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Autore: Caramel Macchiato    21/02/2015    1 recensioni
“Svegliati”
Il tuo senso dell’umorismo è piuttosto pessimo.
“ Ti sto ordinando di svegliarti”
Come se potessi. Ti manderei al quel paese, ma non so chi sei. Lasciami stare.
“ D’accordo, non mi lasci altra scelta”
Ed ecco che i miei occhi sono aperti, o meglio: nel mio sogno ho gli occhi aperti, e vedo solo bianco davanti a me. Mi giro su me stessa ma il panorama non cambia.
Che posto è questo?
“Questo è il fulcro del mondo dei tuoi sogni”
Chiedo scusa in anticipo per l'html impostato da cani!!
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sveglia del mattino è inevitabilmente fastidiosa: il sole spunta dal mare e ci investe con la grazia di un rinoceronte su due zampe, impedendomi perfino di sfuggirgli da sotto la giacca di Nathnaiel. In barba a ciò che avevo pensato la notte precedente, mi ci erano voluti tre nano secondi per prendere sonno e…au revoir mondo dei sogni!
Borbotto e mugolo con gli occhi ancora pesantemente chiusi e cerco lo stesso di trovare una posizione da quadro di Picasso per sfuggire alla luce mattutina. Ovviamente è inutile, stupido e ridicolo.
-    Si può sapere che stai facendo?-
Sento la voce di Nathaniel in un orecchio e mi giro verso di lui, intenzionata a tirargli una testata, ritrovandomi con la fronte appoggiata a qualcosa di fresco e molliccio che sembra proprio…
Apro una fessura tra le mie palpebre e ne ho la conferma: è un ammasso maleodorante di alghe. D’un tratto sono sveglia e balzo a sedere disgustata, stringendomi la giacca addosso a modi scudo. Nathaniel è dietro di me, non di fianco come pensavo, e mi guarda perplesso.
-    È l’alba-. Piagnucolo, rinunciando a cercare di tenere aperti gli occhi.
-    Già. Gli svantaggi di dormire all’aperto-. Commenta lui senza scomporsi, sfilandomi dalle mani la sua giacca e spolverandola dalla sabbia, prima di rimettersela.
-    Non riesco a svegliarmi, è inutile-. Borbotto ributtandomi a peso morto sulla sabbia.
-    Beh, c’è solo una soluzione a questo-.
Mi sento sollevare senza fatica e mi rendo conto che Nathaniel mi sta portando verso il rumore delle onde. Vuole buttarmi in acqua!
-    Fermo! Guarda, sono sveglissima ora! Ta-da! Non preoccuparti, anzi ho una fame da lupi! Che ne dici di far colazione?-
Mi dimeno come un’ossessa e lui mi rimette a terra senza il minimo sforzo. Mi rendo conto di tremare dall’imbarazzo e cerco di darmi un contegno aggiustandomi i capelli biondo cenere.
-    Okay: colazione. Di cosa hai voglia?-
Nathaniel si fa pensieroso, poi una faccia sognante gli deforma i tratti severi. Che strano, mi ricorda esattamente la mia, di faccia.
-    Pancakes-.
-    Ottima scelta, ne ho voglia pure io!-
Mi giro verso la strada e il limitare della spiaggia, cominciando a disegnare il fastfood incaricato di farci la colazione quella mattina. Appena ho finito sento Nathaniel sbottare.
-    Ma ti sembra coerente mettere una catena famosa per i suoi pancakes proprio vicino alla spiaggia?!-
-    Silenzio, la vuoi la colazione o no?-
Lui borbotta qualcosa ma poi mi segue rassegnato.
L’interno è geniale come lo avevo immaginato: le pareti gialle zafferano sono ricoperte di lampade a forma di bolle bianche di tutte le dimensioni, i tavolini e le sedie sono color caramella e il bancone per le ordinazioni sembra un enorme torta a strati. Ad accoglierci però non c’è nessuno.
-    Oh, ho dimenticato la cosa più importante-. Borbotto, concentrandomi su un nuovo disegno.
In due secondi ecco un ragazzo sorridente che ci accoglie calorosamente e alcune ragazze in roller che sfrecciano tra i tavoli.
-    Benvenuti! Oggi siete i primi clienti quindi vi offriremo un piatto di pancakes gratis per ringraziarvi!-
-    Geniale! Ti rendi conto: saremo sempre i primi del giorno!- Bisbiglio a Nathaniel.
-    Non ci pensare, esigo che tu disegni altre persone: non voglio esserci solo io con te!-
-    Non ci sei solo tu: pancake’s boy!- Esclamo indicando il ragazzo delle ordinazioni, che ricambia il mio sguardo con un sorriso perplesso.
Nathaniel mi afferra per un braccio e mi trascina a un tavolino, evidentemente tentato dall’idea di urlarmi contro.
-    Pensarti a capo di questo regno mi mette i brividi- Borbotta una volta seduto.
