di lui sempre di più.

“Vi ho già detto di lasciarla andare”, disse Athos in un sussurro, a un passo dal naso aquilino del criminale, “fatelo, e non avrete di che pentirvi.”
“Mai”, ribattè l'uomo senza indugio, “questa ragazza è un pericolo per me. Tacete, conte, è a voi che conviene.”
Poi si liberò con disprezzo dalla presa e fece un cenno agli uomini grossi e nerboruti che agguantarono nuovamente i due.

“Portateli in cella”, disse gelido. Elly sentì ghiacciarsi le viscere e i carcerieri li condussero in una stanza remota e distante metri e metri, buia, senza lasciar loro il tempo di pensare.

La cella era poco più grande di una stanza, era umida e la ragazza fece appena in tempo a rendersi conto inorridita che la porta era di pietra, pesante, antica, con una chiusura arrugginita che perfino i tirapiedi di Alain avevano difficoltà ad aprire e chiudere. Quando sbatterono entrambi dentro, Athos notò con un brivido che il soffitto era terribilmente basso. Non c'era una candela né una minuscola presa d'aria, non una finestra o uno sprazzo di sole. Lì dentro, con il penetrante odore di umido e chiuso, sembrava già notte.

“Buona permanenza”, ridacchiò un uomo alto, con le mani enormi e la testa pelata che brillava. Il suo sorriso sdentato fu l'ultima cosa che videro prima che la grossa porta di pietra si richiudesse davanti a loro. Elly esplose in un ringhio nervoso e si avventò sulla porta tirando calci e pugni senza sosta.

“Tornate subito indietro, infami! Dove accidenti credete di andare? Vi farò a pezzi quando metterò piede fuori di qui, vi pesterò la testa sotto i piedi e vi farò ingoiare tutti i denti, avete sentito? Mi avete sentito?!”

Continuò ad accanirsi alla porta col fiatone.

“Siete dei cani bastardi! Troppo facile, così! Morirete fucilati contro un muro e impiccati alle porte della città! Ballerò sotto i vostri schifosi cadaveri pendenti e vi farò divorare dai cani mentre sarete ancora agonizzanti! E..e poi..e poi darò fuoco alle vostre case mentre le vostre orribili facce spariranno dalla faccia della terra per sempre e diventerete concime per il terreno! Maledetti figli di una grandissima..”

“Basta così col teatro epico, Elly”, la interruppe Athos atono, “tanto non torneranno.”
La ragazza abbassò lo sguardo con un sospiro e piantò la schiena contro la parete, scivolando in silenzio a sedere per terra. Athos aveva ragione, e anche Padre Alain: sarebbero morti lì dentro e quei momenti furono i primi in cui cominciò a convincersene. Non si poteva sopravvivere a tutto.

Raccolse le ginocchia tra le braccia e guardò il moschettiere: fino a due giorni fa, quella situazione sarebbe stata un incubo e forse in un certo senso lo era ancora per colpa dell'ordine di Tréville. Non era mai riuscita ad essere una ragazza romantica, ma avrebbe giurato che in qualche modo, con Athos, avrebbe potuto provarci. Invece, quella circostanza aveva del tragicomico: lei e l'uomo a cui aveva dichiarato i suoi sentimenti in preda alle turbe dell'alcool, davanti ad altri tre moschettieri e senza possibilità di tornare indietro e rimediare, adesso erano chiusi in una cella di pietra vecchia di secoli a chilometri dalla città, senza che nessuno dei loro compagni lo sapesse e col rimorso costante di non poterli proteggere dal pericolo imminente: Porthos, Aramis e D'Artagnan erano brillanti e forti, ma l'apparizione a corte di Alain con relativi tirapiedi sarebbe stata una pessima sorpresa anche per loro, che lo credevano al sicuro nelle sue mani e in quelle di Athos.

Il moschettiere si levò in piedi e ispezionò a fondo la cella. Toccò le pietre dei muri lisci osservando rivoli di acqua sporca scivolare giù lungo le pareti senza impegno. Pose a lungo l'orecchio oltre il muro alla ricerca di una via d'uscita.

“Che stai facendo?” gli chiese Elly ascoltando il proprio eco nella stanza.

“Cerco di capire se si può uscire da qualche parte.”
“E' tutto di pietra, qui dentro. Non riusciremmo a uscire neanche se..”
“Shhh!”

Udirono dei passi e Athos si staccò dalla parete. Gli occhi truci di uno degli uomini di Alain si affacciarono dalla guardiola della porta facendo sussultare Elly.

“Siamo vicini. Molto vicini, moschettieri”, minacciò la voce dietro la porta.

“Io non sono un moschettiere”, ringhiò la ragazza piantando un pugno sulla porta pesante.

L'uomo si allontanò in fretta senza rispondere e Elly guardò Athos.

“Fanno la ronda”, gli sussurrò avvicinandosi a lui, “dobbiamo capire ogni quanto tempo passano da qui.”

“Qui dentro sembra impossibile che il tempo passi. Ma dobbiamo provarci.”

“Pensi davvero che riusciremo a uscire da qui?”
Athos l'afferrò per le braccia con una stretta forte e la guardò negli occhi. Il suo stomaco si mosse rapidamente.

“Dobbiamo. A qualunque costo. Aramis, Porthos e D'Artagnan sono impreparati al loro arrivo e non c'è nessuno che li copra.”
Elly s'immaginò la scena che Alain aveva prospettato e quasi si vergognò ad ammettere che un mare di grosse lacrime le affiorarono in fretta agli occhi. Non aveva mai avuto così paura per qualcuno come adesso ne aveva per i suoi amici. Tutto ciò che per lei ora somigliava a una famiglia.

Annuì al moschettiere e trovò perfino il tempo di sentirsi sobbalzare il cuore quando Athos, abbassando le braccia dalle sue spalle, sfiorò la sua mano con la propria.

Aspettarono minuziosamente e riuscirono a calcolare a fatica una distanza di circa dieci minuti fra una visita e l'altra dei carcerieri. Una volta ogni dieci minuti, un paio di occhi diversi si affacciavano alla guardiola umida e arrugginita dal tempo e dall'acqua stagnante.

“Sono molto precisi”, commentò Athos senza smettere di andare avanti e indietro lungo la cella.

Elly lo aiutò a ispezionare la cella da cima a fondo e dopo due turni di ronda, in fondo all'angolo della stanza, la ragazza notò con un sussulto al cuore un minuscolo raggio di luce irradiare qualche centimetro del pavimento.

“Athos!” disse con la voce strozzata, tappandosi la bocca per non urlare. Il moschettiere la raggiunse speranzoso e i suoi occhi blu s'illuminarono alla vista di quel piccolo, preziosissimo raggio di sole.

Diedero un'occhiata insieme alla porta e senza doversi accordare, Elly corse alla porta per ascoltare i soliti passi. Erano ancora lontani e tornò indietro rapidamente.

“Qui l'acqua è stata particolarmente insistente e ha marcito qualche tratto”, sussurrò Athos, “possiamo provare a far cedere una pietra.”
“Magari più di una.”
Athos annuì e la guardò negli occhi. Perse la cognizione del tempo quando si accorse troppo tardi che erano così vicini da mischiarsi il respiro senza riconoscere ciascuno il proprio. Le guardò le labbra per un istante, poi distolse lo sguardo. La ragazza deglutì a fatica e il cuore le battè contro il petto come un tamburo per qualche minuto. Maledisse a denti stretti tutte quelle sensazioni che la trascinavano in un baratro pieno di insidie da cui non riusciva a difendersi. Cercò di distrarsi ed estrasse qualcosa dalla tasca. Un vecchio coltellino di legno a scatto che Heléne aveva sottratto al giardiniere dell'orfanotrofio quando avevano deciso di scappare.

Guarda un po' qua?

Heléne! Che accidenti hai..

Il signor Olivier lo lascia sempre in giro. Io non lascerei mai in giro le mie cose.

Non è tuo, dai, rimettilo a posto.

Elly, stiamo andando in una foresta. Ci servirà, fidati. Olivier se ne farà una ragione.

Elly lo strinse forte in mano e Athos se ne accorse.

“Che succede?”
Lei ritornò alla realtà.

“Oh..bè, ecco..questo era di Heléne. Quando..quando se n'è andata, l'ho preso io e da quel momento lo porto sempre con me.”
Glielo porse con fiducia e Athos le accennò a un sorriso. Quando lo prese, le sfiorò volutamente la mano. Nei giorni passati, aveva resistito a tentazioni quasi demoniache. Lei era bella, perfetta, mandata lì soltanto per tormentarlo e la sua testa sveglia l'attraeva molto più del suo corpo. Perfino nei momenti in cui gli era insopportabile non avrebbe resistito a stringerla a sé. Lo confessò a se stesso nello stesso istante in cui le loro mani si velarono di elettricità in un contatto quasi impercettibile che caricò la gola del moschettiere di un desiderio represso senza troppa convinzione.

Cominciò lentamente a grattar via il muschio dalle pietre per poterle rimuovere senza scivolare. Aveva iniziato da un paio di minuti quando Elly gli fece cenno che il carceriere di turno si stava avvicinando alla cella. In fretta puntò le spalle contro il muro per coprire il buco che si stava miracolosamente allargando, centimetro dopo centimetro.

“Siete ancora vivi?” gracchiò fastidiosa la voce fuori dalla porta.

“Devi annoiarti molto. Perchè non ti spari un colpo di moschetto in bocca per passare il tempo?”
“Frena la lingua, stupida ragazzina.”
“Ti auguro di prendere fuoco e che l'unica persona con un goccio d'acqua nel raggio di chilometri sia io. E di solito, ho sempre tanta sete.”

Athos capì al volo che Elly stava distraendo il carceriere per permettergli di lavorare ancora, coprendo il raschiamento con le voci.
“Sarà un enorme piacere ammazzarti come un cane, quando tutto questo sarà finito, lo sai?

“Se uscirò da qui, provvedi a nasconderti con cura, perchè se ti trovo, ti strappo le budella e ti ci impicco, lurido vaso da notte.”
“Fai ridere.”
“Allora ridi adesso, perchè non avrai più i denti per farlo, quando aprirai questa porta. E ora levati di torno o ti pianto una pietra in fronte e chissà che tu non venga baciato dall'intelligenza dopo la botta.”
Gli occhi infuriati dell'uomo svanirono in un lampo e si allontanarono. Elly tirò un sospiro e si avvicinò lentamente di nuovo ad Athos. Notò che il moschettiere aveva sollevato il labbro ferito in un sorriso divertito.

“Cosa c'è?”
“I tuoi insulti. Sono quasi la cosa migliore di questa situazione.”
“Quasi?”
“Quasi.”
“E qual è la cosa migliore, allora?”
Athos sollevò il coltellino e tirò via la prima pietra.

“Questo.”

Elly rise di gusto e lo aiutò a togliere la seconda pietra. Non riusciva a credere che tutto quello stesse accadendo davvero. Il cuore le pulsava forte ai lati del collo e il sudore le imperlava la fronte. Le mani di entrambi tremavano con forza per la paura di essere scoperti e allo scadere dei dieci minuti, Athos tornò a sedersi davanti alla crepa creata, che adesso mandava una luce incredibilmente più forte nel buio della cella.

Il controllo passò indisturbato. Il carceriere di quel turno non parlava una sola parola di francese, quindi si ritennero fortunati. Ripresero a lavorare con un ritmo perfetto acquisito più dalla paura che dal loro stesso impegno. L'acqua che aveva marcito le pietre si era rivelato un aiuto impareggiabile e si lasciarono andare a qualche rumore in più, quando una pietra più pesante cadde a terra con un tonfo. Athos ed Elly si guardarono con gli occhi spalancati trattenendo il respiro, terrorizzati. Elly strinse gli occhi nel panico, aspettandosi che gli uomini di Alain piombassero lì da un momento all'altro.

Siamo morti, siamo morti, siamo morti, ci faranno a pezzi, maledizione, a pezzi talmente minuscoli che nessuno ci riconoscerà all'obitorio perchè saranno morti anche Porthos, Aramis e D'Artagnan

Attesero per un tempo che sembrava infinito, ma non accadde nulla. La dimensione del loro sospiro di sollievo si avvicinò molto a quella di un sogno e tolsero via un altro pezzo di muro quando un pugno bussò con pesantezza alla porta facendoli trasalire.

“Chi è?!” gridò Elly isterica affacciandosi alla guardiola. Riconobbe gli occhi insulsi e slavati di Padre Alain che la fissava gongolante.

“Cosa accidenti vuoi?” ringhiò la ragazza, sperando che il criminale non notasse il suo volto provato dalla fatica.