-    Eddai rilassati un po’ tu, quando ti diverti, come ieri, sai essere anche simpatico!-
-    Non stiamo parlando di me, ma di te e del tuo tatto pari a zero-.
Roteo gli occhi ed esulto quando vedo pancake’s boy arrivare con quattro piatti in equilibrio e due tazze di caffè.
Tutta la mia concentrazione viene assorbita dalla mia parte e m’ingozzo con mala grazia: ci avevo messo poco a digerire la frutta della sera prima e a sentire i morsi della fame.
Quando ho finito di ripulire accuratamente anche il secondo piatto dallo sciroppo d’acero, mi appoggio allo schienale della sedia con un sospiro soddisfatto, rimirando la pancetta che mi è spuntata.
-    Un secondo: ma io sono ancora in pigiama!-
-    Lo sei sempre stata-. Mi fa notare lui, sorseggiando con noncuranza il suo caffè.
-    Non posso andare in giro così! Devo cambiarmi. Subito!-
Lui mi gela con lo sguardo, prima che possa cominciare a disegnare un negozio di vestiti nella mia testa.
-    Ci sono alcune cose più importanti da fare prima: una sorgente d’acqua potabile, una casa per noi, un posto più decente per mangiare (niente contro i pancakes, ma non voglio che mi escano dalle orecchie)… Queste sono solo alcune cose-.
Sospiro come una povera vittima e mi appoggio su una mano.
-    Ma si, tanto chi vuoi che mi veda-. Dico sarcastica.
-    Infatti. A me non importa molto del tuo stile-.
Gli scosso un’occhiata, incredula che non abbia colto il mio sarcasmo, ma lui si sta già alzando e dirigendo verso l’uscita.
Io lo seguo, poi mi fermo di botto e torno dal ragazzo dietro il bancone.
-    Quanto ti dobbiamo per la colazione?-
Lui mi guarda confuso.
-    Quanto di dobbiamo pagare-. Ripeto pazientemente.
-    Nulla, dovreste pagare qualcosa?-
Restiamo lì impalati, uno più confuso dell’altro, poi mi deciso a sorridere e scusarmi, per poi uscire e raggiungere Nathaniel.
-    Non ci ha fatto pagare!-
-    Sì: l’economia del tuo mondo dei sogni andrà in rovina-.
-    Vero? Con tutta sta massa di persone che si scannano per un pancake…-.
-    Appunto, anche per questo dovresti creare altra gente-.
Si ferma di botto e io gli finisco contro.
-    Non so nemmeno come ti chiami-.
-    Ma ti sembra il momento di chiedermelo?-
-    Sì! Una volta che questo regno sarà più grande avrò bisogno di chiamarti probabilmente, e non posso farlo con cose del tipo “ tu che giri in pigiama” o simili-.
-    Non ritiriamo fuori il mio pigiama-
-    Allora?-
Fisso il bianco al di là dalla strada, cercando di riafferrare un ricordo che cerca di far capolino nella mia testa.
-    Azzurra… Credo-. Mormoro alla fine.
-    Hai detto una sorgente? Andiamo a farla allora!- Esclamo, cercando di mascherare la tristezza che mi ha inondato rendendomi conto di non ricordare nemmeno bene il mio nome.
Sento la mano di Nathaniel stringermi gentilmente una spalla.
-    Facciamo che sei veramente Azzurra, come io sono veramente Nathaniel-.
Mi soffermo sul suo viso, che ora mi sembra gentile e rincuorante, dopodiché gli sorrido con gratitudine e annuisco, per poi riprendere a camminare in direzione del cancello.
-    Vorrei disegnare la sorgente vicino all’albero, cosicché le sue radici possano nutrirsi d’acqua senza problemi-.
-    In verità l’albero non ha bisogno di nutrirsi-.
-    Non importa: è lì che la metterò-.
Lui scrolla le spalle e mi segue senza ribattere, e poco dopo raggiungiamo il cancello. Mi soffermo a guardare la striscia di strada che si trasforma in una piccola zolla d’erba, ed infine il grande albero. Tutto è avvolto da una calma e un pace surreale e, ovviamente dal bianco. Sfioro il cancello d’argento mentre gli passo accanto, per poi fermarmi alla sua estremità, indecisa sul da farsi. A differenza di ieri, ora mi preoccupa l’idea di passare di fianco al cancello, senza attraversarlo.
-    Vuoi farla qui?- Chiede Nathaniel.
-    Penso di sì-.
Lui annuisce e si ficca le mani in tasca, girovagando attorno al cancello, in attesa. Sospiro capendo che non mi avrebbe dato alcun parere e comincio per prima cosa ad immaginare la sorgente di acqua pura che mi avrebbe dissetato per il resto del mio soggiorno in quel posto. Quando la vedo chiaramente nella mia mente, ispeziono la zona e decido di gettarla appena al di là del cancello, poco lontana dall’albero della vita.
Una piccola pozza d’acqua comincia a comparire, facendo sprofondare il terreno e spuntare rocce attorno a se stessa. Nathaniel mi raggiunge e restiamo a fissarla affascinati, mentre quella si ingrandisce e poi si ferma, riempiendosi piano piano di acqua che sembra squisita solo a guardarla.