“Un ultimo saluto, moschettieri. Sono diretto a Palazzo.”
“Sei un verme.”
“Se non altro, sarò un verme vivo, mentre voi..due uomini morti. Ci penserà l'esplosivo, qui, non temete. Fra meno di due ore questo rudere non esisterà più e voi con lui.”
Elly strinse forte le labbra con i pugni stretti nella voglia di scaricarli.

Au revoir, miei cari. È stato un grande, grande piacere!”

Non diede loro il tempo di replicare che voltò le spalle e sparì nel dedalo del castello senza un solo rumore. Elly tornò accanto ad Athos che la guardò sconfitto.

“Sta andando a Corte”, osservò lui.
“Già.”

“Spero proprio che Tréville abbia qualcosa in mente.”
“Tréville non ha un accidenti in mente. Non ha neanche idea di cosa stia succedendo!”
“Sta' calma.”
“Io sono calma!”
“No, non lo sei affatto.”
“E adesso posso sapere che ti prende?!”
“Non sopporto i vittimismi, ecco che mi prende.”
“Vittimismi?! Oh, già, scuuusa se siamo prigionieri di un uomo di cui non si è capito neanche il nome e intrappolati in una maledetta catapecchia di pietra del Duecento che per chiudere in bellezza salterà in aria tra meno di due ore!”
“Ecco, è esattamente ciò che intendo per vittimismo!”
“Ehi, mi stai urlando in faccia?”
“Non ti sto urlando in faccia!”
“Sì che mi stai urlando in faccia, non provare mai più ad urlarmi in faccia, hai capito, non lo sopporto e non sopporto neanche te!”
“Tu sei..sei la donna più irritante che io abbia mai conosciuto!”
“Oh, davvero? Pensa che io devo ancora capire chi accidenti sia la donna, fra noi due!”

“Dio, spero che entrino e mi ammazzino in fretta.”
“Se vuoi posso farlo anche meglio di loro.”
“Oh, ma guarda un po', mi sembrava di ricordare che gradissi la mia compagnia!”
Elly esplose.

“Io non gradisco proprio niente! Ero ubriaca, è chiaro? Piantatevelo bene in testa!”

“Piantarmi in testa cosa? Sono parole tue, non mie.”
“Sono parole da sbornia, maledizione!”
“Quindi non mi ami?”
Ovvio che non ti amo!”
“Oh, perfetto.”
“Magnifico!”
“Infatti.”
“Precisamente!”

La ragazza voltò le spalle di scatto a Athos che le voltò a lei a sua volta, riprendendo a scavare nella pietra senza smettere di prestare un doveroso orecchio alla ronda. Elly si ravviò il ciuffo dorato e ribelle con un sospiro esausto: ci mancava soltanto la lite con Athos. Adesso sì che avrebbe sperato di morire il più in fretta possibile.

Passò il tempo di un'altra ronda e non si erano ancora rivolti una sola parola. Lei lo guardava intento a scavare e si sentì in colpa, arrabbiata e più innamorata di prima. Non aveva mai provato la voglia irrefrenabile di picchiare qualcuno e poi dirgli che non riusciva a quantificare quanto l'amasse e che odiasse tutto questo con tutta se stessa. Quando Athos accennava a girarsi verso di lei, lei distoglieva in fretta lo sguardo. Lui la guardava sperando che lei non se ne accorgesse, gliel'avrebbe rinfacciato per tutta la vita. Avrebbe voluto alzarsi e sbatterla con le spalle al muro, dirgliene di ogni sorta, ma aveva fatto dell'autocontrollo la sua arma migliore. Diviso fra due emozioni di colori completamente diversi, continuò a scavare. Mise l'orgoglio da parte quando, dopo l'ennesima ronda, non riuscì più a proseguire lo scavo nella pietra.

“Vieni qui”, le disse senza girarsi. La ragazza alzò gli occhi al cielo e si fece coraggio. Gli si avvicinò senza guardarlo.

“Cosa c'è?”
“Devi aiutarmi, la pietra non viene più via.”
“D'accordo. Al tre, spingiamo insieme. Uno, due..tre!”
Spinsero la pietra più forte che poterono verso l'esterno, ma non si mosse. Avevano bucato un grosso pezzo di muro, ma non ancora sufficiente per passarvi attraverso. Riprovarono con le ultime forze che rimasero loro, ma la pietra rimase ferma dov'era.

Mentre respiravano a fatica per riprendersi, Elly poggiò la schiena sudata sul muro di pietra.

“E adesso?”
Athos fissò con attenzione il buco nel muro, poi guardò Elly che non capì cosa avesse in mente. Lui si alzò da terra e le porse una mano. Lei si alzò insieme a lui e il moschettiere la guardò intensamente.

“C'è un problema.”
“Ma dai?”
“Il buco è troppo stretto e l'acqua ha marcito a sufficienza soltanto in quel punto. Non si muoverà più di così.”
Elly lo guardò negli occhi che aveva già capito cosa intendesse.

“Ci passi soltanto tu, Elly. Devi uscire.”
La ragazza sentì il cuore gonfiarsi di paura. Osservò il muro martoriato e si accorse che Athos aveva ragione: lo spazio era sufficiente a lasciar uscire lei, ma non lui.

“No” sussurrò con la voce rotta.

“Devi andare. Sono tutti in pericolo e tu sei l'unica che può ribaltare la situazione.”
La ragazza scosse forte la testa e incrociò le braccia. Come una diga andata in pezzi per l'impetuosità di un torrente cristallino, questa volta lasciò scorrere via le lacrime giù per le sue guance arrossate dallo sforzo, donando loro un'agognata libertà che finora aveva negato anche a se stessa.

“Levatelo dalla testa. Io non ti lascio da solo.”

Athos abbassò lo sguardo a terra, sconfitto da tutto ciò che non avrebbe mai voluto vedere. Elly non singhiozzava e non emetteva un solo lamento, ma le lacrime che rotolavano giù lungo il suo viso lo ferirono. Cercò di indurire il tono.

“Elly, muoviti.”
“Alain avrà quasi raggiunto la città, ti uccideranno.”
“Io non devo essere un tuo problema.”
Elly scattò rabbiosa.

“Non devi essere un mio problema? Tu sei il mio unico problema!”
Athos tacque.

“Chiedimi qualunque cosa, Athos. Tranne di uscire da qui senza di te.”
“Non abbiamo scelta.”
“Sì che l'abbiamo. Aspetteremo che questo posto idiota salti per aria.”
“Esci.”
“Dio, non capisci niente.”
“Capisco molto più di quanto tu creda.”
“Allora smettila di mandarmi via.”
Athos incrociò i suoi occhi determinati, ma stavolta decise che avrebbe vinto lui. Si avventò sulla ragazza e le cinse la vita con il braccio urtando con forza i fianchi della ragazza contro i suoi. Elly trasalì e ritrovò le proprie labbra e il respiro corto contro la curva del collo del moschettiere. I suoi capelli erano morbidi e profumati al contatto con il suo viso. Athos strinse una ciocca dei suoi capelli nella mano col cuore che batteva all'impazzata dentro al petto premuto contro il seno delicato della ragazza e credette di cedere. Tese tutti i muscoli che aveva in corpo e premette le labbra sulla clavicola della ragazza, reprimendo con dolore il desiderio di morderla.
“Esci immediatamente fuori da questa stanza”, sibilò sulla pelle della ragazza che si sollevò in centinaia di brividi, “o giuro che tiro giù i tuoi capelli e ti spezzo il collo.”
Elly non rispose per un tempo che sembrò infinito. L'ennesima ronda si allontanava dalla porta di pietra. La ragazza sentiva il cuore scoppiarle nel torace e il sangue bollire. Un'anguilla silenziosa le si mosse nello stomaco e non riuscì a trattenere il pianto. Sollevò il braccio libero all'altezza del petto di Athos coperto malamente dalla camicia sudata e lo sfiorò per non dimenticare quel contatto. Il moschettiere si sentì morire al tocco di quella piccola mano sul suo addome e pregò che tutto quello che stava accadendo finisse in fretta. Non voleva baciarla, l'avrebbe persa. Non aveva mai immaginato la sua fine, men che meno in quel modo, ma se c'era un'unica cosa che lo terrorizzava di quella morte, era che avrebbe dovuto fare a meno di lei, per sempre. Sentiva il sangue affiorargli alle labbra e dovette morderle per resistere ancora.

Lei non voleva baciarlo, l'avrebbe perso, come aveva perso tutti gli altri. La maledizione che si portava dietro da anni l'aveva ritrovata nel peggiore dei momenti. Non riuscì a smettere di piangere nemmeno per un attimo e strinse forte la spalla dell'uomo che amava per non dimenticare la consistenza del suo corpo. Senza guardarlo negli occhi, passò le dita sulle sue labbra mentre le lacrime continuavano a cadere giù dalle ciglia.

Rimpianti, momenti, odio, dolore, silenzio.

Athos prese la mano che gli stava sfiorando il volto e chiuse gli occhi. La ragazza lo guardò con il cuore intrappolato in gola e intrecciò le dita con quelle fredde di Athos.

“Ti amo”, sussurrò.

E prima che Athos potesse realizzare, sentire, capire, si voltò senza dirgli altro. S'infilò nella fessura ricavata nella pietra e il sole l'avvolse in un abbraccio luminoso che le ferì gli occhi ormai abituati all'oscurità.

Impiegò alcuni secondi ad adattarsi. Barcollò alzandosi da terra e acuì i suoi sensi proiettandoli verso l'esterno. Non sentì alcun rumore, gli uomini di Alain non passavano da lì. Col cuore alleggerito, udì un nitrito acuto lì vicino. Due cavalli stavano brucando dell'erba verdissima e uno di loro, il più alto, era sellato. Strappò un ciuffo d'erba e lo porse allo stallone carezzandolo per guadagnarsi la sua fiducia. L'attimo dopo montava in sella e cavalcava a una velocità indistinguibile verso la città, il vento che le scompigliava i capelli era riuscito ad asciugarle via le lacrime dal volto e si chiese quanto ancora avrebbe resistito correndo col cuore abbandonato e calpestato in una cella umida e buia.

 

 

 

 

 

 

Il Palazzo sfavillava di lusso e sfarzo ogni volta in misura maggiore, per lo meno per tutte le volte in cui Aramis l'aveva visto. Gli sembrava che quella reggia non potesse mai migliorare più di com'era e puntualmente veniva contraddetto: lo splendore della dimora reale superava qualunque fervida immaginazione.

Avevano chiesto udienza immediata al Re e fino a quel momento non c'erano stati particolari intoppi. Maria Cristina era cauta e silenziosa ed osservava con rigoroso timore reverenziale gli splendori della reggia.

Quando le Guardie Rosse li scortarono fino alla stanza in cui Re Luigi e la Regina Anna attendevano la visita, Porthos ebbe un brutto presentimento. D'Artagnan notò che si era adombrato, ma spalancò il pesante portone impreziosito dai bassorilievi e non fece domande.

Il Re e la Regina erano seduti sui propri troni senza muovere un muscolo. Al loro fianco, il Cardinale Richelieu attendeva marmoreo un esito a lui favorevole.

Quando Maria Cristina entrò scortata nella grande stanza, si lasciò scappare un gridolino commosso.

“Fratello mio!” esclamò, raccogliendo in grembo l'orlo della gonna e correndo incontro al Re. Il sovrano si sollevò di scatto dal trono, i lunghi capelli scuri immobili al movimento improvviso e gli occhi spalancati in un moto di stupore.

“Maria Cristina!” disse in un soffio raggiungendola. Le prese le mani e i suoi occhi tondi e preoccupati si spalancarono.

“Sorella mia, che vi è accaduto? Cosa..cosa ci fate a Parigi?”
La principessa si commosse.

“Oh, non sapete quanto il mio cuore esulti al vedervi, mio amato fratello! Mi avevano riferito che foste ammalato e mi sono precipitata qui da voi senza avvisare nessuno. Ma ahimè, sono andata incontro a brutte avventure..”
Il Re si rabbuiò e le sue labbra piene e carnose si piegarono in un'espressione di sdegno.

“Moschettieri! Esigo una spiegazione!”
“Ho il dubbio, mio Signore”, intervenne Richelieu, “che i moschettieri abbiano contravvenuto alle regole per l'ennesima volta.”
Il Re assunse l'espressione di chi stava per dare per buona l'opinione non richiesta del Cardinale.

“Non esattamente”, s'impuntò Aramis, “nella chiara sfortuna di questa vicenda, osiamo definirci comunque fortunati. Abbiamo incontrato la principessa in una lurida taverna, era stata rapita da alcuni mercenari e costretta a bere.”
Il Re spalancò gli occhi inorridito e la Regina corse al suo fianco prendendogli il braccio e rivolgendosi alla principessa. Il suo volto delicato e perfetto si aprì in un sorriso gentile.