-    Bel lavoro!- Esclama lui, sinceramente ammirato.
Io gli sorrido poi, d’un tratto, mi sento stordita, mentre un eco lontano cerca di raggiungermi. La vista comincia a sdoppiarsi e a moltiplicarsi all’infinito, mentre l’eco comincia a farsi sempre più chiaro. Mi aggrappo a Nathaniel con gli occhi sbarrati, mentre lui si è già accorto che qualcosa non va e mi sostiene.
-    Ti senti svenire?- Chiede preoccupato.
Scuoto la testa e mi concentro su ciò che mi rimbomba con insistenza nelle orecchie, chiudendo gli occhi per ritirarmi in me stessa ad ascoltare.
“… Ti prego piccola, devi tornare, devi combattere! Non puoi mollare così, noi ti stiamo aspettando, io e la mamma siamo qui al tuo fianco…”
La voce sembra allontanarsi, poi ritorna più chiara e straziante.
“… Sei troppo giovane per tutto questo. Non sarebbe mai dovuto succedere e mai riuscirò a perdonarmi, sia che tu torni o che tu… Voglio solo poterti riabbracciare, piccola mia, dirti quanto mi strazia questa tua situazione…”
Sento quello che so essere mio padre interrompersi per via di un singhiozzo, poi piano piano i suoi gemiti soffocati si spengono e io torno al presente, rendendomi conto che sto piangendo.
Nathaniel mi sta ancora sostenendo e, appena incontro i suoi occhi dorati, lo vedo terribilmente preoccupato.
-    Devo tornare indietro, Nathaniel. Mio padre sta… Lui pensa di avere… Devo tornare indietro da lui e dalla mia famiglia!-
La sua presa sulle mie spalle si fa più  forte, mentre una grande tristezza gli pervade gli occhi.
-    Tornare indietro non ti farà uscire dal coma, Azzurra. Se anche tu volessi proprio farlo, torneresti allo stato vegetativo di prima, riuscendo a sentire ciò che ti sta attorno ma non avendo la forza di risvegliarti-.
Quella verità mi fa ancora più male di mio padre che piange sul mio letto d’ospedale. Mi sento un dolore straziante al petto e le forze sciamare dalle mie gambe, mentre mi accascio su me stessa ,obbligando Nathaniel a farmi sedere per terra. Il viso mi si contrae in smorfie di dolore e gli occhi lasciano andare lacrime bollenti che mi rigano le guance e si infrangono sul terreno bianco ai miei piedi. Appena le mani del ragazzo lasciano le mie spalle, quelle prendono a tremare incontrollate ad ogni singhiozzo. Mi sento svuotata di qualsiasi energia.
Non so di quanto tempo ho avuto bisogno per sfogare tutto quel dolore ma Nathaniel è rimasto sempre lì di fronte a me, pronto a cogliere anche solo un minimo segno di cedimento ma senza dire una parola, aiutandomi solo con la sua compagnia. Quando anche l’ultimo singhiozzo si smorza nella mia gola affaticata, gli occhi mi bruciano e le palpebre sono pesanti. Lascio ciondolare la testa dolorante, desiderando solo un letto comodo e un piumone caldo.
Sento le mani fresche del ragazzo tastarmi gentilmente le guance bollenti e la fronte, poi mi cinge le spalle e mi aiuta ad alzarmi, per portarmi alla sorgente che ho appena creato ed aiutarmi a rinfrescarmi il viso. L’acqua fresca e revitalizzante mi aiuta a schiarirmi la mente annebbiata e placa un po’ del bruciore agli occhi. Giungo le mani e le immergo nell’acqua, per poi portarmele alla bocca, piene di acqua, e bere una sorsata, sentendola scendere nella gola con un brivido gelato.
Mi giro verso il mio compagno, sempre con quell’espressione preoccupata ed apprensiva, poi mi volto verso il mare e il ristorante di pancakes, prendendo le misure del posto, poi comincio a disegnare, seguendo ciò che sto facendo. Disegno un’altra strada che si estende dalla parte opposta del ristorante e la faccio zigzagare un po’, per darle un po’ di carattere, e in fondo comincio a disegnare una piccola casettina in stile chalet di montagna o casetta di marzapane. Salgo la scaletta che porta al porticato, seguita da un silenzioso e intimorito Nathaniel, poi apro la porta e scopro un piccolo soggiorno caldo ed accogliente, subito affiancato da una piccola cucina. Io mi volto subito a destra e mi dirigo verso un’altra porta che apro con mani tremanti. La mia stanza. So che è la mia vera stanza, non ho bisogno di sforzarmi di ricordarla.
Prima di accasciarmi esausta e allo stremo delle forze sul letto, lancio un sorriso a Nathaniel, che è rimasto sulla porta della stanza sbalordito e senza parole, poi mi lascio andare a un meritato riposo.
   
 
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