“Cara, siate forte. Dovrete raccontarci tutto ciò che ricordate.”
Aramis incrociò lo sguardo della Regina e una scossa attraversò il suo corpo dalla punta dei capelli a quella dello stivale. Il cuore accelerò i suoi battiti e Anna resse il suo sguardo, rapita dal moschettiere.

“Una ragazza mi ha salvata”, singhiozzò la principessa, “e i moschettieri mi hanno garantito un riparo per tutto questo tempo.”
“Una ragazza?” ripetè Luigi stordito.

“Ora non è qui, mio amato fratello, ma vi prego, ricompensate lei e i moschettieri. È soltanto grazie a loro che posso dirmi viva.”
Il viso del Re si dipinse di rabbia.

“Chiunque abbia osato..Chiunque abbia osato riservare questo ignobile trattamento a un membro di stirpe reale pagherà con la morte!

Porthos notò che Richelieu impallidiva a vista d'occhio, eppure non riuscì a gioirne: il pessimo presentimento non lo aveva ancora abbandonato.

Nello sconfinato cortile del Palazzo Reale, Padre Alain aveva indossato la vecchia tunica sdrucita da prete di campagna e si avviava col volto addolorato verso le stanze del Re.

“Vengo in nome di Dio!” disse sollevando le mani alle Guardie Rosse che gli bloccavano il passaggio. Salì i grossi gradini di marmo che lo avrebbero portato alla vittoria indiscussa. Mai l'adrenalina era stata così dolce e piacevole. Estese il sorriso più pietoso che riuscì a mettere su ed entrò senza prendere fiato nella stanza, dove i tre moschettieri avevano scortato la ragazza.

Maria Cristina e i presenti rimasero immobili. Porthos, D'Artagnan e Aramis si scambiarono uno sguardo in preda al panico. Nessuno dei tre riuscì a reagire e Alain mandò in frantumi il silenzio gridando commosso:
“Principessa!”
La ragazza scoppiò in lacrime e gli andò incontro baciandogli le mani. Il Re era in confusione e interpellò Richelieu che finalmente esplose in un sorriso. Il piano stava riuscendo. Con tanto di sciocchi moschettieri al seguito.

Porthos si sporse verso D'Artagnan:

“Mi sa che abbiamo un problema.”
“Athos ed Elly sono nei guai”, sentenziò il giovane moschettiere tra i denti, osservando gli innaturali movimenti impietositi di quello che si era presentato come Padre Alain di fronte al Re e alla principessa. La Regina guardava il sacerdote con sospetto e Aramis intercettò lo sguardo sospettoso del Cardinale verso la sovrana.

“Chi siete?” domandò austero il Re al prete. L'uomo lanciò un gridolino commosso e Porthos si lasciò andare a una smorfia disgustata.

“Sono..sono un povero sacerdote di campagna, Vostra Maestà..io..io..”
“Lui mi ha offerto un riparo per la notte, appena giunta a Parigi”, lo precedette velocemente l'ingenua Maria Cristina al fratello che le prestava tutta l'attenzione di cui disponeva, “è Padre Alain, mio amato fratello.”
Il sacerdote s'inchinò solennemente alla presenza silenziosa e pensierosa del sovrano che cercava di mantenere quanto più possibile un atteggiamento severo.

“Avete avuto cura di mia sorella”, mormorò.

Alain annuì timoroso.

“E' più falso delle carte”, ringhiò Porthos sottovoce.

“Dobbiamo fare qualcosa”, soggiunse Aramis.

“E cosa?” chiese D'Artagnan in tensione, “non abbiamo prove.”
“Ha qualcosa in mente, dobbiamo precederlo.”
Aramis non riusciva a distogliere lo sguardo dalla Regina e la sua testa cominciò ad affollarsi di mille possibilità.

“Teniamoci pronti per qualunque evenienza”, sussurrò ai suoi compagni. Mentre Padre Alain insisteva in inchini maestosi, stringeva con la mano un pugnale lucente e affilato sotto la casacca nera, in attesa.

 

 

 

 

 

 

Elly aveva le labbra appesantite e screpolate dal vento che le sferzava il viso. Qualche ciocca di capelli s'intrometteva prepotente fra lei e la strada e la distanza con la reggia si accorciava sempre di più. Soffiò sui capelli sparsi davanti alla fronte e si voltò mentre il cavallo continuava a sfrecciare alla velocità della luce. Pensò ad Athos in ogni momento da quando l'aveva lasciato nella cella, da solo.

Si chinò sulla sella per recuperare velocità e speronò lo stallone che corse ancora più veloce, gli zoccoli pesanti sulla terra dura. L'aria le imbottì i polmoni con violenza e quando entrò nella città prese le scorciatoie che conosceva con Heléne per arrivare a Palazzo, ma il tempo le sembrò drammaticamente infinito.

Quando fu nel cortile, le Guardie Rosse bloccarono il cavallo. Lo stallone nitrì con disappunto e impennò. Elly scivolò giù dalla sella e prima che le Guardie di Richelieu potessero catturarla, colpì le zampe del cavallo con un calcio. L'animale saltò su terrorizzato e riprese a scappare nella direzione opposta. Tutte le Guardie Rosse a dominio del giardino reale lo rincorsero lasciandole campo libero. Ancora stordita dalla caduta, Elly si rialzò a fatica e barcollò fino all'entrata secondaria della reggia.

Maledizione, pensò, è tutto così assurdo.

Salì faticosamente i larghi gradini di marmo e le sembrò che il cuore fosse in procinto di abbandonarla da un momento all'altro. Non si lasciò vincere dall'improvvisa debolezza e proseguì nei corridoi sfarzosi a denti stretti. Il castello profumava di ricchezza e prosperità e tanta grazia la stava stordendo, rispetto alla povertà della strada non sembrava neppure un edificio della stessa città. Le stanze erano infinite, enormi e da nessuna di esse traspariva una minuscola presenza. Fino a che, al culmine della disperazione, riuscì a sentire la tiepida voce della Regina Anna provenire da dietro un portone alto e pesante, arricchito da antichi bassorilievi delicati e magistrali.

Prese un respiro profondo ringraziando Dio con tutto il cuore. Poi si gettò sulla porta con tutta la sua forza, spalancandola.

Puntò lo sguardo a terra per interminabili secondi. I presenti furono colti di sorpresa dall'entrata poco elegante della sconosciuta. Tutto ciò che il Re vide, fu una presenza minuta e affaticata, con la camicia rossa strappata in parte e sporca in altri punti. La giacca era ridotta a brandelli e dai calzoni si intravedevano due piccole ginocchia tremanti. Il Cardinale osservò a lungo quella persona fino a che non si accorse con orrore diffuso in tutto il corpo che era una ragazza, era Elly, che non era morta, ma era lì, viva, per incastrarlo. Scampata chissà come al veleno del prete.

Padre Alain rimase pietrificato come se fosse caduto sotto un maleficio. Vide in un attimo davanti ai suoi occhi tutti i piani preparati con cautela andare in frantumi come il vetro di una finestra, brillando alla luce del sole senza possibilità di rimetterli insieme. Raccolse tutto l'odio che era capace di provare ma non riuscì a muovere un solo muscolo del corpo.

I moschettieri rimasero a bocca aperta e si scambiarono uno sguardo. La ragazza stava ancora riprendendo fiato. Si accorsero che era distrutta.

“Elly!” gridò la principessa lasciando cadere le mani del prete e correndo a stringerla in un abbraccio. La ragazza provò vergogna per le sue condizioni e si sentì inadeguata a quella stretta. Ricambiò lievemente l'abbraccio, poi la spinse via con dolcezza.

“Che tempismo”, commentò Aramis senza nascondere di essere sollevato.

“Io e voi..si dovrà fare un bel discorsetto”, sibilò la ragazza squadrandoli tutti e tre uno alla volta. I moschettieri le sorrisero: stava per succedere qualcosa che avrebbe cambiato per sempre le sorti della Francia. Misero mano alle spade e le sguainarono.

Moschettieri!” gridò il Re in preda al nervosismo, “che cosa sta succedendo qui? Esigo una spiegazione!”
Maria Cristina trascinò Elly con sé davanti a suo fratello. Elly osservò distrutta il viso del Re cui era così devota e s'inchinò scossa dall'emozione.

“V-vostra Maestà.”

“Chi è questa ragazza?” chiese alla sorella minore.

“E' lei, Maestà! È la ragazza che mi ha sottratta alla taverna e che ha ucciso il bandito che mi aveva rapita!”

Il Re distese i lineamenti e guardò furente il Cardinale, ancora scosso e incredulo. Mai aveva temuto così tanto, mai era riuscito a tremare con così tanta forza. Il silenzio appesantì la stanza quando Elly incrociò lo sguardo crudele di Alain. Si fissarono in cagnesco e la Regina si sentì appesantire il cuore: i suoi sospetti, forse, erano fondati.

Elly puntò il dito contro il sacerdote, rinvigorendo di minuto in minuto. Il suo grido riempì l'intera stanza fino al punto più alto del soffitto.

“Quest'uomo è un impostore!” urlò col dito teso. Alain sbiancò di colpo e Maria Cristina si sentì morire.

“E' un traditore di Vostra Maestà che ha attentato alla vita della Regina e a quella della principessa pochi giorni fa!”

Riprese fiato e guardò la maestosa ma instabile figura del Re.

“Vostra Maestà”, sussurrò, “dovete credermi. Ha fatto rapire vostra sorella per favorire un colpo di stato.”

Il sovrano rimase immobile nell'imbarazzo e nella confusione più totale. La Regina rivolse uno sguardo d'odio al Cardinale, che si avvicinò di corsa.

“Vostra Maestà!” tuonò, “non crederete mica alle parole di una stracciona qualunque!”
Porthos avanzò facendo sibilare la spada, ma Aramis e D'Artagnan lo trattennero.

“So quello che dico, Vostra Maestà”, rilanciò Elly sentendo di essere a un passo dal baratro, “per favore, datemi ascolto. Troverete la prova di ciò che dico nella sua stessa mano.”
Alain aveva assunto un colore cadaverico. Elly gli tese la mano.

“Mostrate a Vostra Maestà cosa trattenete nella mano, Padre Alain.”

Il criminale fece rientrare le guance scavando ancora di più il suo volto magro e scheletrico. D'Artagnan lo immobilizzò e nella casacca scura scintillò un piccolo coltello che scivolò con grazia per terra. Il suo rumore cristallino produsse una profonda eco nell'aria muta.

Il sovrano spalancò la bocca senza riuscire a proferire una sola parola. Maria Cristina si portò una mano alla bocca in preda ai tremori e due grosse lacrime rotolarono giù lungo le sue guance impallidite. La Regina mantenne uno sguardo duro e severo e i moschettieri trattennero il fiato.

“E' una bugiarda!” strillò ancora isterico il Cardinale distruggendo il silenzio. Il Re continuò a non reagire ed Elly riprese la parola.

“Un'ultima prova, Vostra Maestà. Poi potrete fare di lui ciò che preferite.”
Il Re rimase a guardare intontito e con gli occhi lucidi. La ragazza si avvicinò al prete e afferrò il suo colletto di pizzo bianco. Guardò per l'ultima volta negli occhi del criminale che aveva tentato di ucciderla per due volte, poi distolse lo sguardo e tirò giù il tessuto, svelando ciò che era sicura di trovarvi sin dall'inizio.

Una piccola mano tesa tatuata sul collo pulsò fuori con prepotenza addosso al corpo teso dell'uomo.

Elly gettò a terra il frammento di pizzo delicato e si rivolse al Re allargando le braccia.

“E' il capo di una banda di mercenari che i moschettieri ed io abbiamo provveduto a sgominare circa dieci giorni fa.”
Fece una pausa.

“Perdonatemi.”

Luigi boccheggiò per qualche istante mentre Elly indietreggiava e raggiungeva i moschettieri. Spostò lo sguardo dagli occhi sconfitti di Padre Alain lasciato andare da D'Artagnan alla Regina Anna, che la guardava stordita in un moto di ammirazione e gratitudine.

“Gli hai fatto venire un accidenti, al vecchio serpente”, sussurrò Porthos.

“Come fai a essere in vena di ironia?”
“Guarda che quadretto: hai fatto arrestare un cospiratore del trono e abbiamo anche la possibilità di incastrare Richelieu. Ci rido su eccome.”
“Temo che il Re abbia bisogno di una schioccata di dita davanti agli occhi”, mormorò Aramis.

“Ma è sempre così..così..”
“Incapace?”
Aramis!”
“Come altro vuoi definirlo? Comunque sì, questo è il massimo della sua autorità.”
“Dov'è Athos?” chiese D'Artagnan raggiungendoli. Elly ebbe un tuffo al cuore e fu in procinto di rispondere, quando dietro le loro spalle comparve Tréville, pallido e impaurito. Quando vide Alain davanti al sovrano e Richelieu col fiato sospeso e le spalle tremanti, chiuse gli occhi e battè una pacca sulla spalla a Elly.

“Capitano, io..”
Ma il Re scatenò un'ira che paralizzò l'aria circostante.

Rinchiudetelo nella Bastiglia! Ora!”

“Non credetele, Maestà!” gridò Alain, lo sguardo esasperato, “ho salvato vostra sorella! Io ho salvato vostra sorella!”
“Era un salvataggio mirato”, rispose Elly indurendo il tono, “è stato lui stesso a recapitare alla principessa il messaggio falso in cui le era stato comunicato che Vostra Maestà fosse gravemente ammalato.”
“Non voglio più sentire una sola parola!” tuonò il sovrano, “portatelo fuori di qui! Adesso!”

Elly rimase immobile. Non si era mai trovato al cospetto di niente del genere. Aveva sempre creduto che lusso e povertà fossero agli antipodi, litigiosi conviventi, in una città difficile come Parigi. Non temeva l'umiltà poiché pensava fosse il miglior sbocco per diventare persone migliori, ma non riuscì a non sentirsi piccola come una pietra sulla sponda di un fiume in piena, di fronte a quelle presenze e a tanta magnificenza.

Padre Alain ringhiò con rabbia mentre due Guardie Rosse lo portavano via. I suoi occhi iniettati di sangue puntarono Elly e la squadrarono da testa a piedi. La ragazza trattenne il fiato e Porthos le pose una mano sulla spalla infondendole calore e coraggio.

“Maledetta! Maledetta!” gridò, e la ragazza potè giurare di aver scorto una punta di disperazione in quelle urla ormai lontane. Distolse lo sguardo e fece per voltare le spalle a tutto e a tutti, quando la mano dolce della Regina si chiuse attorno alla sua.

Lei si girò di scatto e incontrò i suoi brillanti occhi chiari e le sue labbra piccole e carnose si spalancarono in un sorriso. Con dolcezza, la riportò davanti al Re che attendeva immobile al centro della stanza. Al suo fianco, Maria Cristina corse ad abbracciarla tra le lacrime.

“Perdonatemi, perdonatemi!” implorò.

“Perdonarvi per..per cosa, Vostra Altezza?”
“Per avervi trascinato in tutto questo!”

“Non.. voi non avete alcuna colpa.”
La ragazza, sensibile e immersa nei sensi di colpa, non smise di singhiozzare finchè il Re non intervenne. Spostò delicatamente sua sorella dalle braccia della misteriosa ragazza e piantò i suoi tondi occhi scuri dentro quelli di Elly.

“Chi siete?” le domandò, più disteso.

Elly deglutì.

“Mi.. mi chiamo Elly, Vostra Maestà.”
“Elly e..?”
“Elly e basta, Vostra Maestà. Sono orfana.”
Il Re fece una pausa.

“Eravate insieme ai moschettieri, dunque.”
“Li ho..li ho aiutati a muoversi nella foresta dove è stato sventato l'attacco ai danni di Vostra Maestà. Ho vissuto lì per un breve periodo e la conosco bene.”
La Regina intervenne con docile tempestività:

“Il vostro intervento è stato rispettoso e devoto, a dispetto della situazione.”
“Mi sono limitata a servire la Corona come compete a un suddito fedele.”
“Le vostre parole vi fanno onore”, proseguì il Re in tono solenne, “ma non capisco perchè il vostro aspetto..da lontano, ecco, sembrate..”
“Un ragazzo.”
“Precisamente.”
Elly fu lì per rispondere, quando Richelieu s'intromise burrascosamente.

“Conosco questa donna”, sibilò al sovrano, le occhiaie viola e innervosite puntate su di lei, “è una strega, Vostra Maestà! Porta i capelli in quel modo per entrare nelle biblioteche vietate alle donne e poter consultare libri, libri per i propri malefici! Ho sentito parlare di lei. Riesce a raccontare molte cose delle persone che non conosce anche semplicemente guardandole. Questa donna va messa a morte!”

I moschettieri si scambiarono uno sguardo impaurito e il Re sembrò nuovamente scosso, ma Maria Cristina s'impuntò come un leone.

“Non vi permetto di rivolgervi in questa maniera alla donna che mi ha salvato la vita!” ruggì senza temere il Cardinale. Richelieu sembrò risentire del colpo e il sovrano lo fissò intensamente.

“Che prove avete per sostenere tutto ciò, Cardinale?”

Il Cardinale aprì e chiuse la bocca senza articolare alcuna parola.

“Non ne avete?” azzardò Elly.

“Qui si mette male”, mormorò preoccupato D'Artagnan.

“Aspetta a dirlo”, rispose Aramis senza lasciare l'impugnatura alla spada, “vedrai.”

Richelieu non rispose e il Re si voltò verso di lui.

“Il vostro affanno per provvedere agli affari di Stato è degno di lode e menzione, Cardinale. Ma credo che stia leggermente alterando la vostra capacità di giudizio.”
Il Cardinale si sgonfiò di qualsiasi presunzione, insopportabilmente pallido e abbattuto.

“Scortate la Regina nelle sue stanze e tornate al vostro lavoro. A volte avete la terribile tendenza a dimenticare qual è il vostro posto.”

Richelieu tremava come una foglia, scosso dalla rabbia e dalla sete di vendetta che l'affliggeva. Chiamò a sé due Guardie Rosse e la Regina non gli risparmiò un'occhiata di rimprovero. Andò di fronte alla coraggiosa ragazza che aveva appena salvato la vita a tutti loro e le strinse le mani.

“Per quel che vale”, le sussurrò con voce dolce, “una Regina è prima d'ogni cosa una presenza. E io, per voi, ci sarò sempre.”

La ragazza venne scossa da un brivido e camuffò due grosse lacrime di commozione con un inchino profondo e sentito. La sovrana le sorrise e le voltò le spalle sorridendo partecipe al consorte. Poi sparì oltre la stanza assieme al Cardinale, ancora ricolmo di vendetta mai sfogata.

Elly tirò un sospiro, distrutta. Il suo unico pensiero, in quel momento, era soltanto Athos. S'immaginò l'esplosione del rudere e le mille pietre che lo componevano piovere nell'aria come grandine invernale. Si sentì morire e strinse forte gli occhi.

“Mia sorella tiene a che voi riceviate la dovuta ricompensa”, sussurrò il Re. Elly spalancò gli occhi e scosse la testa.

“No, Maestà. Aspiro soltanto al perdono per aver violato così maleducatamente queste stanze, ma il merito è dei moschettieri che..”

“Inginocchiatevi.”
La ragazza si sentì le viscere congelare lentamente. Le sue tempie furono prese d'assalto da un formicolìo incessante. Porthos, Aramis e D'Artagnan chinarono le teste.
“Non vorrà farlo sul serio”, disse Tréville in un soffio. Aramis osservò da lontano la minuta figura di quella ragazza che li aveva tirati tutti fuori dai guai per più di una volta e sospirò: non le sarebbe affatto piaciuto.

“Cosa..?” balbettò stordita.

Luigi sfilò la spada lucente dal fodero che portava sul lato sinistro e la lama splendette contro gli ultimi raggi del sole di quella giornata.

“Inginocchiatevi”, ripetè.

Elly eseguì meccanicamente. Sospettò qualcosa che non volle ammettere a se stessa. Fissò il pavimento e sussultò quando la spada del sovrano toccò la sua spalla, scaraventandola in un'altra dimensione.

“Con il potere della Corona di Francia conferitomi da Dio, per l'inqualificabile coraggio provato e per la profonda lealtà dimostrata, io vi nomino moschettiere del Re.”

L'aria smise di circolare nella stanza. Il cuore di Elly sembrò essere l'unica cosa viva in tutto quel silenzio. La ragazza emise un lamento involontario e due grosse lacrime piovvero giù dai suoi occhi. Si sentì sprofondare e si rialzò di scatto da terra, le gambe paralizzate dalla paura e dall'incredulità.

“V-vostra Maestà, io..”

Una Guardia Rossa si avvicinò ad Aramis. Gli porse uno spallaccio nero dalle finissime rifiniture rosso fuoco. Il giglio nero splendeva al centro del cuoio finemente lavorato e dai contorni in rilievo. Ad Aramis si strinse il cuore: stava provando la sensazione di un sogno che s'infrange contro un muro con violenza. Anche se quel sogno non era il suo.

Elly lasciò crollare altre lacrime senza sosta.

“Vostra Maestà, io non posso accettare! Non posso, non capite!”
Il Re imbronciò il volto.

“Certo che potete. Ve l'ho appena imposto.”
Non puoi impormelo, non puoi, io sono libera, devo essere libera.

“Io sono una ragazza, Vostra Maestà!” gridò Elly sentendo distrattamente i passi di Aramis avvicinarsi a lei, “non..non ne sarei mai in grado!”
“Avete dimostrato di poterlo fare”, disse duro il Re, “e per di più avete l'evidente aspetto di un uomo. Non vi riuscirà difficile”
Elly si sforzò di mandar giù un groppo in gola che sembrò una bolgia di nodi da marinaio. Il re trattava la questione con superficialità insuperabile. Era tutto finito: l'avevano intrappolata per sempre.

“Ma..”
Come osate contraddire il vostro Re?” tuonò spazientito Luigi. Era risaputo che il giovane Re avesse un temperamento permaloso e irritabile, e a quelle parole Elly si sentì scuotere come un salice contro la tempesta.

“I-io..”
“Assolvete al vostro compito con la stessa diligenza che avete impiegato in questi giorni. Contravvenire ai miei comandi, qui, significa morire.

Aramis sfiorò il corpo scosso dai nervi della ragazza. Le afferrò il braccio e le fece arrampicare lo spallaccio nuovo e appesantito dalla distanza fra ciò che il simbolo significava e la ragazza che lo avrebbe portato. Sembrò di vedere due nemici abitare nello stesso corpo. Elly e Aramis si guardarono per un attimo che sembrò eterno fino a che lo spallaccio non fu agganciato al braccio della ragazza: parte l'uno dell'altra, adesso. Per sempre.

Il moschettiere strinse forte a sé la ragazza:

“Mi dispiace tanto.”

Elly guardò a terra senza riuscire ancora a crederci e poi rivolse uno sguardo colmo di odio verso il Re. Il tradimento le bruciò dentro le vene e fece più male del curaro in corpo.

Lei lo aveva salvato, aveva sventato i piani di un potenziale criminale e orditore di un colpo di stato. Lui la stava ricompensando con il premio peggiore che potesse elargire la sua immensa autorità.

Non potè contestare una sola parola di quelle che il sovrano aveva proferito e per la prima volta in vita sua percepì l'inferiorità che la famiglia reale frapponeva coi propri sudditi. Sperava che fosse l'amore reciproco a garantire al Re la tranquillità e la prosperità di un Paese e non le imposizioni, la bocca tappata e le parole spente, l'univocità dei comandi, la mancanza di dialogo.

Sentì un male alle spalle profondo e dilungato che paragonò al dolore che soltanto delle ali tarpate potevano produrre.

“Siete congedati”, disse il Re con solennità senza aggiungere altro. Mentre Maria Cristina cercava di abbracciare nuovamente Elly, il sovrano la trattenne via con sé e lei non oppose resistenza. Il Re voltò loro le spalle con un moto di offesa e sbattè la porta alle sue spalle. Il silenzio imperò nella sala, proprio lì dove fino a pochi minuti prima infuriava una guerra fredda troppo pesante da sopportare.

Costretta ad essere un uomo, stavolta non per suo volere o per sua necessità. Il braccio con lo spallaccio legato come un marchio sembrava più pesante su tutto il suo corpo stanco.

Pianse ancora nel silenzio senza darsi della stupida e corse fuori dalla grande stanza scavalcando i moschettieri.

Le sbarre della sua gabbia si rinforzarono ancora più in fretta quando pensò che il coraggio fosse merce ingrata, danneggiata appena comprata e impossibile da far fruttare in un campo deserto in cui pioveva raramente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi qui!

 

Chiedo umilmente perdono a voi lettori, questo non è il mio canonico giorno di aggiornamento, ma, ahimè, mi son trovata a concludere questo capitolo in ospedale, causa un po' di problemini.

Grazie ancora una volta di essere rimasti con me! Vi regalo un abbraccio virtuale forte come sempre, siete meravigliosi e senza di voi non sarebbe mai lo stesso. Confido che questo capitolo un po' più lunghetto del solito vi tenga compagnia almeno quanta ne ha fatta a me in questi giorni.

Alla prossima settimana!

 

Insurgent Musketeer.

   
 
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